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Autore: Sian    22/12/2019    5 recensioni
Nella classe 1-B della scuola elementare Teitan arriva un nuovo alunno che non avrebbe mai pensato di tornare in prima elementare, dato che in realtà aveva ventisei anni. Esatto, per colpa di un’indagine sfuggita di mano, il suo corpo si era rimpicciolito. Fortunatamente non era da solo a condividere quel destino: aveva al suo fianco Conan Edogawa e Ai Haibara, che erano in quelle condizioni ormai da mesi, a causa dello stesso veleno, APTX-4869. I suoi pensieri però sono costantemente focalizzati sulla donna che ama e che avrebbe dovuto proteggerla dal dolore invece che causarne di nuovo. Anche lei ha molti pensieri in testa: non è riuscita a proteggerlo dalla maledizione che l’ha sempre perseguitata.
Dal "Capitolo Uno - Masao Fukuda // Ritrovarsi intrappolato":
Il nuovo acquisto della classe si ritrovò ad osservare attentamente la maestra: sì, si assomigliavano molto, lei e la donna che amava. Diamine, in questa assurda situazione non l’avrebbe più vista tutti i giorni. Nonostante fosse chiaro ciò che provava per lei, doveva dirle ancora tante cose, e non si sarebbe mai stancato di dirgliele.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Miwako Sato, Wataru Takagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Because you have someone to protect


Capitolo Quattro - Miwako Sato // in un nuovo modo.


Le aveva attaccato il telefono in faccia. Sato si convinse quindi che doveva essere veramente successo qualcosa. Non era da lui non presentarsi ad un appuntamento e nemmeno rispondere in modo vago a una sua telefonata, dimenticarsi di avere un appuntamento con lei e non accennare minimamente al motivo per cui si trovava fuori città e ciò che l’avrebbe tenuto impegnato. Questa faccenda le sembrava di averla già vissuta. 

Ora che ci pensava, non le aveva detto nulla nemmeno quando era partito per Hokkaido, dove era rimasto coinvolto in un rapimento e legato ad un asse di un cantiere in costruzione, con un cappio al collo e una bomba che sarebbe potuta esplodere da un momento all’altro. 
Si ricordava benissimo della paura di perderlo che l’aveva attanagliata durante quelle ore di ricerca. Era riuscita a salvarlo, a pochi secondi dall’esplosione. Era così sollevata di poterlo vedere ancora, di poter stare insieme nonostante la sfortuna la perseguitasse sin da quando era piccola.
Lui ne aveva passate già troppe, che fosse l’influenza che aveva su di lui? Ma era sicura che qualsiasi cosa fosse successa, lui avrebbe continuato a sbattere la faccia sul muro che lei si creava ogni volta per non soffrire. Non era giusto che il destino, o che sia, se la prendesse sempre con loro. Lei aveva sofferto, lui aveva sofferto.

Si ricordava anche di averlo sgridato quando era ancora in ospedale per riprendersi dal principio di ibernazione. L’aveva rimproverato almeno una decina di volte per non aver avvisato nessuno della sua partenza. In quei momenti passati era sembrato forse inopportuno sgridarlo: il motivo per il quale aveva deciso di non dire nulla a nessuno, era di risolvere la faccenda riguardante il suo migliore amico, nonché collega, e omonimo, Wataru Date, scomparso in un incidente stradale l’anno precedente. 

A ripensarci ora, avrebbe potuto evitare di rimproverarlo, magari avrebbe attutito l’enorme senso di colpa che si portava dentro e mai esternato a nessuno.
Credeva di poter leggere la sua mente come un libro aperto, ma da quell’episodio sapeva di essersi sbagliata. 

Quante cose ancora non conosceva di lui? 
Conosceva il suo lato timido, conosceva il suo senso di giustizia e di responsabilità, conosceva il suo coraggio. 
Già, forse era proprio quest’ultimo il motivo per cui si era innamorata. Di nuovo. Doveva per forza essere quella la ragione. 
Ma le era stato ripetuto più volte che l’amore non è razionale. Non che si impegnasse veramente a capire come funzionano i sentimenti. D’altronde era la prima abituata a chiudersi in sé stessa.

