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Autore: Soul of Paper    05/01/2020    6 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 11 - La Realtà


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


“E si è fidanzata!! Con uno che studia per fare l’attore e intanto lavora in un bar. Che, figurati, la fame le farà fare, se mai si sposano! Le toccherà mantenerlo, povera figlia!”

 

“Diana, mi sembra di sentire mia suocera. Capo primo, tua figlia di anni ne ha diciannove e dubito proprio si voglia sposare con questo tizio a breve. Capo secondo, come dici tu lavora per mantenersi, che è già qualcosa.”

 

“Voglio vedere se venisse tua figlia a dirti che sta con uno che si crede il futuro Marlon Brandon!”

 

“Diana, dubito pure che quel ragazzo sappia chi sia Marlon Brandon. Ma poi a te non piaceva il mondo del cinema? Preziosi, Zingaretti…” la prese in giro, mentre finiva di sistemare i fascicoli che aveva abbandonato malamente sulla scrivania prima di natale.

 

“Appunto, il cinema, la televisione! Non il teatro a Londra!” si lamentò, abbattendosi sulla sedia di fronte alla sua scrivania, “e voglio vedere se ci fosse Valentina al posto di Cleo.”

 

“Eh beh, certo, o l’Oscar o niente. E comunque, a me basta che Valentina stia con un bravo ragazzo che sia onesto, le voglia bene, la renda felice e abbia voglia di lavorare, di qualsiasi mestiere si tratti.”

 

“Chi sei tu e che ne hai fatto di Imma Tataranni?”

 

“Guarda che quella che ha le velleità da gran signora per Valentina è sempre stata solo mia suocera. Valentina deve realizzarsi col suo di lavoro, non tramite quello del suo fidanzato o marito o quello che sarà.”

 

“Eh beh… certo… mo capisco perché la pensi così…” si lasciò sfuggire Diana ed Imma strinse gli occhi, mentre un senso di nervoso profondissimo la colse: nonostante tutto quello che stavano passando lei e Pietro, quel genere di commenti era il modo migliore per farla diventare una belva.

 

“Che vuoi dire, Diana?” le chiese con un tono che avrebbe fatto tremare pure il papa ed infatti la cancelliera aveva l’aria di chi voleva scavare una buca nel pavimento e finire direttamente in Australia.

 

“Niente, Imma… che voglio dire… niente, io… forse è meglio se-”

 

Il rintocco di nocche sulla porta fece tirare a Diana un sospiro di sollievo. Imma valutò se lasciarla svicolare o tenerla ancora un po’ sulla graticola, ma poi la curiosità di sapere chi fosse che osava cercarla già alle nove e un quarto del sette gennaio prese il sopravvento.

 

“Avanti!”

 

“Dottoressa, disturbo?”

 

Il cuore le finì dritto in gola già solo a sentire la sua voce, figuriamoci a vederlo, con la giacca di pelle, il maglione a collo alto ed un paio di jeans. Ogni volta che si rincontravano dopo un periodo di lontananza le sembrava più bello e non sapeva come fosse possibile.

 

“Calogiuri! Ma che disturbi! Fossero questi i disturbi!” rispose, citando involontariamente uno dei suoi sogni migliori - o peggiori - riguardanti il maresciallo, “vieni, accomodati! Hai fatto buone vacanze?”

 

Vide con la coda dell’occhio Diana che si alzò dalla sedia e si avviò quatta quatta verso il suo ufficio. La lasciò andare perché le conveniva, ma non prima di gridare, “Diana, voglio che mi risistemi tutti i fascicoli del maxiprocesso, che dopo mi serviranno.”


Era un lavoro rognoso e lo sapeva, ma almeno la sua cancelliera avrebbe imparato a riflettere prima di fare certe affermazioni.

 

Diana la guardò per un attimo, con l’aria di chi voleva dire qualcosa, ma poi abbassò il capo e sospirò un, “sì, dottoressa!” che le fece capire che sapeva benissimo di esserselo meritato.

 

“Ho fatto un bel viaggio a Barcellona, ma ammetto che il lavoro mi mancava, dottoressa,” rispose Calogiuri, con un tono che palesava che non parlasse affatto solo del lavoro, “e voi? Passate buone vacanze?”

 

“Una meraviglia, Calogiuri! Meno male che il sette gennaio arriva per tutti,” commentò Imma, sarcastica, non provando nemmeno a fingere che fossero state piacevoli per lei, “avevi bisogno di qualcosa?”

 

Calogiuri esitò, con l’aria di chi stava cercando di inventarsi una scusa di sana pianta, probabilmente più per le orecchie di Diana che per altro, “in realtà volevo sapere se oggi avevate bisogno di me, dottoressa.”

 

Ad Imma per poco scappò da ridere, perché aveva bisogno di lui come l’aria ma non solo quel giorno, ma tutti i santissimi e dannatissimi giorni, “vorrei fare un po’ il punto delle prove che abbiamo in mano sul maxiprocesso, Calogiuri, visto che il caso con La Macchia grazie al cielo è risolto. Dopo che Diana avrà finito di riordinare tutti i fascicoli possiamo metterci al lavoro, direi nel pomeriggio.”

 

“In realtà pensavo di rientrare un po’ dopo, dottoressa, perché devo sbrigare un paio di commissioni durante la pausa pranzo. Per voi è un problema?” le chiese Calogiuri, lanciandole un occhiolino che era un chiarissimo messaggio in codice ed un invito.


“No, Calogiuri, anzi, facciamo che ne approfitto anch’io per sistemare un paio di cose, e recuperiamo poi in serata. Va bene?” gli chiese, ricambiando l’occhiolino, senza farsi vedere da Diana.

 

Il sorriso di Calogiuri, ne era certa, era lo specchio perfetto del suo.

 

Dio, quanto le era mancato!

 

*********************************************************************************************************

 

“Vuoi-”

 

Non gli diede nemmeno il tempo di finire la frase: diede un calcio alla porta alle sue spalle per farla richiudere e se lo baciò, ancora incappottata com’era, con la frenesia di due settimane di arretrati e desideri repressi.

 

Calogiuri barcollò per un attimo ma poi le tenne testa, come solo lui in fondo sapeva fare, rispondendo con altrettanto vigore e quasi con disperazione.

 

Alla cieca, iniziarono a muoversi a tentoni verso la sala, quando improvvisamente udì un boato tremendo e poi si sentì tirare verso il pavimento. Si preparò ad un impatto che però in gran parte non venne: Calogiuri le aveva riparato la caduta con il suo corpo, sul quale era caduta rovinosamente.

 

Si guardò intorno e realizzò che era inciampato su una valigia, schiantatasi a terra con loro sopra.


“Ti sei fatto male?” gli chiese, preoccupata, cercando i suoi occhi e la sua espressione un po’ dolorante, “hai picchiato la testa?”

 

“No, no, tranquilla. Sono abituato alle cadute, dall’addestramento, ho solo picchiato un po’ il gomito ma non dovrei essermi rotto niente. Vedi?” la rassicurò, mostrandole che riusciva a muovere le giunture, mentre lei tirò un sospiro di sollievo.


Si guardarono per qualche istante e poi, senza potersi più trattenere, scoppiarono a ridere.

 

“E poi ero io ad essere pericoloso!” la prese in giro e lei gli colpì leggermente il petto.

 

“Non è colpa mia se lasci le cose in giro, Calogiuri. Che non è da te, oltretutto. Ma poi è una valigia enorme. Che ti sei portato dietro a Barcellona? Tutta la casa?” lo sfottè a sua volta, anche se era onestamente curiosa, tirandosi in piedi per consentirgli a sua volta di alzarsi.

 

“Ma no, ma mica è di Barcellona. Sono le cose che mi ha dato mia madre, ma non ho abbastanza spazio in frigorifero e negli armadi e quindi le tengo in valigia, fino a che capisco che farne,” le spiegò, aprendo la valigia e mostrandone il contenuto: un misto di salumi, formaggi stagionati e frutta da sfamarci letteralmente un reggimento.

 

“Puoi aprire una gastronomia, Calogiù,” ironizzò, anche se le prese uno strano senso di commozione di fronte a tanta premura materna, “meno male che non abbiamo rovinato niente. La frutta pare ancora buona.”

 

“Sì, per fortuna avevo già tolto le bottiglie di limoncello che fa mio padre. Se no potevo buttare tutto, a parte avere odore di limone e alcol in casa per mesi e-”

 

“I limoni!!” lo interruppe, dandosi un colpo in fronte: come aveva fatto a scordarselo?!

 

Grazie alla pin-up, Imma: quando qualcuna fa gli occhi dolci a Calogiuri, tu non ci capisci più niente! - le ricordò la Moliterni, che ormai aveva scalzato Diana nella pole position di voce irritante della sua coscienza.

 

“Come?”

 

“Mi sono dimenticata! Quando c’è stato l’omicidio a Rotondella, ero venuta a cercarti per dirti che sulla stilografica di Bruno, quella con la quale ha scritto la busta indirizzata a me, erano state ritrovate non tracce di inchiostro, ma di limone. Potrebbe essere un detergente, ma mi pare strano. A me ricorda qualcosa, ma che cosa?” gli chiese, mentre lui passava dallo sbigottimento ad un’espressione riflessiva, per poi illuminarsi che nemmeno Las Vegas di notte.

 

“Mi è venuta un’idea. Magari è stupida, ma… quando ero bambino, mio fratello, che era più grande, fece un anno negli scout della parrocchia. E gli avevano insegnato a scrivere i messaggi segreti col-”

 

“Col succo di limone, ma certo!” esclamò, dandosi mentalmente della scema, “e bravo, Calogiuri! Ma, se dici di nuovo che una tua idea è stupida, a terra ti ci faccio finire volontariamente, stavolta.”

 

“Non mi tentare, dottoressa,” le sussurrò, ed un brivido le corse a tradimento lungo la schiena. Per punizione gli diede un altro colpo sul petto, anche se faceva più male a lei che a lui.

 

“E quindi mo dobbiamo ricontrollare tutte le carte di Bruno, Calogiuri. Far verificare dalla scientifica se ci sono tracce di limone, o provare ad avvicinarle a una fonte di calore. Ma dove potrebbe aver scritto un messaggio del genere, se voleva farlo ritrovare?”

 

Di nuovo, ebbero uno di quei momenti perfetti, al limite dell’incredibile, in cui entrambi furono colti dalla stessa intuizione e seppero istantaneamente che fosse condivisa.

 

“Vuoi rientrare in procura per controllare subito, immagino?” le domandò con un sorriso, non deluso o esasperato, anzi, affettuoso, perché la conosceva bene, ma soprattutto la capiva, capiva quel fuoco che la coglieva quando incastrava un nuovo pezzo del puzzle, perché era anche il suo.

 

Ma, e questo invece era completamente inatteso, a dir poco senza precedenti, un fuoco più grande la consumava in quel momento, un fuoco che nemmeno una folgorazione degna di Sherlock Holmes avrebbe potuto sovrastare.

 

“Ha aspettato due mesi, Calogiù. Può pure aspettare un’altra ora, che ne dici?” gli domandò con un sorriso, sorprendendosi di se stessa tanto quanto ci rimase di stucco lui, che la guardava incredulo, come se gli avesse appena annunciato di volersi convertire ad un look total black, di quelli tanto cari alla Moliterni.

 

“E poi… ti dovrò pure ricompensare in qualche modo per l’intuizione, no?” gli sussurrò, come se non fosse una ricompensa pure per lei, anzi, soprattutto per lei, mettendogli le braccia intorno al collo e sorridendogli.

 

“Attenzione a creare precedenti pericolosi, dottoressa, perché potrei avere ottime intuizioni sempre più spesso,” le sussurrò di rimando, arrossendo dopo qualche istante alla sua stessa battuta.

 

“E allora vorrà dire che farò questo grande sacrificio per il bene della giustizia italiana, Calogiuri,” rise, trascinandolo in un altro bacio, prima di interrompersi a forza e ordinargli scherzosamente, “forse mo è meglio che andiamo in camera da letto, però, prima di finire al pronto soccorso.”

 

Per tutta risposta, si sentì prendere in braccio, cappotto e tutto, e lanciò un gridolino che manco le sembrava la sua voce.


“Agli ordini, dottoressa,” le sussurrò nell’orecchio, zittendo qualsiasi protesta con un altro bacio.

 

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“Mi sa che tra poco dobbiamo tornare al lavoro, Calogiuri, o stasera non finiamo più.”

 

“Te l’ho già detto, non mi tentare,” le sussurrò, prima di baciarle una tempia ed accarezzarle i capelli, provocando l’ennesimo brivido ed attacco di pelle d’oca.

 

La verità era che ci sarebbe stata all’infinito, accoccolata sul suo petto ad ascoltare il battito del suo cuore e tracciargli scie invisibili con la punta delle dita sulla pelle che si faceva ogni volta rosata al suo contatto.

 

Ma il dovere chiamava.

 

“Prima di andare però, ti devo dare una cosa,” proclamò Calogiuri, mettendosi a sedere, con lei ancora attaccata, armeggiando col cassetto del comodino, per poi produrne un minuscolo pacchetto regalo e porgerglielo, “un pensiero da Barcellona… è una cosa da niente ma…”

 

“Ma non dovevi, Calogiuri! Mi hai già fatto un regalo bellissimo, e non di certo economico, con le lezioni di equitazione,” gli ricordò, scuotendo il capo, anche se non potè trattenere un sorriso commosso nell’afferrare il pacchetto.

