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Autore: Teo5Astor    30/12/2019    13 recensioni
Un mistero accomuna alcuni giovani della Prefettura di Kanagawa, anche se non tutti ne sono consapevoli e non tutti si conoscono tra loro. Non ancora, almeno.
Radish Son, diciassettenne di Fujisawa all'inizio del secondo anno del liceo, è uno di quelli che ne è consapevole. Ne porta i segni sulla pelle, sul petto per la precisione, e nell'anima. Considerato come un reietto a scuola a causa di strane voci sul suo conto, ha due amici, Vegeta Princely e Bulma Brief, e un fratello minore di cui si prende cura ormai da due anni, Goku.
La vita di Radish non è facile, divisa tra scuola e lavoro serale, ma lui l'affronta sempre col sorriso.
Tutto cambia in un giorno di maggio, quando, in biblioteca, compare all'improvviso davanti ai suoi occhi una bellissima ragazza bionda che indossa un provocante costume da coniglietta e che si aggira nel locale nell'indifferenza generale.
Lui la riconosce, è Lazuli Eighteen: un’attrice e modella famosa fin da bambina che si è presa una pausa dalle scene due anni prima e che frequenta il terzo anno nel suo stesso liceo.
Perché quel costume? E, soprattutto, perché nessuno, a parte lui, sembra vederla?
Riadattamento di Bunny Girl Senpai.
Genere: Mistero, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: 18, Bulma, Goku, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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46 – Due temporali nel bel mezzo del niente
 
 
2 dicembre
 
«Uhm?» rispondo al cellulare, senza nemmeno aver visto chi è, dopo tanti, troppi squilli. E troppe chiamate perse. Ho controllato solo che non fosse Lazuli, quindi ho reputato che non avevo voglia di rispondere. Non mi va di parlare. Ma mi esplode la testa, e chiunque stia chiamando non fa che insistere. Ho ceduto solo per questo.
«Son-kun, sei tu?! Ma che voce hai? Stai bene?» mi chiede Bulma.
«Uh… sì…» grugnisco, chiudendo gli occhi e lasciando sprofondare di nuovo la testa nel cuscino del mio letto. Credo di non essermi praticamente mai alzato oggi. Non so che ore siano, non so nemmeno che clima ci sia fuori.
«Ti chiamo perché mi preoccupo per te e tu rispondi come uno scimmione?!» sbotta la mia amica, irritata. «Non ti sei fatto vedere a scuola e nemmeno agli allenamenti! Vegeta era molto nervoso per questo. Continua a dire che manca solo poco più di un mese al Campionato Nazionale».
«Ah… sì?»
«Sei malato, Son-kun? Hai la voce strana».
«Che ore… che ore sono?»
«Sono quasi le 16.30, ma che domande fai?! Ma stai bene o no?»
«Uhm… ok. Sì».
«”Sì”, cosa?! Mi stai irritando Son-kun, te lo dico…».
«Sto bene» le dico, con una voce che sembra arrivare direttamente dall’Oltretomba.
«È successo qualcosa con Lazuli-san?»
Le rispondo con qualcosa a metà tra uno sbuffo e un ringhio, mentre gli occhi mi si riempiono di nuovo di lacrime. Mi bruciano da morire. Non so nemmeno quanto cazzo ho pianto tra ieri sera e oggi.
Io l’ho delusa.
Ho fatto soffrire l’unica persona al mondo che davvero non vorrei mai che soffrisse neanche un po’.
«Ieri sera le ho telefonato e ho sentito che era sul treno, anche se lei non mi ha detto niente. Ho capito subito che era strana. Cioè, lei è sempre un po’ strana, ma ieri si capiva che c’era qualcosa che non andava. C’entri qualcosa?!»
«Uhm…» boccheggio. Un nodo mi stringe la gola e quasi mi impedisce di respirare.
«Son-kun?! Le hai detto di Videl Satan e l’ha presa male? Era in treno perché era venuta a trovarti?»
Brava, cervellona. O Sherlock Holmes in camice da scienziata, come preferisci. Hai capito tutto. Hai capito quanto sono un coglione.
«Sì…».
«Ecco, lo sapevo… dovevi dirglielo subito, zuccone! Te l’avevo detto… e ora?! L’hai sentita oggi per il suo compleanno?»
«No…».
«Chiamala, cretino. Adesso metti giù il telefono e la chiami».
«Non… non credo sia una buona idea…» sospiro. Mi sento a pezzi. Oggi Là compie diciott’anni e io ho fatto un casino.
«Le hai detto almeno che Videl Satan non esiste?!»
«No…».
«Telefona a Lazuli-san e sistema questa cosa. Son-kun!» prova a spronarmi. «Falle gli auguri, chiedile ancora scusa… fai quello che vuoi, ma fa’ qualcosa!»
«Se Videl-san era solo un fantasma, almeno Videl-chan era reale? L’hai vista anche tu… l’hanno vista tutti» le chiedo a bruciapelo, con una voce che non sembra neanche la mia. Vedo il soffitto della mia stanza sfocato dai miei occhi semichiusi.
«Non lo so» ribatte dopo qualche secondo di riflessione. «Ho pensato molto anche a questa faccenda, ma non posso avere certezze neanche qui. In ogni caso non l’hanno vista, o meglio osservata, “tutti”, ma solo noi che siamo stati vittima della Sindrome della Pubertà. Pensaci: Vegeta non l’ha mai vista, ad esempio».
Ha ragione. È una cosa che non avevo mai notato. A cui non avevo dato peso. Perché dovrebbe avere un significato particolare questa cosa?
«E quindi?» sospiro.