Nonostante i suoi rimproveri di qualche mese prima, sembrava che non avesse imparato ad avvisare le persone che gli stavano attorno. “Stupido Takagi...” Sospirò. Dunque le aveva raccontato una bugia. Almeno, quella era la sensazione che la telefonata le aveva suscitato.

Riprovò a chiamare, ma non si stupì di trovare il cellulare spento. Quale diavolo di imprevisto poteva aver avuto, tanto da terminare subito la chiamata e spegnere il cellulare? 
Avrebbe voluto restare calma e trovare una soluzione logica nella più totale oggettività, ma la preoccupazione aveva preso il sopravvento. 
Quella chiamata non le era piaciuta per nulla. Era debilitante per lei, sempre il più razionale possibile, farsi prendere dalle emozioni. Ma in quel momento sentiva che doveva assolutamente scoprire la verità dietro quella chiamata.

Si diresse verso l’appartamento di Takagi, avrebbe sicuramente trovato qualche indizio, magari tra la posta. La fortuna era anche dalla sua parte: quella mattina aveva scelto, senza nemmeno guardare il contenuto, la stessa borsetta in cui aveva riposto le chiavi di scorta dell’appartamento di Takagi. 
Le aveva procurato una copia da qualche settimana. 
Effettivamente viveva da solo lì a Tokyo, la sua famiglia era rimasta nella sua città natale. Dunque si era preoccupato di dare almeno una copia alla persona che più gli era vicino, per emergenze. 
Non che le dispiacesse essere la persona più vicina a lui, anzi. Ma si era spesso domandata del suo passato; non aveva mai avuto l’occasione di parlarne, o anche se ci fosse stata, in qualche modo riusciva sempre a sviare il discorso. Come se ci fosse qualche problema, o che semplicemente non volesse parlarne. 

Entrò in casa. Da una prima occhiata veloce era tutto più o meno in ordine, o meglio, sembrava non essere stato toccato niente da quando era uscita la mattina precedente assieme a Takagi. Avevano dormito insieme, come capitava qualche volta. Il suo appartamento era anche piuttosto comodo, visto che viveva da solo; non dovevano nascondere nulla a nessuno. Era diventata quasi una routine, infatti aveva ormai una cesta nell’armadio di Takagi per riporre qualche suo abito. Erano più le volte che lei dormiva da lui: ancora non ne aveva parlato con sua madre, quindi a casa di lei ci passavano le notti in cui sua madre si assentava. Aveva dedicato comunque un posticino nella sua cassettiera per un completo da uomo color ottanio, che gli aveva comprato e regalato, e per ulteriori abiti di lui. Gli stavano proprio bene, pensava infatti che avrebbe dovuto fargli indossare più spesso quel completo, quella tonalità gli donava.

Si riscosse dai suoi pensieri e continuò ad ispezionare la casa in cerca di indizi. La casa era come lei l’aveva lasciata, non si era spostato nulla nemmeno di qualche millimetro, né la disposizione dei cuscini sul divano, il telecomando era ancora lì, le sedie nella stessa posizione che dimostravano che la mattina avevano fatto colazione insieme ed erano in ritardo, le due tazzine appoggiate sul lavello per sgocciolare. Era come se non fosse rientrato a casa dopo che l’aveva salutato in centrale la sera precedente. Dunque era veramente successo qualcosa che gli aveva impedito di tornare a casa e successivamente di raggiungerla per passare insieme la giornata. Dove sei andato? 
Nella telefonata le aveva detto di essere fuori città per un imprevisto. Le risultava difficile crederlo, c’era qualcosa di molto strano che ancora non era riuscita a focalizzare. E poi cosa voleva dire che non era sicuro di quando sarebbe tornato? 
La chiamata era terminata in modo frettoloso, per non lasciarla replicare. Se fosse stato rapito non avrebbe risposto nemmeno. Quindi escluse l’eventualità di un rapimento. Sembrava più come se volesse nascondere qualcosa. 
E l’avrebbe sicuramente scoperto. Se c’era un modo per aiutarlo l’avrebbe trovato, qualsiasi motivo fosse per cui si era dileguato senza avvisare nessuno.

