Smaointe ar an la
Smaointe, ar an la
raibh sibh ar mo thaobh
Ag inse sceil
Ar an doigh a bhi
Is cuimhin liom an la
Gan gha 's gan ghruaim
Bigi liomsa i gconai
La 's oich'
La roccia bruna su cui
siedono è ancora umida dopo la mareggiata notturna, che lenta si sta ritirando
verso l’orizzonte, lasciando spazio ad un pallido sole che timidamente rischiare i volti tesi dei due ragazzi, apparendo quasi più frutto
dell’immaginazione che qualcosa di realmente visibile agli sguardi tesi dei due ragazzi.
Seamus si arrischia a guardare
Dean, muto e corrucciato, con gli occhi scuri persi tra le onde grigie dell’Atlantico:
la mattina successiva sarebbero dovuti salire per l’ultima volta sull’Espresso
alla volta di Hogwarts, pronti per iniziare insieme il loro ultimo anno.
Ma i corsi e ricorsi della vita
avevano virato prendendo bruscamente la volta della burrasca e trascinando l’intera barca
del mondo magico in un ciclone del quale Seamus, pur imponendosi di aggrapparsi ad una qualsiasi anche flebile speranza, non riusciva a vedere una fine.
Dean, con solamente quel piccolo zaino di
pelle che giaceva nel prato smeraldino alle loro spalle con sé, doveva
scappare, latitante dopo aver commesso l’adesso imperdonabile reato di non essere
nato da maghi; aveva pensato inizialmente di sparire silenziosamente, di non
lasciare tracce del proprio passaggio, ma, dopo nemmeno un’ora dall’inizio
della sua fuga, Dean si era perso a guardare la sabbia smunta e fangosa lungo una
spiaggia dell’Essex su cui era approdato pensando che no, non aveva nemmeno un decimo delle sfumature
che danzavano tra i capelli di Seamus.
E ora, seduto su quella
scogliera a Mullaghore, non aveva nemmeno il coraggio
di guardarlo Seamus, nonostante sentisse il suo sguardo chiaro fisso su di sé.
Come si fa a dire addio a qualcuno?
Quello non era il genere di maledizione che insegnavano sui banchi di scuola,
faceva parte dell’apparentemente interminabile lista di cose che devi
imparare da solo quando improvvisamente diventano necessarie. E se poi quel
qualcuno è Seamus, che non è mai stato solo un amico qualunque e
certamente è qualcosa più di un fratello, sembra quasi impossibile esprimere a
parole quanto faccia male la prospettiva di non rivederlo per un periodo di
tempo indefinito. Se non poi per sempre, si costringe ad ammettere a sé stesso, deglutendo a fatica.
Il moro sobbalza quando
percepisce la mano di Seamus posarsi sulla sua spalla e stringerla, artigliandola
con tanta forza quasi da graffiargli la clavicola, e sono proprio quelle dita
che tremano nonostante l’evidente tentativo di rimanere salde, a convincerlo:
senza concedersi il tempo di riflettere si volta di scatto, fa correre le mani
ai lati del volto dell’amico e, incurante di qualunque remora, lo bacia.
Seamus trattiene il respiro,
staccando la mano dalla spalla dell’altro come se si fosse scottato, ma l’incertezza
dura solo un paio di secondi, prima che si aggrappi alla felpa blu scura e scarlatta
del West Ham, schiudendo le labbra e rispondendo con
foga quasi disperata a quel bacio. Mentre le loro lingue danzano,
intrecciandosi in una giga frenetica, a nessuno dei due passa per la mente di
fermarsi a riflettere su cosa voglia effettivamente dire quel bacio, perché in
quel momento appare evidente che non ci potrebbe essere nulla di più giusto che
starsene lì, su quella roccia dura e umida a baciarsi a strapiombo su un futuro
incerto e tempestoso.
È solo la mancanza quasi
dolorosa di fiato che li convince ad abbandonare l’uno le labbra dell’altro;
rimangono fermi, le fronti unite e gli occhi chiusi mentre i petti si abbassano
e alzano velocemente, sincronizzati anche in quella frenetica e disperata ricerca di aria.
«Tabhair
aire duit féin» sussurra dopo un po’ Seamus con voce roca, ancora
senza aprire gli occhi e Dean, che pur non conosce quella lingua, cullato dal
tono carico di apprensione dell’irlandese, annuisce contro la sua fronte,
stringendo con forza le proprie dita in quei capelli color sabbia che non vorrebbe
mai lasciar andare.
Cos’ho scritto? Non lo so. Di chi è la colpa? Direi un buon
50 e 50 tra Enya e la “Challenge delle Sei Coppie”
indetta da GiuniaPalma sul forum EFP, a cui questa
piccola storia partecipa come “slah/femslah”. Infine, la malinconia che mi ha spinto ad
ascoltare Enya credo sia imputabile al mio essere in
sessione, che in effetti potremmo definire come la causa suprema di tutto ciò.
Trad: Ripenso al giorno / in cui
tu eri a fianco a me / a raccontare una storia / della vita passata / Ricordo il
giorno / senza mancanze e senza malinconia / sii sempre con me / giorno e notte.
È l’ultima strofa di Smaointe, una canzone in gaelico
irlandese di Enya. Il testo è piuttosto malinconico e
triste, come penso abbiate intuito, e ha un po’ ispirato l’intera storia; vi
consiglio vivamente di andarla ad ascoltare o in generale di ascoltare qualunque
cosa sia stata generata dalle divine corde vocali di Enya.
Siamo verso la fine dell’estate del 1997, quando
il Ministero della Magia è appena caduto nelle mani di Voldemort che,
presumibilmente, coincide con il periodo in cui Dean Thomas, che supponeva di
essere nato babbano, si è dato alla macchia. Ho voluto immaginare che, prima di
partire, sia voluto passare a salutare, per quella che poteva essere l’ultima
volta, Seamus in Irlanda.
Tabhair aire duit
féin: abbi cura di te.
Em