«Potresti aver creato tu anche Videl-chan con la forza della tua immaginazione e averla proiettata rendendola visibile a chi, come te, ha sperimentato la Sindrome della Pubertà» soffia Bulma attraverso il ricevitore, in un tono serissimo eppure scettico. «Da scienziata, fatico a credere a una cosa simile, ma ormai ho visto di tutto con questa Sindrome. E su di te ha effetti strani, quindi non mi stupirebbe se ti avesse reso in grado di proiettare un’immagine mentale ringiovanita di Videl Satan. Tu hai saputo addirittura resistere alla Sindrome quando tutti si sono dimenticati di Lazuli-san, con te ha un “rapporto” particolare».
«Perché avrei dovuto ringiovanire Videl?» chiedo con un filo di voce. La testa mi pulsa. È tutto così assurdo.
«Forse perché desideravi che sapesse di te e Lazuli-san, ma inconsciamente volevi una versione di Videl Satan che potesse convivere con la tua ragazza. Che non potesse essere vista come una minaccia da lei. Che potessero andare d’accordo» mi spiega la mia amica. «Quando è apparsa Videl-chan eri reduce dai loop temporali creati dalla tua amica primina e ti eri anche appena fidanzato ufficialmente con Lazuli-san dopo aver tanto desiderato quel momento. Avevi addosso un mix di stress e di euforia, volevi che tutto il mondo potesse condividere la tua gioia. Anche la famosa Videl Satan avrebbe dovuto saperlo, dal tuo punto di vista. È comprensibile, Son-kun».
Certo, è comprensibile accettare di essere un pazzo che bacia fantasmi a quindici anni e che a diciassette proietta ologrammi di ragazzine delle medie con la mente.
È comprensibile mandare a puttane i diciott’anni della ragazza che ami più della tua vita e forse anche tutto quello che avevate costruito insieme.
Bel lavoro, Radish Son. Sei una testa di cazzo di prima categoria, lasciatelo dire.
«Son-kun, ci sei?»
«Uhm… boh. No…» sbuffo, mentre mi asciugo con stizza una lacrima.
«Però non posso essere certa di questa ipotesi. Videl-chan potrebbe anche essere una ragazzina reale e magari potresti averla incrociata per caso due anni e mezzo fa quando eri scappato dall’ospedale e avevi visto poi per la prima volta Videl-san, dandole inconsciamente il suo aspetto sotto forma di una tua senpai» aggiunge Bulma. «Pensaci: non ricordi di aver incrociato Videl-chan nei corridoi dell’ospedale o nel tragitto fino alla spiaggia? Aveva dieci anni allora, poteva essere insieme ai suoi genitori. Potrebbe essere per quello che la tua mente ha dato poi proprio quella fisionomia alla Videl Satan tua senpai».
Respiro profondamente e porto istintivamente una mano sul petto. Non sanguina. Non più. Ha smesso stanotte. Ora sembra essere tutto sotto controllo da quel punto di vista. Come se contasse qualcosa. Come se questo potesse evitarmi di soffrire.
Come se il mio cuore non stesse in realtà continuando a sanguinare.
«Non me la ricordo» sibilo. Penso che vorrei dormire, o svenire. Almeno così eviterei di patire per un po’. Smetterei di pensare a Là.
«L’ultima opzione è che Videl Satan intesa come tua senpai esista davvero, e che quella ragazzina non fosse altro che l’effetto che ha avuto su di lei la Sindrome della Pubertà. O, se preferisci, c’è l’unica spiegazione davvero razionale di questa faccenda, cioè che le due Videl siano persone distinte reali, accomunate dal fatto di essere omonime e per di più sosia. Altamente improbabile, ma possibile».
«Ok, ciao…» farfuglio.
«”Ciao”, cosa?! Son-kun, sistema le cose con la tua ragazza o non te la perdonerò mai questa!» sbraita al telefono Bulma.
«È quel coglione di Rad?!» sento sbottare in lontananza Vegeta. «Passamelo».
«È arrivato il tuo amichetto scimmione. Auguri, Son-kun. Sistema le cose, per favore».
«Rad?!»
«Uhm?»
«Ma che razza di voce hai?! Adesso ti alzi, ti fai una doccia, muovi il culo e vieni al lavoro. Ti vengo a cercare a casa se non ti fai trovare lì!» urla, prima di sbattermi il telefono in faccia.
 
Aumento ancora di più la temperatura dell’acqua della doccia fino a renderla bollente. Forse perché voglio farmi male, forse perché mi sento freddo come un corpo senza vita. O forse perché voglio far appannare i vetri del box doccia per scriverci sopra il nome della mia ragazza col dito. Ed è quello che faccio.
Non riesco a pensare a niente. A niente che non sia lei, per essere preciso. Osservo le lettere colare lentamente e offuscarsi, mentre il vetro si appanna di nuovo.
Ho deciso di andare al lavoro. Non so se sono state le minacce di Vegeta a convincermi o più probabilmente l’illusione che potrò soffrire di meno provando a concentrami su altro.
Esco dalla doccia e mi vesto velocemente, senza badare nemmeno troppo ai capelli. Non mi interessa. Non me ne frega nulla.
Prendo dall’armadio il costume da coniglietta di Lazuli e me lo premo contro il volto. Respiro a pieni polmoni il profumo fresco che ha ancora addosso. Quel profumo che sa di noi. Che sa di lei.
Esco di casa talmente accaldato dalla doccia che nemmeno riesco a rendermi conto del freddo che fa oggi. Penso istintivamente al gelo che deve esserci a Kanazawa da Lazuli. Le Alpi Giapponesi non scherzano, del resto.
Una lieve foschia offusca il tramonto e lo rende di una bellezza decadente. Il cielo ha sfumature vermiglie, ma io lo vedo grigio. Anzi, nero.
