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Autore: Manu_Hikari    20/12/2019    8 recensioni
E fui contento di vederla ridere, anziché dispiacersi per me. "Ci torneremo" mi sussurrò, guardandomi con dolcezza. Di nuovo, non me la sentii di aggiungere niente a quel silenzio. Perché parlava da solo.
Prima Classificata al Contest "Natale al Supermercato!" indetto dal gruppo su Facebook "Takahashi Fanfiction Italia".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kagome, Miroku, Sango | Coppie: Miroku/Sango
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Fanfiction prima classificata al Contest "Natale al Supermercato!" indetto dal gruppo su Facebook "Takahashi Fanfiction Italia".

Coppia: Miroku/Sango
Rating: Giallo
Oggetti: pastelli colorati e gatto tatuato

 

December, 10th | Ridurre tutto a un giorno di sole

Aprii gli occhi malvolentieri, rendendomi immediatamente conto che qualcosa non andava.

E certo. Sabato mattina, sveglia prima di mezzogiorno, hangover totale.

Il cellulare continuava a suonare con quell'odiosa suoneria del cavolo. Ma era la meno peggio che aveva a disposizione l'app della sveglia. Avrei potuto sceglierne un'altra, lo so. Ma non me ne importava abbastanza per farlo.

Con la bocca ancora impastata del sonno e da un saporaccio schifoso che mi dava il voltastomaco, mi decisi ad allungare il braccio e spegnere quell'aggeggio infernale. Tirai nuovamente il piumone fin sopra la testa, maledicendomi per aver dimenticato di spegnerla. Dovevo essere completamente fuori, la sera prima.

O forse no? Nella nebbia più fitta che avvolgeva la mia mente, prendeva forma un ricordo, qualcosa di simile ad un alert; mi stavo dimenticando qualcosa.

Merda! L'appuntamento con Kagome!

Afferrai di nuovo il cellulare, accecandomi completamente a causa della luminosità eccessiva. Diverse imprecazioni dopo, mi resi conto che non ero troppo in ritardo. Erano le undici. Potevo arrivare in tempo se mi davo una mossa.

Un messaggio di buongiorno dalla fanciulla in questione mi informava che no, non si era dimenticata che dovevamo vederci per pranzo.

Sbuffando mi risolsi ad alzarmi. Se mi avesse visto in quello stato, le sue prediche, che già di per sé non si risparmiavano, avrebbero raggiunto livelli fuori dal comune. Ero mezzo nudo, sporco e puzzolente.

Afferrai un bracciolo della sedia a rotelle e feci forza sulle braccia per raggiungere la seduta.
Ogni giorno era peggio di quello precedente. Più faticoso, più triste. Lavarmi, vestirmi, muovermi per casa era diventato difficile, finanche impossibile, a volte.

Mi avevano detto che dovevo avere pazienza e impegnarmi e avrei ottenuto dei risultati. Ma ero stanco di tutto.

Era stanco dei dolori, ero stanco degli esercizi, ero stanco delle infermiere che l'ospedale mi mandava a casa per aiutarmi. Tre volte a settimana. Come se per il resto del tempo potessi stare a casa fermo, allettato, senza lavarmi e nudo.

Così avevo dovuto imparare a fare tutto da solo. Ero retrocesso a infante; ero come un bambino di tre anni che sta apprendendo tutto da capo. Ma quello che un bambino fa in anni, io avevo dovuto farlo in poche settimane. Un istante solo, una luce accecante, un tonfo e la mia vita si era azzerata. Un attimo di distrazione e avevo perso tutto. Tutto quanto.

Stizzito, gettai per aria la confezione delle medicine che finì dritta in mezzo a una calza che l'infermiera aveva lasciato lì la sera prima. Finiva sempre così. Ci provavano sempre e io finivo sempre col cedere. Dopotutto non avevo niente da perdere. All'inizio mi era sembrato divertente. Mi era parso un modo facile di restare aggrappato a quel briciolo di normalità che era rimasto nella mia vita. Ma mi avevano stancato anche loro molto in fretta. Non avevo mai desiderato un legame, non ero un tipo da impegni. Però, sapere di non avere più niente di concreto da offrire, avere la consapevolezza che nessuna donna avrebbe più voluto uno come me al suo fianco, mi aveva spinto a chiedermi se la solitudine non fosse un destino molto più terribile.