 

“Tra l’altro, ci tornerai, vero?”

 

“E certo che ci torno! Pensavo di andarci i giovedì quando… insomma posso stare fuori fino a tardi,” si corresse in corner, prima di nominare Pietro e le lezioni di sax, “allora, ci vieni con me o no?”

 

“E me lo chiedi pure?” esclamò, sorridendo come un bambino felice e dandole un altro bacio da levare il fiato, prima di alternare lo sguardo tra lei e il pacchetto e dirle, “allora, non lo apri?”

 

“Agli ordini, maresciallo!” proclamò, ironica, scuotendo il capo con affetto e scartando il pacchettino, producendone un piccolo astuccio, di quelli per i gioielli.

 

Per un attimo il fiato le si bloccò in gola, ma poi lo aprì e vide due orecchini a pendente, con un mosaico di quelli di Gaudì. Bellissimi ed assolutamente nel suo stile, anche se il resto del mondo li avrebbe forse giudicati troppo vistosi.

 

“Grazie mille… sono belli veramente, ma non dovevi,” si commosse, stampandogli l’ennesimo bacio, mentre pensava a come farli passare per un suo acquisto, o per un regalo di qualcun altro di meno compromettente, per poterli indossare nel futuro prossimo. Perché non voleva assolutamente lasciarli in un cassetto.

 

Se ti decidessi a darmi retta, non sarebbero solo gli orecchini che non dovresti più lasciare nel cassetto - le ricordò la voce della Imma interiore, che l’aveva accompagnata costantemente per tutti gli ultimi giorni di vacanza.

 

Ed il problema era che la prospettiva l’allettava sempre di più, pur terrorizzandola in egual misura.

 

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“Il momento della verità, Calogiuri. Fai attenzione o è la volta buona che ci sospendono a tutti e due.”

 

“Siete sicura di non voler chiamare gli agenti della scientifica, dottoressa?”

 

“Hai fatto le foto, mo facciamo partire il filmato e voglio vedere se possono dire che la prova non sia stata documentata a dovere. Sempre se non abbiamo preso un abbaglio.”

 

“Intendo per l’uso dell’accendino, dottoressa,” chiarì Calogiuri, con lo zippo già in mano ed un’aria tesa come raramente gliel’aveva vista. Non che non lo capisse: se avessero bruciato una prova, quella prova in particolare, era davvero la volta buona che si giocavano la carriera entrambi.

 

“Mi fido più di te che della scientifica, Calogiuri. Dai, forza, mano ferma. So che ce l’hai… almeno in certe circostanze,” gli sussurrò, per cercare di sdrammatizzare, facendolo diventare rosso fuoco e scoppiare in un attacco di tosse per la saliva che gli era andata di traverso.

 

“Non mi aiutate così, dottoressa,” proclamò, connotando il suo titolo con una nota sarcastica che trovò adorabile e di cui andò fiera. Perché suonava tremendamente da lei.

 

“Dai, Calogiuri, veloce! Che se no qui facciamo notte,” lo esortò e, con un altro sguardo esasperato ed un sorriso, Calogiuri avviò la telecamera, prese un gran respiro, accese lo zippo e lo avvicinò alla busta dove il suo stesso nome, scritto dalla grafia elegante di Bruno, pareva salutarla beffardo.

 

Trattenne il fiato ma non successe proprio niente: il suo nome rimase esattamente dov’era e non apparve alcuna scritta ulteriore, come aveva invece sperato.

 

Sentì un macigno di delusione piombarle sullo stomaco: possibile che lei e Calogiuri si fossero suggestionati a vicenda?

 

Anche il maresciallo apparve mortificato e fece per posare la busta, quando qualcosa in controluce colpì lo sguardo di Imma.

 

“Gira la busta, Calogiuri,” gli ordinò, la voce che le tremava dall’eccitazione.

 

E lui, come quasi sempre, obbedì, e per poco la busta non gli cadde di mano: all’interno, protette dai lembi esterni della busta, si intravedevano una serie di scritte piccolissime, tracciate con una grafia straordinariamente precisa ed inequivocabilmente corrispondente a quella del povero architetto.

 

In alcuni punti c’erano macchie ancora bianche e Calogiuri provvide a fare un’altra passata di accendino, fino a che le scritte non apparvero del tutto.

 

Dopo le foto di rito, sollevarono con delicatezza i lembi della busta, per potere leggere al suo interno. Probabilmente Bruno, per riuscire a scrivere in quel modo, l’aveva prima aperta completamente e poi rincollata.

 

I Serpenti

 

Già le prime due parole le causarono un brivido ed una sensazione di gelo nelle ossa, per non parlare di quello che ne seguì.

 

Nomi, nomi di famiglie della Matera bene. Quelle che avevano già individuato in precedenza. Ma, cerchiati tra tutti, c’erano tre nomi:

 

Romaniello Latronico Tantalo


E, appena più sotto, una scritta che il sangue glielo ghiacciò definitivamente.

 

Li ho sentiti parlare, vogliono costringermi a farla finita. Se trovate questo messaggio è perché ci sono riusciti. Aiutatemi ad avere giustizia.

Giulio Bruno

 

“Quindi Bruno sapeva che lo avrebbero costretto ad uccidersi?” domandò Calogiuri, dopo lunghi attimi di silenzio, con un tono di voce che gli aveva sentito giusto i primi tempi in cui lavoravano insieme, quando ancora si spaventava di fronte a certe scene del crimine particolarmente cruente, o di fronte alle confessioni di criminali efferati.

 

“Sì, Calogiuri. E probabilmente ha preparato la busta, magari mettendoci dentro una lettera per me, sapendo che gliel’avrebbero sottratta, ma avrebbero colto l’occasione per riutilizzare la busta al momento giusto. E il biglietto probabilmente lo hanno costretto a scriverlo o lo ha scritto lui stesso, ma indirizzandolo ad altri, e loro hanno semplicemente combinato busta e biglietto. Ma Bruno ha scritto appositamente la busta con la stilografica, perché si notasse la differenza delle due penne e perché-”

 

“Perchè facessimo analizzare la stilografica, trovando il succo di limone!”

 

“Esattamente. Un piano a dir poco cervellotico e rischioso, per lasciarci un messaggio che potevamo benissimo non scoprire mai, Calogiuri. Ma Bruno era appassionato di enigmistica e di storie di spie, ricordi? O forse anche quei libri erano un altro indizio per noi.”

 

“Doveva avere molta fiducia in voi e nelle vostre capacità, dottoressa, nonostante tutto,” constatò Calogiuri ed Imma dovette ammettere che era vero.

 

E, non avrebbe saputo dire perché, ma la cappa di senso di colpa nei confronti di Giulio Bruno e di suo padre Domenico svanì, lasciando il posto ad una strana sensazione di pace, sebbene accompagnata da una sete di verità e di fare giustizia che superava il suo già normale fervore, intensa come non l’aveva mai sentita.

 

Raccolse con mano guantata la busta, per guardarla meglio e fu in quel momento che l’attenzione si spostò dal contenuto sconvolgente delle ultime righe autografe di Bruno, a quei nomi cerchiati.

 

E, se Romaniello se lo aspettava e pure Latronico - sebbene un altro macigno le cadde sullo stomaco alla vista di quel cognome - il terzo nome le risuonò familiare e poi, d’improvviso, capì perché.

 

“Tantalo, Calogiuri. Maria Giulia Tantalo. La moglie di Lombardi!” esclamò, puntando il dito su quel cognome che sembrava sfidarla, beffardo, dalla busta.

 

“Ma allora…”

 

“Allora anche Lombardi c’entrava coi serpenti, certo, non direttamente. Ma sua moglie è di una delle famiglie più antiche della Matera bene, Calogiuri. Non ci avevo pensato quando abbiamo visto gli stemmi ma-”

 

“Aspettate,” la interruppe, smanettando col cellulare, azzardandosi a fare una cosa che solo a lui avrebbe perdonato, e lo sapevano entrambi, “ecco qui, dottoressa!”

 

E, sul display del cellulare, nero su bianco, lo stemma dei Tantalo.

 

Un magnifico albero, una quercia ad occhio e croce e, sotto di essa, due serpenti, intrecciati tra loro.

 

Finalmente avevano qualcosa di nuovo in mano, qualcosa di concreto, sebbene alcuni li avrebbero definiti i deliri paranoidi di un folle.

 

Ma era un inizio.

 

Come usare quelle informazioni per ottenere la verità, senza bruciarle troppo presto, era un altro paio di maniche.

 

Ma era un inizio.

 

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“Imma! Ma è tardissimo, amò, dove sei stata? Valentina ha già mangiato e ormai l’arrosto sarà gelato.”

 

“Scusami, Pietro, ma sai com’è il lavoro di rientro dalla procura dopo due settimane, che si accumula tutto. E poi oggi sono emersi nuovi elementi sul maxiprocesso, quindi siamo dovuti rimanere fino a tardi per finire di repertare tutto,” spiegò, buttandosi sul letto per levarsi stivali, cappotto e sciarpa.

 

“Siamo nel senso di tu e il maresciallo?” le domandò, con un tono apparentemente neutro ma che le fece suonare lo stesso un campanello d’allarme, perché le volte in cui Pietro le aveva chiesto questo genere di dettagli sul suo lavoro si contavano sulle dita di due mani, probabilmente.

 

“Sì, certo, e Diana, almeno fino a che mi è toccato mandarla a casa, o chi la sentiva più,” chiarì, con una nonchalance che quasi la spaventò, pur trattandosi della verità. Ma aveva sviluppato un sangue freddo in queste circostanze di cui non era affatto orgogliosa.

 

Pietro stette un attimo in silenzio e poi annuì, facendole infine un sorriso e proclamando che sarebbe andato a riscaldarle l’arrosto.

 

Imma tirò un sospiro di sollievo, ma allo stesso tempo quella vocetta interiore scalpitò sempre di più.

 

Non si poteva continuare così ancora per molto, e lo sapeva, ma tutte le alternative che aveva valutato nei giorni intercorsi da capodanno al sette gennaio avevano risultati catastrofici per una o più persone. Doveva trovare la quadratura del cerchio, il modo di far soffrire meno persone possibili, di non rovinare la vita a nessuno.

 

Ma, per una volta nella sua vita, le sembrava di essere di fronte ad un puzzle senza soluzione, se non continuare a sdoppiarsi tra una vita che non sentiva più sua ed un sentimento che le scoppiava dentro ma che sentiva ancora troppo giovane e fragile per affrontare la cattiveria del mondo, senza spezzarsi definitivamente.

 

E lei con lui.

 

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“Bravissima! Ora puoi far rallentare il cavallo, con delicatezza, come ti ho mostrato, poi lo fai fermare e scendi, senza cadere possibilmente stavolta, ok?”

 

Ad Imma sembrava ancora stranissimo prendere ordini da qualcuno, specie da una ragazza giovane come Sabrina. Ma, per qualche motivo inspiegabile, le stava quasi simpatica. Forse per quei modi decisi ma un po’ acerbi di dare gli ordini, appunto, tra la gentilezza e quella punta di sarcasmo che la divertiva parecchio. Si vedeva che era più abituata ad avere a che fare con gli animali che con le persone e la cosa ad Imma non dispiaceva, anzi. O, forse, perché i suoi metodi stranamente funzionavano e, dopo solo quattro lezioni, era già riuscita ad andare al galoppo, seppure per un tratto molto breve.

 

E riuscì pure a scendere di sella senza che fosse necessario l’intervento di Calogiuri per tenerla in piedi - sebbene questo non fosse necessariamente un vantaggio.

 

“E ora, se vi va, potete farvi la solita passeggiata a cavallo. Nel bosco ancora non è il caso, ma se volete farvi un giro sulle strade sterrate qui intorno, penso siate pronti a farlo,” proclamò Sabrina con un sorriso e Calogiuri si avvicinò sul suo di cavallo, con il quale aveva fatto un po’ di evoluzioni, compreso un salto, nel recinto lì vicino.

 

Imma non se lo fece ripetere due volte e riuscì agevolmente a montare in sella davanti a lui, non appena lui le fece spazio, come se lo avessero fatto da sempre e non da un mese scarso di lezioni. Era incredibile da un lato, eppure non avrebbe più dovuto sorprenderla, ormai.

 

Si appoggiò a lui e si avviarono in silenzio a godersi quello che, insieme alle pause pranzo rubate e alle serate in cui Pietro aveva calcetto, era diventato il momento più piacevole delle sue settimane.

 

C’era una strana intimità in quel silenzio, trascorso in mezzo alla natura ed al rumore degli zoccoli del cavallo che battevano sul terreno. Come un’evoluzione naturale di quei silenzi bellissimi dei loro primi mesi di lavoro insieme, di quei silenzi che per primi l’avevano conquistata di lui, quel loro stare bene senza bisogno di nulla, se non la presenza dell’altro.

 

Ma ora lui la abbracciava ed ogni tanto le lasciava un bacio sul collo o sul viso. Ogni tanto era lei a voltarsi e a ricambiare la cortesia. E, soprattutto, c'era un'intesa fisica e mentale talmente perfetta da essere quasi spaventosa, perché non sapeva sinceramente come fosse possibile sentirsi in quel modo, come se lui fosse un prolungamento del suo corpo e della sua mente, come se fossero un unico sistema che funzionava in sincronismo perfetto, senza barriere né filtri.

 

O quasi - le ricordò la sua stessa voce. E la Imma interiore rompeva le scatole tanto quanto l'originale, doveva ammetterlo, solo che non era abituata a subirlo, invece che farlo, il pressing da sfinimento.

