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Autore: nattini1    30/12/2019    5 recensioni
Bucky rastrella tutti i mercatini che riesce a trovare per comprare vecchi addobbi di Natale per fare una sorpresa a Steve il giorno della vigilia. Passeranno la giornata insieme addobbando l’albero di Natale e facendo le cose che facevano prima della guerra; un momento di loro che ha attraversato indenne i decenni ed è tornato in qualche modo trasformato da quello che sono ora.
[Post Engame, Steve ha riportato indietro le gemme dell’infinito ed è tornato al presente].
Scritta per la Secret Santa del gruppo till the end of the line - Steven Rogers / Bucky Barnes – Stucky.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questi personaggi non mi appartengono; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

 

 

Bucky si stiracchiò nel letto e girò pigramente il capo per guardare la sveglia: erano le cinque del pomeriggio passate da poco, quindi decise che poteva sonnecchiare ancora, si meritava un po’ di riposo dopo essere tornato all’alba dall’ultima missione in India. La camera degli ospiti di Steve (che ormai poteva definire per usucapione la «sua» stanza) era quanto di più tranquillo e accogliente avesse conosciuto da...beh, da tutta la sua vita. La sua vecchia casa a Brooklyn era un’abitazione linda e decorosa, ma non avrebbe mai potuto permettersi delle lenzuola così morbide o una stanza tutta per sé. Per non parlare delle tende dell’esercito, o peggio della sua prigione ghiacciata in Siberia, o della catapecchia in Romania.

Pochi mesi addietro, prima della battaglia con Thanos, avrebbe scacciato in fretta quel pensiero terribile, con un brivido che sarebbe corso lungo la schiena e gli avrebbe attanagliato le viscere, temendo che potesse costargli il controllo, ma si limitò ad accantonarlo. Non aveva avuto scelta e aveva fatto cose orribili, lo sapeva, ma da quando Shuri aveva trovato il modo di togliergli quella merda del condizionamento dell’Hydra dalla testa, sapeva che poteva fidarsi della sua mente e aveva smesso di avere paura.

Pensò con un sorriso a Shuri e al Wakanda. La capanna in cui aveva vissuto là non era male, era piena di colori e di sole, ma si era sentito solo. Invece, da quando Steve gli aveva proposto di vivere con lui, a dispetto del freddo pungente di fine Dicembre a New York, si sentiva circondato dal calore. L’amico rispettava i suoi spazi, ma, come se in qualche modo gravitasse intorno a lui, si faceva trovare sempre per accoglierlo nei suoi momenti bui e per dare voce ai suoi ricordi felici che affioravano sempre più numerosi.

Un lieve rumore di passi conosciuti che si avvicinavano seguiti da un discreto bussare lo strapparono a quel flusso di pensieri.

Si tirò su a sedere: «Vieni».

Steve aprì la porta e Bucky fu investito dal suo sorriso luminoso e da un delizioso odore di caffè.

Steve incrociò le braccia e si appoggiò allo stipite: «Ancora a dormire? Sei davvero diventato vecchio!».

Bucky lo rimbeccò: «Senti chi parla, uomo centenario! È il jet lag».

Steve sorrise: «Dai, alzati! Dato che abbiamo qualche giorno di riposo e dopodomani è Natale, voglio portarti in un posto».

Bucky non accennò a muoversi: «Ti ricordi l’inverno del ’29 quando ti sono venuto a buttare giù dal letto per andare a giocare a palle di neve, ti stai vendicando?».

Il sorriso di Steve si allargò: «Ho preparato da mangiare!».

Bucky si decise: «Intelligente a citare il cibo, ottima strategia per convincermi ad alzarmi!». Buttò di lato le coperte e si mise in piedi. Un occhio meno attento e allenato del suo non avrebbe notato lo sguardo fuggevole con cui Steve accarezzò le sue spalle prima di tornare in cucina.

Dopo quella che Bucky non sapeva se fosse stata una colazione spaventosamente tarda o una cena anticipata, fu letteralmente trascinato da Steve fino a Brooklyn; non gli dispiacque affatto essere preso per mano quando l’amico pensava che stesse camminando troppo piano e notò con piacere che non era più come una volta in cui un gesto del genere tra due uomini era considerato sconveniente. Steve sembrava intenzionato a godersi il tepore della sua mano il più a lungo possibile e non la lasciò andare per un pezzo.