Per fortuna iniziavano a mandarmi sempre più spesso una simpatica signora di mezza età. Non potevo fare a meno di chiedermi se non fosse una cosa voluta. Quel pensiero, anche se con amarezza, almeno mi fece sorridere.

Spinsi la carrozzina fino al bagno. Mi guardai allo specchio, senza riconoscermi davvero. Ero un fantasma; il volto scavato e gli occhi blu, una volta brillanti e vivi, erano cerchiati di scuro. Non riconoscevo me stesso, né quella casa, dove avevo dovuto trasferirmi per avere spazi adeguati a... a uno storpio.

Kagome si incazzava da morire quando mi riferivo a me stesso con quel termine.

"Camminerai di nuovo." Continuava a ripetermi in modo estenuante. "lo so che ce la farai. Ci devi solo credere davvero!"

Diceva che l'universo lo sente se non ci crediamo abbastanza. Che se lanciamo segnali positivi all'universo, lui ci restituisce cose belle.

Allora che diamine di segnali avevo mandato io all'universo, per meritarmi tutta quella merda? Che vita era quella? Una vita sola, triste e difficile. Cosi difficile, a volte, che non mi sembrava più degna di essere vissuta.

Ma lei e InuYasha mi sostenevano così tanto, mi incoraggiavano a seguire il programma di riabilitazione con una costanza tale, con una fede cosi incrollabile che, a volte, ci credevo anche io.
Eppure bastava un momento no, un attimo di esitazione, una piccola defiance per crollare e ritornare nell'oscurità più totale. E l'unico pensiero che riuscivo a formulare era che, se quello che Kagome diceva era vero, avevo ragione io. Mi meritavo quella vita vuota, senza senso.

Quella settimana era stata molto no e, non avrebbe senso nasconderlo, il pensiero dell'inutilità della mia vita mi aveva perseguitato in modo insistente. Avevo provato a scacciarlo nell'unico modo che conoscevo. Alcohol e donne. Almeno cosi potevo avere la sensazione che qualcosa dalla vita in giù funzionasse ancora.

Ma la sensazione di annebbiamento, che anestetizzava il mio dolore, durava poco. Troppo poco. E alla fine, quell' altalena di emozioni mi sfiniva, lasciandomi con l'unico desiderio di smettere di esistere.
E mi vergognavo per quella mia debolezza ma, quella mattina, mentre facevo più fatica del solito ad uscire di casa, nonostante quell'odioso cubicolo fosse fatto apposta, avrei avuto bisogno di spegnere quella voce nella mia testa che continuava a ripetermi quanto inutile fosse la mia esistenza.
Per quanto le parole di Kagome rimbombassero nella mia testa, era davvero quello che pensavo di me stesso. Ero uno storpio e storpio mi sentivo.

Uscito di casa mi sorprese una giornata di sole. Il primo dopo settimane di nuvole e pioggia. Ma quel giorno, no. Era il 10 dicembre ed era soleggiato, terso e caldo.

E se avessi avuto l'animo un po’ meno cupo, forse mi sarei lasciato scaldare. Avrei sentito quel tepore e avrei addirittura notato che la strada sotto casa era già illuminata dalle luci di Natale.

Avrei sentito i bambini intonare canti per strada e avrei visto le famiglie uscire dai negozi con regali e pacchetti di dolci. E avrei gioito dei gridolini eccitati, degli occhi illuminati dalla magia. Ma lo spirito del Natale era quanto di più lontano da me, in quel momento. E lo guardavo allontanarsi sempre di più, scorrendo veloce, insieme alla città, oltre il finestrino dell'autobus che mi stava portando in centro.