 

Perché c'era qualcosa che non poteva né voleva esprimere, né a lui né a se stessa, almeno finché avesse trovato la famosa quadratura di quel dannato cerchio che non ne voleva sapere di piegarsi al suo volere.

 

Proprio in quel momento, Calogiuri fece partire il cavallo al trotto e, forse fu la botta di adrenalina, nel cercare di mantenersi in piedi sulle staffe, ma la voce di Sabrina le risuonò nella mente, quello che le aveva detto alla sua prima lezione, quando le sembrava di non riuscire a combinare niente.

 

Non c'è niente di troppo complicato, se si prende per gradi e lo si divide in attività più semplici.

 

E, quando il cavallo, con un movimento del polso di Calogiuri, tornò al passo, fu come se uno schema le si formasse nella mente, come quando trovava il bandolo della matassa per la risoluzione di un caso.

 

Parla a Pietro, ma poi aspettate a uscire allo scoperto, in modo che non abbiano prove che siete stati amanti e voi abbiate tempo di capire se quello che provate è duraturo o è solo un fuoco di paglia. Dopo un po', quando sarete entrambi pronti, sonda il terreno con Vitali, per capire come ridurre al minimo lo scandalo ed evitarvi i maggiori problemi sul lavoro.

 

Il piano suggeritole dalla Imma interiore non sarebbe nemmeno stato sbagliato, anzi, era pure sensato. Ma rimanevano due problemi quasi insormontabili: Valentina ed il maxiprocesso. 

 

Latronico avrebbe scavato in ogni modo nel suo privato per screditarla, non appena fosse uscita notizia di una separazione da Pietro, già lo sapeva. E questo rischiava non solo di compromettere la sua carriera e quella di Calogiuri, anni di lavoro e la possibilità delle vittime di avere giustizia, ma anche di danneggiare ulteriormente proprio Valentina.

 

Ma se, con i tempi della giustizia italiana, attendere la fine del maxiprocesso per separarsi da Pietro avrebbe significato stare in un limbo insostenibile fino a che Valentina avesse finito l'università, se non oltre, il problema con la figlia era invece ben più contingente e non poteva non tenerne conto.

 

Valentina era nell'anno della maturità, che avrebbe affrontato da lì a meno di sei mesi. Poi ci sarebbe stata la scelta delicatissima dell'università e di dove frequentarla. Poteva davvero sconvolgere gli equilibri di sua figlia con una separazione proprio ora, quando si stava giocando il suo futuro?

 

Ma, d'altro canto, poteva resistere ancora sei mesi in quella situazione insostenibile con Pietro? Sei mesi a mentire, omettere, nascondere, evitare, dissimulare?

 

E poi… sarebbe stato poi tanto meglio per Valentina comunicarglielo il primo anno dell'università, quando doveva concentrarsi sugli esami? C'era, in fondo, un momento giusto per dare una notizia simile?

 

Forse no, ma il fatto restava che quello fosse il momento peggiore possibile e che gli esami universitari si potessero pure rintentare, la maturità no. E, se avesse studiato fuori sede… almeno non sarebbe quasi mai stata a casa e non si sarebbe dovuta trovare così tanto in mezzo alle conseguenze logistiche di una separazione.

 

Parla con Pietro, digli che qualcosa in te è cambiato nei suoi confronti, che non sei più certa di cosa provi per lui, e poi decidete insieme come fare per il bene di Valentina. Ama vostra figlia e non è una persona irragionevole.

 

E, di nuovo, la Imma interiore tutti i torti non li aveva. Ma poteva davvero vivere da separata in casa con Pietro per mesi? Dormire nello stesso letto con lui, dividere la vita con lui come se non fosse cambiato niente, recitare una parte ad uso e consumo di Valentina? Poteva chiedergli tanto e chiedersi tanto?

 

Almeno non dovrai più mentirgli e prenderlo in giro.

 

No, dovrò solo prendere in giro mia figlia! - sospirò, non vedendo una soluzione perfetta al problema, ma forse quella era realmente la meno peggio possibile.

 

“A che pensi?”

 

La voce di Calogiuri nell’orecchio le fece fare un sobbalzo, tanto che il cavallo riprese ad andare al trotto, almeno fino a che il maresciallo riuscì a riprenderne il controllo, mentre la teneva più stretta a sè per evitarle di cadere.

 

I cavalli erano sensibili agli stati d’animo, le aveva spiegato Sabrina, ma pure Calogiuri sembrava avere una specie di radar per farle quella domanda ogni volta che stava pensando a loro due e ad un eventuale futuro insieme.

 

“A quante pazzie sto facendo da quando ti conosco,” gli rispose, voltandosi per sorridergli, anche se era solo una minuscola parte della verità.

 

“E te ne sei pentita?” le domandò, con un tono mezzo scherzoso, sebbene l’espressione tradisse una certa apprensione.

 

“Mai!” proclamò, decisa, posandogli un bacio sull’angolo delle labbra, per poi chiudere gli occhi e lasciarsi andare completamente tra le sue braccia.

 

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Girò le chiavi nella toppa con un sospiro.

 

Ultimamente tornare a casa era per lei il momento più pesante della giornata e sapeva che ciò non fosse normale, né giusto, ma non ci poteva fare niente.

 

Almeno quella sera sarebbe stata sola per un altro po’: Valentina era a cena con Bea, altri amici ed i genitori di Bea, che l’avrebbero riportata a casa più tardi e Pietro era ad una delle ormai famigerate lezioni di sax.

 

Buttò la borsa sul divano e si avviò verso la camera da letto, con l’intenzione di cambiarsi e buttare in lavatrice l’abbigliamento da equitazione, che si era infine decisa a comprare, visto il costo del noleggio, quando, accendendo la luce, cacciò un urlo, trovandosi davanti Pietro, seduto sul letto, immobile.

 

“Piè, un colpo mi hai fatto prendere! Ma che ci fai al buio?” esclamò, mettendosi una mano sul cuore che andava a mille, “anzi, che ci fai a casa? Non dovevi andare a lezione di sax?”

 

“Ci- l’insegnante aveva l’influenza e siamo tornati prima perché non si è sentita bene,” rispose Pietro, con un tono deciso, nonostante l’esitazione sul nome di Cinzia Sax, “e tu invece, Imma? Com’è che rientri solo ora? Dove sei stata? Ma poi, come ti sei conciata? E cos’è questo odore, che pare che ti sei portata appresso una stalla?”

 

Imma ebbe un istante di panico, di fronte a quella mitragliata di domande, di nuovo così non da Pietro, prima di decidersi a dire quella che, in fondo, era semplicemente la verità. Anche se, per vari motivi, avrebbe preferito mantenerla come un suo segreto ancora per un po’, “sono andata a fare una lezione di equitazione, Pietro. Per questo sono conciata così e avrò ancora addosso l’odore del cavallo.”

 

“Equitazione?!” le chiese, strabuzzando gli occhi, sbalordito nemmeno gli avesse annunciato di essere andata a rubare, “ma da quando è che ti piace andare a cavallo? E poi hai sempre criticato gli sport da ricchi.”

 

“Intendevo il golf, Pietro, che per l’onore di mettere il piede su un campo ci devi lasciare un mutuo,” sospirò, ricordando bene la discussione che avevano avuto quando Vitolo aveva paventato che Valentina iniziasse a frequentare il circolo del golf con Bea e che Pietro si iscrivesse per giocare insieme a lui. Peccato che l’iscrizione costasse come quattro mesi di stipendio per la maggior parte degli italiani.

 

“E comunque a me andare a cavallo piace fin da quando ero bambina,” chiarì con un sospiro, iniziando a levarsi la giacca della tuta, sperando di evitare ulteriori discussioni.

 

“E com’è che di questa passione che avresti avuto fin da bambina non me ne hai mai parlato finora?” le domandò invece, squadrandola in un modo che le ricordò, per un istante, l’espressione che lei stessa faceva durante gli interrogatori, quando pensava che il sospettato o testimone le stesse rifilando una panzana clamorosa.

 

In altre circostanze, sarebbe stata quasi orgogliosa di Pietro. In questa, era solo irritata.

 

“Perché non me l’hai mai chiesto, forse, Pietro,” ribattè, più tagliente di quanto avrebbe voluto, ma la verità era che quello era sempre stato uno dei problemi principali del loro rapporto: certe cose Pietro non gliele aveva mai chieste, o forse lei non si era mai sentita di raccontargliele. Di fatto però, in ogni caso, di certe cose di lei, soprattutto se successe prima di conoscersi, Pietro sapeva poco o niente.

 

“E come mai ti si sarebbe risvegliata proprio mo, dopo tutti questi anni? E perché non me ne hai parlato delle lezioni, oltretutto?”

 

“Perché mo c’ho i soldi per poterlo fare, Pietro, quelli che da bambina mia madre non teneva. E la vita è breve, non ho più vent’anni e voglio iniziare a concedermi quello che non mi sono mai concessa, prima che sia troppo tardi. E non te ne ho parlato perché volevo capire se c’ero portata e se avrei proseguito o meno, prima di fare proclami, che poi mica mi pare un segreto di stato. Tu le tue passioni le hai sempre avute, perché io non posso avere le mie?”

 

“Certo che puoi averle, Imma, ci mancherebbe. Ma tu non hai mai avuto passioni al di fuori del lavoro, un hobby. E… ultimamente invece… sei così cambiata… a volte mi sembra di non riconoscerti più,” esclamò, alzandosi in piedi e guardandola in un modo che le causò un nodo in gola: un misto tra smarrimento, paura e rabbia repressa.

 

Imma sapeva che questo era l’incipit perfetto, l’occasione ideale per dirgli che sì, era cambiata, e purtroppo in più di un senso. L’occasione per dirgli che, pur amandolo, nel senso più vero del termine, e pur non volendo farlo soffrire, non era più certa di provare per lui quel genere di amore che una moglie dovrebbe provare per un marito, non era più certa di poter tornare a stare bene con lui com’era una volta.

 

Era uno di quei momenti da ora o mai più. Imma prese un respiro profondo, sebbene tutto l’ossigeno del mondo non le sarebbe bastato per quel salto nel vuoto.

 

“Pietro… io… è vero, sono cambiata, sto cambiando molte cose di me che… che non pensavo sarebbero mai cambiate. Ma è successo e non posso fare finta che-”

 

“Papà! Dove sei?!”

 

La voce disperata di Valentina le fece fare un salto che per poco non le veniva un colpo e, nel giro di pochi secondi, il rumore pesante di passi lasciò il posto ad una figura che si lanciò tra le braccia di Pietro, iniziando a piangere disperatamente.

 

“Valentì, che succede, amore mio? Stai male?” le chiese suo marito, alternando uno sguardo preoccupato tra lei e la figlia.


“Bea è una grandissima stronza!” gridò, tra un singhiozzo e l’altro, ed Imma scambiò con Pietro un’occhiata eloquente, della serie - che t’avevo detto, io? - prima di fare un sospiro.

 

“Che cos’ha fatto Bea stavolta?” osò chiedere, dopo altri momenti interminabili di pianto, e Valentina si voltò verso di lei con due occhi infuocati, sia perché arrossati, sia perché incazzati come forse non li aveva mai visti ed esplose del tutto.

 

“L’ho sentita commentare con gli amici suoi del club che io sto con un criminale che stava in riformatorio, uno sfigato che fa lo sguattero in cucina e si crede uno chef! Più altre cose che non… che non voglio nemmeno ripetere,” buttò fuori prima di esplodere in un altro pianto disperato.

 

“Magari Bea è solo gelosa di Samuel, non ci hai pensato?” provò a dirle Pietro, venendo fulminato in contemporanea da due paia d’occhi scuri, “non che quello che ha detto non sia gravissimo, Valentina, ma magari sente che ti stai allontanando da lei e-”

 

“Ma se stiamo sempre appiccicate! Ormai passavo più tempo da lei che qui, visto che in questa casa negli ultimi mesi c’è un’atmosfera da funerale. Ma stavolta con me ha chiuso!” proclamò, decisa come Imma non l’aveva forse mai sentita, prima di staccarsi da Pietro e dirigersi verso la sua camera, sbattendo la porta alle spalle con un boato che diede ai vicini l’ennesimo buon motivo per detestare la loro famiglia - e non cordialmente.

 

E, nel silenzio che seguì, Imma si trovò a realizzare due cose ugualmente importanti e preoccupanti al tempo stesso.

 

Che Valentina non era scema, per fortuna e purtroppo, e aveva notato benissimo che tra lei e Pietro negli ultimi mesi qualcosa non andasse per il verso giusto. E che Pietro forse proiettava su Bea un altro genere di gelosia e un altro genere di dispiacere nel sentire qualcuno a cui si tiene allontanarsi.


Tutto questo le causò un’altra fitta di senso di colpa, mentre la sua botta di coraggio di provare a parlare a Pietro, la sua occasione, erano ormai svanite come neve al sole.

 

“E mo Valentina sarà di nuovo sola. Non le fa bene, hai visto che le è successo la scorsa volta,” commentò Pietro, dopo un po’, con un sospiro, rimettendosi a sedere sul letto, come abbattuto.

 

“Meglio sola che male accompagnata, Pietro. E Bea è una pessima amica per Valentina, oltre che una pessima influenza, te l’ho sempre detto,” ribattè, mantenendosi invece in piedi, anche se non avrebbe saputo dire il perché, le venne semplicemente istintivo. Qualche mese prima non sarebbe mai successo.


