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Autore: Star_Rover    21/12/2019    6 recensioni
Un valoroso soldato nella sua impeccabile divisa che marcia con orgoglio a testa alta. Una figura imponente, un volto severo e due iridi smeraldo che caratterizzano uno sguardo intenso e impenetrabile.
Il detective Eric Dalton ricorda così il maggiore Patrick O’ Donnell. Era soltanto un ragazzino quando aveva assistito ai festeggiamenti per la fine della guerra civile, al tempo quell'uomo era apparso ai suoi occhi come l’incarnazione dell’eroe invincibile e incorruttibile.
Nell’autunno del 1936, tredici anni dopo quel primo e fatidico incontro, Patrick O’ Donnell ricompare nella vita del giovane investigatore in un modo del tutto inaspettato. Infatti è proprio il suo nome ad apparire tra le pagine di un pericoloso fascicolo.
Eric accetta il caso, ma è intenzionato ad indagare a fondo prima di portare a termine l’incarico più difficile della sua carriera, ovvero condannare l’eroe di una Nazione.
Genere: Drammatico, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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Quella notte il detective Dalton rimase sveglio fino a tardi per iniziare a leggere con attenzione le pagine di quel misterioso fascicolo.
 
La notte del 5 marzo 1923 ero di guardia alle prigioni di Fenit. Da una settimana erano rinchiusi dieci prigionieri repubblicani, tutti soldati della Second Kerry Brigade. Il maggiore O’ Donnell si occupava spesso degli interrogatori, i suoi metodi erano alquanto discutibili, eppure nessuno osò mai contraddire i suoi ordini.
Egli era convinto che non dovessimo avere pietà per quei criminali.
Assistetti di persona all’interrogatorio di Sean Lehane, egli era l’unico ufficiale che eravamo riusciti a catturare, dunque era anche la nostra risorsa più importante. All’inizio il maggiore O’ Donnell non faceva mai il lavoro sporco, ordinava ai suoi sottoposti cosa fare e si limitava a porgere le domande.
Lehane venne sottoposto a diverse torture, le stesse che O’ Donnell aveva imparato dagli inglesi. Le percosse iniziali furono un semplice sfogo. I soldati atterrarono il prigioniero spingendolo e strattonandolo. Un militare gli salì sulla schiena torcendogli con violenza un braccio all’indietro.
Successivamente Lehane fu legato a una sedia, i militari iniziarono a interrogarlo, per incitarlo a rispondere o per punire il suo silenzio non esitavano a colpirlo con pugni e calci.
O’ Donnell camminava tranquillamente avanti e indietro per la stanza, fumava la sua sigaretta restando impassibile alle atroci urla di dolore del prigioniero. Ogni tanto si fermava davanti a lui, allora un soldato lo costringeva ad alzare la testa per guardare il suo aguzzino negli occhi.
L’ufficiale porgeva la sua domanda, non ottenendo risposta spegneva la sigaretta sulle braccia nude di Lehane per poi ricominciare tutto da capo. Contai dodici bruciature.
Alla fine un soldato liberò il prigioniero, ma soltanto per afferrarlo per i capelli e affondare con violenza il suo viso in una bacinella d’acqua gelida. Il giovane resistette a lungo, finché stremato non perse i sensi. O’ Donnell si assicurò che fosse ancora vivo prima di abbandonarlo nella sua cella.
Il giorno dopo a Lehane fu riservata la tortura delle pinze, ma preferisco non dilungarmi troppo su questa parte. Il prigioniero tornò nella sua cella con le unghie strappate, una mano fratturata e il volto tumefatto. Quella sera durante il turno di guardia incontrai il maggiore O’ Donnell, aveva le mani ancora sporche di sangue, mi rivolse un inquietante sorriso e sparì con aria soddisfatta in fondo al corridoio.