Kagome mi aspettava, in piedi, appoggiata al muretto sul lungo mare. Si godeva, come tutti, quell'inatteso giorno di sole. Stava messaggiando con qualcuno e, a giudicare dal modo in cui scuoteva la testa, doveva essere InuYasha.

I suoi occhi si illuminarono, come sempre, nel momento in cui mi vide. Vederla corrermi incontro, sentire il suo abbraccio, riusciva sempre, per qualche istante, a scaldarmi il cuore. Lei era l'unica che era rimasta al mio fianco quando la mia maschera era crollata, e con lei tutte le mie sicurezze. Pensavo di essere sul tetto del mondo, pensavo di essere forte, che avrei potuto avere tutto. Vivevo a mille all'ora e, in un istante, il mio futuro era sparito.

"Come va?" la sua mano stretta alla spalla; sapevo che era il suo modo per dirmi non temere, io ci sono, hai me al tuo fianco.

Feci spallucce e lei mi sorrise, con amarezza. Voleva vedermi reagire, ma come, dove potevo trovare la forza? "Problemi con InuYasha?" Chiesi. Lei mi guardò con perplessità. "Ho visto che eri al cellulare prima." chiarii.

"Ah sì" disse con fare teatrale. "Ovviamente InuYasha ha dimenticato di ordinare il regalo della piccola Rin, e se non ci presentiamo a casa di Sesshomaru con quei pastelli
colorati, potrebbe scoppiare un caso diplomatico. Stavo messaggiando con questa mia amica che sta venendo in mio soccorso."

"Pastelli colorati?" ripetei confuso.

" Si, ascolta. Sango, la mia amica, è una specie di nerd dei disegni, sa tutto di tutto! E ovviamente aveva una confezione di questi pastelli. "

Era partita Kagome modalità soliloquio-treno-in-corsa. E chi la fermava più?

"E quindi questi pastelli non sono vendute in Giappone! Bisognava ordinarli un mese fa da Amazon, ma il signorino se n'è dimenticato!"

"Kagome, calmati dai, non l'ha fatto apposta, è solo il solito InuYasha."

"Lo so!" disse esasperata "Ma, vedi, è il primo Natale che Rin passa a casa dopo l'adozione. E’, finalmente, figlia di Sesshomaru da un punto di vista legale, e noi vogliamo che tutto sia perfetto."

"Vedrai che lo sarà."

"Comunque" Oh no! modalità treno-in-corsa on di nuovo! "Ti piacerebbe; Sango intendo. E’ simpatica, in gamba e testarda, figa..."

"Kagome" feci per interromperla "Io non..."

"E..." continuò fingendo di ignorarmi. " ha un gatto tatuato!" Risi, scuotendo la testa. Fin da bambini, nei nostri giochi, il mio animale guida era stato un gatto. Mentre quello di Kagome un cane. E InuYasha, guarda caso, aveva il tatuaggio di un cane sul braccio.

"Ma non ti dirò dove" aggiunse con un sorriso malandrino. "se ti interessa, scoprilo da te!"

I suoi monologhi, tutti d'un fiato, ci portarono a parlare di tutt'altro davanti a un caffè e, nell' ora successiva, mi sorbii tutto il racconto delle infinite epopee di Kagome e la sua ricerca di regali per InuYasha. Come sempre, parlare con lei mi faceva sentire leggero e lontano dalla mia realtà.
"Kagome!" una voce cristallina e brillante irruppe in quel one-woman-show interrompendo il flusso di quel rilassante cicaleccio.

Vidi sopraggiungere una ragazza mora e alta, che si sbracciava allegramente nella nostra direzione.
"Sango!" Esclamò la mia amica di rimando.

Mi sorpresi non poco.

Non avevo mica capito che ci avrebbe raggiunti. Anzi, mi ero quasi dimenticato di lei. Si avvicinò a noi quasi danzando, come un folletto. Se era nostra coetanea, proprio non li dimostrava 27 anni.

"Miroku, lei è la mia amica Sango!” Mi disse Kagome quando lei fu vicina. "Ti avevo detto che ci avrebbe raggiunti."