“Ma si conoscono da quando erano all’asilo e sono amiche da allora, Imma. Per Valentina è come la sorella che non ha mai avuto,” le fece notare ed Imma, pur sapendo che non ci fosse alcuna frecciata in quella frase, nessuna recriminazione al suo non aver voluto tentare più a lungo di allargare la famiglia, inspiegabilmente provò lo stesso un moto di irritazione. Forse perché il suo senso di colpa la portava a cercare motivi di discussioni, di lite, perché la migliore difesa in fondo è l’attacco.

 

“Bella sorella! Che poi tra Caino e Abele, Romolo e Remo, e tutti gli altri esempi che ci sono nella storia… forse essere figli unici non è poi uno svantaggio, direi,” proclamò, sarcastica, le braccia incrociate davanti al petto.

 

“Che c’entra… va bene il detto parenti serpenti, ma nella realtà i fratelli sono-”

 

“I serpenti! Ma certo!” esclamò Imma, non ascoltandolo più, colta da un’illuminazione che manco il faro di una discoteca, annunciando, di fronte allo sguardo sconcertato di Pietro, che la guardava come se fosse uscita del tutto di senno, “devo fare una telefonata!”

 

Corse in salotto, dove aveva mollato la borsa, ne estrasse il cellulare e si affrettò a selezionare il primo numero in elenco.

 

“Dottoressa? Ma è successo qualcosa? Tutto bene?” la voce preoccupata di Calogiuri la raggiunse dopo appena un paio di squilli.

 

“Tutto bene, tranquillo, Calogiuri. Ascoltami, ti ricordi che diceva esattamente il messaggio nella busta di Bruno? A parte i nomi delle famiglie, ovviamente,” gli domandò, trattenendo il fiato mentre attendeva il responso.

 

“La busta di Bruno?” le chiese di rimando, meravigliato e confuso, per poi rispondere comunque, dopo un attimo di esitazione, “qualcosa tipo li ho sentiti parlare e mi vogliono costringere a farla finita. Se trovate questo messaggio… e poi com’era? Posso andare a recuperare il taccuino, se serve.”

 

Ma Imma, il cuore che le andava a mille, quasi non ascoltava già più. Dopo qualche secondo necessario a riprendersi, gli spiegò, “no, Calogiuri, grazie non serve. Dimmi ora, non ti sembra che ci sia qualcosa di strano, qualcosa che non torna in quel li ho sentiti parlare e mi vogliono costringere a farla finita?”

 

“Perché, dottoressa, non lo ritenete probabile?” le chiese, sembrando completamente confuso.

 

“No, Calogiuri, ma chi c’era tra quei nomi?” gli domandò, avendo ormai la risposta che cercava ma volendo che ci arrivasse anche lui, perché sapeva che poteva riuscirci.

 

“I nomi erano Romaniello, Latronico e Tantalo ma-”

 

La voce al telefono si bloccò ed Imma non potè trattenersi dal sorridere, orgogliosa, sapendo che il maresciallo aveva capito.

 

“Ma Romaniello era in carcere da agosto. Questo non vi torna, non è vero, dottoressa?” lo sentì pronunciare, tutto d’un fiato, con un’ammirazione nella voce che, di nuovo, le strappò un altro sorriso.

 

“Bravo, Calogiuri, esattamente. E Bruno, prima di agosto, era ancora bello bello che tranquillo. Solo nelle ultime settimane era strano, come ci hanno detto pure suo padre e l'infermiera di sua madre. E, del resto, non so se possiamo avere una datazione su quella lettera, ma mi sembra improbabile l’avesse scritta da agosto o che una persona resista tanti mesi con una simile spada di Damocle sulla testa. Quindi, se Romaniello era in carcere da agosto…” si interruppe volutamente, per lasciarlo concludere.

 

“Il Romaniello della busta non è Saverio, ma suo fratello, il giudice,” lo sentì finire la frase in quasi un sussurro, come se non volesse dire quello che stava dicendo.

 

“Già…” sospirò a sua volta, sapendo che quello che stavano scoperchiando non era solo un nido di vipere, ma era molto, molto di più.

 

“E mo che facciamo, dottoressa?” le chiese, preoccupato come raramente lo aveva sentito.

 

“Per intanto ce ne andiamo a dormire, ci ragioniamo sopra e domattina ne parliamo meglio in procura, va bene?”

 

“D’accordo, dottoressa, cercate di riposare,” le sussurrò con un tono talmente dolce e talmente in apprensione che le strappò l’ennesimo sorriso.

 

“Anche tu. A domani!” lo salutò, obbligandosi a chiudere la conversazione.

 

Con ancora un mezzo sorriso sulle labbra, alzò gli occhi e per poco non le prese un altro colpo, trovandosi davanti Pietro, fermo immobile all’inizio del corridoio che dal salotto portava in camera da letto.

 

“Pietro! Ma stasera vuoi farmi proprio venire un colpo? Che c’è?” gli domandò, anche se forse non avrebbe dovuto farlo, ma tanto ormai…

 

“Era il maresciallo?” le chiese, con quel tono neutro che le sembrava sempre meno neutro ogni volta che le poneva quella stessa domanda.

 

“Sì, certo. Ho avuto un’intuizione sul maxiprocesso e-”

 

“E quindi per un’intuizione ti pare normale disturbarlo a quest’ora?”

 

“Per questo genere di intuizione pure alle tre di notte ed è già tanto se non sono corsa in procura, Pietro,” ribattè, perché era la pura e semplice verità ed il peggio era che sapeva benissimo che probabilmente qualche mese prima nemmeno Pietro ci avrebbe trovato niente di strano.

 

“Quel ragazzo o è un santo o ti deve essere proprio molto affezionato, Imma, per non averti ancora denunciata ai sindacati,” proclamò Pietro, con quella punta di sarcasmo così non da lui e così tremendamente da lei che la mise in allarme.

 

“O forse, come me, ama moltissimo il suo lavoro, Pietro, anche se mi rendo conto che il concetto ti sia di difficile comprensione,” sibilò, prima di riuscire a trattenersi e pentendosene un secondo dopo, quando vide l’espressione di lui, ferita e rabbiosa peggio che se gli avesse appena tirato uno schiaffo.

 

E, in un certo senso, lo aveva fatto davvero.

 

Le sembrò per qualche istante sul punto di esplodere, poi si voltò, si avviò a passo marziale verso la camera da letto e tornò con una coperta ed un cuscino.

 

“Buonanotte!” esclamò, stendendosi sul divano e dandole la schiena.

 

Imma alzò gli occhi al cielo e sospirò, divisa tra il senso di colpa e l’esasperazione, iniziando ad avviarsi verso la camera da letto.

 

Non ce la faceva più: la misura era colma per entrambi e se ne rendeva sempre più conto. E sapeva benissimo cosa doveva fare, il problema era quando e come farlo.

 

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“E così si prepara il cavallo per sellarlo. Ora vi mostro il passaggio successivo. Ci sarebbe da andare a recuperare le selle, le imbottiture e le coperte nei box.”

 

“Vado io, tranquilla,” si offrì Calogiuri, lanciando ad Imma un sorriso ed un’occhiata d’intesa, prima di sparire dentro alla stalla.

 

“Ma è sempre così cavaliere?” le chiese Sabrina, tra l’incredulo e il divertito, con uno di quei sorrisi che le tenevano mezza faccia e che la rendevano di una bellezza davvero particolare.

 

“Sempre! Anzi, a volte pure di più,” confermò Imma, non riuscendo a trattenersi di sorridere a sua volta, né a celare l’affetto nella voce - ma poi, con Sabrina, sarebbe stato inutile farlo.

 

“Sei fortunata! Hai trovato l’ultimo esemplare rimasto al mondo mi sa. E mo c’ha pure il cavallo,” ironizzò, mentre finiva di spazzolare Impeto, il cavallo ormai assegnato a Calogiuri.

 

“Sì, sono molto fortunata,” ammise Imma con un sorriso, imitandola per terminare la pulizia di Minerva, la cavalla che aveva usato nelle ultime due lezioni e che teneva fede al suo nome, essendole fin da subito parsa intelligentissima, fin troppo, e soprattutto testarda quasi quanto lei.

 

Il silenzio perfetto della natura venne interrotto dal rumore di un’auto che si avvicinava, le ruote che stridevano sullo sterrato.

 

“Strano: voi dovreste essere gli ultimi della giornata. Magari è qualcuno che è venuto a chiedere informazioni per un corso. Ma non ti preoccupare: vedo di cavarmela in fretta che già la prima parte della lezione oggi non la fate a cavallo.”

 

Imma annuì, annotandosi mentalmente un altro punto a favore di Sabrina: non era una di quelle che mirava a spennare i suoi allievi, anzi, era molto generosa con i tempi di lezione e non fiscale con l’orologio.

 

Si voltò, incuriosita di chi potesse essere il nuovo allievo o allieva, e le venne un conato di vomito, non appena riconobbe l’auto. La sensazione di nausea mista a panico non fece che aumentare quando la portiera si aprì e ne scese Pietro.

 

“Sabrina,” riuscì a malapena a pronunciare e per fortuna la ragazza la sentì e si voltò, passando da uno sguardo sorpreso ad uno preoccupato.

 

“Che hai? Sei sbiancata. Ti senti poco bene?” le domandò, in apprensione, avvicinandosi a lei.

 

“No, sto bene. Ma è che… quello è Pietro, mio marito,” le sussurrò e Sabrina spalancò gli occhi, incredula, per poi scuotere il capo, sembrando a disagio ed in apprensione, “mi dispiace. Io… non so come mai sia qui. Non gli ho mai nemmeno detto il nome del maneggio. Non ti volevo creare casini.”

 

“Dei miei casini direi che ci preoccupiamo dopo, ora piuttosto mi preoccuperei dei tuoi,” le sussurrò di rimando Sabrina, con un tono tra il sarcastico ed il preoccupato, voltandosi poi verso Pietro, che si stava avvicinando a passo deciso ed andandogli incontro con un sorriso, “buonasera, desidera?”

 

“Buonasera, sono il marito della dottoressa Tataranni. Ho pensato di farle una sorpresa e vederla a cavallo, finalmente,” proclamò, porgendo la mano a Sabrina e, dopo la stretta di rito, si avvicinò ad Imma con un sorriso, “e magari ne approfitto e prendo qualche lezione pure io... che ne dici, amò?”

 

“Pietro… io… che sorpresa! Ma come hai fatto a sapere che era questo il maneggio?!”

 

“E come ho fatto? Mica ho sposato un magistrato per niente. I miei trucchi del mestiere ce li ho pure io,” rispose con un altro sorriso che però, non potè evitare di notarlo, lei che lo conosceva tanto bene, non gli raggiunse gli occhi, per poi aggiungere, con tono ironico, “ho trovato una ricevuta, no, amò. Che non lo so che non tolleri l’evasione fiscale?”

 

Il fatto che Pietro si fosse messo a fare l’investigatore, lui che di indagini non ne aveva mai capito niente - nemmeno le intuizioni più basilari riusciva a fargli comprendere di solito - la inquietò da un lato e la fece sentire tremendamente in colpa dall’altro. Che fosse arrivato a tanto era indice dello stato in cui versava il suo matrimonio e ne era perfettamente consapevole.

 

E, come se l’avesse chiamato col pensiero, una voce familiare le fece, per una volta, precipitare il cuore nello stomaco, invece che farglielo scoppiare di gioia.

 

“Eccomi, dovrei avere preso tutto. Dove le appogg-” lo sentì interrompersi bruscamente, spalancando gli occhi con un’espressione impanicata e lanciandole poi un’occhiata tra il preoccupato e il e mo che facciamo?

 

“Maresciallo?! Ma che sorpresa! Che ci fa lei qui? Cos’è, Imma, vi aggiornate sugli sviluppi del caso pure a cavallo mo?” domandò Pietro, con un sorriso che era palesemente fintissimo ed un sarcasmo di cui Imma sarebbe stata orgogliosa in altre circostanze, fulminandola con un’occhiata che non si sarebbe mai dimenticata in vita sua.

 

Ma, soprattutto, non sembrava per niente sorpreso della presenza di Calogiuri, tanto che Imma si chiese se li avesse seguiti - altro che la ricevuta! - o se avesse avuto da qualcuno conferma che erano andati via insieme dalla procura quella sera.

 

In ogni caso, mentre il panico le rese il fiato improvvisamente corto, ebbe la nettissima sensazione che fossero sull’orlo di un dirupo e che Pietro stesse per scoppiare. Aveva tirato troppo la corda e si era spezzata, aveva rischiato troppo e mo ci sarebbe andato di mezzo pure Calogiuri per la sua stupidità.

 

“Amore! Dà pure a me le imbottiture e metti tutto il resto lì sulla staccionata, grazie!”

 

La voce di Sabrina interruppe il panico crescente e tre paia di occhi si voltarono verso di lei, sbigottiti, ma per motivi diversi.

 

Ma Sabrina, apparentemente tranquilla come una pasqua, afferrò le imbottiture dalle mani di Calogiuri, gli accarezzò il viso e gli baciò una guancia - ed Imma si sentì un’idiota al ruggito interiore che, perfino in quelle circostanze, se la mangiò da dentro - e si avviò ad iniziare a sellare i cavalli, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

 

“Amore?” ripetè Pietro, alternando lo sguardo tra l’istruttrice ed il maresciallo, l’aria di chi è diviso tra l’incredulità ed un’improvvisa speranza.