Tiro fuori dalla tasca il telefono e apro una foto a caso dalla galleria. C’è Là, seduta al tavolino di un bar all’aperto in una bella giornata di sole. Davanti a sé c’è una tazzina. Accenna un sorriso verso di me che le scatto la foto, mentre si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio. È splendida.
La guardo in questa foto e penso che senza di lei, in fondo, non ho senso. Vorrei mandarle un messaggio adesso, dovrei farlo. Non solo perché è il suo compleanno.
E se invece lei stesse sorridendo lo stesso, ora, senza di me?! E se non volesse sentirmi?!
Vorrei chiamarla… e se non rispondesse? Dovrei chiamarla mettendo il numero sconosciuto, magari, anche solo per mettere giù non appena lei risponde. Così almeno potrei sentire la sua voce. Forse starei meglio.
Mi rendo conto che sto piangendo, mentre cammino e fisso il mio cellulare come un emerito coglione. Mi rendo conto anche che le mie lacrime stanno formando una frase a caso nella mia testa, qualcosa del tipo “eravamo quelli giusti al momento sbagliato”.
Io lo so che siamo davvero “quelli giusti”, Là… ma forse era il momento ad essere sbagliato? Forse non era ancora destino per noi? Io ho sempre avuto l’impressione che io e te stessimo lottando contro il destino da quando ci siamo conosciuti. Io forse ti ho insegnato a lottare, tu di sicuro mi hai insegnato ad amare. Ne abbiamo passate tante, ne siamo sempre venuti fuori. Eppure… eppure forse non è comunque questo il nostro momento.
Aumento il passo, a testa bassa, incurante delle persone che si scostano sul marciapiede al mio passaggio per evitare di essere travolte e che mi guardano male.
Non riesco a smettere di fissare la foto di Lazuli.
Mi sembra di guardare il paradiso da fuori senza poterci entrare.
 
«Allora, ti svegli o no?!» ringhia Vegeta, mentre sono intento da non so quanto tempo a fissare il taccuino con scritto sopra l’ultima ordinazione, in piedi accanto al bancone. Guardo le parole scritte, ma in realtà non vedo nulla. Mi va insieme la vista. Non ho testa. «Hai gli occhi di un cadavere, cazzo!»
«Quelli li ha sempre» interviene Lunch, che si posiziona davanti a me e protende il volto per avvicinarlo al mio.
Mi sorride, ma io vedo a malapena i suoi occhi nocciola e i suoi vaporosi capelli blu.
«No, oggi ha qualcosa che non va e sinceramente mi ha rotto le palle, tsk!» sbotta il mio amico, sprezzante. «Mi irrita. Hai fatto bene a non presentarti agli allenamenti se dovevi affrontarli con quella faccia!»
«Senpai, perché non torni a casa se ti senti poco bene? Siamo coperti stasera, c’è anche Mai-chan» riprende Lunch dolcemente. «E poi oggi è il compleanno di Eighteen-senpai, o sbaglio? Sono ancora in magazzino i regali per lei che ti sei fatto impacchettare da me e Mai-chan, visto che sei un cavernicolo e non sei stato capace di farlo da solo decentemente?» ridacchia, inconsapevole che sta girando il coltello nella piaga. «Non dimenticarteli qui!»
«No, sto… s-sto bene…» sbiascico, scrollando la testa e muovendomi verso un tavolo da sparecchiare.
«B-buonasera…» farfuglio verso l’immagine indistinta di una ragazza che sembra camminare verso di me, immaginando sia una cliente appena arrivata. Prendo in mano due piatti con foga.
«Senpai, sono io! Non mi riconosci o mi stai prendendo in giro?» esclama la ragazza. Noto che ha i capelli neri e un grembiule identico a quello di Lunch. Mi rendo conto che è Mai, che stava già sparecchiando quel tavolo. La fisso con la bocca semiaperta e lo sguardo assente. «Ma cosa c’è?! Oddio, stai male?!»
In quel momento mi sfuggono i piatti dalle mani e si infrangono sul pavimento ai miei piedi.
Mai urla per lo spavento, mentre tutti i clienti presenti si voltano a guardarci. Per fortuna non c’è ancora molta gente, anche se onestamente non me ne frega molto di evitare figure di merda in questo momento.
«Scusate! Scusate!» ride il vecchio Muten, facendo capolino in sala e rivolgendosi alle persone presenti. A me dedica solo uno sguardo che sa di rimprovero, anche se di solito non esagera mai in questi casi.
«Ci penso io! Il senpai non sta molto bene oggi!» mi giustifica Lunch, che corre in mio soccorso e comincia a raccogliere i cocci.
«Ti aiuto, Lunch-chan! Temo di averlo fatto spaventare io… scusami senpai!» aggiunge Mai.
«No, ecco… s-scusatemi…» farfuglio. Le mie amiche primine sono sempre troppo buone con me. Io… io non merito nulla, in realtà. Sono buono solo a fare casini.
«Non è colpa tua e questo coglione non ha niente!» sibila Vegeta a denti stretti, avvicinandosi e parlando in modo tale da farsi sentire solo da noi tre. «Muoviti, in magazzino! Mi stai facendo incazzare oggi!» aggiunge, dandomi uno spintone e costringendomi a camminare verso la porta che dà sul retro del locale.
«Vegeta-senpai, per favore non…» sento dire a Lunch. Sembra allarmata.
«Tu non preoccuparti» la interrompe il mio amico, lapidario. «Torno subito».
 
«Allora?! Mi vuoi dire che cazzo c’hai oggi?!» sbotta, dopo avermi dato un ultimo spintone che quasi mi fa cadere all’indietro e aver chiuso alle sue spalle la porta del magazzino.
«Niente» rispondo, a testa bassa.
