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Autore: Teo5Astor    07/01/2020    14 recensioni
Un mistero accomuna alcuni giovani della Prefettura di Kanagawa, anche se non tutti ne sono consapevoli e non tutti si conoscono tra loro. Non ancora, almeno.
Radish Son, diciassettenne di Fujisawa all'inizio del secondo anno del liceo, è uno di quelli che ne è consapevole. Ne porta i segni sulla pelle, sul petto per la precisione, e nell'anima. Considerato come un reietto a scuola a causa di strane voci sul suo conto, ha due amici, Vegeta Princely e Bulma Brief, e un fratello minore di cui si prende cura ormai da due anni, Goku.
La vita di Radish non è facile, divisa tra scuola e lavoro serale, ma lui l'affronta sempre col sorriso.
Tutto cambia in un giorno di maggio, quando, in biblioteca, compare all'improvviso davanti ai suoi occhi una bellissima ragazza bionda che indossa un provocante costume da coniglietta e che si aggira nel locale nell'indifferenza generale.
Lui la riconosce, è Lazuli Eighteen: un’attrice e modella famosa fin da bambina che si è presa una pausa dalle scene due anni prima e che frequenta il terzo anno nel suo stesso liceo.
Perché quel costume? E, soprattutto, perché nessuno, a parte lui, sembra vederla?
Riadattamento di Bunny Girl Senpai.
Genere: Mistero, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: 18, Bulma, Goku, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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47 – La principessa dagli occhi di ghiaccio
 
 
«Chichi non la smetteva di chiamarmi, così mi è sorto il dubbio che ci fosse sotto qualcosa… e che c’entrassi tu» sbuffa Lazuli, senza smettere di guardare fuori dal finestrino della macchina guidata dalla sua manager, che di tanto in tanto ci lancia occhiate furtive dallo specchietto retrovisore.
Sì, perché Piiza-san è sbucata fuori all’improvviso da ciò che restava del set pochi secondi dopo il mio arrivo, pronta a tornare in albergo con Lazuli. Era stupita nel vedermi lì, molto più di quanto ha lasciato trasparire la mia ragazza. Ma non ho ben capito se fosse irritazione la sua o anche sollievo. Di sicuro mi scrutava con sospetto. Lazuli, invece, non ha tradito particolari emozioni e io non ho ancora avuto modo di dirle niente.
Siamo seduti insieme sul sedile posteriore. Mi sento bene qui accanto a lei, ma anche strano. Impaurito, forse. Siamo vicini eppure distanti. Però nella sua voce non avverto più lo stesso gelo che sentivo ieri a casa mia. La stessa delusione. Lo stesso astio, magari. Ma potrei sbagliarmi, lei sa essere indecifrabile quando vuole.
«Meno male che doveva fare la vaga…» sospiro, scuotendo leggermente la testa.
Mi sento abbastanza in imbarazzo, ma penso che lo stesso valga per lei. Parliamo, sì, ma non siamo molto noi stessi. Sarà per la presenza di Piiza-san, sarà perché ieri abbiamo litigato… fatto sta che in questa macchina avverto una tensione che potrei tagliare a fette. E che mi mette terribilmente a disagio. E io non mi sono mai sentito a disagio con Là, nemmeno quando all’inizio della nostra conoscenza mi diceva di sparire dalla sua vita o mi urlava dietro.
Mi rendo conto una volta di più che aver visto per la prima volta nei suoi occhi un vicolo cieco ieri sera mi ha davvero distrutto interiormente. Non avevo mai avuto l’impressione di vedere un vicolo cieco nei suoi occhi quando lei mi guardava. Mai. E adesso non riesco a vedere il suo sguardo, visto che non lo distoglie dal paesaggio urbano che scorre fuori dal finestrino. Non so cosa stia pensando realmente di me, del fatto che sono venuto qui.