Ripose le tazzine, ormai più che asciutte. Non aveva trovato nessun indizio su dove potesse essere andato. Ma forse era anche più che normale che lì non ci fosse nulla, proprio perché a casa non ci era tornato. 
Doveva trovare un’altra soluzione. Se si era allontanato fuori città sicuramente avrebbe dovuto prendere la macchina. D’altronde, quella mattina per andare in centrale entrambi avevano preso la propria macchina e avevano percorso strade diverse. 
Era sempre così quando dormivano insieme: avrebbe evitato a Takagi le pressioni da parte dei suoi colleghi che l’avrebbero sicuramente sottoposto ad uno dei loro interrogatori per ottenere più informazioni possibili sulla loro relazione. 
Quando capitava però, lei non muoveva un dito per aiutarlo. Certo, le dispiaceva che venisse torchiato fino all’ultima informazione, d’altronde non era capace a mentire. Ma al tempo stesso era divertente. 
Ci avrebbe pensato Takagi ogni giorno a far capire ai suoi colleghi che lei era già impegnata.

La sua macchina ovviamente non era a casa, visto che non era tornato. Decise di ripercorrere un eventuale tragitto dalla centrale di polizia. Doveva essere certa che gli fosse successo qualcosa prima di avvisare tutti gli altri. Aveva ancora un’intera giornata libera a disposizione per trovarlo. 
Raggiunse i pressi della centrale avendo cura di non farsi vedere da nessuno dei suoi colleghi. Sarebbe balzata subito nell’occhio di chiunque: l'agente Sato, che aveva un appuntamento con il detective Wataru Takagi, non si trovava con lui bensì era sul posto di lavoro durante il suo giorno libero. Lavorava già abbastanza, se lo meritava più di chiunque altro un po’ di riposo. anche se dispiaceva a tutti non vederla passare tra i corridoi dei vari uffici durante i suoi giorni liberi.

Ripercorse una prima strada, prestando attenzione nei paraggi. Avrebbe cercato qualsiasi indizio. L’area da ispezionare, però, era molto vasta se voleva farcela da sola, non le sarebbe bastata sicuramente tutta giornata per trovare anche un solo indizio. Ma cosa avrebbe dovuto dire ai suoi colleghi per aiutarla nella ricerca? Che Takagi non si era presentato al suo appuntamento, dimenticandosi di avvisarla, e terminando frettolosamente la chiamata? 

Era meglio proseguire da sola. 

Le ricerche continuarono a vuoto fino a fine giornata. Ormai si era fatto buio ed era molto stanca, oltre che preoccupata. Aveva bisogno di riposare qualche ora, ma non era del tutto sicura di riuscire anche solo ad addormentarsi. 
Non era tranquilla: il suo cellulare risultava ancora spento, non poteva mettersi in contatto con lui in nessun modo. Cosa avrebbe fatto se gli fosse capitato davvero qualcosa di brutto? Sperava con tutta sé stessa che lui stesse bene. 
Tornò a casa e nonostante tutte le sue preoccupazioni, la stanchezza prese il sopravvento e si addormentò, pronta a tornare a cercarlo una volta sveglia e riposata.

La vita quotidiana aveva ripreso il suo ritmo alla luce del sole. Aveva veramente dormito tutto quel tempo?! Avrebbe preferito svegliarsi almeno tre ore prima, quando il sole era ancora dietro all’orizzonte e c’era sicuramente meno gente nei paraggi. 
Quel giorno avrebbe dovuto essere a lavoro molto presto. Avrebbe potuto raggiungere subito la centrale per informare della scomparsa di Takagi, si era anche già preparata per il lavoro, ma decise di mentire ancora, voleva trovarlo da sola. Quindi avvisò semplicemente l’ispettore Megure con una chiamata telefonica dicendogli che sarebbe arrivata più tardi a lavoro. Fortunatamente non le fu negato il permesso. Avrebbe potuto così continuare con la sua ricerca prima che tutti si accorgessero della scomparsa di Takagi. Le sembrava di ricordare che Wataru quel giorno avrebbe dovuto iniziare a lavorare nel tardo pomeriggio. Aveva ben sette ore per cercare indizi. Allo scadere di queste ultime si era promessa di avvisare Megure.
Era ancora determinata, sapeva che l’avrebbe trovato. O meglio, doveva assolutamente trovarlo. Non era tranquilla e anzi, se avesse chiamato rinforzi era sicura che la sua mente non sarebbe rimasta concentrata e sarebbe caduta nel baratro della disperazione. 

