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Autore: Harry Fine    31/12/2019    3 recensioni
Una guerra terrificante si svolgerà presto sulla Terra. Ma i nemici da combattere sono tutto fuorchè convenzionali. Non sono esseri umane, ma macchine provenienti dallo spazio capaci solo di distruggere tutto quello che trovano sulla propria strada. E per sconfiggerle sarà necessario un esercito altrettanto nuovo, letale e pronto a tutto. L'esercito degli androidi Yorha, composto da valorosi volontari. Ma davvero ne varrà la pena?
Genere: Avventura, Guerra, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: Threesome
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Il cielo sopra il carcere di Chicago era calmo, bianco e nuvoloso, come sempre, mentre la città era avvolta nella solita routine. Le macchine si susseguivano veloci sulle strade e, attraverso le sbarre della sua finestra, un ragazzo sui ventuno anni alto e ben piazzato osservava lo spettacolo.

Aveva i capelli castano ramati ribelli, occhi grigi annoiati e la pelle olivastra, che stonava con l’arancione brillante della sua divisa da carcerato.

Si chiamava King Evans, nome che aveva sempre trovato ridicolo, ed era rinchiuso in quel buco di prigione da quasi sei anni ormai per possesso e spaccio di droga.

Ai tempi del suo arresto era a malapena un ragazzino di quindici anni, cencioso e sporco come tutti quelli che provenivano dai bassifondi, che si appoggiava agli stupefacenti per fare un po' di soldi o dimenticare. Ma questo non aveva impedito agli agenti di prenderlo e portarlo davanti alla Corte, che non aveva mostrato pietà.

La giustizia mondiale si era fatta molto dura negli ultimi anni e anche sgarri minimi venivano puniti in maniera esemplare anche se a commetterli erano persone giovanissime, mentre molti dei criminali peggiori venivano semplicemente condannati a morte e basta. Ma lui in quel momento era felice.

Mancava davvero molto poco, cinque mesi circa, e finalmente la sua pena si sarebbe conclusa e lui sarebbe uscito da quel buco. Solo che un colpo contro la porta lo distolse dai suoi pensieri.

《Evans, vieni. È il momento della tua ora d'aria.》 Disse la guardia carceraria, un uomo corpulento con pochi capelli brizzolati e la mascella squadrata entrando nella cella.

Il ragazzo lo seguì con uno sbuffo; quel posto non gli sarebbe mancato. Faceva assolutamente schifo, sia per le pareti di granito spoglie, sia per il cibo, che sembrava fatto con l’acqua del water, sia per il personale.

Tutti uomini e donne con un palo ficcato su per il culo incapaci di rilassarsi o staccare la spina se non prendendo a pugni o abusando in altri modi qualche detenuto troppo stanco o mentalmente sfatto per opporsi.

Aveva passato anni a sperare che cadessero dalle scale e tirassero le cuoia, così che potesse farsi quantomeno due risate, ma ultimamente continuava a ripetersi di avere pazienza. Ancora un altro po' e tutti loro e quella maledetta prigione sarebbero stati solo un ricordo da dimenticare.

Varcò insieme alla guardia il portone che dava sul cortile, un altro grande spazio brullo e grigio, recintato da un muro di cemento e acciaio dove i detenuti venivano portati una volta al giorno per passare un po' di tempo all'aria aperta.

Naturalmente non c'era nulla da fare nemmeno lì, se non trasportare rocce o materiali per fabbriche di vario tipo per tutto il tempo, ma a lui andava bene solo stare seduto e non respirare la puzza di chiuso e stantio della sua cella.

Quel giorno poi c'erano pochi detenuti lì con lui, giusto un paio di uomini adulti pieni di tatuaggi, un quartetto di detenuti più anziani e un tipo poco più grande di lui con un piercing al sopracciglio. Gli altri dovevano ancora essere tutti dentro.