Mi volto anch’io a guardare distrattamente fuori dal finestrino e intravedo le montagne nell’oscurità che circonda i palazzi del centro abitato di Kanazawa. Sposto lo sguardo sui miei piedi, a disagio. Forse lei si aspetta che sia io a dire qualcosa… sono sempre io a dire qualcosa, che siano cose intelligenti o stupide per far ridere. Ma ho la sensazione di aver perso le parole in questo momento. Mi sembra di aver smarrito tutta la sicurezza che avevo improvvisamente trovato in me dopo aver parlato con Chichi e che ho mantenuto intatta finché ho trovato la mia ragazza in questo luogo gelido e a me sconosciuto. Ho fatto bene a venire qui? L’ho fatta arrabbiare ancora di più? Sono solo un peso per lei?
«Avrai speso una fortuna per arrivare fin qui» dice Lazuli con un filo di voce, dopo pochi ma interminabili secondi di silenzio. È come se stesse cercando lei stessa di rompere il ghiaccio, e la cosa mi stupisce in positivo. Nella sua voce avverto una punta di dolcezza, un velo di preoccupazione. Un briciolo di apprezzamento, ma soprattutto di imbarazzo. Come quando cerca di fare la dura, di mostrarsi distaccata. Ma non ci riesce del tutto. Tutto questo fa sì che il mio cuore riprenda a battere un po’ più forte. Fa sì che un po’ di sicurezza in me stesso torni a scorrermi nelle vene.
«Già, più o meno…» farfuglio a testa bassa. Ho davvero speso una fortuna per arrivare qui con lo shinkansen. Lo stesso che ha speso lei ieri, dopotutto.
«Ce li hai i soldi per tornare indietro?» mi domanda, sempre senza guardarmi, con la voce di chi ha già capito tutto.
«Dovrei farcela, se non prendo lo shinkansen» le spiego, mentre mi immagino quando durerà il mio viaggio di ritorno sui normali treni di linea e ai cambi che dovrò fare. Ma è quello che posso permettermi, va bene così. «Sono partito direttamente dal lavoro con quello che avevo in tasca».
Lazuli sospira, rassegnata. Non tanto come se fosse irritata, ma più come una persona costretta a portare tanta pazienza. Come una mamma con un bambino pestifero, magari.
Smette di guardare fuori dal finestrino e si protende in avanti, appoggiando una mano sul sedile anteriore. Mi volto anch’io e butto un occhio sul display luminoso che segna l’ora, mentre i tergicristalli liberano il parabrezza dalla neve che continua a cadere dal cielo. Sono le 23:56. Gli ultimi quattro minuti del compleanno di Là. E io non ho ancora combinato niente.
«Piiza-san, non vorrei proprio chiedertelo, ma ho bisogno di un favore» chiede gentilmente Lazuli alla sua manager. «Puoi prenotare una stanza nel nostro albergo?»
«Verifico subito se ce n’è una libera» risponde, sorridendole, prima di guardare me attraverso lo specchietto con fare sospettoso.
«E avrei anche bisogno che comprassi un biglietto dello shinkansen per Fujisawa per domani, per favore. Non per me, ovviamente».
«Certo, Lazuli-san. Immagino sia per lo stesso ospite della camera d’albergo» ridacchia. «Lo stesso ospite che stanotte se ne starà buono buono nella sua stanza e non andrà in giro da nessuna parte. E che, soprattutto, non andrà a disturbare l’attrice protagonista del film che stiamo girando» aggiunge lapidaria, cambiando espressione e guardandomi male dallo specchietto.
Io abbasso lo sguardo e torno a guardarmi i piedi. Non ho la battuta pronta come al solito e mi sento di nuovo a disagio.
«G-grazie…» sussurro a Lazuli, che nel frattempo ha ripreso a guardare fuori dal finestrino con le braccia incrociate sotto il seno.