 
Dalton fu costretto ad interrompere la lettura, un’intensa sensazione di nausea e disgusto iniziò a diffondersi nel suo corpo. Non poteva credere che quelle informazioni fossero vere. McCarthy doveva essere un impostore, Patrick O’ Donnell non era un sadico assassino.
Eric richiuse il fascicolo e si distese sul letto, aveva bisogno di riposare dopo i recenti avvenimenti.
Si voltò verso la moglie, la quale era sdraiata sul fianco, dolcemente addormentata.
Il giovane le accarezzò dolcemente il viso sfiorandola con la punta delle dita. Tentò di non pensare agli orrori che aveva appena letto distraendosi davanti alla sua figura così bella e innocente.
Alla fine anch’egli si abbandonò alla stanchezza, cadendo in un sonno agitato e tormentato.
 
***

Il mattino seguente Dalton decise di iniziare le sue indagini dagli archivi militari.
Doveva trovare più informazioni possibili sull’unico testimone, ovvero il sergente John McCarthy.
Il detective si ritrovò a frugare tra cassetti impolverati e fogli ingialliti, dopo un lungo lavoro di ricerca riuscì finalmente a trovare i preziosi documenti.
Dalton sfogliò le pagine in cerca di informazioni interessanti.
McCarthy si era arruolato nell’Esercito nel febbraio del 1922, all’età di vent’anni. Aveva ottenuto la carica di sergente poche settimane prima dello scoppio della guerra civile. Non c’erano particolari note su di lui, McCarthy sembrava il candidato perfetto per una brillante carriera nell’Esercito.
Poi all’improvviso egli aveva deciso di dimettersi dal suo incarico, non c’era alcuna spiegazione, ma le date coincidevano con gli avvenimenti che avevano avuto luogo nel Kerry.
Dalton si ritrovò tra le mani un biglietto scritto a mano, il foglio portava la firma del capitano Fitzgerald.
 
20 marzo 1923.
A proposito del sergente J. McCarthy.
La questione è stata risolta senza problemi, mi auguro che episodi simili non accadano più tra i nostri uomini. L’Esercito non può tollerare simili atti di insubordinazione.
Per ulteriori chiarimenti ritengo opportuno rivolgersi al maggiore O’ Donnell.
Non ho nulla da aggiungere alle precedenti dichiarazioni.

 
Il detective intuì che quella nota dovesse essere riferita al rapporto che includeva le dimissioni del sergente. Ancora una volta il nome di O’ Donnell era citato in quella vicenda.
I documenti riguardanti le dimissioni di McCarthy erano incompleti e confusi, probabilmente i responsabili della questione erano interessati a far sparire in fretta quelle carte.
Ciò insospettì ulteriormente il giovane investigatore.
 
Dalton tornò nel suo ufficio stanco e deluso, aveva lavorato per ore senza scoprire nulla di nuovo.
L’investigatore recuperò la testimonianza di McCarthy, per precauzione aveva deciso di portarla sempre con sé. Non si fidava dei cassetti difettosi del suo studio.
 
Tornando agli eventi del 5 marzo, come ho già detto quella notte ero in servizio. Poco dopo la mezzanotte un gruppo di militari giunse nelle prigioni, indossavano le divise del National Army, ma non avevo mai visto nessuno di loro prima di quel momento. I soldati raggiunsero le celle e prelevarono i prigionieri. Lehane non era nemmeno in grado di reggersi in piedi e fu trasportato dai suoi compagni.
Quando chiesi spiegazioni mi dissero semplicemente che stavano eseguendo gli ordini del maggiore O’ Donnell. Quando provai a protestare fui minacciato con una baionetta, mi dissero che la questione non mi riguardava e mi spinsero con forza contro il muro.
Ancora frastornato seguii i soldati nel cortile della caserma, i prigionieri furono caricati su un Crossley Tender. Fu in quel momento che nell’oscurità riconobbi una figura familiare, il maggiore O’ Donnell scambiò qualche parola con un ufficiale, poi salì anch’egli sul furgone.
La camionetta prese la strada verso la campagna e scomparì nell’oscurità. Non so cosa accadde quella notte, ma quei prigionieri repubblicani tornarono a Fenit dentro a una bara.

