Fanfiction
prima classificata al Contest "Natale al Supermercato!" indetto dal gruppo
su Facebook "Takahashi Fanfiction Italia".
Coppia: Miroku/Sango
Rating: Giallo
Oggetti: pastelli
colorati e gatto tatuato
December, 10th | Ridurre tutto
a un giorno di sole
Aprii gli occhi malvolentieri,
rendendomi immediatamente
conto che qualcosa non andava.
E certo. Sabato mattina, sveglia
prima di mezzogiorno,
hangover totale.
Il cellulare continuava a suonare con
quell'odiosa suoneria
del cavolo. Ma era la meno peggio che aveva a disposizione l'app della
sveglia.
Avrei potuto sceglierne un'altra, lo so. Ma non me ne importava
abbastanza per
farlo.
Con la bocca ancora impastata del
sonno e da un saporaccio
schifoso che mi dava il voltastomaco, mi decisi ad allungare il braccio
e
spegnere quell'aggeggio infernale. Tirai nuovamente il piumone fin
sopra la
testa, maledicendomi per aver dimenticato di spegnerla. Dovevo essere
completamente
fuori, la sera prima.
O forse no? Nella nebbia
più fitta che avvolgeva la mia
mente, prendeva forma un ricordo, qualcosa di simile ad un alert; mi
stavo
dimenticando qualcosa.
Merda! L'appuntamento con Kagome!
Afferrai di nuovo il cellulare,
accecandomi completamente a
causa della luminosità eccessiva. Diverse imprecazioni dopo,
mi resi conto che
non ero troppo in ritardo. Erano le undici. Potevo arrivare in tempo se
mi davo
una mossa.
Un messaggio di buongiorno dalla
fanciulla in questione mi
informava che no, non si era dimenticata che dovevamo vederci per
pranzo.
Sbuffando mi risolsi ad alzarmi. Se
mi avesse visto in
quello stato, le sue prediche, che già di per sé
non si risparmiavano,
avrebbero raggiunto livelli fuori dal comune. Ero mezzo nudo, sporco e
puzzolente.
Afferrai un bracciolo della sedia a
rotelle e feci forza
sulle braccia per raggiungere la seduta.
Ogni giorno era peggio di quello precedente. Più faticoso,
più triste. Lavarmi,
vestirmi, muovermi per casa era diventato difficile, finanche
impossibile, a
volte.
Mi avevano detto che dovevo avere
pazienza e impegnarmi e
avrei ottenuto dei risultati. Ma ero stanco di tutto.
Era stanco dei dolori, ero stanco
degli esercizi, ero stanco
delle infermiere che l'ospedale mi mandava a casa per aiutarmi. Tre
volte a
settimana. Come se per il resto del tempo potessi stare a casa fermo,
allettato, senza lavarmi e nudo.
Così avevo dovuto imparare
a fare tutto da solo. Ero
retrocesso a infante; ero come un bambino di tre anni che sta
apprendendo tutto
da capo. Ma quello che un bambino fa in anni, io avevo dovuto farlo in
poche
settimane. Un istante solo, una luce accecante, un tonfo e la mia vita
si era
azzerata. Un attimo di distrazione e avevo perso tutto. Tutto quanto.
Stizzito, gettai per aria la
confezione delle medicine che
finì dritta in mezzo a una calza che l'infermiera aveva
lasciato lì la sera
prima. Finiva sempre così. Ci provavano sempre e io finivo
sempre col cedere.
Dopotutto non avevo niente da perdere. All'inizio mi era sembrato
divertente. Mi
era parso un modo facile di restare aggrappato a quel briciolo di
normalità che
era rimasto nella mia vita. Ma mi avevano stancato anche loro molto in
fretta.
Non avevo mai desiderato un legame, non ero un tipo da impegni.
Però, sapere di
non avere più niente di concreto da offrire, avere la
consapevolezza che
nessuna donna avrebbe più voluto uno come me al suo fianco,
mi aveva spinto a
chiedermi se la solitudine non fosse un destino molto più
terribile.