 

“Sì, io e Ippazio stiamo insieme. Non lo sapeva?” gli domandò Sabrina, mentre piazzava la prima imbottitura, “beh, in effetti immagino lei e sua moglie avrete di meglio da fare che parlare delle fidanzate dei suoi sottoposti.”

 

“La sorprenderebbe di che cosa parliamo io e mia moglie,” proclamò Pietro, di nuovo sarcastico, alternando lo sguardo tra tutti loro, come se fosse indeciso su a che cosa credere.

 

“Comunque Ippazio è sempre molto premuroso e mi sta aiutando ad aumentare il giro dei clienti, che non è da tanto che lo gestisco da sola il maneggio. E così mi ha portato anche sua moglie, che devo dire se la cava molto bene. Anzi, stavamo giusto giusto imparando a sellare i cavalli, vuole darci una mano?” offrì Sabrina, appioppandogli una delle imbottiture, prima che potesse protestare, e cominciando a spiegargli come fare a posizionarla su Impeto.

 

Imma ne approfittò per lanciare uno sguardo a Calogiuri, che pareva ancora mezzo paralizzato, che era uno scusami e un se sapessi che fare mo, lo avrei già fatto non verbali.

 

“Ma quindi al maresciallo avevi raccontato della tua passione d’infanzia per i cavalli, Imma?” chiese improvvisamente Pietro, voltandosi verso di lei e fulminandola con un altro di quegli sguardi che parevano voler cogliere ogni minima menzogna.

 

“Ma no, Pietro, ma figurati! Semplicemente mi ha parlato del maneggio e mi è venuta l’idea di provare a vedere se mi piaceva ancora come quando ero bambina,” chiarì, inventandosi di sana pianta la prima scusa che le venne in mente, prendendo l’altra imbottitura e decidendo di seguire l’esempio di Sabrina, sperando di tagliare corto la conversazione, “però mo lavoriamo che la lezione non è gratis e me ne sono già persa la metà.”

 

“Va beh… se non hai più bisogno del mio aiuto, visto che siete già in tre a sellare i cavalli e che la dottoressa ha un passaggio per tornare a casa, io magari mi avvierei…” provò ad inserirsi Calogiuri, chiaramente desideroso di levarsi di lì ed evitare ulteriore problemi ed imbarazzi a tutti.

 

“Ma no, maresciallo, rimanga pure con la sua fidanzata. Anzi, perché non ci facciamo una bella cavalcata tutti insieme? Si può salire in due su un cavallo, immagino? Da solo mi sa che mi ci vogliono un po’ di lezioni,” ribattè Pietro, con un’aria apparentemente cordialissima, anche se Imma continuò a notare lo scetticismo, misto a quella nota di speranza, che gli colorava la voce.

 

“Come no! Anche se non è facilissimo cavalcare in due: almeno uno deve essere sufficientemente esperto. Vediamo se sua moglie riesce a stare fuori dalla sella, e prima devo spiegarle un paio di cose su come ci si regge sul cavallo, perché non è automatico e dubito sua moglie riesca a sostenere il suo peso, in caso lei si sbilanci troppo,” provò a chiarire Sabrina, aiutando Imma a terminare di sellare Minerva, per poi passare ad Impeto, insieme a Calogiuri, che aveva un’espressione che Imma ricollegava ai momenti concitati che precedevano un’irruzione, quando stai con l’adrenalina a mille, pronto a beccarti una pallottola in ogni momento.

 

Non che non lo capisse: lei si sentiva ondeggiare tra uno stato latente di panico, il disagio e l’adrenalina di provare a salvarsi in qualche modo in corner ed evitare una scenata ed i danni peggiori.

 

In un’atmosfera a dir poco surreale, Imma assistette mentre Sabrina spiegava a Pietro - dopo avergli fatto indossare le dovute protezioni - come salire a cavallo, come mantenersi in equilibrio e, attaccando una corda a Minerva, che non pareva molto per la quale, come reggersi al trotto. Pietro decisamente non era particolarmente portato per l’equitazione e ci mancò un soffio che cadesse in almeno un paio di occasioni. Ironia della sorte, fu proprio Calogiuri ad intervenire la seconda volta, afferrandolo per un braccio per reggerlo sul cavallo ed evitargli di finire a terra.

 

“La… la ringrazio, maresciallo,” bofonchiò Pietro, lanciando all’altro uomo uno sguardo tra il sorpreso ed il grato, mentre Calogiuri rispose con un professionalissimo “figuratevi, dovere!”, che provocò in Imma una fitta al petto, anche se non sapeva bene il perché.

 

E poi giunse il momento che più temeva: salire a cavallo con Pietro. Preceduto da quel maledettissimo e stupidissimo ruggito interiore quando Sabrina mostrò loro insieme a Calogiuri come dovessero fare, salendo a cavallo davanti al maresciallo, sul bordo della sella e finendo quindi per farsi abbracciare da lui, che teneva le redini.

 

“Nel vostro caso è meglio che le redini le tenga sua moglie. Lei può tenerla per la vita, ma, se si sente cadere, cerchi di reggersi sulle staffe e non su sua moglie, d’accordo? Ora provate a salire in sella come vi ho mostrato e a fare un breve pezzo al passo qui nel recinto,” li istruì Sabrina, dopo che lei e Calogiuri ridiscesero di sella, mettendosi ai lati del cavallo per aiutare lei e Pietro a montare in sella ed evitare ulteriori cadute.

 

Lasciò salire prima Pietro, con non pochi tentativi e poi, dopo una furtiva occhiata a Calogiuri, che se ne stava fermo, rigido, con la mascella contratta, prese anche lei posto, con solo un aiuto minimo da parte dell’istruttrice. Come si fu posizionata, Pietro non perse tempo e l’abbracciò stretta da dietro ed Imma si sentì letteralmente soffocare, mentre il senso di colpa raggiunse il picco massimo nel vedere il modo in cui Calogiuri sembrò irrigidirsi ulteriormente, abbassando lo sguardo, quasi come se non volesse vedere.

 

Ma non poteva farci niente, se non sentirsi, per l’ennesima volta, una merda ed una cretina per averli messi in quella situazione. Avevano percorso un pezzo brevissimo quando Minerva, di colpo, forse percependo il nervosismo nell’aria, prese ad andare al trotto e, se lei riuscì all’inizio a tenersi in equilibrio, pur sballottata in quel modo, dopo pochi secondi, mentre cercava disperatamente di farla rallentare, si sentì tirare da Pietro verso destra.

 

Cacciò un urlo e, per fortuna, sentì delle braccia forti sostenerli entrambi, evitando una rovinosa caduta. Vide che Calogiuri si era affiancato a loro facendo praticamente da puntello umano, mentre Sabrina aveva preso le redini ed era riuscita a calmare la cavalla.

 

“Forse, forse è meglio se scendiamo mo, prima che ci ammazziamo,” ammise Pietro alle sue spalle ed Imma sentì una botta di sollievo che raramente aveva provato in vita sua.

 

E non solo all’idea di toccare di nuovo terra con i piedi, e non di faccia, ma che forse la lezione potesse finalmente dirsi conclusa, prima che qualcuno si facesse male sul serio ed in più di un senso.

 

“Mi dispiace, amò… non ti sei fatta male, vero?” le domandò Pietro, accarezzandole una guancia, visibilmente preoccupato, una volta che, con l’aiuto dell’istruttrice e del maresciallo, furono entrambi sani e salvi.

 

“No, tranquillo, Pietro…” sussurrò, anche se la verità era che probabilmente sulla vita le sarebbero rimasti dei lividi per un po’, ma sapeva benissimo che non l’aveva fatto apposta.

 

“Mi sa che l’equitazione non è proprio il mio sport, amò. Magari è meglio se guardo come te la cavi tu fino a che finisce la lezione e poi ce ne torniamo a casa?” le chiese con un sorriso, posandole le mani sulle spalle e scoccandole un bacio sulle labbra.

 

Imma avrebbe letteralmente voluto sprofondare, mentre lanciava un’altra occhiata a Sabrina e soprattutto a Calogiuri, che però sembrava intento a fissare Minerva, la mascella talmente rigida che sul collo pallido gli si intravedevano un paio di vene in rilievo.

 

“Pietro… forse è meglio se torniamo a casa… non so se me la sento di risalire subito a cavallo mo,” provò a svicolare, volendo solo togliersi di lì il prima possibile.

 

“Ma non dicono che quando cadi da cavallo devi subito risalire? Non voglio che ti resti la paura per colpa mia,” insistè Pietro, sembrando realmente preoccupato e soprattutto con uno sguardo ed un tono veramente premurosi, che avevano perso ogni traccia di sarcasmo e sospetto, forse per via del senso di colpa.

 

“Suo marito ha ragione, dottoressa,” si inserì inaspettatamente Sabrina ed Imma provò una strana sensazione nel sentirla tornare al lei. Sapeva che probabilmente era solo a beneficio di Pietro, ma, forse fu per via della coda di paglia, ma lo sentì come un’implicita disapprovazione e non di certo riguardante l’equitazione.

 

In ogni caso, a quel punto non aveva scelta e, con l’aiuto dell’istruttrice, calmò definitivamente la cavalla e cercò di riconquistarne la fiducia prima di risalire, sperando di non lasciarci le penne.

 

Ed invece il resto della lezione trascorse per fortuna relativamente tranquillo, con Minerva che intelligente lo era sul serio, e pure in maniera a dir poco inquietante. Infatti si comportò benissimo, meglio pure del solito, docile come nemmeno il cavallo d’addestramento, mentre Pietro la riempiva di complimenti, con un orgoglio che le scatenava solo un maggiore senso di colpa. E, nel frattempo, Sabrina e Calogiuri la affiancavano sull’altro cavallo, abbracciati in quel modo che le faceva male, sebbene sapesse benissimo fosse tutta una recita e che, invece che esserne gelosa, a Sabrina avrebbe dovuto fare un monumento, se mai avesse osato guardarla di nuovo in faccia finita questa terribile lezione.

 

E per fortuna l’ora terminò, mai troppo in fretta e, dopo che Pietro ebbe lasciato un’abbondante mancia a Sabrina, con ancora tante scuse per il quasi incidente, Imma se lo trascinò in auto, lanciando un’ultima occhiata mortificata in direzione sia di Sabrina che, soprattutto, di Calogiuri.

 

Ma il maresciallo si limitò a guardarla per un secondo, in quel modo che lo faceva sembrare un cane bastonato, e poi ad abbassare lo sguardo. Imma si sentì uno schifo, come forse mai prima di allora. Lei Calogiuri non se lo meritava proprio, e questa ne era l’ennesima conferma.

 

Ed era anche l’ennesima conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, che doveva fare qualcosa, che questo triangolo non poteva andare avanti in questo modo, che avevano ormai toccato il fondo e da qui in poi si poteva solo scavare.

 

Che senso ha tenere in piedi una relazione extraconiugale quando l’unico uomo a cui sei fedele da mesi non è tuo marito?

 

La Imma interiore aveva ragione, ragionissima, pur essendo tremendamente irritante, e ne era perfettamente consapevole.

 

Ma, se avesse fatto ora una confessione a Pietro - quella confessione che avrebbe voluto fargli già qualche giorno prima, interrotta da Valentina, e che aveva cercato di nuovo disperatamente il momento giusto per fare, ma purtroppo la figlia, dopo la lite con Bea, era sempre a casa negli orari in cui c’era anche lei - il marito avrebbe immediatamente mangiato la foglia su lei e Calogiuri, era impossibile sperare il contrario.

 

Ed Imma temeva non tanto lo scandalo, ma le conseguenze lavorative che questo avrebbe potuto comportare, soprattutto per Calogiuri, che non aveva colpe della sua stupidità e di non essere stata capace di parlare, prima che fosse troppo tardi.

 

“Sei sicura di non esserti fatta male?”

 

La voce di Pietro la riscosse bruscamente dai suoi ragionamenti ed incrociò il suo sguardo, che sembrava ancora sinceramente preoccupato, quasi mortificato.


“Tranquillo, Pietro, e poi non è colpa tua. Non è facile stare in equilibrio al trotto, soprattutto all’inizio,” lo rassicurò con un sorriso, posandogli una mano sul braccio, perché, al di là di tutto, non si meritava tutta questa preoccupazione e tutto questo senso di colpa, e lo sapeva.

 

“Ma mi sa che continuerò solo col sassofono e lascerò a te l’equitazione,” scherzò, prima di proclamare, con un tono fiero che fu come girare il dito nella piaga, “sei davvero brava, amò, non credevo. Si vede che ti piace proprio e… e mi dispiace dell’improvvisata e di… di aver reagito male per questa storia delle lezioni. Ma… se devo essere sincero… ero un po’ geloso.”

 

“Geloso?” ripetè, trattenendo il fiato, perché non sapeva che altro dire senza rischiare di peggiorare la situazione.

 

“Sì, non che tu avessi un hobby, che anzi sono pure contento se non pensi solo al lavoro, ma del fatto che non me ne avessi parlato. Mi sono sentito tagliato fuori dalla tua vita, Imma. E poi… e poi, se devo essere sincero, ero pure un po’ geloso di te e del maresciallo: stai sempre con lui e passate molto tempo insieme, poi lo cerchi in continuazione e… e per un attimo ho temuto che tu… che voi… insomma….”

 

Imma ammutolì, perché non sapeva sinceramente che fare: se cogliere l’occasione e confessare, fregandosene delle conseguenze e levandosi un peso dalla coscienza e dal cuore, o se abbozzare e continuare a tacere, proteggendo Calogiuri dalle possibili conseguenze, oltre che se stessa.