Recentemente moltissimi di loro stavano venendo chiamati a tutte le ore dalle guardie per andare a fare chissà che: durante i pasti, o al pomeriggio, persino di notte e di mattina presto si sentivano porte aprirsi e persone camminare per i corridoi;

Si era chiesto più volte che cosa stesse succedendo, visto che alcuni non erano nemmeno tornati dopo, ma si ripeteva che semplicemente la polizia doveva aver avuto bisogno di sentire di nuovo la loro versione per qualche indagine o che i sorveglianti li avevano beccati a fare qualcosa di sbagliato e roba simile.

Ma non erano affari suoi. Tutto quello che doveva fare lui era continuare a resistere per quei mesi che mancavano e poi sarebbe stato libero di tornare alla sua vita di prima…..

Solo che poi iniziò a sentire qualcosa che lo distrasse nuovamente: una sorta di… ronzio metallico? Era molto basso, ma stava via via aumentando il proprio volume e sembrava provenire proprio da sotto i loro piedi.

《Ehi, lo sentite anche voi questo rumore?》 Chiese il ragazzo col piercing con aria confusa, facendo annuire tutti i presenti che si avvicinarono per sentire meglio.

Ad un certo punto una crepa si aprì nell'asfalto davanti a loro e la punta di quella che sembrava una trivella iniziò ad emergere dal terreno fino a quando non aprì un fosso grosso quanto una persona.

E come se quello non fosse già abbastanza strano, la cosa che la reggeva era sicuramente bizzarra: una specie di robot alto circa un metro e trenta dal corpo cilindrico e una testa tonda senza naso ne bocca.

King e gli altri uomini rimasero fermi a fissarlo per circa due secondi con aria confusa. 《Ma che diamine…?》 Provò a chiedere l'uomo tatuato più alto, ma il robot saltò così veloce da non essere quasi visto e un attimo dopo la trivella si conficcò nel suo cranio.

L'urlo seguente fu soffocato dal ronzio dell'arma che ridusse la sua testa in poltiglia e fece crollare il corpo per terra davanti agli altri, creando una macchia rossa sul nero dell'asfalto.

King rimase immobile a fissare quello spettacolo ad occhi sbarrati per il terrore. Lo aveva ammazzato. Quella macchina gli aveva spaccato la testa senza esitare! Ma si riprese appena sentì il terreno spaccarsi ancora e ancora.

Decine di quelle cose saltarono fuori dal terreno, iniziando a muovere le loro armi simili a mannaie, lance e asce improvvisate contro di loro uccidendo altri due uomini, e tutto quello che lui potè fare fu iniziare a correre.

Ignorò le urla di aiuto degli altri detenuti, ignorò il suono dell'asfalto sfaldato e anche quello dell'allarme generale, si limitò semplicemente a continuare a scattare verso l’entrata della prigione. Non aveva ancora la minima idea di cosa stesse succedendo, ma non aveva intenzione di rimetterci la pelle pure lui!

Sentì uno sparo e un proiettile rimbalzò sul corpo di una delle macchine che lo stavano inseguendo.《Abbattete quei cosi! Non importa capire cosa sono, ci stanno attaccando. Fateli fuori!》 Iniziò ad urlare una guardia, uscita insieme ad altri suoi colleghi a causa del trambusto.

Il ragazzo digrignò i denti appena capì che non si erano neanche preoccupati di poterlo colpire. Quei dannati idioti volevano aprire il fuoco su quegli ammassi di latta con lui in mezzo!

Solo che poi qualcosa di appuntito gli ferì un braccio e uno di quegli ammassi di ferraglia gli piombò quasi addosso, facendolo inciampare mentre si preparava a colpirlo. Lui strisciò via appena in tempo, mentre una pioggia di pallottole pioveva inutilmente sui loro misteriosi invasori, e si rifugiò all'interno più velocemente che poteva.

Si toccò la parte lesa e la sentì bagnata di sangue, ma non ebbe tempo di pensarci perché si accorse subito che l'intera prigione era nel panico: i sorveglianti correvano verso le balaustre delle scale con pistole alla mano e un'aria terrorizzata.

Quegli affari non erano solo fuori, si dovevano esser fatti strada nella prigione attraverso il sottosuolo. Infatti Vide delle macchine risalire le scale dei piani inferiori, squartando qualsiasi cosa o persona gli capitasse davanti con le loro armi.