Per fortuna iniziavano a mandarmi
sempre più spesso una
simpatica signora di mezza età. Non potevo fare a meno di
chiedermi se non
fosse una cosa voluta. Quel pensiero, anche se con amarezza, almeno mi
fece
sorridere.
Spinsi la carrozzina fino al bagno.
Mi guardai allo
specchio, senza riconoscermi davvero. Ero un fantasma; il volto scavato
e gli
occhi blu, una volta brillanti e vivi, erano cerchiati di scuro. Non
riconoscevo me stesso, né quella casa, dove avevo dovuto
trasferirmi per avere
spazi adeguati a... a uno storpio.
Kagome si incazzava da morire quando
mi riferivo a me stesso
con quel termine.
"Camminerai di nuovo." Continuava a
ripetermi in
modo estenuante. "lo so che ce la farai. Ci devi solo credere
davvero!"
Diceva che l'universo lo sente se non
ci crediamo
abbastanza. Che se lanciamo segnali positivi all'universo, lui ci
restituisce
cose belle.
Allora che diamine di segnali avevo
mandato io all'universo,
per meritarmi tutta quella merda? Che vita era quella? Una vita sola,
triste e
difficile. Cosi difficile, a volte, che non mi sembrava più
degna di essere
vissuta.
Ma lei e InuYasha mi sostenevano
così tanto, mi
incoraggiavano a seguire il programma di riabilitazione con una
costanza tale,
con una fede cosi incrollabile che, a volte, ci credevo anche io.
Eppure bastava un momento no, un attimo di esitazione, una piccola
defiance per
crollare e ritornare nell'oscurità più totale. E
l'unico pensiero che riuscivo
a formulare era che, se quello che Kagome diceva era vero, avevo
ragione io. Mi
meritavo quella vita vuota, senza senso.
Quella settimana era stata molto no
e, non avrebbe senso
nasconderlo, il pensiero dell'inutilità della mia vita mi
aveva perseguitato in
modo insistente. Avevo provato a scacciarlo nell'unico modo che
conoscevo.
Alcohol e donne. Almeno cosi potevo avere la sensazione che qualcosa
dalla vita
in giù funzionasse ancora.
Ma la sensazione di annebbiamento,
che anestetizzava il mio
dolore, durava poco. Troppo poco. E alla fine, quell' altalena di
emozioni mi
sfiniva, lasciandomi con l'unico desiderio di smettere di esistere.
E mi vergognavo per quella mia debolezza ma, quella mattina, mentre
facevo più
fatica del solito ad uscire di casa, nonostante quell'odioso cubicolo
fosse
fatto apposta, avrei avuto bisogno di spegnere quella voce nella mia
testa che
continuava a ripetermi quanto inutile fosse la mia esistenza.
Per quanto le parole di Kagome rimbombassero nella mia testa, era
davvero
quello che pensavo di me stesso. Ero uno storpio e storpio mi sentivo.
Uscito di casa mi sorprese una
giornata di sole. Il primo
dopo settimane di nuvole e pioggia. Ma quel giorno, no. Era il 10
dicembre ed
era soleggiato, terso e caldo.
E se avessi avuto l'animo un
po’ meno cupo, forse mi sarei
lasciato scaldare. Avrei sentito quel tepore e avrei addirittura notato
che la
strada sotto casa era già illuminata dalle luci di Natale.
Avrei sentito i bambini intonare
canti per strada e avrei
visto le famiglie uscire dai negozi con regali e pacchetti di dolci. E
avrei
gioito dei gridolini eccitati, degli occhi illuminati dalla magia. Ma
lo
spirito del Natale era quanto di più lontano da me, in quel
momento. E lo
guardavo allontanarsi sempre di più, scorrendo veloce,
insieme alla città,
oltre il finestrino dell'autobus che mi stava portando in centro.
Kagome mi aspettava, in piedi,
appoggiata al muretto sul
lungo mare. Si godeva, come tutti, quell'inatteso giorno di sole. Stava
messaggiando con qualcuno e, a giudicare dal modo in cui scuoteva la
testa,
doveva essere InuYasha.