«Sei il solito stupido che fa le cose senza pensare. Non posso lasciarti dormire su una panchina con questo freddo. E voglio risparmiarti qualche ora di viaggio domani perché Goku-kun avrà bisogno di te, tutto qua» ribatte in tono distaccato, come a volersi giustificare. «Non farti strane idee».
«Già…» accenno un sorriso. «Ma grazie lo stesso…».
Restiamo qualche istante in silenzio. Un silenzio meno teso di quello di prima. Avverto un’atmosfera più distesa. Comincio a sentirmi meglio. Più a mio agio. Più me stesso. Lazuli mi sembra meno lontana. Forse ho un po’ meno paura di cadere nel vuoto in questo momento.
«Quindi?» mi domanda all’improvviso in tono quasi annoiato. Come se fosse stufa del mio tergiversare. Come se volesse vedere di nuovo il vero Rad che non ha paura di parlare. Come se volesse arrivare al dunque.
«Ecco… prima di tutto, buon compleanno» le dico, avvicinandomi leggermente a lei.
Lazuli respira profondamente e butta fuori l’aria, mentre scuote la testa in modo quasi impercettibile, senza smettere di guardare fuori dal finestrino.
«Ce ne hai messo di tempo» sibila.
«Già… mi vergogno per questo…» sospiro, abbassando la testa. «Sono stato un coglione…».
«Anche per questo?»
«Sì, anche per questo…» confermo, rendendomi conto che Lazuli allude chiaramente alla faccenda di Videl.
In quel momento Piiza-san inserisce la freccia e poi ferma la macchina dopo aver abbandonato la strada principale che stavamo percorrendo. Mi rendo conto che siamo in un parcheggio ben illuminato e davanti a noi c’è un parchetto. La nevicata è sempre più abbondante, ma le strade sono ancora pulite. È abbondante abbastanza per posarsi sulle giostrine e sulle panche, sull’erba e in cima ai lampioni. Quanto basta a rendere magica l’atmosfera. A tornare anche un po’ bambini, perché no, quando la neve era sempre e solo sinonimo di festa.
Lazuli resta impassibile, come se si aspettasse quella mossa da parte della sua manager.
«Mi sembra di capire che abbiate alcune cose da chiarire tra voi» si volta a guardarci, dopo aver tirato il freno a mano. «Vi concedo un appuntamento di quindici minuti. Non costringetemi a venirvi a cercare, ok? Lazuli-san, posso fidarmi di te?»
«Sì…» sospira.
«Non voglio certo che ti ammali o prendi il raffreddore con questo freddo» riprende la sua manager, prima di puntare i suoi occhi nei miei, regalandomi uno sguardo omicida. «Tu vedi di sistemare le cose con lei e di tirarle su il morale. Oggi è stata un disastro al lavoro e ho capito subito che era tutta colpa…».
«Basta così, Piiza-san» la interrompe Lazuli, facendo calare il gelo nell’abitacolo. Apre la portiera e scende dalla macchina.
«Sei il suo ragazzo e so che lei sta bene con te. Sistema le cose e rendila felice, per favore. Oggi era proprio giù di morale» mi dice a bassa voce la manager, addolcendo anche il tono. «Lei non merita di soffrire. Né nel giorno del suo compleanno, né mai».
«Lo so» le sorrido, aprendo la portiera e facendo per scendere.
«Sono contento che tu sia qui. O meglio, lo sarò se non farai altri danni» sorride a sua volta. «Ah, prendi il giaccone pesante che c’è nel baule. Me l’ha dato prima un ragazzo della troupe, dovreste starci sotto entrambi».
«Era un energumeno con la cresta rossa?»
«E tu come fai a saperlo?!»
«Ho tirato a indovinare…» rispondo, scendendo e chiudendo la portiera.
«Cos’è quel sorrisino?!» sbotta Lazuli, non appena mi guarda in faccia. Ha le braccia incrociate sotto il seno e il cappuccio della mia felpa calcato sulla testa. Una ciocca di capelli dorati fa capolino accanto al suo occhio quando si volta e comincia a camminare risoluta verso il parchetto. «Dai, andiamo».