Moltissimi uomini giacevano a terra in pozze rosse e stavano venendo calpestati come se nulla fosse, inoltre i tentativi delle guardie di distruggerli o anche solo rallentarli si stavano rivelando completamente inutili.

Le loro pallottole gli rimbalzavano addosso senza fargli nulla e questo rendeva vano anche il presunto vantaggio di avere la capacità di fare fuoco da lontano.

King vide arrivare di corsa il capo della prigione, un uomo di colore estremamente alto, muscoloso ed imponente con una barba ispida e nera striata di grigio come i suoi capelli, ora imbrattati di sangue a causa di una vistosa ferita sulla tempia. Doveva aver incontrato anche lui una di quelle macchine.

《Chiudete immediatamente tutti gli accessi ai piani inferiori e alle zone esterne, presto! Dobbiamo impedirgli di salire ancora più in alto!》 Ordinò ai suoi uomini, che corsero a sigillare le entrate, ma tutti sapevano che non avrebbero retto a lungo.

《Signore, che facciamo con tutti gli uomini e i detenuti di quei livelli?》 Chiese uno dei custodi più giovani, ascoltando pallidissimo i colpi incassati dalle porte.

 

《Sono già morti a questo punto. E chi non lo è lo sarà presto. Ora la priorità è evacuare la prigione. Dobbiamo metterci in salvo e poi capire che cosa succede e come reagire.》 Rispose lui secco, per poi guardare King e prenderlo per il colletto 《Che è successo lì fuori? Parla!》

《Io giuro che non lo so! Quei cosi sono spuntati fuori dal terreno e hanno iniziato ad attaccarci. Non ho la minima idea di che cosa diamine siano né cosa vogliano!》 Rispose lui, venendo mollato in malo modo poco prima che un’altra dipendente arrivasse trafelata.

《Direttore! È un disastro! Un vero disastro!》

《Cosa ci può essere di ancora più disastroso di questo!?》 Urlò lui.

 

《Il fatto Che sta succedendo in tutta la città.》 Rispose lei, mostrandogli il tablet che aveva in mano. In azione c'era la scena in diretta al telegiornale: tantissime macchine stavano attaccando in tutta la città, distruggendo le strade e gli edifici e attaccando ogni singolo umano che gli capitava a tiro, sporcando l'asfalto di sangue e non facendo distinzioni.

Il direttore sgranò gli occhi davanti a quella visione; Non era solo il carcere ad essere stato preso d'assedio, ma l'intera Chicago!

King si avvicinò verso di loro e quando vide anche lui la diretta non seppe davvero se ridere per la sua sfortuna o picchiare il muro. Mancavano solo cinque mesi alla fine della sua pena, e proprio adesso dei robot impazziti sceglievano di mandare tutto a quel paese!

《Che cosa facciamo direttore?》 Chiese nuovamente la donna.

《Non ha senso restare qui ormai. Dobbiamo prendere i detenuti e andare via.》

《Dove esattamente? L'intera città è stata presa d’assedio! Verremo ammazzati!》 Rispose il ragazzo, ricevendo solo un'occhiataccia.

 

《Tanto moriremo in ogni caso. Quei cosi sono entrati anche qui dentro! E poi, tu devi solo stare zitto. Tutti voi detenuti verrete messi in camion blindati per essere portati in salvo e poi ci dirigeremo in una postazione sicura.》

Il ramato lo fissò un attimo senza sapere che dire; alla malora la pazienza, quel cretino li avrebbe gettati tutti in pasto ai lupi!

《Quale sarebbe una postazione sicura se tutta la città è sotto assedio? Siete matti!》 Una vena si gonfiò sulla fronte già rossa dell'uomo, che gli avrebbe sicuramente rifilato un cazzotto se un’altra persona non si fosse messa in mezzo con la sorpresa di tutti.