 

“Lo so… lo so che non avrei dovuto dubitare di te… ma è che ultimamente… ultimamente sei così distante, Imma, e così ho avuto paura che c’avessi un altro,” ammise, con un tono ed uno sguardo spaventati che furono la stoccata finale, “ma non ti preoccupare, mo ho capito perché gli sei tanto affezionata al maresciallo: è proprio un bravo ragazzo, gentile, e pure la sua ragazza, sono veramente una bella coppia. Anzi, scusati con loro da parte mia quando hai occasione, soprattutto col maresciallo, che mi ha pure salvato l’osso del collo ed evitato di farti male, che non me lo sarei mai perdonato.”

 

“Pietro, io…” provò a dire, ma le parole non ne volevano sapere di uscire: le veniva da piangere e si sentiva una merda da un lato e dall’altro si sentiva soffocare, in trappola. In una trappola da cui non sapeva come fuggire.

 

Ed il peggio era che non poteva arrabbiarsi con nessuno, se non con se stessa, perché era lei che l’aveva creata e poi ci si era chiusa dentro, come la stupida che era.

 

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“Scusa per… per tutto quanto. E grazie per aver salvato la situazione.”

 

“Ma figurati! E poi non è che ci tenessi nemmeno io ad assistere a una scenata. Tu, piuttosto, tutto ok?” gli chiese, sembrandogli genuinamente preoccupata e lui si trovò a sospirare, perché decisamente non andava tutto bene, anzi, si sentiva come se fosse sull’orlo di scoppiare.

 

Da un lato di gelosia, dopo essere stato costretto ad assistere, per un tempo che gli era sembrato infinito, alle effusioni del signor De Ruggeri nei confronti della sua Imma.

 

Non è tua! - gli ricordò prontamente la voce della sua coscienza e, purtroppo, mai come in quel momento, non poteva darle torto.

 

Quando se la era abbracciata stretta, a cavallo, gli era sembrato di impazzire, per non parlare del modo in cui l’aveva accarezzata e baciata. Si era sentito fuori posto, di troppo, come forse mai prima di allora. Per carità, lo aveva notato benissimo che Imma era a disagio, certo, si vedeva lontano un chilometro, ma ciò non gli levava il dubbio di chissà come fosse con il marito quando erano soli, quando lui non c’era.

 

Per quanto, se il signor De Ruggeri si era spinto fino a seguirla e se sospettava qualcosa su di loro… forse le cose tra Imma ed il marito non andavano poi tanto bene ultimamente.

 

Ma intanto lei resta con lui, e tu stai qui a mangiarti il fegato, come il cretino che sei!

 

Scosse la testa per ignorare la voce, mentre cercava di tenere a freno quella rabbia che gli montava dentro e che rischiava di farlo impazzire. C’era andato fin troppo vicino ad esplodere e aveva dovuto fare leva su tutto il suo autocontrollo per stare tranquillo ed impassibile: quando per poco il signor De Ruggeri aveva fatto sfracellare a terra Imma insieme a lui, gli era venuta una voglia completamente irrazionale di strozzarlo, anche se sapeva benissimo che non l’aveva di certo fatto apposta e che non era colpa sua se non era capace di andare a cavallo.

 

E poi, come se non bastasse, alla gelosia si sommava la preoccupazione. Preoccupazione che lei stesse bene, e non solo fisicamente. Che il marito se la fosse bevuta la storia che lui e Sabrina stavano insieme, e che ora non le stesse facendo una scenata di gelosia. Ed il peggio era che non poteva scoprirlo, non poteva arrischiarsi a sentirla, non dopo quello che era successo. Avrebbe dovuto attendere il giorno successivo per avere sue notizie.

 

“Ehi, tutto bene?”

 

La voce preoccupata di Sabrina, che lo osservava dall’altro box, dove aveva appena riaccompagnato Minerva, lo riportò alla realtà presente.

 

“Insomma…” si limitò a rispondere, iniziando a togliere la sella ad Impeto, bisognoso di fare qualcosa che non fosse stare fermo immobile a pensare.

 

“Scusami, non mi volevo impicciare. Comunque se vuoi andare, qui finisco io, non ti preoccupare.”

 

“No, anzi, ho proprio bisogno di fare qualcosa di pratico: ti aiuto e poi mi avvio. E mi dispiace ancora di tutto, veramente.”

 

“A me dispiace più per te. Avevo… avevo notato che Imma porta la fede e tu no e… beh, insomma… la differenza d’età tra voi è evidente. Però siete… insomma… state talmente bene insieme che pensavo che tu non la portassi perché ti dava fastidio, magari. Ma ci deve essere sempre la fregatura da qualche parte, immagino,” proclamò, con un tono come se stesse parlando in buona parte tra sé e sé.

 

Stava cercando le parole adatte per risponderle, sempre se esistevano, quando lo squillo del cellulare rimbombò tra le pareti del box, cogliendolo di sorpresa e provocandogli un fortissimo senso d’ansia.

 

Si immaginò gli scenari peggiori: da Imma mollata per strada dal marito dopo una lite furiosa a che avessero avuto un incidente stradale, sempre dopo una discussione troppo accesa.

 

Estrasse di corsa il telefono dalla tasca ed avviò la chiamata, senza nemmeno guardare il numero.

 

E ciò che sentì per poco non gli fece davvero venire un colpo, ma per tutt’altra ragione.

 

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“Se cerca il maresciallo, non si è ancora visto oggi.”

 

Il sorrisetto di Matarazzo per una volta non le fece né caldo, né freddo: aveva ben altre preoccupazioni in quel momento.

 

Quando era arrivata in ufficio, puntuale alle nove precise, aveva sperato che Calogiuri comparisse di lì a poco, per accertarsi di come stesse, per scusarsi con lui, ma non si era visto.

 

Aveva allora atteso pazientemente, con la crescente preoccupazione che potesse avercela con lei dopo quanto avvenuto il giorno precedente. Ma, d’altro canto, potevano esserci altri mille motivi pratici per cui il maresciallo quella mattina avesse altro da fare, a partire dalla D’Antonio che se lo requisiva sempre più spesso per i suoi casi.

 

Si era imposta di attendere ma, arrivate le undici del mattino, non aveva più resistito e si era avviata verso la PG, sperando di avere sue notizie e temendo di trovare conferma alle sue paure.

 

Di certo non si era aspettata di sentire quello che le aveva detto Matarazzo.

 

“Come non si è visto? Ma è fuori per un sopralluogo? O è in permesso?” chiese, stupita, perché non ne sapeva niente di una sua possibile assenza quel giorno.

 

“Non che io sappia. L’ha cercato pure la dottoressa D’Antonio prima e non è segnato né come in ferie, né come in permesso. Ma io sono qui dalle otto ed oggi non si è proprio visto, non so che altro dirle dottoressa,” chiarì Matarazzo, sempre con quella punta di malizia che le dava da morire sui nervi.

 

Ma la preoccupazione sovrastava tutto il resto: non era da Calogiuri non presentarsi al lavoro in modo ingiustificato, né fare ritardo. Poi ormai… altro che ritardo… un altro po’ ed era mezzogiorno.

 

“Ma avete provato a chiamarlo?” chiese, l’ansia che montava e la risposta di Matarazzo non fece che peggiorare la situazione.

 

“E certo che ho provato, dopo che l’ha cercato la D’Antonio. Ma ha il cellulare staccato. Ho lasciato pure un messaggio, ma per ora tutto tace.”

 

“Va bene, la ringrazio, Matarazzo,” si congedò con un sospiro, mentre un sacco di scenari assurdi le affollavano la mente.

 

Dall’ipotesi che non fosse venuto a lavorare per quanto successo il giorno prima, ma che venne subito scartata: Calogiuri aveva un enorme senso del dovere ed era molto professionale, non avrebbe mai saltato il lavoro per una cosa del genere, non senza avvertire perlomeno. Anche perché, con tutte le ferie arretrate che aveva, un permesso glielo avrebbero concesso facilmente.

 

E poi c’era l’ipotesi che fosse successo qualcosa: un malore, un incidente… e ad ogni scenario che la sua mente le proiettava davanti agli occhi, l’ansia cresceva.

 

Prese il cellulare e avviò la chiamata, sperando che nel frattempo la situazione fosse cambiata, ma una voce metallica le annunciò che il numero non era raggiungibile.

 

Era appena tornata nel suo ufficio quando fu tentata di andare da Vitali a chiedere notizie.


Bella idea, Imma, così se non ne sa niente lo metti nei guai a Calogiuri! - le ricordò la voce della sua coscienza, versione Diana.

 

Si voltò verso l’ufficio della cancelliera e la beccò a guardarla tra l’incuriosito ed il preoccupato, forse avendo notato la sua agitazione.

 

E fu in quel momento che prese d’istinto una decisione, alla faccia della prudenza e del buon senso, ma semplicemente non poteva fare altrimenti.

 

“Diana, io esco, anticipo la pausa pranzo. Ci vediamo più tardi!” annunciò, guadagnandosi uno sguardo sorpreso, ma non attese nemmeno di ricevere risposta, prima di infilarsi il cappotto, recuperare la borsa ed avviarsi a passo deciso lungo il corridoio, verso le scale, che scese a due a due.

 

Sarebbe andata all’appartamento di Calogiuri e si sarebbe accertata se stesse bene, o se almeno fosse in casa. E se non lo avesse trovato… avrebbe chiamato gli ospedali, a costo di fare la figura dell’idiota paranoica, ma non le interessava.

 

Se gli fosse successo qualcosa… non ci poteva nemmeno pensare, perché la sola ipotesi le faceva gelare il sangue nelle vene.

 

Aveva appena disceso l’ultimo gradino quando sentì, poco distante, delle voci femminili che alternavano risolini ad esclamazioni entusiaste del tipo “ma quanto sei bella!!” e “ma che amore!!”, con quel tono da rincretinite che solitamente si riserva solamente ai bambini o ai cuccioli - che poi in fondo, il concetto è lo stesso.

 

Si voltò e ciò che vide le inchiodò le scarpe a terra e si paralizzò completamente, tra il sollievo e lo stupore: mezza popolazione femminile della procura era riunita di fronte all’ingresso della PG, letteralmente accerchiando una figura maschile che reggeva in braccio un bimbo - anzi, una bimba, a giudicare dal florilegio di vezzeggiativi - piccolissima, che non poteva avere più di qualche mese.

 

“Calogiuri!” le sfuggì dalle labbra ed il maresciallo straordinariamente sembrò udirla, nonostante il casino, e alzò i suoi occhi azzurri verso di lei, sorridendole, poco prima che tutto il drappello facesse lo stesso - tranne per il sorriso, ovviamente.

 

“Dottoressa!” le rispose, sembrando stranamente… sollevato?... nel vederla ed Imma, quasi inconsciamente, uscì dalla paralisi ed iniziò ad avvicinarsi a lui ed al nugolo di donne.

 

“Ha visto dottoressa, che avevo ragione quando dicevo di non averlo ancora visto al maresciallo?” le disse Matarazzo che, rispetto alle altre, si teneva un poco più in disparte dal crocchio.

 

“Mi avevate cercato, dottoressa?” le domandò Calogiuri, con un altro sorriso.

 

“Sì, avevo bisogno di parlarti del maxiprocesso e... sinceramente stavo pure iniziando a preoccuparmi che ti fosse capitato qualcosa. Ma che è successo?” gli domandò, ignorando l’espressione della Moliterni sulla sua ammissione di essersi preoccupata per lui, anche perché era una cosa normale e che avrebbe dovuto fare chiunque di loro al posto suo. E poi era lei la stronza dal brutto carattere.

 

“Mia sorella stanotte ha avuto un’emergenza e sono dovuto andare a recuperare lei e mia nipote a Grottaminarda e poi mi ha affidato mia nipote… è una lunga storia. Solo che non ho nessuno a cui lasciarla e quindi l’ho portata qui, anche per avvertire del motivo della mia assenza. Purtroppo mi si è scaricato il cellulare e non avevo il caricabatterie con me…”

 

Imma tirò un sospiro di sollievo e si fermò, ormai a pochi passi da lui. E, in quel momento, la piccola si voltò verso di lei, forse avendo sentito il rumore dei tacchi, e la fissò con due occhi azzurrissimi che le causarono un colpo al cuore, perché erano praticamente identici a quelli dello zio.

 

Non potè evitare di sorriderle, ma la cosa sorprendente fu che la bimba, dopo averla squadrata ancora per un attimo, non solo ricambiò con un sorrisone sdentato, ma esplose pure in un risolino, iniziando a muovere le braccia nella sua direzione.

 

“Ta-ta,” pronunciò la piccola, tra un sorriso e l’altro, mentre Calogiuri, il drappello di donne e la stessa Imma la guardavano con incredulità.

 

“Non tata, Tataranni, piccola, fidati, è assai diverso,” pronunciò sarcastica la Moliterni, prima di proclamare, con un sorriso malizioso, “comunque deve aver preso i gusti inspiegabili di famiglia, è evidente.”

 

Imma stava per dirgliene quattro, quando la bimba iniziò a sporgersi verso di lei dalle braccia dello zio, nel segno universale ed inequivocabile che indica il voler essere presi in braccio, e per poco ad Imma non venne un colpo, mentre una botta di magone le fece pizzicare gli occhi.

 

Incrociò lo sguardo di Calogiuri e vide la stessa meraviglia ed una buona dose di commozione.