Sollevai un sopracciglio, mentre lei mi stringeva la mano con calore. "No, Kacchan. Non me lo avevi detto..."
"Cosa?" Fece lei indispettita "Certo che te l'ho detto! Ricordi dei pastelli?" E mi sventolò la confezione, che la nuova arrivata le aveva porto, davanti alla faccia.

"Ho paura che ti sia persa nei tuoi monologhi e abbia tralasciato questo particolare. In ogni caso è un piacere!" Conclusi con il più teatrale dei miei sorrisi sensuali. Sango mi sorrise di rimando, continuando a brillare di quella luce. E, no, il fatto che fosse una giornata di sole non c'entrava niente.

Sembrava avvolta da una energia luminosa che si irradiava, colpendo ed inondando ciò che la circondava. Sentii un immediato tepore nel petto, come se finalmente iniziassi a sentire gli effetti benefici di quella giornata di primavera dicembrina.

"AAAARGH" ringhiò improvvisamente Kagome mentre il suo cellulare riprendeva a suonare. "InuYasha!!!" sbuffò rispondendo alla chiamata ed allontanandosi un paio di metri da noi. Sango gongolava, divertita da quel siparietto. Io ero veramente preoccupato per la salute mentale della mia amica. Era solo il 10 dicembre, e già era esaurita dall' organizzazione di quella famosa festa in famiglia. Cosa ne sarebbe stato di lei fino al 24?

"Scusa se ho interrotto il vostro caffé" mi disse Sango stringendosi un po’ nelle spalle.

"Tranquilla" la rassicurai. "Kagome mi ha spiegato che il tuo intervento era vitale per salvare il Natale della piccola Rin."

"Già" rise lei "Non so se conosci Sesshomaru, il fratello di InuYasha. Credo che lo avrebbe sbranato se Rin non avesse ricevuto quel regalo, letteralmente!" E rise di nuovo. Mi metteva inspiegabilmente di buon umore.

"Allora," continuai, bramoso di prolungare il più possibile quella conversazione "Kacchan mi diceva che sei una specie di nerd - non guardarmi così, testuali parole della tua amica - del disegno"

Una nuova risata argentina riempi l'aria. "Sono un'illustratrice." confermò.

Ah ecco. In più di vent'anni avrei dovuto imparare ad interpretare ciò che Kagome mi diceva, me tapino!

"Alla fine è stata una fortuna che InuYasha si sia dimenticato di fare l'ordine, altrimenti avrei rivisto Kagome dopo Natale." continuò lei.

Effettivamente, sarebbe stato un peccato se quel mattino Sango non ci avesse raggiunti. Per più di un motivo. "Sei in partenza?"

Sembrava avesse voglia di chiacchierare. "Si, ho fatto una follia!" gli occhi castani si accesero di stelle dorate.

"Natale a New York?" Provai a indovinare.

Lei Rise di gusto. "Ma no! mi sono iscritta ad un workshop di fashion illustration con uno dei miei illustratori preferiti. Tre settimane di full immersion a Yokohama!"

Era così entusiasta che sentii la sua energia pervadermi. Aprii la bocca per rispondere ma sopraggiunse Kagome, con un'aria fra l'indispettito e l'affranto.

"Che accade?" le chiesi.

"InuYasha non ce la può proprio fare..."

Sango rise di nuovo. "Kag , lo sappiamo che ti piace fare la sua crocerossina!

L' altra alzò gli occhi al cielo. "No davvero," sbuffò "vi devo lasciare.” La delusione si dipinse nel volto di Sango. "InuYasha e Sesshomaru hanno la cena aziendale stasera. Devo passare a prendere Rin." Disse abbracciando me e poi Sango. "Mi spiace un sacco, Sango. Però chiamami e raccontami ogni dettaglio! Miroku, noi ci risentiamo!" Mi urlò mentre era già lontana.