«Bulma mi ha detto tutto. Piangerti addosso non ti riporterà la tua ragazza!»
Resto in silenzio. Mi prendo a morsi le labbra. Stringo i pugni così forte da farmi male.
«L’hai chiamata almeno?!»
«No».
«E allora hai pensato bene di piangerti addosso senza far nulla?!»
«Non sono cazzi tuoi, Prince».
«Certo che lo sono, se ti vedo ridotto così!» ribatte, sempre più nervoso. «E diventano cazzi miei anche se per questa ragione non ti presenti agli allenamenti a un mese dal Campionato Nazionale e qui al lavoro ti rendi inutile!»
«Quindi ti interessa solo questo?»
«Non provocarmi, Rad! Non provocarmi! Tsk!» sbotta, digrignando i denti e distogliendo lo sguardo dal mio.
«Allora lasciami in pace. Devo tornare al lavoro».
«Hai intenzione di mandare a puttane il calcio ancora una volta? Non te ne frega più niente della nostra promessa? Del nostro sogno?»
«Non ho la testa per queste cose ore. Lasciami andare di là» provo a liquidarlo. Gli passo accanto, cercando di aggirarlo per tornare in sala.
«Bravo, allora hai deciso di mandare a puttane sia la tua storia che anche la tua squadra» mi sbarra la strada con un braccio. «Bulma mi ha detto che oggi la tua ragazza ha fatto gli anni. L’hai sentita?»
«Se ti dico di sì ti levi dai coglioni?»
«Mi levo se mi dici la verità».
«Non la sento da ieri a quest’ora. Contento?»
«No. Adesso prendi in mano quel telefono di merda che hai e la chiami. Sistema le cose».
«Non dirmi quello che devo fare».
«Te lo dico eccome! Tsk!»
«Ti interessa solo che torni ad allenarmi con la mente sgombra, vero? Conta solo questo per te, vero?» lo provoco, e ne sono consapevole. Dico una cosa che nemmeno penso al mio migliore amico.
«Come cazzo ti permetti?!» urla Vegeta, colpendomi dritto con un pugno destro che si stampa sulla mia guancia e mi fa sbattere la schiena contro gli armadietti metallici del magazzino. Ho visto partire il colpo e non ho fatto nulla per evitarlo. Volevo che mi colpisse, gli ho detto apposta quelle cose per farmi colpire da lui. Per punirmi. Per espiare le mie colpe.
«Non c’è posto in squadra per una mezza sega, sappilo!» grida di nuovo, mentre cammino verso di lui deciso ad uscire. «E uno che non ha le palle di chiamare la propria ragazza per provare a chiarire le cose mi fa schifo!»
«Vaffanculo! Da quando ti interessa darmi consigli?! Non te n’è mai fregato un cazzo!» alzo la voce a mia volta. Mi sembra di sentirmi di nuovo vivo, almeno per un po’. Cerco di scacciare il dolore sovrapponendogli altro dolore, forse. Dolore fisico e spirituale. Sto attaccando il mio unico amico per illudermi di non essere una merda.
«Me ne frega da quando ti devo un favore!» sbotta a sua volta, sgranando gli occhi. Immagino alluda al modo in cui sono riuscito a far avvicinare lui e Bulma. «E un giorno mi ringrazierai per questo!» aggiunge, prima di colpirmi di nuovo con un altro pugno. Non faccio nulla per evitarlo nemmeno stavolta. Sbatto la schiena e la nuca contro gli armadietti e crollo in avanti sulle ginocchia. Resto a testa bassa, immobile.
«Senpai!» grida preoccupata Lunch, entrando di corsa in magazzino e correndo verso di me. Si butta a terra in ginocchio, mi afferra la testa con entrambe le mani e la solleva, costringendomi a guardarla negl’occhi. Scoppia a piangere, mentre si sfila dalla tasca del grembiule un fazzoletto e mi asciuga un rivolo di sangue che mi cola dall’angolo della bocca.
«Lascialo perdere, tsk!» ringhia Vegeta.
«Ma perché?! Cos… cos’è successo?! Sei stato tu Vegeta-senpai?! C-come… come hai potuto?!» grida Lunch, stringendo i pugni e facendo per scagliarsi contro il mio amico che ci osserva con le braccia incrociate al petto e un ghigno stampato sulla faccia.
«Lascia perdere, ha ragione… ha fatto bene a colpirmi» sospiro, afferrando Lunch per un polso. I suoi muscoli si rilassano. Si volta di nuovo a guardarmi con la faccia di chi non ci sta capendo nulla.
«Ma… perché?! Perché fate così?!»
«Fattelo spiegare da lui» sibila Vegeta. «Il tuo turno finisce qui per oggi. Non preoccuparti, ti copro io col vecchio» aggiunge, distogliendo lo sguardo dal mio. «Però chiamala, cazzo. Fai qualcosa. E te lo dico perché ci tengo… cioè, p-perché Bulma ci tiene a te. E anche alla tua ragazza! Tsk!» prosegue, piuttosto imbarazzato. Fa sempre fatica ad esternare i suoi sentimenti, non è certo una novità. «Ah, fottiti, razza di deficiente!» si congeda, prima di uscire e sbattere la porta del magazzino.
«È tutto sotto controllo lì dentro, vecchio. Ho fatto cadere una tanica di birra ma l’ho sistemata» lo sento dire in lontananza a Muten, che evidentemente stava venendo a controllare.
«S-senpai… cosa sta succedendo?!» mi domanda Lunch. Con una mano tampona il sangue che ancora mi esce dalla bocca, con l’altra si asciuga le lacrime.
«Niente di grave…» sospiro, sforzandomi di sorridere.