I suoi occhi si illuminarono, come
sempre, nel momento in
cui mi vide. Vederla corrermi incontro, sentire il suo abbraccio,
riusciva
sempre, per qualche istante, a scaldarmi il cuore. Lei era l'unica che
era
rimasta al mio fianco quando la mia maschera era crollata, e con lei
tutte le
mie sicurezze. Pensavo di essere sul tetto del mondo, pensavo di essere
forte,
che avrei potuto avere tutto. Vivevo a mille all'ora e, in un istante,
il mio
futuro era sparito.
"Come va?" la sua mano stretta alla
spalla; sapevo
che era il suo modo per dirmi non temere, io ci sono, hai me al tuo
fianco.
Feci spallucce e lei mi sorrise, con
amarezza. Voleva
vedermi reagire, ma come, dove potevo trovare la forza? "Problemi con
InuYasha?" Chiesi. Lei mi guardò con perplessità.
"Ho visto che eri
al cellulare prima." chiarii.
"Ah sì" disse con fare
teatrale. "Ovviamente
InuYasha ha dimenticato di ordinare il regalo della piccola Rin, e se
non ci
presentiamo a casa di Sesshomaru con quei pastelli
colorati, potrebbe scoppiare un caso diplomatico. Stavo messaggiando
con questa
mia amica che sta venendo in mio soccorso."
"Pastelli colorati?" ripetei confuso.
" Si, ascolta. Sango, la mia amica,
è una specie di
nerd dei disegni, sa tutto di tutto! E ovviamente aveva una confezione
di
questi pastelli. "
Era partita Kagome
modalità soliloquio-treno-in-corsa. E chi
la fermava più?
"E quindi questi pastelli non sono
vendute in Giappone!
Bisognava ordinarli un mese fa da Amazon, ma il signorino se
n'è
dimenticato!"
"Kagome, calmati dai, non l'ha fatto
apposta, è solo il
solito InuYasha."
"Lo so!" disse esasperata "Ma, vedi,
è il
primo Natale che Rin passa a casa dopo l'adozione. E’,
finalmente, figlia di
Sesshomaru da un punto di vista legale, e noi vogliamo che tutto sia
perfetto."
"Vedrai che lo sarà."
"Comunque" Oh no! modalità
treno-in-corsa on di
nuovo! "Ti piacerebbe; Sango intendo. E’ simpatica, in gamba
e testarda,
figa..."
"Kagome" feci per interromperla "Io
non..."
"E..." continuò fingendo
di ignorarmi. " ha
un gatto tatuato!" Risi, scuotendo la testa. Fin da bambini, nei nostri
giochi, il mio animale guida era stato un gatto. Mentre quello di
Kagome un
cane. E InuYasha, guarda caso, aveva il tatuaggio di un cane sul
braccio.
"Ma non ti dirò dove"
aggiunse con un sorriso
malandrino. "se ti interessa, scoprilo da te!"
I suoi monologhi, tutti d'un fiato,
ci portarono a parlare
di tutt'altro davanti a un caffè e, nell' ora successiva, mi
sorbii tutto il
racconto delle infinite epopee di Kagome e la sua ricerca di regali per
InuYasha. Come sempre, parlare con lei mi faceva sentire leggero e
lontano
dalla mia realtà.
"Kagome!" una voce cristallina e brillante irruppe in quel
one-woman-show interrompendo il flusso di quel rilassante cicaleccio.
Vidi sopraggiungere una ragazza mora
e alta, che si
sbracciava allegramente nella nostra direzione.
"Sango!" Esclamò la mia amica di rimando.
Mi sorpresi non poco.
Non avevo mica capito che ci avrebbe
raggiunti. Anzi, mi ero
quasi dimenticato di lei. Si avvicinò a noi quasi danzando,
come un folletto.
Se era nostra coetanea, proprio non li dimostrava 27 anni.
"Miroku, lei è la mia
amica Sango!” Mi disse Kagome
quando lei fu vicina. "Ti avevo detto che ci avrebbe raggiunti."
Sollevai un sopracciglio, mentre lei
mi stringeva la mano
con calore. "No, Kacchan. Non me lo avevi detto..."
"Cosa?" Fece lei indispettita "Certo che te l'ho detto! Ricordi
dei pastelli?" E mi sventolò la confezione, che la nuova
arrivata le aveva
porto, davanti alla faccia.