Ci fu un lunghissimo momento di silenzio, in cui credo che entrambi avremmo volentieri ucciso Kagome per averci lasciato lì, senza sapere cosa dire, cosa fare o quale decisione prendere.
Solo in quel momento mi resi conto di quanto fosse ridicola quella situazione. E di come mi sentissi inadeguato. Ero uno storpio e stavo lì, seduto sulla mia sedia a rotelle, domandandomi come avrei potuto prolungare la compagnia di quella ragazza per farmi inondare ancora per un po’ della sua energia. Ma mi rendevo conto che era un pensiero stupido. Per quale motivo una come lei avrebbe dovuto volere passare il suo tempo con uno come me?

Mi risolsi a prendere il coraggio a quattro mani e sollevare entrambi da quell'empasse.
"Allora ci ved..."

"Ti andrebbe di mangiare qualcosa?" mi interruppe, tutto d'un fiato.

Sorpreso, alzai gli occhi verso di lei. Il suo volto sembrava non tradire emozioni. Mi sorrideva, avrei detto quasi con cordialità.

Quella sensazione di inadeguatezza mi pervadeva.

"Certo."

Eppure quella sua energia, quel suo sorriso, quei suoi occhi di stelle, mi spinsero a chiedermi perché no?

Conoscevo un posticino carino lì vicino, un Okonomiyakia in cui ero stato speso con InuYasha e Kagome.

"Allora," mi disse guardandomi con quei grandi occhi castani e curiosi, mentre versava la pastella nella piastra incandescente "Io ti ho raccontato le mie follie. E tu?"

Sospirai, quasi con amarezza. Di follie ne avevo fatte anche troppe, ma nessuna bella come la sua, purtroppo. "Sono un ingegnere biomedico" risposi a mezza voce.

"Bhe, quella si che è follia" rispose con tanto d'occhi farcendo la sua Okonomiyaki.

Mi fece ridere il modo in cui lo disse. Il tono della sua voce diede una accezione tutta diversa a quello che le avevo detto. Aveva riempito di importanza ciò che facevo. Mi fece quasi sentire speciale, come se davvero valessi qualcosa.

"Stai seguendo qualche progetto, al momento?"

"No, ho perso il mio precedente lavoro" dal modo in cui annuì, mi fu chiaro che aveva intuito fosse a causa del mio stato di invalido. "Ma ho ricevuto una proposta da parte di una start up che opera nel campo della biomedica." Fece tanto d'occhi. "Ho conosciuto il proprietario quando eravamo ancora all'università e mi ha chiesto di essere parte del loro nuovo progetto innovativo, come ricercatore e come cavia." Mi guardava molto interessata da quello che le dicevo, ma non sapevo bene quanto fosse sul pezzo. "Stanno sviluppando una nuova tipologia di protesi che consentirà in modo non invasivo di riprendere a camminare a quelli come... me."

Indugiai; non volevo vedere la pena e la commiserazione nei suoi occhi come quella che avevo visto negli occhi della gente con cui avevo a che fare ogni giorno.

Il suo sguardo, però, esprimeva una genuina eccitazione ed una sorta di orgoglio.
"Devi essere su di giri!" Esclamò portandosi la sua opera alla bocca.

Posai il mestolo nel suo supporto e ci pensai sul serio. Ero su di giri?

Niente sembrava emozionarmi a tal punto. E, dovevo ammettere, avevo tanta paura. Paura che non fosse quella la mia strada. Paura di fallire. Paura di deludere ancora le persone. Avrei dovuto provare eccitazione per quel progetto. Avrei voluto essere su di giri, come diceva lei. Ma non trovavo una sola motivazione. Nulla.

"In realtà ho un pò di ansia..." Le risposi, infine. Mi guardò, mordicchiandosi il labbro, sovrappensiero. Poi puntò i suoi occhi castani nei miei e li vidi illuminarsi di nuovo di pagliuzze dorate. "Non posso capirti, ma immagino sarebbe dura illudersi per poi veder svanire l'obiettivo, se qualcosa dovesse andare storto.