Quante volte ormai si era detta che lei portava sfortuna? Quante volte avrebbe voluto rinunciare alla sua vita sentimentale? Non voleva soffrire e nemmeno voleva far soffrire Wataru. Sapeva di essere complicata, di avere un casino assurdo nella testa. Eppure lui era sempre lì, pronto a bussare alla sua porta, pronto a difenderla. Doveva ricambiare tutto ciò. Doveva trovarlo con le sue sole forze.
Doveva dimostrare a sé stessa che lei non era stata destinata alla sfortuna, o meglio, il suo destino era di sconfiggerla ogni volta che le si sarebbe presentata davanti.

Continuò le ricerche, quando, nel primo pomeriggio, si ricordò che effettivamente c’era un posto un po’ più distante da dove si trovava in quel momento, in cui, se la fortuna era dalla sua parte, e sapeva di non poter contare molto su questo, avrebbe potuto trovare qualche indizio sulla scomparsa di Takagi.
Si ricordava infatti che l’aveva invitata fuori per una serata in quel locale, che era solito frequentare, ma con suo grande dispiacere non aveva potuto uscire quella sera. Si trovava in una delle vie commerciali di Beika, e poco più avanti c’era uno degli ingressi al parco del quartiere. 

Parcheggiò la macchina nel primo posteggio libero davanti al parco. Raggiunse il locale di cui Takagi le aveva sempre parlato. La sua macchina era infatti parcheggiata ancora davanti al locale, voleva dire che non era davvero fuori città, come invece le aveva detto per telefono. 
Sì, la sera precedente era stato lì fino alla chiusura del locale, così le confermò il barista. Aggiunse anche che mentre chiudeva la saracinesca l’aveva visto con la coda dell’occhio entrare nel vicolo lì di fronte e gli era sembrato di vedere anche un bambino delle elementari con lui, ma non ne era sicuro. 

Finalmente aveva una pista da seguire! Ringraziò e si precipitò a cercare qualsiasi briciola di indizio che potesse esserle utile. La prima cosa che vide fu uno skateboard abbandonato, vicino al muro. Qualcuno l’aveva perso? Nonostante fosse giorno e di luce solare ce n’era in abbondanza, in quel vicolo era molto buio. 
Si addentrò nel vicolo e quando si girò lo vide: un uomo accasciato a terra privo di sensi. Si assicurò che fosse ancora vivo e poi cercò di fargli riprendere i sensi. Da quanto tempo era lì? Apprese che l’uomo era ancora in buona salute e che era solo svenuto dopo aver avuto un incontro con due uomini vestiti di nero. Non aveva più nulla con sé, nemmeno il portafoglio. Che si fosse trattato di un furto? 
L’uomo aggiunse che si ricordava che poco prima di svenire, uno dei due uomini era tornato indietro inseguendo un poliziotto che li stava osservando. Ottimo! Era sulla strada giusta. Aiutò l’uomo a rimettersi in piedi, e gli consigliò di esporre denuncia del furto e di farsi visitare in ospedale. Non era a conoscenza però del fatto che l’uomo era stato coinvolto in uno scambio di materiale illegale, dunque non avrebbe sicuramente denunciato il fatto, ma ringraziò comunque la donna.

Il primo posto che le venne in mente per scappare da un ipotetico inseguitore era proprio il parco di Beika. Perlustrò la zona: lì ci si poteva nascondere, sperava di non essersi sbagliata nelle deduzioni. Takagi avrebbe sicuramente lasciato un indizio lì. 
Ma perché non le aveva detto di tutta questa faccenda per telefono? Ora era sicura che le avesse mentito. Aveva ancora qualcosa da risolvere su quella faccenda: lo skateboard, il bambino che è stato visto dal barista ma che l’uomo svenuto non l’aveva minimamente accennato, e i due uomini vestiti di nero. 

Provò ancora una volta a telefonargli. “Diamine…!!! Dove sei sparito? Rispondimi!” Nulla, il cellulare era spento. Perché diavolo spegnere il cellulare? 
Si accorse che qualcuno la stava salutando energeticamente dal sentiero di fianco, che rimaneva separato dai cespugli. Abbassò lo sguardo: si trattava dei Giovani Detective.