 
Dalton poggiò il fascicolo sulla scrivania avvertendo un intenso brivido lungo la schiena. Si prese la testa tra le mani, preoccupato e sconvolto da quella faccenda.
In quel momento qualcuno bussò alla porta del suo ufficio, era il cadetto Harris.
«Che succede?» domandò il detective.
Il giovane poggiò una lettera sulla sua scrivania: «un ragazzo mi ha detto di consegnarla a lei»
Eric gli rivolse un’occhiata confusa: «un ragazzo? Non ti ha detto il suo nome?»
Harris negò scuotendo la testa.
«Era un giovane alto, con i capelli rossi e le lentiggini?»
«A dire il vero non sono riuscito a vederlo bene poiché aveva il volto nascosto dal cappello ed è scappato via quasi subito»
Dalton rimase perplesso, se non si trattava di O’ Neil chi poteva essere il mittente?
La giovane recluta si sporse sulla scrivania e con curiosità sbirciò le pagine del rapporto.
Il detective richiuse rapidamente il fascicolo: «dannazione Harris! Non dovresti ficcare il naso nelle cose che non ti riguardano!»
Egli si ritrasse con aria colpevole: «mi spiace signore, ma è tutto il pomeriggio che è chiuso qua dentro, mi chiedevo a cosa stesse lavorando di così importante»
Dalton si pentì per la sua irruenza, quel ragazzo si era sempre comportato come la sua ombra fin dal primo momento in cui aveva messo piede in quella caserma. In un certo senso poteva ormai consideralo come suo assistente.
«Mi spiace Harris, ma per questo caso non ho bisogno del tuo aiuto. Si tratta di una questione riservata»
La recluta non riuscì a nascondere la propria delusione: «certo signore, mi spiace per averla disturbata»
Con rassegnazione Harris abbandonò la stanza.
Eric attese finché il giovane non scomparì nel corridoio, poi aprì la busta con titubanza. Al suo interno non trovò alcuna lettera, ma soltanto il disegno di un rosa. Il detective riconobbe immediatamente il simbolo repubblicano.
Dalton non rimase particolarmente sorpreso, avrebbe dovuto capirlo fin dall’inizio, l’IRA era coinvolta in quella storia.


Dalton rifletté a lungo su quella situazione, nemmeno tra le tranquille mura domestiche riuscì a liberarsi dalle proprie preoccupazioni. Rimase steso sul letto con lo sguardo al soffitto, i pensieri cominciavano a confondersi nella sua mente.
Aileen notò la sua aria pensierosa, la ragazza si avvicinò rannicchiandosi contro di lui.
«Che ti succede? Stasera sei così silenzioso...» disse sfiorando il suo petto.
Eric la guardò negli occhi e le accarezzò dolcemente il capo passando le dita tra i lunghi capelli castani.
«Scusami, è colpa del lavoro»
«Si tratta del nuovo caso di cui ti stai occupando?»
Egli annuì: «già...non mi era mai capitato nulla del genere prima d’ora»
«Che cosa ti preoccupa?»
Dalton sospirò: «non sono sicuro di voler scavare nel passato della guerra civile, il popolo irlandese ha sofferto a lungo ed ora desidera soltanto dimenticare»
Aileen notò qualcosa di strano in quelle parole, suo marito aveva sempre creduto fortemente nei propri ideali, per lui nulla era più importante della verità.
«Per quale motivo sei così titubante a riguardo di questa storia?»
Egli esitò prima di rispondere: «il principale indiziato è Patrick O’ Donnell»
La giovane si stupì: «stai dicendo che un eroe di guerra potrebbe essere in realtà un criminale?»
«Be’, al momento non so ancora nulla. Una parte di me vorrebbe provare la sua innocenza, ma devo essere obiettivo. Nel caso in cui egli fosse veramente colpevole sarei costretto a condannare uno degli uomini più amati d’Irlanda»
«Faresti semplicemente il tuo lavoro»
Eric strinse la moglie tra le sue braccia: «vorrei avere la certezza di star facendo la cosa giusta»
Lei accarezzò dolcemente il suo viso: «non dovresti preoccuparti per questo, tu hai sempre creduto nella verità»
«Questa volta non è così semplice…» ammise con rammarico.
«Voglio che tu sappia che in ogni caso io rimarrò sempre al tuo fianco» disse Aileen guardandolo negli occhi.
Eric la baciò con passione e dolcezza, lei era sempre stata disposta a incoraggiarlo e sostenerlo.
 