Sai, non saprei dirti quale sia la cosa migliore. Ma non provarci, rimanere fermo, non può esserlo sicuramente." Le sorrisi. Lo sapevo che non accettare questa proposta avrebbe significato arrendersi in partenza, senza nemmeno lottare. Ma il guerriero che ero sempre stato era assopito, stanco, sconfitto ed aveva bisogno di qualcosa che lo scuotesse e lo ridestasse per rialzarsi e combattere.

Dopo pranzo le proposi di incamminarci sulla via principale che costeggiava il lungomare per goderci gli ultimi raggi di sole di quella giornata inaspettatamente calda. Mi camminava accanto, adeguando il suo passo all' andatura della mia carrozzina. Non mi aveva chiesto se c'era bisogno che spingesse la sedia a rotelle, né aveva provato goffamente a prendere l'iniziativa come facciamo tante persone.
Mi sentivo a mio agio con lei, e quella sensazione di inadeguatezza sembrava scemare e, a tratti, non appartenermi più.

Mi raccontava di sogni, di luoghi e di speranze e del futuro, anche se ancora non lo conosceva.
"Come fai a volere tutte queste cose?" le chiesi a un tratto.

Mi guardò, e come sempre si illuminò di stelle. "Sento una forza, un'energia" mi disse" e ne voglio ancora. Ne voglio di più. E mi butto, senza pensarci. Perché in fondo non importa quello che accade. Non posso controllarlo. Ma posso scegliere come affrontarlo. E io scelgo di nutrirmi delle cose belle e di affilarmi le unghie su quelle negative.". Il battito accelerato dal mio cuore riempi il silenzio che segui. Non avevo mai avvertito tanto entusiasmo e tanta passione. E lei quasi ne traboccava. E mi inondava, mi avvolgeva e, quasi, mi toccava l'anima.

Il sole iniziava a scendere verso l'orizzonte e lei vetrine e le strade iniziavano a scintillare di lucine. Ogni luce, ogni decorazione erano accompagnate da una esclamazione di meraviglia di Sango. Ci volle poco perché mi lasciassi coinvolgere. Davvero tutta quella luce era li da giorni? Davvero ero stato circondato da tutta quella felicità fino a quel momento?

"Non ci credo!" l'ennesimo gridolino di gioia mi riscosse dei miei pensieri. La sua attenzione era stata catturata da una enorme pista di pattinaggio che era stata installata nella piazza principale. Saltellò, battendo le mani, entusiasta. Era la cosa più bella che avessi mai visto. Lei, i suoi occhi illuminati dalle luci di Natale e la magia di quel posto.

"Ti piace pattinare?" le chiesi.

"Mai provato." Rispose scuotendo la testa. "Ma mi piacerebbe un sacco."

"Io ci andavo tutti gli anni con mio padre." le confessai. "Mi piaceva molto. Ed ero pure bravo." Aggiunsi per sdrammatizzare.

E fui contento di vederla ridere, anziché dispiacersi per me. "Ci torneremo" mi sussurrò, guardandomi con dolcezza. Di nuovo, non me la sentii di aggiungere niente a quel silenzio. Perché parlava da solo.

Alcune hostess della struttura ci posero delle stelle filanti, per partecipare ai festeggiamenti che si sarebbero tenuti di lì a poco.

Poiché nessuno di noi due aveva un accendino, Sango si adoperò per trovare qualcuno che ci aiutasse. Poi tornò da me, avvicinando il suo bastoncino, già scintillante, al mio.

E sarà stata quella puerile impazienza che lessi sul suo volto, o la gioia fanciullesca che accese il suo sguardo nel momento in cui anche la mia stecchetta iniziò a sprizzare scintille luminose; ma fu in quell'esatto momento che un grande, sconosciuto, calore mi pervase il petto e ricambiai il suo sorriso.
Non perché dovevo, non perché le circostanze lo richiedevano, ma perché, per la prima volta dopo tanto tempo, mi sentivo davvero felice. E l'unico pensiero che riuscivo a formulare era che si, volevo tornare lì con lei, volevo portarla a pattinare.