Affretto il passo per seguirla, stringendo sottobraccio il giaccone pesante e rabbrividendo per il freddo. Indossare una giacca autunnale in una notte nevosa di dicembre a Kanazawa non è proprio il massimo, ma non potrei desiderare altro in questo momento nemmeno se avessi tra le mani la lampada di Aladdin e il Genio a mia disposizione. Anzi, forse una cosa vorrei chiedergliela: desidererei sistemare le cose con Là. Mi basterebbe questo.
 
Senza parlarci saliamo in cima a uno scivolo, proprio come avevamo fatto ad agosto durante il festival dei fuochi d’artificio di Enoshima. Ci è venuto spontaneo andarci. Ci siamo capiti senza bisogno di parole, proprio come è sempre stato.
Il panorama è mozzafiato anche qui. Anche senza il mare o lo spettacolo pirotecnico. Questo parchetto si trova in una sorta di strapiombo con vista panoramica. Dominiamo dall’alto la città con le sue luci colorate, mentre alle nostre spalle si stagliano le montagne. I fiocchi di neve si assottigliano, un lieve vento gelido sposta una nuvola quel tanto che basta per liberare nella notte la luna piena. Bellissima, anche se lontana. Un bottone d’argento cucito sul mantello nero che sembra indossare per noi questa notte. La flebile luce argentea illumina dall’alto gli ultimi fiocchi cristallizzati che continuano a cadere e che si insinuano tra i miei capelli e sul cappuccio di Lazuli. La sento rabbrividire.
Mi avvicino a lei in silenzio e apro il giaccone. Mi stringo a lei e faccio in modo che ci avvolga entrambi come un caldo mantello, stringendolo sul davanti con la mano sinistra. Mi lascia fare. E mi sento il cuore esplodere come se fosse la prima volta che mi avvicino a lei. Sento il suo profumo fresco e il suo calore sulla pelle. Le nostre mani si sfiorano, protette dal tepore che creano i nostri corpi avvolti in questo gigantesco mantello improvvisato. Forse fa un sussulto, o forse me lo immagino e basta. Forse sono stato io a sussultare. Non mi guarda, ma mi lascia fare. Sembra tranquilla.
Oso di più e le passo il braccio destro intorno alla vita, stringendola a me un po’ di più. Molto di più.
«N-non voglio farti prendere freddo…» mi giustifico con un filo di voce. Dalla bocca mi esce più fumo di quanto fiato dovrei aver emesso con le mie parole. Sarà la tensione che mi svuota i polmoni, sarà che mi sento in estasi così stretto a lei. Sarà che mi sento in paradiso, ma anche che ho paura di precipitare all’inferno da un momento all’altro. Di cadere nel vuoto. Un vuoto senza fine, come mi capita troppo spesso di sognare. Ma il bello degl’incubi è che a un certo punto la fine la decidi tu, atterri quando riesci a svegliarti. Oggi no, cazzo. Oggi è vita vera e quella che è al mio fianco so per certo che è la donna della mia vita. Lo so e basta, anche se siamo giovani e andiamo ancora al liceo. Lo so e basta. Punto.
«G-grazie…» ribatte lei, voltando la testa dalla parte opposta rispetto a me. Sembra intimidita. Indifesa. E mi fa impazzire. Mi fa venire voglia di proteggerla. E mi fa sentire ancora di più una merda per quello che le ho fatto.
«È stata una giornataccia al lavoro allora, oggi? Dovevi essere tanto giù di morale… tu non sbagli mai…» butto lì, per provare a intavolare un discorso sensato e arrivare a scusarmi. Parto dalle parole di Piiza-san, ma mi rendo conto che probabilmente avrei potuto scegliere un incipit migliore per rompere il ghiaccio.
«Indovina perché…» sbuffa, irritata.
«Sono un disastro, scusa…».