 

“Posso?” gli chiese, guadagnandosi un’altra occhiata scioccata da Moliterni and friends.

 

“Ma certo, dottoressa!” esclamò Calogiuri con un sorriso emozionato, porgendole la piccola, mentre lei se la prese in braccio con mani un po’ tremanti, una scossa che la colpì in pieno quando le sue mani e braccia sfiorarono quelle del maresciallo.

 

Per un secondo temette che la bimba rinsavisse di colpo e si mettesse a piangere disperata. Invece Noemi - così si chiamava se non ricordava male - sorrise ancora di più e si mise a fare degli altri versi e gorgoglii tipici di quell’età.

 

Istintivamente, le sorrise di rimando e la fece sobbalzare un po’ tra le braccia, cullandola, guadagnandosi delle occhiate sbigottite da Moliterni, Matarazzo e da tutto il cucuzzaro, che la fissarono manco fosse un’aliena.

 

“Beh, che c’è? Vi ricordo che sono madre pure io e mia figlia mica l’ho fatta crescere ai lupi,” sibilò, sarcastica, e Noemi esplose in un altro risolino, conquistando definitivamente il suo cuore, se ancora ce ne fosse bisogno.

 

“No, solo dal marito,” sentì sghignazzare la Moliterni, seguita a ruota dalle altre oche del REGE. Ma in quel momento non gliene poteva proprio fregare di meno.

 

“Senti, Calogiuri, tu hai idea di come fare con la bambina? Hai il latte da darle e tutto il resto dell’attrezzatura?” gli chiese, pratica, come se stesse parlando di un caso da risolvere.

 

“Mia sorella mi ha lasciato tutto, dottoressa. Dire che so come si faccia… più o meno,” ammise, mostrando lo zaino che teneva in spalla e toccandosi il collo come faceva quando era nervoso.

 

“Allora vieni nel mio ufficio che tra io e Diana qualcosa ancora dovremmo ricordarcela e almeno la bambina ha un posto più tranquillo dove stare della PG,” propose, guadagnandosi l’ennesima occhiata sorpresa delle astanti.

 

“Sempre se non parti con una delle tue sfuriate, Imma,” proclamò la Moliterni con un altro sorrisetto ed Imma si chiese se fosse la stessa persona che a Capodanno le aveva mezzo salvato la faccia - letteralmente - e che, almeno al momento, non aveva ancora chiesto nulla in cambio per il favore del suo silenzio.

 

“Se mi porti tutti i fascicoli che ho chiesto per tempo non ce ne sarà bisogno, Maria,” replicò, tagliente, e Noemi di nuovo riprese a ridere.

 

Lanciò un’occhiata a Calogiuri, che sembrava divertito quanto lei e dovette usare tutto il suo autocontrollo per non scoppiare a sua volta in una risata.


Girò sui tacchi e, con Calogiuri al fianco e la bimba in braccio, si avviò su per le scale, anche se ad un passo molto più lento del suo solito.

 

“Dottoressa Tataranni? Che ci fa con una bambina? Le feste natalizie hanno addolcito perfino lei?”

 

La voce stupita di Vitali la raggiunse appena arrivata in cima alle scale.

 

“No, dottore, non si preoccupi, non c’è pericolo. Questa è la nipote del maresciallo e sua sorella gliel’ha lasciata per un’emergenza. Immagino non sia un problema se, intanto che troviamo una soluzione alternativa, resta per un poco nel mio ufficio, vero?” gli domandò, mentre pure Vitali continuava a guardarla sorpreso, manco se avesse annunciato che la bambina aveva intenzione di mangiarsela per pranzo.

 

“Ma no, dottoressa, ci mancherebbe, solo… non è da lei transigere così sul protocollo. Ma è umana, me ne compiaccio,” rispose il procuratore, iniziando a sorridere e a fare versi cretini in direzione della bimba che, per tutta risposta, gli afferrò il naso con entrambe le manine, provocandogli una smorfia di dolore.

 

“Ma no, dottore, è che, vede, io sono più che tollerante con le persone intelligenti. Ed è evidente che questa bimba a pochi mesi bagna il naso alla maggior parte delle persone qui in procura. Con permesso, mi congedo,” lo salutò, staccando Noemi dal suo naso prima che facesse troppi danni e guadagnandosi un’occhiataccia del procuratore e l’ennesima risata della bimba.

 

“Ti piace proprio quando cazzio la gente, eh, Noemi?” le chiese, ironica ed intenerita, e la bimba si produsse in un’altra risatina entusiasta, “brava, farai strada nella vita! Ti sopporteranno in pochi ma buoni, ma farai strada!”

 

Vide con la coda dell’occhio Calogiuri che si sforzava di trattenere una risata, pur con gli occhi un po’ troppo lucidi e che sembravano più grandi del solito. Entrò finalmente in ufficio e lo udì richiudere la porta alle sue spalle.

 

“La dottoressa non c’è, è uscita prim-” Diana si interruppe bruscamente sulla soglia, squadrandoli come se temesse di stare allucinando, “Imm- dottoressa, ma chi è questa bimba? Maresciallo, ma che succede?”

 

“La nipote del maresciallo, Diana. E, a proposito, Calogiuri, ma che è successo a tua sorella?” gli domandò, ignorando l’occhiata sbigottita di Diana e sedendosi su una delle poltroncine davanti alla scrivania, la bimba ancora in braccio che gorgogliava felice come una pasqua.

 

“Mi ha chiamato ieri sera. Suo marito, il padre di Noemi, fa il camionista e si è sentito male in Francia mentre faceva una consegna. Un’appendicite, lo hanno dovuto operare prima che andasse in peritonite. Quindi lo sta raggiungendo con un collega di mio cognato che deve riportare indietro il camion, mentre loro probabilmente rientreranno in aereo non appena mio cognato avrà il via libera dai medici per il trasferimento sanitario. E non poteva portarsi dietro la bimba in un viaggio simile e non poteva lasciarla a mia madre perché a casa a Grottaminarda si sono presi tutti l’influenza e sono ancora a rischio contagio. Quindi la devo tenere io per qualche giorno.”

 

“Un lazzaretto, praticamente, Calogiuri,” commentò Imma con un sospiro, “immagino ti prenderai qualche giorno di ferie arretrate?”

 

“Se posso sì… ma credo che avrei bisogno anche di una babysitter, non so se sono in grado da solo di farcela. Ma non conosco nessuno,” ammise Calogiuri, ricambiando il sospiro.


“Diana, tu conosci qualcuno, per caso? Che sei meglio dell’ufficio di collocamento per queste cose,” ironizzò Imma e Noemi, puntuale come un orologio svizzero, riprese a ridere.

 

“Forse… forse c’è un’amica di Cleo che a quanto ne so è bravissima con i bambini, sta pure studiando per fare l’educatrice. Se vuoi chiedo a Cleo il numero così sentite se è disponibile.”

 

“Ecco, visto?” chiese a Calogiuri con un sorriso sarcastico, prima di aggiungere, con tono più gentile, rivolta alla cancelliera, “e brava, Diana, grazie. Puoi sentirla subito?”

 

Una piccola parte di lei non potè evitare di interrogarsi su quanti anni avesse l’amica di Cleo e quanto fosse avvenente. Ma non era il momento di farsi prendere dalla gelosia e, in ogni caso, quelle erano domande che non avrebbe mai potuto fare, non a Diana.

 

La cancelliera la guardò come se pensò che fosse impazzita del tutto, probabilmente per la gentilezza inattesa, oltre che per la creatura che teneva in braccio, ma poi tornò nel suo ufficio senza fiatare.

 

Sentì una strana sensazione di calore al petto e per un attimo non ci fece caso, convinta che fosse l’effetto della presenza di Calogiuri. Ma, quando incrociò gli occhi del maresciallo e lo trovò praticamente paonazzo, seguì lo sguardo di lui fino al suo stesso seno e vide che Noemi si era attaccata con la bocca alla lana del suo maglioncino.

 

“Mi sa che qualcuno ha fame…” cercò di ironizzare, anche se la sua voce le suonò fin troppo roca, mentre sentiva di nuovo quel maledetto pizzicore agli occhi ed un altro genere di calore sul cuore, prima di staccarsela delicatamente e proclamare, “Noemi, mi dispiace deluderti, ma qua la latteria ha chiuso i battenti quasi vent’anni fa. Calogiuri, hai il latte con te, vero?”

 

“S- sì, dottoressa,” balbettò, imbarazzatissimo, spalancando il borsone ed estraendone un bollitore elettrico, un biberon, una bottiglia d'acqua e la confezione di latte artificiale.

 

“Lo ha già preso il latte artificiale, spero?” gli domandò, temendo una risposta negativa, visto che la povera creatura doveva resistere ancora per chissà quanto senza la madre.

 

“Sì, dottoressa. A casa ho un poco di latte che mi ha lasciato mia sorella, ma Noemi mangia talmente tanto che le dà anche un po’ di quello artificiale tutti i giorni.”

 

“E brava, Noemi, ti tratti bene, eh?" le sorrise, accarezzandole la pancia e la bimba si produsse in un altro dei suoi risolini, provando di nuovo inutilmente ad attaccarsi al seno, per poi rassegnarsi e mettersi a tirare il pelo del suo golfino.

 

Dopo vari tentativi, il latte fu finalmente preparato, quasi bollente, e lasciato raffreddare ed Imma gli mostrò come testare che non fosse troppo caldo, “sul polso, Calogiuri, mi raccomando, non sulla mano, che è meno sensibile al calore.”

 

“Sai come darglielo il biberon?” gli chiese e, di fronte alla sua esitazione, reclinò la bimba su un braccio, afferrò il biberon con la mano libera e glielo avvicinò alla bocca. La piccola se lo prese ed iniziò a succhiare con un’avidità che manco non avesse mai mangiato da quando era nata.

 

“Sono certa che nel frattempo i pediatri e gli esperti saranno venuti fuori con altre mille teorie su come si faccia a fare queste cose, Calogiuri, e mi troverebbero da dire da qui fino all’anno prossimo. Ma Valentina di fame non è mai morta, e mi sa che tua nipote mangerebbe pure appesa al lampadario, per quanto è vorace,” scherzò, alzando gli occhi verso di lui e beccandolo a guardarla di nuovo con quello sguardo commosso, che le provocò quella sensazione di avere il cuore sull’orlo dell’esplosione ed una vampata al viso, insieme però anche ad una botta di malinconia.

 

“Mo prova tu, però, che poi stasera lo devi fare da solo,” gli ordinò, più che altro per distrarsi ed evitare di indugiare troppo in pensieri decisamente pericolosi.

 

Gli porse la nipotina e lui se la prese in braccio, con l’immancabile scossa elettrica che la fulminò allo sfiorarsi delle loro mani, e poi iniziò a darle il biberon, senza particolari problemi, tanto che Imma dovette intervenire solo un paio di volte per mostrargli come tenerle la testa.

 

Si scambiarono un altro sguardo e stavolta gli occhi di Calogiuri erano talmente lucidi da far spavento.

 

Chissà se anche tu stai pensando a come sarebbe… avere un figlio nostro... - pensò Imma, cercando di deglutire il nodo in gola.

 

Sentì un rumore alle sue spalle e si voltò, beccando Diana che si era fermata sulla porta tra i loro uffici ad osservarli, con un’espressione strana.

 

“Visto che mi sembra che ve la stiate cavando benissimo pure senza di me, io andrei in pausa pranzo, che a me il biberon non basta,” scherzò, dopo qualche istante di silenzio, ed Imma si limitò ad annuire, perché non si fidava di che suono avrebbe potuto produrre la sua voce, se si fosse azzardata a parlare in quel momento.

 

Non appena udì il rumore della porta che si chiudeva, sentì una mano sulla guancia e due labbra sulle sue, in un bacio delicato, che si interruppe quasi subito perché Noemi si mise a vociare, reclamando il latte.

 

“Concentrati, Calogiuri, che questa è peggio di me se non obbedisci agli ordini, e pure veloce,” scherzò, sebbene in modo un po’ troppo tremolante per i suoi gusti, ed il maresciallo si limitò a risponderle con uno di quei sorrisi bellissimi che le facevano male al cuore e mai quanto in quel momento.

 

Ma cercò di ignorare quella sensazione e quella vocetta interiore, concentrandosi sulle attività pratiche. Finito il biberon, gli mostrò come farle fare il famoso ruttino, prima che Noemi rompesse i timpani a mezza procura con un pianto degno di una sirena. Non che non se lo sarebbero meritato, ma ancora l’udito le serviva.

 

E, dopo qualche attimo fugace di pace, la bimba riprese nuovamente a strillare ma, da un evidente indizio olfattivo, non ci volle chissà quale intuito per capire quale fosse il problema.

 

“Mi sa che è meglio se andiamo in bagno a cambiarla, Calogiuri,” suggerì Imma, pensando che quella era una delle tante cose della maternità che invece non le mancavano proprio.


“Non serve… cioè, non ti preoccupare, faccio da solo. Durante le vacanze di natale a Grottaminarda ho imparato,” si affrettò a chiarire con un sorriso, premuroso e cavaliere come sempre.

 

“Tua sorella l’attività migliore di tutte non ha perso tempo a insegnartela, vedo. Mo ho capito da chi ha preso Noemi,” ironizzò, guadagnandosi una mezza risata da Calogiuri ed una sdentata dalla piccola che, per qualche motivo inspiegabile, sembrava divertirsi un mondo ogni volta che lei usava un tono sarcastico.