Ed, improvvisamente, si materializzò dinanzi ai miei occhi che, finalmente, avevo un motivo per rialzarmi in piedi e riprendere a camminare.

E non sapevo ancora quali, ma avevo chiaro il fatto che ce ne fossero mille altri. Dovevo solo volerlo davvero.

Quella consapevolezza, da sola, mi bastò per ritrovare un briciolo di speranza e sentire che il mio guerriero si stava risvegliando. Guidato dal mio spirito guida.

"Ehi, Sango" Mi guardò, mentre continuava ad agitare la sua stecchetta per aria. "Ce l'hai davvero un gatto tatuato?"

.***

Alzo gli occhi dal mio cellulare e dalla foto che hai condiviso, il ricordo che l'algoritmo di facebook ha selezionato per te oggi. Peculiare che dopo tre anni riproponga proprio la foto che ti sei fatta scattare quel giorno, davanti all' albero in centro, illuminato di luccioline bianche.

"Come vorrei ridurre tutto ad un giorno di sole" è la didascalia che avevi scelto.

Quel giorno di sole. Perché me lo hai confessato con candida innocenza che t'innamorasti subito dei miei occhi. Di quello sconosciuto degli occhi blu.

Così come hai capito subito che, dietro quell'espressione da cane bastonato c'era lo sguardo di un guerriero ribelle, nascosto da tutte le scuse che mi raccontavo da mesi.

Non esiste il caso. Me lo hai insegnato tu. E quel giorno, per la prima volta dopo settimane, non è piovuto. Per la prima volta, dopo mesi, io ho sorriso. Con te.

Con il cuore leggero. Non volevo altro che vivere di nuovo un giorno come quello. E di nuovo. E ancora e ancora. Pensavo che non ti avrei più rivisto. Che tu fossi un prezioso dono che il destino aveva deciso di farmi. E invece tu, piccola sconosciuta dagli occhi di stelle, mi hai legato a te con la semplicità di un sorriso.

Sei venuta a cercarmi, a raccogliermi. E quel coraggio che avevi nel cuore è stato, in un attimo, anche il mio.

Ti osservo, sorridermi complice. Lo so che sei entusiasta delle decorazioni di casa di Kagome. E lo so che sei più In ansia di InuYasha mentre lo guardi avvicinarsi titubante a lei.

Le sfiora la spalla, delicatamente e tu sussulti. Si inginocchia davanti a tutti e tu batti le mani, eccitata.
È un attimo. InuYasha si propone, lei dice che si, nonostante il suo caratteraccio, la sua risposta è e sarà sempre sì.

Vedo una lacrima riganti la guancia. Allora mi alzo e, zoppicando, ancora un pò incerto sulle mie gambe, mi avvicino a te, che mi accogli a braccia aperte.

Ti stringo forte, baciandoti la fronte, il naso, le labbra.

Forse un giorno te lo dirò che mi hai salvato la vita. Che per me si è davvero ridotto tutto ad un giorno di sole. E un giorno, non oggi, non domani, ma presto, quando sarò in grado di reggermi di nuovo sulle mie gambe, in un dieci dicembre di sole, illuminato dalle prime luci del Natale, finalmente potrò venire a pattinare con te. E anche io ti chiederò di essere mia per sempre.

"Buon dieci dicembre, amore mio".

 

 

Angolo dell’autrice

Per ovvi motivi, questa storia avrebbe dovuto essere pubblicata giorni fa.

Ma non potevo cambiare il titolo, semplicemente perché è ispirata (molto ispirata, perché le storie dei protagonisti sono completamente diverse, per fortuna) al mio primo incontro con il mio ragazzo, al quale ho vietato di leggere le mie storie, ma siccome lo conosco: Ciao amorino, buon 10 dicembre in ritardo :*

In ogni caso, spero vi sia piaciuta nonostante l’aria cupa.

Ma è un po’ il mio stile :P

Infine, restate sintonizzati, in quanto mentre scrivevo questa storia mi è venuta in mente un piccolo spin off che sarà pubblicato nei prossimi giorni.

 

A presto,

Manu

  
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