***

All’ora prestabilita Dalton si presentò all’incontro con Robert, per precauzione avevano scelto un altro locale situato nei bassifondi della città.
Parlare in modo formale con quel ragazzo era alquanto strano, così Eric aveva naturalmente deciso di rivolgersi a lui in toni più amichevoli. O’ Neil invece mostrava sempre un certo rispetto nei suoi confronti.  
«Purtroppo non ho trovato molto negli archivi, ma ora ho la certezza che McCarthy abbia deciso di abbandonare l’Esercito proprio a causa della sua testimonianza»
«Dunque adesso è disposto a credermi?»
Eric rimase diffidente: «prima voglio sapere tutta la storia di questo fascicolo. Come è finito nelle tue mani?»
Robert esitò: «non ha importanza, i documenti sono autentici»
Dalton insistette: «non ho dubbi a riguardo, per questo voglio sapere da dove provengono!»
O’ Neil rimase in silenzio.
Il detective sfiorò l’arma senza esitazione: «so che i repubblicani sono coinvolti, potrei arrestarti con l’accusa di essere un collaborazionista dell’IRA! Non costringermi a minacciarti e dimmi la verità!»
Robert osservò il suo interlocutore con aria spaventata, alla fine cedette e si decise a confessare.
«Sono stati i repubblicani di Fenit a rubare quel dossier. Un ufficiale dell’IRA mi ha proposto di indagare a riguardo, ma da solo non avrei mai potuto scoprire la verità» ammise.
Dalton faticò a credere a quella storia: «tu sei un militante dell’IRA?»
Il giovane negò: «no, io…sono davvero un poliziotto e voglio solo scoprire la verità sulla morte di mio padre»
Il detective rifletté qualche istante, quella storia stava diventando sempre più pericolosa.
«D’accordo, voglio crederti. Domani riprenderemo le indagini e proveremo a rintracciare il signor McCarthy»
Robert alzò lo sguardo mostrandosi riconoscente: «la ringrazio per aver deciso di aiutarmi, le prometto che farò il possibile per rendermi utile»
Eric decise di riporre in lui la sua fiducia, quel ragazzo era confuso e spaventato, ma sembrava sincero.
 