 

Nel mentre che Calogiuri tornò, rientrò anche Diana, annunciando di avere avuto il numero della babysitter e che fosse disponibile dall’indomani per la giornata. Le notti se le sarebbe dovute smazzare Calogiuri, non che la cosa le dispiacesse da un lato… perché l’idea di lui da solo di notte con una ragazza giovane e probabilmente avvenente….

 

Ma si obbligò a soffocare la gelosia e a riferirgli il tutto, una volta che fu tornato dal bagno, con Noemi nuovamente allegra, anche se un po’ meno vivace.

 

“Mi sa che comincia ad essere stanca, Calogiuri. E anche tu mi sembri un poco provato,” commentò, quando ebbero ripreso posto sulle poltrone di fronte alla sua scrivania, per poi domandargli, con un tono che sperò suonasse professionale agli orecchi di Diana, “che pensi di fare allora? Prenderai ferie lo stesso?”

 

“Se Vitali me le concede sì, magari giusto un paio di giorni. Non voglio che Noemi si spaventi dei troppi cambiamenti: già non è a casa sua e non vede sua mamma. Anche se, come avete visto, è una bimba espansiva e vivace,” le rispose con un sorriso, cullando la piccola, i cui occhi sembravano cominciare a farsi sempre più pesanti.

 

“Va bene, Calogiuri, non ti preoccupare: per un paio di giorni ce la caveremo senza di te. Tu cerca di farla addormentare, con Vitali ci parlo io, così poi potete andare a casa, che mi sa che non è l’unica ad avere bisogno di una dormita.”


“Dottoressa… vi ringrazio, ma non è necessario, con il procuratore posso parlare io e-”

 

“Tranquillo, Calogiuri. Vitali sarà così felice, non appena mi sentirà pronunciare la parola ferie, che mi dirà di sì, prima che io faccia in tempo anche solo a dire per chi sono. Non che non te le concederebbe comunque: lui sulle vicende familiari è più che comprensivo. Stai qui tranquillo che torno subito,” intimò con un sorriso, avviandosi verso la porta e beccando di sottecchi Diana che, dalla sua scrivania, la guardava come se le fosse spuntata un’altra testa.

 

“Qualcosa che non va, Diana?” le chiese di proposito, affacciandosi alla porta tra i loro uffici.

 

“No, dottoressa. Solo che, di solito, lei non chiede mai favori per i colleghi,” le ricordò, con una punta ben poco velata di sarcasmo.

 

“A parte che, visti i risultati, certi favori forse era proprio meglio che non li avessi affatto chiesti, no, Diana?” le ricordò, considerato il fiasco seguito al trasferimento del marito a Matera, “ma comunque, qui non si tratta di un favore ma di due giorni di ferie che al maresciallo spettano da regolare contratto collettivo e che mi premuro semplicemente di domandare a Vitali in sua vece, invece che costringerlo ad andarci con una bimba di pochi mesi in braccio che, se non si addormenta a breve, riprenderà ad urlare peggio di quanto farò io alla prossima insinuazione di questo genere che ti azzardi a farmi. Chiaro?”

 

“Chiarissimo, dottoressa,” sospirò Diana, abbassando il capo, con l’aria di chi sapeva, di nuovo, di essersela cercata.

 

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“Dica pure al maresciallo di prendere i giorni che gli servono, tenendosi però a disposizione durante il giorno in caso di emergenza, che non credo capiterà,” concluse Vitali, dopo una breve conversazione, lo sguardo ancora un poco sorpreso, anche se mai come quando gli aveva chiesto delle ferie per Calogiuri, “comunque a lei i bambini fanno proprio bene, dottoressa. A saperlo prima, le avrei portato la mia di nipote, anzi, pronipote in visita.”

 

“Guardi, dottor Vitali, come ho già provato a spiegarle, la mia pazienza con i bambini dipende tutta dal loro carattere, esattamente come quella con gli adulti. Quindi a grande rischio e pericolo di sua pronipote. Con permesso,” ironizzò, facendo per avviarsi verso la porta.

 

“E allora dovremo clonare i geni della famiglia del maresciallo per scoprire il loro segreto, dottoressa.”

 

“Basta parlare poco e lavorare molto, dottor Vitali, senza scomodare la genetica,” sibilò, aprendo la porta e chiudendola dietro di sé.

 

Percorse rapidamente il corridoio fino al suo ufficio, rallentando in prossimità della porta e cercando di fare meno rumore possibile coi tacchi, in caso la bimba dormisse.

 

E la scena che vide dalla porta le strinse il cuore: Calogiuri che sorrideva alla nipote in un modo che definire tenero sarebbe stato come definire Einstein un poco intelligente. La cullava e le accarezzava leggermente una manina, mentre la piccola sembrava già addormentata.

 

Di nuovo, quella vocina interna scalpitò, facendole male all’anima, il nodo in gola che divenne soffocante. Che Calogiuri ci sapesse fare con i bimbi, l’aveva già notato in precedenza ma, vedendolo con sua nipote, aveva avuto la conferma definitiva di quanto gli piacessero e quanto ci fosse portato. Un giorno sarebbe stato un padre perfetto, se-

 

Se tu non glielo impedisci, Imma - la voce della Moliterni le ricordò, al posto della sua coscienza, puntuale come il mal di denti e purtroppo, come sempre, niente affatto in torto, palesando quel pensiero latente che l’aveva tormentata nelle ultime ore.

 

Perché, se anche si fosse decisa a lasciare Pietro quel giorno stesso, se anche lei e Calogiuri avessero potuto uscire allo scoperto l’indomani - cosa impossibile - la probabilità che lei lo rendesse mai padre era tendente quasi allo zero.


E non solo per l’orologio biologico che si avvicinava inesorabilmente agli ultimi rintocchi. Per avere una possibilità non infinitesimale di restare incinta, avrebbero dovuto avere un figlio il prima possibile. Ma Calogiuri era ancora molto giovane e non sarebbe stato giusto costringerlo a bruciare le tappe. Lei era diventata madre esattamente all’età che aveva lui in quel momento, e dire che non fosse stata pronta per esserlo, col senno di poi, sarebbe stato riduttivo.

 

Si era persa talmente tante cose, tutte quelle cose che stava cercando di recuperare fuori tempo massimo, e non voleva succedesse anche a lui. Non voleva tarpargli le ali, impedirgli di fare le esperienze che doveva fare, di vedere quel mondo che era giusto che vedesse.

 

E poi… lei non avrebbe mai vinto il premio di madre dell’anno, era poco ma sicuro. Con Valentina era sempre stata troppo poco presente, per via del lavoro, e lo sapeva. Ma, in generale, non era mai stata molto materna, forse più paterna, per gli standard italiani almeno. Non che non amasse Valentina o odiasse i bambini, tutt’altro, ma non era mai stata una di quelle madri affettuose. Magari per via dell’esempio avuto dalla sua di madre, che di tempo per coccole e moine non ne aveva avuto, e le aveva trasmesso un’idea di educazione pragmatica, pratica, senza grilli per la testa.

 

Forse per questo e per il suo essere figlia unica, non aveva mai desiderato una famiglia numerosa. A lei Valentina era sempre bastata. Ma Pietro, una decina di anni prima, aveva insistito per un po’ perché provassero a darle un fratellino o una sorellina, in modo che non fosse sola al mondo come loro due e avesse qualcuno su cui poter contare - o con cui potersi scannare - per il resto della vita.

 

Imma non era stata proprio convintissima, ma alla fine si era fatta convincere ed avevano tentato per qualche mese, senza successo. Lei lo aveva interpretato come un segno del destino, Pietro aveva a poco a poco smesso di parlarne e tutto era proseguito come se nulla fosse avvenuto. Certo, non erano andati da nessun medico e magari lei non ci aveva provato con sufficiente impegno, ma se già non ci era riuscita dieci anni prima, la situazione non poteva essere che notevolmente peggiorata nel frattempo.

 

In quel momento, Calogiuri si voltò e quegli occhi azzurri e stanchi incrociarono i suoi, interrompendo i suoi pensieri e dandole un’altra stretta al cuore, un senso di magone e tristezza che la invasero prepotentemente, senza poterlo evitare.

 

Si sforzò di fargli un sorriso e si avvicinò a lui lentamente, quasi come se avesse paura di cedere con ogni secondo che passava e mostrare ciò che realmente provava in quel momento.

 

“Vitali ti ha concesso le ferie. Basta che resti reperibile di giorno in caso di emergenza, ma non dovrebbero esserci problemi. Ora però vai, anzi, andate a casa a riposare. Fatti accompagnare da un collega con la macchina, così non prendete freddo. Non Matarazzo, che se no tua nipote non solo si sveglia ma come minimo ti vomita addosso tutto il latte bevuto da quando è nata,” ironizzò con la voce più bassa che aveva, non che le ci volesse un particolare sforzo: era roca da fare spavento.

 

“D’accordo, dottoressa… vi ringrazio…” pronunciò lui di rimando, in quello che era poco più di un sussurro, sembrando esitare, come se non volesse andarsene e rimanere ancora un po’ lì con lei, in quell’atmosfera surreale, bellissima ed irripetibile che avevano creato in quella giornata.

 

Ma non poteva permetterglielo né permetterselo.

 

Lo vide raccogliere tutta l’attrezzatura della piccola e un “se hai bisogno di qualcosa per tua nipote... chiama pure, Calogiuri...” le uscì dalle labbra prima che potesse impedirselo. Si ripromise che sarebbe stato l’ultimo cedimento, anche perché era per una buona causa. Ma una volta che Noemi fosse ritornata sana e salva a casa con sua madre…

 

Calogiuri, completamente ignaro dei suoi pensieri, le fece uno di quei sorrisi amplissimi che fu il colpo di grazia. Sforzandosi di nuovo di ricambiare il sorriso, si concesse un’ultima carezza ad una delle guanciotte della bimba che, salvo emergenze di quei giorni, molto probabilmente non avrebbe mai più rivisto.

 

“Fatti sempre valere, piccoletta,” le sussurrò, vicina all’orecchio, ed il nodo in gola divenne una palla da golf quando la vide sorridere nel sonno.

 

Fu in quell’istante che ebbe la pessima idea di alzare gli occhi ed incontrò di nuovo quelli del maresciallo, che sembrava quanto lei sull’orlo del pianto - ma per ben altri motivi - e che esitò per un momento, quell’espressione che aveva sul viso quando stava per fare una pazzia. Le si avvicinò quasi impercettibilmente e lei gli posò una mano sul braccio, scuotendo il capo, prima che gli saltasse in mente di baciarla con Diana nell’ufficio accanto e la porta aperta.

 

Anche se quel bacio lo avrebbe voluto come l’aria, come l’ultima boccata d’aria prima di ciò che si stava condannando a fare. Ma non si poteva, doveva essere forte e razionale per entrambi.

 

Calogiuri annuì, comprensivo come sempre, il collo che gli diventò rosso dall’imbarazzo per ciò che era stato ad un soffio dal combinare e, con un ultimo sorriso e un “grazie ancora dottoressa, e se avete bisogno per qualsiasi cosa, chiamatemi anche voi, Io resto a disposizione!” si congedò e sparì dietro la porta.

 

Imma aveva chiesto un segno a capodanno, uno stramaledetto segno. Ed i segni c’erano stati: non uno, ma ben tre, compreso quello di quel giorno. Solo che non li aveva voluti vedere, né cogliere, fino a quel momento, perché… perché le indicavano una strada che non era quella che avrebbe voluto percorrere, né quella che aveva pensato e sperato di poter percorrere fino a quella stessa mattina, pur tra le mille incertezze.

 

Una strada però destinata, nel medio-lungo termine, a rendere felice solo lei e a rovinare la vita di tutti gli altri, Calogiuri in primis, e ora se ne rendeva definitivamente conto. Come se la realtà avesse finalmente bussato alla porta, infrangendo la bolla di fantasia che si era creata nella sua testa, presa da quelle sensazioni nuove e fortissime che provava per il maresciallo.

 

E, se am- se voler bene a qualcuno significava volere il suo bene, allora c’era solo una cosa che poteva e che doveva fare.

 

Era ancora lì fissa, piantata di fronte alla porta, quando una sensazione di freddo alla mano la riscosse bruscamente. Si avvide solo in quel momento, dalla goccia perfetta che le ornava il polso, delle lacrime silenziose che le rigavano le guance.

 

Meglio a me mo, che un giorno a lui.



 

Nota dell’autrice: Ammetto che sono in enorme apprensione per questo capitolo e per i successivi che, come avrete intuito benissimo dalle ultime righe di questo capitolo, saranno belli turbolenti, con molti alti e bassi, ma spero continueranno ad essere appassionanti e soprattutto che i personaggi si mantengano realistici ed in personaggio. Vi prometto che il lieto fine ci sarà, e sarà lietissimo, e che la dolcezza tornerà, ma nella vita non può sempre essere tutto rose e fiori e a volte per troppo amore si fanno anche grandi errori. Ma, proprio quando succedono le cose negative, i rapporti possono poi evolversi e farsi ancora più forti. Come si suol dire, ciò che non uccide fortifica ;)

Non voglio farvi ulteriori spoiler ma mai come per questi capitoli vi ringrazio fin da ora se li leggerete e mi farete sapere che ne pensate, perché davvero sono assai in ansia e la vostra opinione è fondamentale per capire come me la sto cavando.

Il prossimo capitolo arriverà, come sempre, domenica prossima.

Grazie ancora di cuore!

 
   
 
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