Era un bell’uomo sulla trentina, efebico, sottile e dai corti capelli biondi raccolti in un codino. Indossava un camice da laboratorio e si era posizionato proprio davanti a King senza fare una piega. 《Signor direttore, non mi sembra il caso di tenere un simile comportamento nei confronti di questo ragazzo. Credevo che ne avessimo già parlato.》

《Questo ragazzo, come tutti quelli che avete intenzione di reclutare, Dottor Ishley, è un criminale. Un semplice drogato che solo perché si trova in una situazione nuova si sente in diritto di contestare la mia autorità.》

L'altro si limitò ad alzare un sopracciglio. 《La situazione ormai è diversa, direttore. Come le avevo già annunciato, non c’è modo di fermare le biomacchine con le armi a vostra disposizione e nessun umano può competere con loro. È arrivato il momento di dare inizio al progetto per cui l'abbiamo contattata.》

 

King non ci stava capendo un accidenti di tutta quella conversazione, però sembrava che il biondino spuntato dal nulla sapesse di cosa stava parlando… fin troppo addirittura. Era esageratamente calmo per essere uno chiuso in una prigione sotto assedio.

L'uomo più alto, d'altro canto, sembrava sul punto di avere un infarto, ma poi si rilassò e annuì, dando subito l’ordine di portare via immediatamente tutti i prigionieri e di recarsi di sotto tramite un accesso secondario.

King venne trascinato insieme agli altri giù per le rampe delle scale, sentendo che i colpi ricevuti dalle porte si stavano facendo sempre più insistenti, segno che presto i loro “invasori" sarebbero entrati.

Alla fine della scala, fortunatamente sgombra, si ritrovarono dentro una specie di enorme garage dove erano stipati decine e decine di camion blindati su cui tutti loro furono caricati E che partirono un attimo dopo a tutta velocità.

Ovviamente nessuno dei carcerati aveva la minima idea di dove diavolo stessero venendo portati: molti di loro erano ancora in preda allo shock per aver visto altre persone venire squartate in quel modo, cosa abbastanza ironica visti quanti assassini erano tra loro, e altri continuavano semplicemente a guardarsi attorno nervosi.

Ironicamente, durante il viaggio King si ritrovò a sedere proprio accanto al dottore biondo, sempre calmissimo, che addirittura si voltò verso di lui con un sorriso. 《Sei stato bravo lì fuori, non avrei mai pensato che una persona potesse sfuggire ad una biomacchina》

Lui, preso in contropiede, si limitò ad una risposta secca. 《Tutta fortuna.》

L'altro ridacchiò, lasciandolo interdetto, e dicendo qualcosa sul fatto che sarebbe stato interessante osservarlo, chiarendo nella sua testa una cosa: quel tipo non gli piaceva.

I suoi modi affettati, la sua calma perenne, quella inquietante scintilla di interesse nei suoi occhi… tutto ciò, specie se sommato a quella conversazione senza senso col direttore, non gli comunicava nulla di buono. Era come se stesse assistendo ad un semplice esperimento, non ad un'invasione di macchine assassine sconosciute!

Per un attimo si chiese se lui e tutta quella faccenda non c'entrassero qualcosa con il continuo richiamo di detenuti e la sparizione di alcuni di loro, ma dei colpi contro le pareti del camion e delle urla che provenivano dall'esterno lo distrassero.

Erano lì fuori. Quelle macchine erano lì fuori e, oltre a commettere una vera strage, li stavano inseguendo! Sentì il mezzo sbandare più volte e prendere delle curve a velocità folle, mentre i rumori della città sotto assedio non si fecero sempre più ovattati.

《Dove stiamo andando?》 Si azzardò a chiedere al giovane dottore.

《Lo scoprirete presto, non manca molto.》 Rispose lui laconico, dandogli di nuovo quella sensazione di antipatia.

 

Scesero di colpo per una strada liscia, poi li fecero scendere tutti in un altro spazio molto molto ampio, solo che stavolta le pareti erano candide e stranamente ben decorate. Inoltre sembrava un edificio moderno… per quel poco che King riuscisse a vedere.

《Benvenuti al Bunker, signori. Quello che presto sarà una casa per voi. Voi che molto molto presto sarete parte integrante dell'esercito che sconfiggerà le biomacchine.》 Disse il Dottor Ishley tra lo sbigottimento generale.

   
 
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