“Detective Sato, sta cercando qualcuno?” Ayumi si avvicinò agli arbusti. 
“Non è che ha perso di vista il detective Takagi mentre stavate facendo un appostamento qui al parco?” Suppose Mitsuhiko raggiungendo l'amica. 
“Non risponde nemmeno al cellulare?” Genta notò il display del cellulare.

Sorrise ai bambini. Non doveva assolutamente far trapelare la sua preoccupazione. Doveva essere un esempio per quei bambini: una vice-ispettrice della polizia deve essere sempre lucida, e non lasciarsi mai trascinare dalle emozioni. “No, non mi risponde al telefono, ma sono sicura che è ancora nei paraggi.” 
Una mezza bugia poteva andare bene con i bambini. Successivamente notò anche Conan e Ai, entrambi non l’avevano nemmeno salutata. Anzi, avevano uno sguardo serio, fermo fisso su un altro bambino che non aveva mai visto. I loro sguardi sembravano dire all’amico di non fare sciocchezze.

Quel bambino... la stava fissando con occhi persi nel vuoto, le suscitavano un senso di malinconia, come se l’avesse sempre conosciuto. 

Lo conosceva? No, non aveva mai visto quel bambino prima d’ora... eppure in quel momento, più fissava i suoi occhi, più era certa di conoscerlo. Erano proprio identici a quegli occhi che adorava vedere tutti i giorni, e che nelle ultime ventiquattro ore erano diventati la sua principale preoccupazione. Doveva trattarsi solo di un’allucinazione, però. 
Sembrava essersi accorto solo ora che lo sguardo della donna era rivolto verso di lui. Lo osservò arrossire e indietreggiare. Sembrava un ragazzino molto timido. Era alto rispetto ai bambini della sua stessa età, ma quell’altezza lo rendeva fin troppo magro e gracilino. Ora che ci pensava, anche Wataru era alto, e decisamente magro. Nonostante ciò era un uomo forte, e questo l’aveva potuto constatare già più volte. 
No, non era proprio quello il momento di pensare ai lineamenti del suo corpo. 
Era talmente assorta nei suoi pensieri che non fece nemmeno in tempo ad accorgersi che il bambino era inciampato goffamente in un ramo mentre stava indietreggiando dal suo sguardo indagatore.



Si era trovato inspiegabilmente a terra. Come se non fosse già bastato tutto il dolore che aveva provato qualche giorno prima, aveva picchiato la testa e la schiena sulla ghiaia del sentiero, e probabilmente dal dolore, si era slogato o rotto il polso sinistro con cui si era appoggiato istintivamente al terreno. Doveva essere quel parco a procurargli tutti quei dolori. Si promise di non metterci più piede. 
Diamine che figura… inciampare davanti a Miwako. Lei era lì per davvero, e i loro sguardi si erano incrociati. 
O meglio sembrava quasi come se lo stesse studiando da cima a fondo. Si era sentito tremendamente in imbarazzo. Davanti a lei e al suo sguardo non riusciva a ragionare e anche la coordinazione del suo corpo diventava difficoltosa. Se non fosse caduto, sicuramente non avrebbe saputo spiaccicare parola. 
Cercò di tirarsi su ma la testa doleva e non poteva farsi forza sul braccio. Si arrese all’idea di riuscirci. Perché era sempre così maledettamente impacciato? Sbuffò. 
Conan e Ai si erano diretti verso di lui per attutire la caduta ma non erano stati così veloci. “Tutto a posto, Masao?”



Si era distratta nei suoi pensieri che non si era proprio accorta del bambino che era inciampato. Per rimediare scavalcò i cespugli divisori. Sembrava proprio una brutta caduta. Voleva assicurarsi che non si fosse fatto nulla. D’altronde ai bambini capitava spesso di cadere, e di uscirne illesi. Ma dall’espressione che aveva sul viso sembrava essersi fatto male. 
Conan e Ai gli stavano parlando, ma sembrava proprio che non li stesse ascoltando. Aveva lo sguardo fisso su di lei, senza un motivo apparente. 
Si abbassò verso di lui, lasciandogli comunque agio. Appena si era avvicinata però il bambino era arrossito fino alla punta delle orecchie. 