"Ho paura che ti sia persa nei tuoi
monologhi e abbia
tralasciato questo particolare. In ogni caso è un piacere!"
Conclusi con
il più teatrale dei miei sorrisi sensuali. Sango mi sorrise
di rimando,
continuando a brillare di quella luce. E, no, il fatto che fosse una
giornata
di sole non c'entrava niente.
Sembrava avvolta da una energia
luminosa che si irradiava,
colpendo ed inondando ciò che la circondava. Sentii un
immediato tepore nel
petto, come se finalmente iniziassi a sentire gli effetti benefici di
quella
giornata di primavera dicembrina.
"AAAARGH" ringhiò
improvvisamente Kagome mentre il
suo cellulare riprendeva a suonare. "InuYasha!!!" sbuffò
rispondendo
alla chiamata ed allontanandosi un paio di metri da noi. Sango
gongolava,
divertita da quel siparietto. Io ero veramente preoccupato per la
salute
mentale della mia amica. Era solo il 10 dicembre, e già era
esaurita dall'
organizzazione di quella famosa festa in famiglia. Cosa ne sarebbe
stato di lei
fino al 24?
"Scusa se ho interrotto il vostro
caffé" mi disse
Sango stringendosi un po’ nelle spalle.
"Tranquilla" la rassicurai. "Kagome
mi ha
spiegato che il tuo intervento era vitale per salvare il Natale della
piccola
Rin."
"Già" rise lei "Non so se
conosci Sesshomaru,
il fratello di InuYasha. Credo che lo avrebbe sbranato se Rin non
avesse
ricevuto quel regalo, letteralmente!" E rise di nuovo. Mi metteva
inspiegabilmente di buon umore.
"Allora," continuai, bramoso di
prolungare il più
possibile quella conversazione "Kacchan mi diceva che sei una specie di
nerd - non guardarmi così, testuali parole della tua amica -
del disegno"
Una nuova risata argentina riempi
l'aria. "Sono un'illustratrice."
confermò.
Ah ecco.
In più di
vent'anni avrei dovuto imparare ad interpretare ciò che
Kagome mi diceva, me
tapino!
"Alla fine è stata una
fortuna che InuYasha si sia
dimenticato di fare l'ordine, altrimenti avrei rivisto Kagome dopo
Natale." continuò lei.
Effettivamente, sarebbe stato un
peccato se quel mattino
Sango non ci avesse raggiunti. Per più di un motivo. "Sei in
partenza?"
Sembrava avesse voglia di
chiacchierare. "Si, ho fatto
una follia!" gli occhi castani si accesero di stelle dorate.
"Natale a New York?" Provai a
indovinare.
Lei Rise di gusto. "Ma no! mi sono
iscritta ad un
workshop di fashion illustration con uno dei miei illustratori
preferiti. Tre
settimane di full immersion a Yokohama!"
Era così entusiasta che
sentii la sua energia pervadermi.
Aprii la bocca per rispondere ma sopraggiunse Kagome, con un'aria fra
l'indispettito e l'affranto.
"Che accade?" le chiesi.
"InuYasha non ce la può
proprio fare..."
Sango rise di nuovo. "Kag , lo
sappiamo che ti piace
fare la sua crocerossina!
L' altra alzò gli occhi al
cielo. "No davvero,"
sbuffò "vi devo lasciare.” La delusione si dipinse
nel volto di Sango. "InuYasha
e Sesshomaru hanno la cena aziendale stasera. Devo passare a prendere
Rin." Disse abbracciando me e poi Sango. "Mi spiace un sacco, Sango.
Però chiamami e raccontami ogni dettaglio! Miroku, noi ci
risentiamo!" Mi
urlò mentre era già lontana.
Ci fu un lunghissimo momento di
silenzio, in cui credo che
entrambi avremmo volentieri ucciso Kagome per averci lasciato
lì, senza sapere
cosa dire, cosa fare o quale decisione prendere.
Solo in quel momento mi resi conto di quanto fosse ridicola quella
situazione.