Steve aveva sempre amato le tradizioni, in particolare il Natale, e aveva sempre adorato esplorare le zone meno conosciute della città piuttosto che quelle più trafficate, quindi lo portò a vedere gli addobbi di Dyker Heights. Il quartiere non era enorme, ma Steve aveva tutta l’intenzione di non perdersi una sola lucina, fermandosi con l’espressione meravigliata di un bambino davanti a ogni casa. Passarono tre ore tra angeli, ghirlande, fiocchi di neve giganti, renne e campane multicolori. Steve chiese estasiato: «Che ne dici?».

Bucky rispose: «Stupendo! Altro che mega albero di Natale di Rockefeller Center con la pista di pattinaggio!».

«Nel ’36 quando è stata inaugurata la pista non avevamo abbastanza soldi per andarci!» ricordò Steve.

Bucky colse la palla al balzo: «Confessa: lo dicevi solo perché avevi paura che non saresti stato capace di reggerti in equilibrio sul ghiaccio!».

A Steve sfuggì una risata e Bucky pensò che aveva un suono più allegro delle campanelle che dondolavano sugli alberi addobbati attorno a loro.

Tornati a casa, Bucky si rese conto che l’appartamento offriva un pietoso confronto con il tripudio di addobbi che avevano appena visto; loro erano sempre in missione e non c’era stato il tempo, e da parte sua, a dirla tutta, nemmeno la volontà, di far entrare un po’ di spirito natalizio. Sapeva che non doveva dimostrare nulla a Steve, ma avrebbe dato qualsiasi cosa per rivederlo così felice. Quindi, il giorno dopo si alzò presto e, biascicando delle scuse affrettate all’amico, si avviò verso una zona dove sapeva esserci dei mercatini; non aveva bene idea di cosa comprare, ma l’occhio gli cadde su una scatola ingiallita dall’aria particolarmente vecchia in cui facevano bella mostra di sé sei palline rosse. Ne prese una e la rigirò nella luce: gli ricordava tanto quelle che Sara, la madre di Steve, tirava fuori dal sottoscala dopo il Ringraziamento per addobbare l’albero. Lui e Steve, dopo infinite raccomandazioni sulla necessità di maneggiarle con cura, avevano il permesso di appenderle ai rami insieme a tutte le altre decorazioni.

Il venditore si affrettò a profondersi in spiegazioni: «Queste sono un pezzo d’epoca, sono degli anni ’30! Sono di vetro argentato! Veniva soffiato in due strati e poi argentato tra i due con una soluzione liquida e poi sigillato. Originariamente il mercurio era utilizzato per fornire lo stato riflettente negli specchi, ma è stato usato anche per le palline di Natale!».

Bucky non chiese nemmeno il prezzo e disse che le avrebbe prese subito. Passò tutta la mattina cercando tra le varie bancarelle ciò che riaccendeva in lui vecchie memorie: trovò uccelli colorati con le lunghe code in fibra di vetro e una pinzetta di ferro al posto delle zampe con cui li si poteva fissare ai rami; campanelle di latta, alcune un po’ ammaccate che suonavano in modo sordo, palline decorate a mano di ogni foggia e forma, e gocce di vetro che proiettavano ovunque piccoli arcobaleni. Dovette adattarsi a prendere dei festoni moderni, ma che comunque davano l’effetto che desiderava creare, e non si scordò delle candele. Per ultimo scelse un albero vero e chiese che lo consegnassero direttamente a casa.

Quando Steve lo vide tornare con i festoni che spuntavano dalle sporte svelando di che tipo di acquisti si trattasse, sollevò le sopracciglia per lo stupore, ma quando fissò il volto arrossato dall’aria gelida e gli occhi luccicanti dell’amico distese all’istante l’espressione; lo vedeva di rado così rilassato e in quel momento gli sembrò che fosse tornato lo stesso attraente ragazzo che lo tirava fuori dai pasticci per trascinarlo subito dopo in qualche rocambolesca avventura. Aprirono insieme le scatole e appena arrivò l’albero lo misero in soggiorno per addobbarlo.