«Sei… sei un bugiardo, senpai…» sbuffa malinconicamente, colpendomi con un pugnetto sul petto. «Ero io ad essere una bugiarda. E mi ero innamorata di te perché tu non lo eri. Non ne sei capace».
Accenna un sorriso triste. Mi guarda negli occhi, mentre dai suoi riprendono a scendere lacrime che sinceramente mi fanno male. Di cui mi sento responsabile.
«Mi ero innamorata di te perché eri forte, perché eri positivo. Perché… perché eri una bella persona, non solo perché… beh, non solo perché mi piacevi…» aggiunge, arrossendo visibilmente e abbassando la testa. «E ho voluto restarti amica per questo. Non credere sia stato facile».
«Hai fatto male a soffrire per uno come me» rispondo. E mi rendo conto benissimo che la mia è stata una risposta del cazzo.
Quindi non mi stupisce certo il fatto che Lunch mi molli una sberla sulla guancia che Vegeta mi aveva risparmiato.
«Sappi che ho rinunciato a te solo perché ho capito quanto amavi Eighteen-senpai!» mi grida in faccia, sforzandosi di smettere di piangere. «E perché mi sono resa conto di quanto lei ti amasse…».
Abbasso la testa. Non riesco a sostenere il suo sguardo.
«Da quando sono riuscita ad andare avanti e a vederti solo come un amico ho notato ancora di più la forza del vostro rapporto» mi spiega, con un tono di voce che torna ad essere gradualmente sempre più dolce. «Forse Eighteen-senpai mi odierà per sempre, sarebbe anche comprensibile… ma io non la odio».
«Non ti odia, Lunch… davvero. Non più, almeno».
«Comunque non è questo il punto, senpai… io non accetto di vederti così» ribatte, accarezzandomi delicatamente la guancia dove mi ha appena colpito. «Ho capito che avete litigato, ma so anche per certo che sei troppo buono per aver fatto qualcosa di davvero irreparabile».
«Non l’ho tradita, te lo giuro».
«Non serve che me lo dici, e non serve nemmeno che lo dici a lei. Lo sa benissimo anche Eighteen-senpai, ne sono certa. Tu non faresti mai una cosa del genere» risponde, appoggiandomi una mano sotto il mento e costringendomi ad alzare la testa. «Una persona senza scrupoli avrebbe potuto tradire tranquillamente la sua ragazza con una primina innamorata, ad esempio. Ma tu non l’hai fatto, ed Eighteen-senpai non ha mai dubitato di te» aggiunge, prima di spostare verso l’alto con le dita gli angoli della mia bocca facendomi sorridere forzatamente. «Te lo ricordi? “Chi sorride è più forte”. Me l’ha insegnato una volta un senpai a cui voglio molto bene» sorride. Non piange più.
Annuisco con la testa e accenno un sorriso a mia volta.
Ci alziamo in piedi e ci guardiamo in silenzio. Mi sento confuso. Non so cosa fare, nemmeno cosa dire.
Lei mi abbraccia. Mi stringe forte, mentre resto immobile con le braccia distese lungo i fianchi.
«Basta lavorare per stasera, senpai. Qui ci pensiamo noi. Ora sistema le cose con Eighteen-senpai e tutto andrà a posto» sorride, staccandosi da me proprio mentre fa capolino Mai in magazzino.
«Senpai, stai bene?!» sbotta, allarmata, accorrendo verso di me. «Ho sentito urlare… m-ma… ti sei fatto male?! Cosa sono quei segni che hai sulla faccia?!».
«Non è niente… scusa per prima per i piatti» accenno un sorriso.
«Non devi scusarti!» mi sorride radiosa. «L’importante è che stai bene e che sistemi quello che ti preoccupa stasera» aggiunge. «Non ci vuole molto a capire che hai litigato con la tua ragazza proprio nel giorno del suo compleanno, senpai!» mi rimprovera bonariamente, mettendosi in punta di piedi per darmi un debole pugnetto sulla testa, prima di sciogliersi in un sorriso. «Io e Lunch, le tue kohai preferite, abbiamo confezionato per te due pacchetti regalo bellissimi, quindi devi per forza sistemare le cose e darglieli!»
«Giusto, non dimenticarti i pacchetti senpai! Sei talmente stupido che ne saresti capace!» interviene Lunch, aprendo un armadietto e tirando fuori due pacchetti incartati alla perfezione. Il più piccolo, leggero e quadrato, sta comodamente nel palmo di una mano ed è incartato di azzurro con un elegante nastro di stoffa bianca. L’altro, rettangolare e un po’ più grande, è avvolto in una bellissima carta fucsia con stampati sopra dei coniglietti neri, con un fiocco argentato posto al centro. Lunch me li porge in mano, insieme alla mia giacca.
«Via, sciò! Il “Kame House” è in buone mani!» mi fa l’occhiolino.
«E fai gli auguri anche da parte nostra ad Eighteen-senpai! Io la trovo adorabile!» aggiunge Mai, abbracciandomi e dandomi un bacio sulla guancia.
Lunch apre la porta dell’uscita sul retro del locale e Mai mi spinge fuori senza troppi complimenti, richiudendo a chiave la porta alle mie spalle.
 
«Brr…» commento a voce alta, infilandomi la giacca e maledicendo il freddo che fa stasera. Aver scelto un giubbino leggero per coprirmi non è stata decisamente una buona scelta oggi. Pazienza… fossero questi i miei problemi…
Mi infilo in tasca i due pacchetti regalo e cammino al buio seguendo il perimetro esterno del “Kame House” con la testa affollata da milioni di pensieri finché non mi ritrovo all’ingresso.
Appoggiata con la schiena contro il muro, a pochi metri dalla porta d’entrata e con lo sguardo perso nel vuoto, noto Chichi. Ha le mani nascoste nelle tasche di un pesante piumino blu scuro e il mento affondato in una grossa sciarpa rossa, illuminata dalle luci al neon colorate dell’insegna del locale.