***

L’indirizzo trovato da Dalton corrispondeva a una nota via del Liberties, ovvero il quartiere operaio di Dublino. Il detective e il giovane poliziotto passeggiarono lungo le rive del Liffey e attraversarono Grattan Bridge. Passarono davanti al Municipio e al Castello per attraversare il parco.
Si soffermarono ad ammirare la facciata della cattedrale di San Patrizio, poi si inoltrarono nel Liberties. Vagando per le strade si trovarono davanti a un paesaggio triste e monotono, le costruzioni in mattone erano avvolte dall’intenso fumo nero.
I lavoratori discutevano a bassa voce e camminavano a capo chino con lo sguardo fisso a terra.
Fortunatamente l’indirizzo risultò esatto, Dalton bussò con decisione alla porta dell’appartamento.
Aprì una donna con un bimbo in braccio, il detective si presentò e chiese di poter parlare con il signor McCarthy. Lei lasciò entrare i due giovani e indicò una porta chiusa in fondo al corridoio.
Eric bussò nuovamente, una voce gli diede il permesso di entrare.
Robert seguì il detective nel piccolo salotto. Davanti a loro comparve un uomo poco più che trentenne, il quale aveva già il volto segnato dalle rughe del tempo e della fatica. Aveva il viso coperto di cenere e i capelli scuri stavano ingrigendo precocemente. 
«Lei è John McCarthy?» domandò Eric.
L’uomo annuì.
«Scusi per il disturbo, sono il detective Dalton e lui è l’agente O’ Neil» disse indicando il suo compagno.
McCarthy parve irrigidirsi davanti ai distintivi.  
«Per quale motivo siete qui?»
«Vorremmo parlare con lei di ciò che accadde a Fenit nel marzo del 1923»
John rispose con un'amara risata: «siete un po’ in ritardo…»
«Abbiamo ritrovato la sua testimonianza, pensiamo che lei sia stato costretto a ritirare le sue accuse»
McCarthy parve realmente sorpreso: «credevo che quei documenti fossero stati distrutti»
«Forse lei non era l’unico a credere che quei repubblicani fossero stati assassinati dall’Esercito» ipotizzò Dalton.
John alzò le spalle: «in ogni caso ormai è troppo tardi, il passato è passato, non c’è più nulla da dire a riguardo»
Il detective insistette: «signor McCarthy, il ragazzo che ha davanti è il figlio di uno di quei prigionieri, è giunto fin qui per scoprire la verità»
John osservò con attenzione il giovane poliziotto, in quel momento capì perché quello sconosciuto avesse per lui un’aria così familiare.
«Come si chiamava tuo padre?»
Robert rispose con voce tremante: «Damien O’ Neil»
McCarthy continuò ad analizzare il viso del ragazzo: «sì, mi ricordo di lui...mi capitò di conversare con tuo padre durante la sua prigionia. Egli non provava rancore per i connazionali che si erano schierati sul fronte opposto. Era un soldato convinto dei propri ideali, ma era anche un uomo buono e onesto. Tu gli assomigli davvero tanto»
Il giovane avvertì gli occhi umidi, a stento trattenne un singhiozzo.
«La prego signor McCarthy, abbiamo davvero bisogno del suo aiuto. Vogliamo scoprire la verità per donare giustizia alle famiglie delle vittime»
Dalton rimase sorpreso da quelle parole, inizialmente aveva pensato che il coinvolgimento emotivo di O’ Neil avrebbe creato problemi, invece in quel caso ciò ebbe un effetto positivo.
McCarthy si lasciò commuovere dalle parole del giovane abbandonando così il suo comportamento freddo e ostile.
«Purtroppo non c’è molto altro che possa fare, tutto ciò che so a riguardo è scritto in quel fascicolo»
«Per quale ragione ha deciso di ritirare le accuse?» chiese Dalton.
John sospirò: «a quel tempo la legge era alquanto arbitraria, ma durante la guerra era stata istituita la legge marziale. Io non avevo le prove per dimostrare che quei prigionieri fossero stati uccisi ingiustamente»
«Sappiamo che ci furono delle indagini a riguardo»
«Già, ma non furono mai concluse, il caso venne archiviato per mancanza di prove»
«Per quale motivo decise di abbandonare l’Esercito?»
«Ero giovane e idealista, dentro di me sapevo che i miei commilitoni stavano nascondendo la verità sulla morte di quei prigionieri, quindi decisi di abbandonare un Esercito falso e corrotto»
«Fu una sorta di protesta?»
«Se vuole vederla in questo modo…»
«Dunque non fu costretto a ritirare la sua dichiarazione»
McCarthy deglutì a vuoto: «O’ Donnell sapeva che ero stato io a rivelare certe informazioni, ma non arrivò mai a minacciarmi direttamente. Mi chiamò nel suo ufficio, quando fu certo che non sapessi nulla di compromettente mi disse semplicemente che avrei fatto meglio a dimenticare tutta quella faccenda»
«Ed è quello che ha fatto?»
John rivolse con rammarico lo sguardo verso Robert: «da allora quei fantasmi non hanno mai smesso di perseguitarmi. Credetemi, se avessi avuto modo di scoprire la verità non avrei esitato a rendere giustizia a quei repubblicani»
 