No, questa reazione non era dovuta alla timidezza del ragazzino. Si era solo avvicinata per aiutarlo, visto che sembrava molto dolorante. Aveva sbagliato qualcosa? Era a conoscenza di non saperci fare coi bambini, a differenza invece di Wataru, sempre disponibile a dare un’occhiata durante le indagini a quei bambini troppo curiosi e riportarli a casa. L’aveva sempre trovato carino e dolce con loro. 
Ora che ci pensava... Takagi era sempre dolce e carino in qualsiasi situazione. Pochissime volte aveva sperimentato il contrario.



Sapeva di dover rispondere a Conan e Ai, sapeva di essere Masao Fukuda in quel momento, ma lei aveva scavalcato i cespugli per poi avvicinarsi a lui. 
Maledizione! Doveva fingere e mentire in sua presenza, non ce l’avrebbe mai fatta. Doveva provarci almeno. Come si comporta un bambino? Beh sicuramente non avrebbe continuato a fissare quel paio di occhi ametista, e non sarebbe arrossito fino alla punta delle orecchie. Se avesse potuto sarebbe sprofondato volentieri nel terreno per ripristinare la distanza precedente. 
“Che male...” Il nodo alla gola si era allentato, ma la sua era ancora una voce strozzata. Sarebbe stato tutto più semplice se quella caduta gli avesse procurato una perdita di memoria. Avrebbe ricominciato tutto da zero, in un nuovo modo. 
Ma forse... non avrebbe sopportato l’idea di dimenticarsi di lei e di non essere a conoscenza che la stava facendo soffrire.



Dunque si era fatto veramente male. Non poteva ignorarlo, anche se con lui c’erano Conan e Ai, che sapevano cavarsela benissimo da soli, ma erano comunque dei bambini. 
“Dove ti sei fatto male?” Se fosse necessario l’avrebbe portato in qualche clinica medica.



“P-penso di essermi slogato il polso...” Non riusciva a guardarla negli occhi, era troppo vicina e aveva quello sguardo indagatore che gli metteva soggezione. Se non voleva farsi scoprire doveva evitare di guardarla. Forse così sarebbe stato più facile mentirle? 
Ma chi voleva prendere in giro? Avrebbe sicuramente fatto il possibile per proteggerla e non farla entrare in tutta questa faccenda, ma non era sicuro di riuscire a tenerla fuori. Aveva bisogno di lei, aveva bisogno di farle sapere che l’aveva già trovato, aveva bisogno di dirle che l’amava, aveva bisogno che lei non fosse preoccupata per lui.

“M-Miwako...”

Aveva parlato senza accorgersene, l’aveva guardata ancora solo per un secondo per poi distogliere lo sguardo. Trovò gli sguardi di Conan e Ai, che avrebbero voluto cancellare l’ultima parola che aveva rivolto a Sato. 
Si sarebbe fatto scoprire subito, ma in quel momento non era più lucido, effettivamente il dolore era aumentato e aveva bisogno di essere curato.



Decise di portarlo da un medico, gli avrebbero messo una fasciatura adeguata. 

Un momento... Cosa aveva bisbigliato? 
Le era sembrato di aver sentito il suo nome, ma com’era possibile? Non si era ancora presentata e i bambini l’avevano chiamata solo Sato. Si era sbagliata e aveva sentito male? Tutte quelle sensazioni familiari mentre osservava quel bambino... Forse avrebbe dovuto ascoltarle. 
Ancora non se n'era nemmeno resa conto, ma non era più preoccupata sulla scomparsa di Takagi dal momento in cui aveva incontrato quel bambino. Era lui. Non c’era altra spiegazione. E l’aveva proprio chiamata Miwako. 
Ma forse erano solo delle coincidenze. Forse era meglio pensarla così. Non era possibile tornare bambini, no? Se fosse veramente così, cosa avrebbe fatto? Tantissimi pensieri si erano aggrovigliati tra di loro nella sua mente. Ma sperava di rispondere e seguire soltanto uno di quei pensieri.

Era solo un bambino e non si conoscevano, giusto?

   
 
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