Si volta in mia direzione e i suoi occhi neri riprendono improvvisamente vita. Mi guarda male. Molto, molto male. Ci mancava solo lei, oggi.
«Cos’è, un agguato?» sbuffo.
«Ti stavo aspettando» ribatte lei, abbassando con stizza la sciarpa in modo da avere la bocca libera. Il suo volto è lo specchio del dolore che deve aver vissuto negli ultimi giorni. È provata, e mi fa male vederla così. «Dobbiamo parlare».
«Facciamo un’altra volta» sospiro, passando oltre. «Ho troppe cose per la testa oggi… e ho fame, non mangio niente da ieri a pranzo».
«Devi pensare solo alla sorellona!» sbotta con voce stridula. Afferra una manica della mia giacca e mi costringe a fermarmi mentre le sto passando davanti.
«Infatti mi riferivo proprio a lei» ribatto, puntando i miei occhi nei suoi.
«Ha fatto di tutto per venirti a trovare da Kanazawa!» sbotta. Leggo un profondo disprezzo nei suoi occhi.
«Ascolta, ti dico che ha frainteso la faccenda di Videl…».
«Cosa?! La pensi così?!» mi grida in faccia. «Lei si fida ciecamente di te!»
«Allora perché le cose sono degenerate?»
«È tornata perché era preoccupata per te, scemo! Sperava di tirarti un po’ su di morale per tutto quello che stai passando per… p-per… G-goku-kun!» sbotta, con la voce che comincia a tremarle. «Possibile che non ti rendi conto che si sente in colpa perché lei era lontana mentre tu stavi male?!»
Sgrano gli occhi e resto come pietrificato. Lazuli ha sofferto a causa mia prima ancora che le dessi io stesso la mazzata finale ieri. Bravo, Rad. Bel lavoro, testa di cazzo.
«Apri gli occhi, Rad! Non sei… n-non sei l’unico che sta soffrendo! N-non sei l’unico a… l’unico a soffrire per Goku-kun!» aggiunge. Lacrime amare le bagnano il volto. Un volto che ha sofferto molto in questi ultimi giorni.
Già, sono stato un egoista a pensare solo al mio dolore. A concentrarmi solo sui miei casini. E a crearne di nuovi, addirittura.
«Io… mi spiace…» sospiro, abbassando la testa per non farle vedere che anche i miei occhi sono pieni di lacrime. «Scusa».
«Non devi… non devi scusarti con me» farfuglia con la voce rotta dal pianto. «La sorellona dice che sa che Goku-kun si riprenderà e io… beh, io mi fido di lei!»
«L’ha detto anche a me. E mi fido di lei. Credo in lei e in mio fratello» ribatto, stringendo i pugni. «Non devi star male per Goku, tornerà tutto come prima».
«Io… lo so… lo spero…» sospira lei. Alza la testa e accenna un sorriso triste. «Ma sto male anche per te e la sorellona… cioè, è il suo compleanno oggi! Come… come hai potuto?! Tu… proprio tu!» sbotta nuovamente. Il suo sguardo si indurisce di nuovo. «Perché non l’hai chiamata?!»
«Perché non credevo fosse una buona idea. Perché magari sarebbe stata più felice senza di me dopo quello che è successo ieri…» sospiro a mia volta. «O forse perché avevo paura a farlo».
«Come puoi pensare che oggi lei è felice?! Ma sei scemo davvero, allora!» ringhia, tirando fuori dalla borsetta il suo cellulare e cominciando a digitare furiosamente sullo schermo. «Ma l’hai vista almeno la storia che ha pubblicato oggi il regista del suo film sui social?!»
«No…».
«Ecco, guarda!» sbotta, mostrandomi un breve video dedicato alla fine delle riprese di metà pomeriggio sul set. Si vede Lazuli per qualche secondo, con ancora in faccia il trucco di scena che simula delle macchie di sangue e dei graffi, come se avesse appena finito una battaglia. Ma non è quello a colpirmi, nemmeno i segni velati di nero delle esplosioni sui suoi vestiti e sulla sua pelle. È il suo sguardo vacuo che manda in frantumi il mio cuore, ancora una volta. Tutti intorno a lei ridono, ma lei no. Cammina e passa oltre. Non sorride mai. Ha tanta gente attorno, ma si vede che si sente terribilmente sola. Che non è felice. Che si sente invisibile, o che vorrebbe esserlo. Già, proprio come quando l’ho conosciuta.
«Allora?! L’hai vista?! Quella non è la sorellona che conosco e che ammiro così tanto! Non voglio vederla così! Lei… lei non merita di stare così! E tutto questo nel giorno del suo diciottesimo compleanno! Rad… fai… fai schifo!» mi grida in faccia, piena di rabbia e risentimento.
Una sorta di scossa mi attraversa all’improvviso ed è come se un potentissimo flash illumini la mia mente e schiarisca i miei dubbi. So cosa devo fare. E mi sento l’ansia addosso per quanto sono stato coglione a non decidermi prima.
«Dammi un attimo il telefono, Chì!» esclamo, strappandole il cellulare di mano e cominciando a digitare con foga.
«Non chiamarla adesso, è ancora sul set per qualche ora perché devono fare delle riprese serali!» ribatte, cercando di riprenderselo.
«Dammelo e basta!» sbotto, liberandomi con uno strattone. «Sì, forse ce la faccio! Per un pelo ma ce la faccio!» urlo in preda all’eccitazione, dopo aver cercato gli orari degli shinkansen per Kanazawa. «Forse faccio in tempo prima che finisca il giorno del suo compleanno!» sbraito, esultando trionfale e cominciando a correre.