Dalton e O’ Neil si ritrovarono nuovamente per le strade sporche e polverose del Liberties.
«Dunque? Lei crede che sia stato sincero?» domandò Robert con aria perplessa.
Eric si portò la sigaretta alle labbra: «non vedo per quale ragione potrebbe mentire»
«E le sue accuse contro Patrick O’ Donnell?»
«Non lo so, ci sono ancora troppe parti oscure in questa vicenda» disse il detective espirando una nuvola di fumo.
O’ Neil si limitò ad annuire con aria pensierosa.
«Devo congratularmi con te, ti sei comportato bene, grazie alla storia di tuo padre McCarthy ha deciso di collaborare» ammise il Dalton.
Robert abbassò lo sguardo: «non ho raccontato tutto ciò soltanto per convincerlo»
Eric lo notò intristirsi, si sentì in colpa per aver trascurato il suo dolore.
«Lo so, mi dispiace» disse il detective poggiando una mano sulla sua spalla.
Il ragazzo si asciugò una lacrima: «non siamo riusciti a ricavare molto da tutto questo. Che cosa faremo adesso?»
Dalton rifletté qualche istante: «la nostra unica possibilità per riuscire a trovare qualche indizio è scavare nel passato di O’ Donnell, a quanto pare egli non è stato l’eroe che l’Irlanda ha onorato in tutti questi anni»
«Lei crede che sia davvero colpevole?»
Il detective gettò a terra il mozzicone: «tutti sono innocenti fino a prova contraria, al momento noi abbiamo soltanto supposizioni»
 
***

Eric si lasciò cadere sulla poltrona davanti al camino, nel silenzio restò ad ammirare i giochi di luci e ombre creati delle fiamme ardenti.
Inevitabilmente si ritrovò a pensare al suo passato, non poteva credere che tutta la sua vita si fosse basata su una menzogna. Il maggiore Patrick O’ Donnell era l’uomo che aveva sempre stimato e ammirato. 
Il popolo irlandese lo ricordava ancora come un eroe, ma anch’egli nascondeva un lato oscuro.
Per un istante Dalton provò il desiderio di gettare quel dannato fascicolo nel fuoco e dimenticare per sempre quella storia. Sarebbe stato semplice e liberatorio, eppure non poteva tradire se stesso e la propria integrità. Da quel momento Patrick O’ Donnell non era più l’eroe di una Nazione, ma un comune sospettato.
 
Dalton si riprese da quei pensieri accorgendosi della presenza della moglie, la ragazza scivolò tra le sue braccia. Eric l’accolse stringendola a sé, rimase ad osservarla nella penombra della sala e le scostò delicatamente una ciocca castana dal viso.
«Sei bellissima» le sussurrò dolcemente all’orecchio.
Aileen arrossì come una ragazzina.
Dalton parve divertito dalla sua reazione e decise di stare al gioco e continuando la sua sceneggiata romantica.
«The very soul within my breast is wasted for you, love! The heart in my bosom faints to think of you, my Queen»
Lei sorrise: «da quando sei diventato un amante della poesia?»
Eric si accorse di non aver scelto a caso quelle parole, improvvisamente tornò serio e pensieroso. 
«Roisin Dubh, è antico un poema patriottico mascherato dietro a un sonetto d’amore. La donna a cui è dedicata la poesia in realtà è l’Irlanda, per questo la Rosa è diventata un simbolo repubblicano» spiegò il detective.
La moglie intuì che ci fosse di più dietro alle sue parole: «che cosa vuoi dirmi in realtà?»
Eric sospirò, non poteva nascondere la verità alla donna che amava.
«L’altro giorno ho ricevuto una lettera che conteneva il disegno di una rosa nera, il simbolo dell’IRA»
«I repubblicani ti hanno mandato un messaggio?»
«Già, a quanto pare anche loro sono interessati a scoprire la verità sul caso O’ Donnell»
Aileen si preoccupò: «che cosa vogliono da te?»
Suo marito cercò di calmarla: «per il momento vogliono solo farmi sapere che ci sono loro dietro a questa storia. Probabilmente credono che io possa condannare O’ Donnell per vendicare la morte dei loro compagni»
«Hai intenzione di collaborare con i repubblicani?»
Dalton scosse la testa: «questa faccenda rischia di diventare molto pericolosa. Non sono un sostenitore dell’IRA, ma quei soldati sono morti in nome dei propri ideali, rispetto la loro dedizione e il loro coraggio. Devo loro giustizia, anche se questo potrebbe portare a gravi conseguenze»
Aileen si strinse al marito, non poteva impedirgli di fare ciò che riteneva giusto, ma temeva che questa volta la questione fosse molto più seria e pericolosa.
Eric percepì la sua preoccupazione, ma non poté fare nulla per rassicurarla, ormai aveva preso la sua decisione. 
   
 
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