E di come mi sentissi inadeguato. Ero uno storpio e stavo
lì, seduto sulla mia
sedia a rotelle, domandandomi come avrei potuto prolungare la compagnia
di
quella ragazza per farmi inondare ancora per un po’ della sua
energia. Ma mi
rendevo conto che era un pensiero stupido. Per quale motivo una come
lei
avrebbe dovuto volere passare il suo tempo con uno come me?
Mi risolsi a prendere il coraggio a
quattro mani e sollevare
entrambi da quell'empasse.
"Allora ci ved..."
"Ti andrebbe di mangiare qualcosa?"
mi interruppe,
tutto d'un fiato.
Sorpreso, alzai gli occhi verso di
lei. Il suo volto
sembrava non tradire emozioni. Mi sorrideva, avrei detto quasi con
cordialità.
Quella sensazione di inadeguatezza mi
pervadeva.
"Certo."
Eppure quella sua energia, quel suo
sorriso, quei suoi occhi
di stelle, mi spinsero a chiedermi perché
no?
Conoscevo un posticino carino
lì vicino, un Okonomiyakia in
cui ero stato speso con InuYasha e Kagome.
"Allora," mi disse guardandomi con
quei grandi
occhi castani e curiosi, mentre versava la pastella nella piastra
incandescente
"Io ti ho raccontato le mie follie. E tu?"
Sospirai, quasi con amarezza. Di
follie ne avevo fatte anche
troppe, ma nessuna bella come la sua, purtroppo. "Sono un ingegnere
biomedico" risposi a mezza voce.
"Bhe, quella si che è
follia" rispose con tanto
d'occhi farcendo la sua Okonomiyaki.
Mi fece ridere il modo in cui lo
disse. Il tono della sua
voce diede una accezione tutta diversa a quello che le avevo detto.
Aveva
riempito di importanza ciò che facevo. Mi fece quasi sentire
speciale, come se
davvero valessi qualcosa.
"Stai seguendo qualche progetto, al
momento?"
"No, ho perso il mio precedente
lavoro" dal modo
in cui annuì, mi fu chiaro che aveva intuito fosse a causa
del mio stato di
invalido. "Ma ho ricevuto una proposta da parte di una start up che
opera
nel campo della biomedica." Fece tanto d'occhi. "Ho conosciuto il
proprietario quando eravamo ancora all'università e mi ha
chiesto di essere
parte del loro nuovo progetto innovativo, come ricercatore e come
cavia."
Mi guardava molto interessata da quello che le dicevo, ma non sapevo
bene
quanto fosse sul pezzo. "Stanno sviluppando una nuova tipologia di
protesi
che consentirà in modo non invasivo di riprendere a
camminare a quelli come...
me."
Indugiai; non volevo vedere la pena e
la commiserazione nei
suoi occhi come quella che avevo visto negli occhi della gente con cui
avevo a
che fare ogni giorno.
Il suo sguardo, però,
esprimeva una genuina eccitazione ed
una sorta di orgoglio.
"Devi essere su di giri!" Esclamò portandosi la sua opera
alla bocca.
Posai il mestolo nel suo supporto e
ci pensai sul serio. Ero
su di giri?
Niente sembrava emozionarmi a tal
punto. E, dovevo
ammettere, avevo tanta paura. Paura che non fosse quella la mia strada.
Paura
di fallire. Paura di deludere ancora le persone. Avrei dovuto provare
eccitazione per quel progetto. Avrei voluto essere su di giri, come
diceva lei.
Ma non trovavo una sola motivazione. Nulla.
"In realtà ho un
pò di ansia..." Le risposi,
infine. Mi guardò, mordicchiandosi il labbro,
sovrappensiero. Poi puntò i suoi
occhi castani nei miei e li vidi illuminarsi di nuovo di pagliuzze
dorate.
"Non posso capirti, ma immagino sarebbe dura illudersi per poi veder
svanire l'obiettivo, se qualcosa dovesse andare storto.
Sai, non saprei dirti quale sia la
cosa migliore. Ma non
provarci, rimanere fermo, non può esserlo sicuramente." Le
sorrisi. Lo
sapevo che non accettare questa proposta avrebbe significato arrendersi
in
partenza, senza nemmeno lottare. Ma il guerriero che ero sempre stato
era
assopito, stanco, sconfitto ed aveva bisogno di qualcosa che lo
scuotesse e lo
ridestasse per rialzarsi e combattere.