«Il mio telefono, Rad!» grida Chichi. «Cosa stai facendo?!» aggiunge, probabilmente sconvolta dalle mie parole prive di spiegazioni.
«Vado a Kanazawa! Al volo, Chì!» rispondo, lanciandole il cellulare. Lei lo prende al volo con qualche difficoltà. Caccia un urlo e mi maledice, ma la sento a malapena. Ho altro a cui pensare. «Avvisa Vegeta che prendo in prestito la sua bici!» le spiego, scardinando in qualche modo il lucchetto con cui è legata la mountain bike del mio amico fuori dal locale. Mi rendo infatti conto che non riuscirei a farcela in tempo correndo fino alla stazione. «Devo arrivare in tempo ad Omiya, da lì parte l’ultimo shinkansen!»
«Ma sei serio?!»
«Assolutamente!» rispondo, saltando in sella e cominciando a pedalare a tutta velocità.
«Chiamami quando arrivi!» mi urla Chichi, rincorrendomi per un breve tratto. «Dopo le telefono e, facendo la vaga, mi faccio dire dove si trova! Così poi te lo spiego!»
«Sei una grande, Chì!» sbraito a mio volta, con l’adrenalina che mi pompa in quantità spropositata nel cervello, nel cuore e nelle gambe.
 
Poco più di quattro ore dopo mi ritrovo a correre a perdifiato fuori dalla stazione di Kanazawa. Per una botta di culo clamorosa il set dovrebbe trovarsi qui in zona, da quello che mi ha detto Chichi. Forse, per una dannata volta, il destino ha deciso di non mettersi in mezzo tra me e l’amore della mia vita.
Non è ancora mezzanotte, posso farcela. Devo farcela.
Corro coi polmoni che cominciano a bruciare seguendo il percorso che mi segnala il cellulare, mentre alcuni fiocchi di neve cominciano a scendere dal cielo. Bagnano lo schermo, mi sferzano gelidi sul volto e si posano tra i miei capelli.
Ma va bene così. Fa molto freddo, ma non sento nulla in questo momento. Corro e basta. Vado incontro al mio destino, al nostro destino.
Mi sembra di correre in un mondo vuoto. Privo di senso.
Cosa me ne faccio del mondo se non ci sei te, Là?
Un mondo senza di te l’ho già visto e mi fa schifo. Me lo ricordo bene. E mi fa paura.
Già… sono eccitato, ma ho anche paura. Inutile negarlo.
Ho paura che le cose possano andare male. Che potrei cadere nel vuoto.
Ma ho anche fiducia in quello che siamo. Che potremo giurarci “per sempre”.
Sarà un cadere nel vuoto o un giurarci per sempre?
Delle luci e dei rumori sempre più vicini mi distolgono dai miei pensieri. Dai miei dubbi, dalle mie paure. Dalle mie speranze.
Sì, devo essere arrivato. Alcuni addetti stanno smontando le luci di scena e caricando su dei furgoni i macchinari usati sul set e gli strumenti di lavoro. Non c’è molta gente, sembra che abbiano quasi finito.
«Cerchi qualcuno, ragazzo?»
Un uomo con in testa una cresta di capelli rossi che sorregge tranquillamente sulla spalla una cassa gigantesca come se fosse leggera come una piuma si ferma davanti a me e mi osserva incuriosito. È enorme, ma il suo tono di voce è gentile. Indossa una felpa nera dello staff e solo un leggero smanicato verde sopra. Non sembra sentire nemmeno il freddo. Ha una targhetta sul petto su cui riesco solo a intravedere un numero sedici.
«Lazuli Eighteen è qui?!» gli chiedo, guardandomi intorno freneticamente.
«Sei un suo fan?»
«Più o meno…» sospiro. «Cioè, io la amo, se devo essere sincero…».
«Guarda che sono in molti ad essere innamorati di lei» mi sorride. «Ma, da quello che so, lei ama solo il suo ragazzo».
«Già…» rispondo con un filo di voce, abbassando la testa.
«Va’ da lei, ragazzo…» sorride di nuovo l’energumeno, come se avesse capito tutto, prima di riprendere a camminare verso il furgone più vicino. «Dovrebbe essere ancora di là, sbrigati prima che sia troppo tardi».
«Grazie!» esclamo, prima di correre a perdifiato nella direzione che mi ha indicato.
Mi guardo intorno freneticamente, mentre ansimo per la fatica e cerco di riprendere fiato, non appena mi ritrovo in un piazzale deserto. Dalla mia bocca esce il fumo generato dalla condensa. Il sudore si cristallizza sulla mia fronte insieme alla neve che mi ha bagnato. Provo un brivido di freddo che è soprattutto un brivido di paura.
Paura di aver fatto tardi. Che lei se ne sia già andata.
«Cosa ci fai qui?»
Una voce dal tono freddo e distaccato che conosco fin troppo bene mi fa voltare di scatto. Il cuore potrebbe esplodermi nel petto da un momento all’altro.
Mi sento come quel giorno a scuola in mezzo al campo da calcio. Quando ho urlato in faccia al mondo che la amavo. Quando lei è riapparsa nel mio mondo.
Lazuli mi guarda, impassibile, appoggiata con la schiena a una colonna di marmo di un porticato. Ha le mani in tasca, la giacca aperta. Posso così notare che sta indossando la mia felpa Jordan, quella pesante che aveva voluto portare con sé prima di partire. Ha il cappuccio calcato sulla testa per difendersi dal gelo. Anche la sua bocca emette una nuvoletta di fumo.
«Là…» le dico, sorridendo, senza smettere di ansimare per la fatica e la paura.