«Mi sto divertendo come quando eravamo bambini! - disse Steve appendendo una pallina decorata con brillantini rossi - Solo che l’albero mi sembrava molto più grande...».

«Eri tu a essere più piccolo!» rispose Bucky drappeggiando un festone.

Prendevano le palline con calma, una alla volta, come se nelle loro orecchie echeggiassero ancora le raccomandazioni di Sara sul fare attenzione a non romperne nessuna. Una volta che ne rimase una soltanto, mossero istintivamente le mani nello stesso momento per afferrarla, si scontrarono e ingaggiarono una breve schermaglia con le dita per decidere chi dovesse prenderla. Bucky fu più veloce, ma fu intimamente convinto che Steve lo avesse lasciato vincere, così la prese e la allungò al padrone di casa perché la mettesse lui sull’albero.

Poi Steve si allontanò per ammirare la loro opera: «Hai fatto bene a prendere le candele! Alcuni dei nostri amici avevano dei fili di luci colorate, ma l’elettricità costava molto e così noi abbiamo sempre preferito usare le candele!». Girò attorno all’albero e poi aggiunse: «Però manca qualcosa: i biscotti di pan di zenzero!».

Bucky si passò una mano tra i capelli: «Tua madre li cucinava, noi la aiutavamo a impastare e con le formine e in casa c’era quel buonissimo profumo speziato».

«Non è troppo tardi: cerchiamo la ricetta su internet, andiamo al negozio vicino a casa e compriamo gli ingredienti e gli stampini. Potremmo provare a farli!» propose Steve.

Bucky approvò: «Sarebbe un po’ come lei fosse con noi!».

Un’ora più tardi stavano impastando con troppa foga gli ingredienti: zenzero, farina, chiodi di garofano, noce moscata, cannella, zucchero, burro, uova, sale e miele. Stesero la pasta e ritagliarono i biscotti con le formine, poi infornarono. Alla fine la cucina aveva un aspetto peggiore dei campi di battaglia su cui erano soliti combattere. Attesero che i biscotti fossero pronti, assaporando il profumo dei ricordi man mano che si cuocevano e poi fecero la glassa per decorarli. Steve se la cavava molto bene disegnando bordi e ricami, ma Bucky strinse troppo forte la sac à poche e se la fece esplodere tra le mani riempiendosi di glassa. Entrambi scoppiarono a ridere.

«Datti una ripulita!» disse Steve lanciandogli uno strofinaccio.

Bucky se lo passò sulle mani eliminando la glassa, poi sollevò lo sguardo: «Grazie, Steve. Davvero. Per tutto. Per avermi fatto venire a vivere qui. Per questa giornata. Mi sembra che abbiamo messo insieme tanti piccoli pezzi per riappropriarci di una parte del nostro passato nel nostro presente».

Steve sentì un misto di commozione e gioia agitarsi nel petto e lo abbracciò forte: «Mi piace l’idea che un momento di noi possa aver attraversato indenne i decenni ed essere tornato qui in qualche modo trasformato da quello che siamo ora. Sono felice che tu ci sia, tu meriti tutto questo». Poi, di malavoglia, si staccò e chiese: «E adesso cosa vuoi fare? Di solito passavamo le serate io a disegnare e tu a sentire la musica alla radio...».

«E se volessi fare una cosa che non ho mai fatto prima della guerra?» domandò Bucky inclinando la testa accennando un sorriso sghembo con cui cercava di nascondere la trepidazione.

«Cosa?» chiese Steve non osando sperare.

Per tutta risposta, Bucky lo baciò sulle labbra.

 

 

 

 

NdA

Buone feste a tutti!

Il prompt è di Lyanna e la fic è per lei. Mi sono divertita un sacco a documentarmi sugli addobbi degli anni ’30 e ’40. Bucky e Steve si sarebbero meritati un finale pieno di dolcezza e non quella cosa inguardabile degli ultimi minuti di Endgame, secondo me. Spero che la mia piccola fic vi piaccia! Vi lascio il link del gruppo: https://www.facebook.com/groups/2271305943091413/

Se lo spirito natalizio vi ha portato tanto amore e vorrete lasciarmene uno con una recensione sarò molto felice!

 

   
 
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