Dopo pranzo le proposi di
incamminarci sulla via principale
che costeggiava il lungomare per goderci gli ultimi raggi di sole di
quella
giornata inaspettatamente calda. Mi camminava accanto, adeguando il suo
passo
all' andatura della mia carrozzina. Non mi aveva chiesto se c'era
bisogno che
spingesse la sedia a rotelle, né aveva provato goffamente a
prendere
l'iniziativa come facciamo tante persone.
Mi sentivo a mio agio con lei, e quella sensazione di inadeguatezza
sembrava
scemare e, a tratti, non appartenermi più.
Mi raccontava di sogni, di luoghi e
di speranze e del
futuro, anche se ancora non lo conosceva.
"Come fai a volere tutte queste cose?" le chiesi a un tratto.
Mi guardò, e come sempre
si illuminò di stelle. "Sento
una forza, un'energia" mi disse" e ne voglio ancora. Ne voglio di
più. E mi butto, senza pensarci. Perché in fondo
non importa quello che accade.
Non posso controllarlo. Ma posso scegliere come affrontarlo. E io
scelgo di
nutrirmi delle cose belle e di affilarmi le unghie su quelle
negative.".
Il battito accelerato dal mio cuore riempi il silenzio che segui. Non
avevo mai
avvertito tanto entusiasmo e tanta passione. E lei quasi ne traboccava.
E mi inondava,
mi avvolgeva e, quasi, mi toccava l'anima.
Il sole iniziava a scendere verso
l'orizzonte e lei vetrine
e le strade iniziavano a scintillare di lucine. Ogni luce, ogni
decorazione
erano accompagnate da una esclamazione di meraviglia di Sango. Ci volle
poco
perché mi lasciassi coinvolgere. Davvero tutta quella luce
era li da giorni?
Davvero ero stato circondato da tutta quella felicità fino a
quel momento?
"Non ci credo!" l'ennesimo gridolino
di gioia mi
riscosse dei miei pensieri. La sua attenzione era stata catturata da
una enorme
pista di pattinaggio che era stata installata nella piazza principale.
Saltellò,
battendo le mani, entusiasta. Era la cosa più bella che
avessi mai visto. Lei,
i suoi occhi illuminati dalle luci di Natale e la magia di quel posto.
"Ti piace pattinare?" le chiesi.
"Mai provato." Rispose scuotendo la
testa.
"Ma mi piacerebbe un sacco."
"Io ci andavo tutti gli anni con mio
padre." le
confessai. "Mi piaceva molto. Ed ero pure bravo." Aggiunsi per
sdrammatizzare.
E fui contento di vederla ridere,
anziché dispiacersi per
me. "Ci torneremo" mi sussurrò, guardandomi con dolcezza. Di
nuovo,
non me la sentii di aggiungere niente a quel silenzio.
Perché parlava da solo.
Alcune hostess della struttura ci
posero delle stelle
filanti, per partecipare ai festeggiamenti che si sarebbero tenuti di
lì a
poco.
Poiché nessuno di noi due
aveva un accendino, Sango si
adoperò per trovare qualcuno che ci aiutasse. Poi
tornò da me, avvicinando il
suo bastoncino, già scintillante, al mio.
E sarà stata quella
puerile impazienza che lessi sul suo
volto, o la gioia fanciullesca che accese il suo sguardo nel momento in
cui
anche la mia stecchetta iniziò a sprizzare scintille
luminose; ma fu in
quell'esatto momento che un grande, sconosciuto, calore mi pervase il
petto e
ricambiai il suo sorriso.
Non perché dovevo, non perché le circostanze lo
richiedevano, ma perché, per la
prima volta dopo tanto tempo, mi sentivo davvero felice. E l'unico
pensiero che
riuscivo a formulare era che si, volevo tornare lì con lei,
volevo portarla a
pattinare.
Ed, improvvisamente, si
materializzò dinanzi ai miei occhi che,
finalmente, avevo un motivo per rialzarmi in piedi e riprendere a
camminare.