Si abbassa il cappuccio, liberando i suoi capelli biondi illuminati dalla luce fredda dei lampioni che fa brillare la sua mollettina nera a forma di coniglio. E che si riflette nei suoi occhi di ghiaccio che mi fissano. Non sono vacui, non più. Eppure non tradiscono emozioni, come del resto il suo viso.
Ci guardiamo in silenzio.
Soli, nella notte gelida di Kanazawa su un set che ormai non esiste più.
Soli, come se fossimo in una bolla fuori dal tempo e dallo spazio.
Uno di fronte all’altra. Il tuo nome sulle mie labbra.
Abbiamo tante cose dentro di noi. Tanto da dirci. Troppo dolore accumulato. Pronti ad esplodere, forse. Nel bene o nel male.
Come due temporali nel bel mezzo del niente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: non so voi, forse sono io ad essere solo “un sentimentale del cazzo”, come direbbe Veggy a Rad, ma mi si sono riempiti gli occhi di lacrime nel vedere gli amici di Radish stringersi intorno a lui, ognuno a modo suo. Soprattutto le parti con Vegeta e Lunch mi hanno particolarmente scosso, voi cosa ne pensate? Il Prince gli aveva già promesso che l’avrebbe pestato se avesse combinato qualche casino, mentre Lunch non era mai tornata per quasi trenta capitoli su quello che aveva provato per Rad ai tempi dei loop temporali. Ha avuto coraggio la nostra primina, millemila punti per lei.
Vediamo anche Bulma, che dà la sua versione dei fatti relativa alla Videl dodicenne, dopo averci spiegato cosa ne pensa di quella diciottenne. Voi cosa dite a riguardo?
C’è stato spazio anche per Mai e, soprattutto, Chichi, che illumina Rad sul fatto che Lazuli si sia sentita tanto in colpa lei stessa per quanto successo. Ci tengo infatti a sottolineare che la fiducia non è mai mancata nella coppia che hanno formato Rad e Là sin dall’inizio, infatti lei nel corso della storia gli consente di fingersi il ragazzo di Lunch, di passare la notte da Bulma, di andare da Videl quando lei gli aveva dato appuntamento in spiaggia e di passare tantissimo tempo con Chichi, per fare alcuni esempi. Lazuli non pensa che Rad l’abbia tradita, ma sicuramente è arrabbiata perché lui non le ha detto tutto subito. E poi sì, è anche gelosa, perché abbiamo imparato a conoscerla e penso sia anche comprensibile in una situazione del genere. Vedremo nel prossimo capitolo se si sentiva anche in colpa come dice Chichi.
È stato un capitolo lunghissimo perché volevo dar voce a tutti e perché volevo si concludesse con Lazuli in scena. Se ci fate caso, lei è l’unico personaggio sempre presente in ogni capitolo oltre a Radish, anche solo con un messaggio o una telefonata.
Tutti mi chiedete da diversi capitoli se vedremo mai in questa storia C17 e Mirai Trunks, magari ne aspettavate uno oggi… e invece abbiamo conosciuto un gigante gentile dello staff del film che dà una mano a Rad, l’avete riconosciuto? ;-)
 
Ringrazio come sempre tutti voi che mi lasciate una recensione e tutti voi che avete sempre entusiasmo per questa storia, mi fa davvero piacere leggere cosa ne pensate e ascoltare le vostre teorie. Grazie anche a chi legge in silenzio e continua ad amare i personaggi che hanno preso vita qui dentro. Grazie anche a chi ha letto lo special natalizio legato a questa long che ho pubblicato per la Vigilia di Natale. Se non l’avete ancora letto e avete voglia di farlo, si intitola “Everything is nothing without you – Christmas Special”. Se non ne potete più di me vi capisco, anch’io mi sopporto a malapena certi giorni! :-)
Grazie anche a chi ha letto e apprezzato le mie ultime one shot, ce la sto mettendo tutta per rianimare un po’ questo fandom e ringrazio chi ha raccolto il mio appello. Oggi però ho deciso di pubblicare per la prima volta anche una breve one shot al di fuori di Dragon Ball e precisamente su Fruits Basket. Se volete seguirmi anche in quella storia dal titolo “Il gatto e l’onigiri” mi renderete felice. Grazie in anticipo.
Allego poi a questo capitolo anche la splendida Lazuli natalizia realizzata da Alice Liddel, che ringrazio ancora tantissimo, che avevo postato con lo special. Insieme a lei, altre due ragazze di questa storia a tema Natale, cioè le nostre primine preferite: Lunch, disegnata da Shironeko, e Mai.
 
Bene, il prossimo capitolo si intitola “La principessa dagli occhi di ghiaccio” e sarà online mercoledì 8 gennaio. Cosa dite, riusciranno a chiarirsi Rad e Là? Riuscirà il nostro eroe a fare gli auguri di buon compleanno alla sua principessa prima dello scoccare della mezzanotte? Prenderà un po’ di botte da Lazuli?
E poi, avete fatto caso ai due pacchetti regalo che Rad si è fatto infiocchettare da Lunch e Mai? Cosa pensate possano contenere? Riuscirà a darli a Là? O magari Là lo caccerà via?
Niente, tanti interrogativi, ma almeno questo capitolo ci lascia uno spiraglio di luce dopo il tanto angst che vi ho propinato ultimamente. Con questa luce, che spero possiate portare tutti nel cuore, vi auguro buon anno! Passate dei bei giorni di festa con le persone a cui volete bene.
Questo era l’ultimo capitolo del 2019, ma ci vediamo più carichi che mai nel 2020 con un capitolo che ha tutta l’aria di essere veramente importantissimo. Io ve l’ho detto: importantissimo. ;-)
Ancora buon anno a tutti, non smettete mai di credere nella forza dei sogni e in quella dell’amore!
 
Teo
 
 
 

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