E non sapevo ancora quali, ma avevo
chiaro il fatto che ce
ne fossero mille altri. Dovevo solo volerlo davvero.
Quella consapevolezza, da sola, mi
bastò per ritrovare un
briciolo di speranza e sentire che il mio guerriero si stava
risvegliando.
Guidato dal mio spirito guida.
"Ehi, Sango" Mi guardò,
mentre continuava ad
agitare la sua stecchetta per aria. "Ce l'hai davvero un gatto
tatuato?"
.***
Alzo gli occhi dal mio cellulare e
dalla foto che hai condiviso,
il ricordo che l'algoritmo di facebook ha selezionato per te oggi.
Peculiare
che dopo tre anni riproponga proprio la foto che ti sei fatta scattare
quel
giorno, davanti all' albero in centro, illuminato di luccioline bianche.
"Come vorrei
ridurre tutto ad un giorno di sole" è la
didascalia che avevi scelto.
Quel giorno di sole.
Perché me lo hai confessato con candida
innocenza che t'innamorasti subito dei miei occhi. Di quello
sconosciuto degli
occhi blu.
Così come hai capito
subito che, dietro quell'espressione da
cane bastonato c'era lo sguardo di un guerriero ribelle, nascosto da
tutte le
scuse che mi raccontavo da mesi.
Non esiste il caso. Me lo hai
insegnato tu. E quel giorno,
per la prima volta dopo settimane, non è piovuto. Per la
prima volta, dopo
mesi, io ho sorriso. Con te.
Con il cuore leggero. Non volevo
altro che vivere di nuovo
un giorno come quello. E di nuovo. E ancora e ancora. Pensavo che non
ti avrei
più rivisto. Che tu fossi un prezioso dono che il destino
aveva deciso di
farmi. E invece tu, piccola sconosciuta dagli occhi di stelle, mi hai
legato a
te con la semplicità di un sorriso.
Sei venuta a cercarmi, a
raccogliermi. E quel coraggio che
avevi nel cuore è stato, in un attimo, anche il mio.
Ti osservo, sorridermi complice. Lo
so che sei entusiasta
delle decorazioni di casa di Kagome. E lo so che sei più In
ansia di InuYasha
mentre lo guardi avvicinarsi titubante a lei.
Le sfiora la spalla, delicatamente e
tu sussulti. Si
inginocchia davanti a tutti e tu batti le mani, eccitata.
È un attimo. InuYasha si propone, lei dice che si,
nonostante il suo
caratteraccio, la sua risposta è e sarà sempre
sì.
Vedo una lacrima riganti la guancia.
Allora mi alzo e,
zoppicando, ancora un pò incerto sulle mie gambe, mi
avvicino a te, che mi
accogli a braccia aperte.
Ti stringo forte, baciandoti la
fronte, il naso, le labbra.
Forse un giorno te lo dirò
che mi hai salvato la vita. Che
per me si è davvero ridotto tutto ad un giorno di sole. E un
giorno, non oggi,
non domani, ma presto, quando sarò in grado di reggermi di
nuovo sulle mie
gambe, in un dieci dicembre di sole, illuminato dalle prime luci del
Natale,
finalmente potrò venire a pattinare con te. E anche io ti
chiederò di essere
mia per sempre.
"Buon dieci dicembre, amore mio".
Angolo dell’autrice
Per ovvi motivi, questa storia
avrebbe dovuto essere
pubblicata giorni fa.
Ma non potevo cambiare il titolo,
semplicemente perché è
ispirata (molto ispirata, perché le storie dei protagonisti
sono completamente
diverse, per fortuna) al mio primo incontro con il mio ragazzo, al
quale ho
vietato di leggere le mie storie, ma siccome lo conosco: Ciao amorino,
buon 10
dicembre in ritardo :*
In ogni caso, spero vi sia piaciuta
nonostante l’aria cupa.
Ma è un po’ il
mio stile :P
Infine, restate sintonizzati, in
quanto mentre scrivevo
questa storia mi è venuta in mente un piccolo spin off che
sarà pubblicato nei
prossimi giorni.
A presto,
Manu