«A volte lo sei, è vero» conferma, fredda e distaccata. «Comunque me la sono cavata anche oggi sul set in qualche modo. Anche… anche se, beh… ero un po’ giù» aggiunge con un filo di voce, abbassando la testa per un istante, prima di rialzarla di scatto e puntare severamente i suoi occhi di ghiaccio nei miei. Ha ritrovato subito il suo aplomb, o forse la sua baldanza. Il suo voler fare la dura. La sua gelida corazza. Il calore del fumo che esce dalla sua bocca accarezza la mia, vicini come siamo. Stretti l’uno all’altra come siamo. «Tu, piuttosto, mi sembri fin troppo di buon umore». Il suo tono è polemico. Offeso. Mi osserva con attenzione, forse per la prima volta da quando ci siamo visti stasera. Più la guardo negli occhi e più sembra mi scavino dentro. Più la guardo e più rivedo in lei la mia principessa dagli occhi di ghiaccio.
«In realtà… ecco, in realtà è da ieri sera che sto male, solo che…».
«Cos’hai in faccia?!» mi interrompe. Il suo tono è preoccupato e allarmato. Deve aver notato i segni che mi ha lasciato Vegeta.
«Diciamo che ho fatto una chiacchierata con Vegeta. Ma è tutto ok, parlare con lui e con le altre mi ha fatto bene».
«Fammi vedere» ribatte, facendo scivolare un braccio fuori dal nostro rifugio improvvisato e allungando una mano verso il mio zigomo. Lo sfiora con un dito. Il suo tocco è caldo e delicato. Soffoco un gemito di dolore causato dal livido che sento sotto la pelle. «È un po’ gonfio. Ti fa male?»
«No, non preoccuparti. Stavo molto peggio prima… un paio di pugni e qualche parola mi hanno aiutato a svegliarmi, a capire qualcosa».
«E cosa avresti capito?»
«Che volevo venire qui. E che ti amo».
«Quello non lo sapevi già?!» sibila, offesa, ritraendo la mano e rifugiandosi di nuovo del tutto sotto il giaccone. Distoglie lo sguardo dal mio.
«Certo che lo sapevo» sorrido. «È una delle poche cose che so con certezza da quando ti ho parlato per la prima volta quel giorno in biblioteca. O forse da prima ancora, quando ti vedevo in tv».
«Dovevi venire prima. Dovevi chiamarmi prima» ribatte, continuando a fissare davanti a sé.
«Io… avevo paura che tu… boh, che non mi volessi e…».
«Quello che conta è che l’hai capito, alla fine» mi interrompe, fredda e orgogliosa. «Te l’ha suggerito qualcuno di venire qui? Anzi, “qualcuna”, visto che hai detto di aver parlato con le “altre”».
«Beh, con Bulma e Chichi, veramente… poi…» sudo freddo.
«Poi con la tua amichetta primina e anche l’altra tua collega che tollero un po’ più di lei» mi interrompe di nuovo. «E spero basta».
La sua voce appare come una sentenza. Sembra gelosa e irritata. È sempre più la Lazuli che conosco, e questo mi fa ben sperare. Anche se forse sta alludendo al fatto che potrei aver visto di nuovo Videl, non lo so.
«S-sì, basta… e l’idea di venire qui è stata solo mia».
«Bene, non mi va che metti in piazza gli affari nostri. Se c’è qualcosa, ne parliamo tra noi».
«Non ho parlato con nessuno dei dettagli di quello che è successo, hanno solo provato a spronarmi perché hanno visto che stavo… beh, che stavo di merda…».
«Hai sofferto tanto?»
«Sì… ma non volevo che tu soffrissi per colpa mia…».
Lazuli si gira e mi guarda. Il bagliore argenteo della luna mi mostra uno scintillio nei suoi occhi di ghiaccio. Mi fa vedere chiaramente che sono lucidi.
«Ti si sono aperte di nuovo le cicatrici?»
«Un pochino. Ma è tutto ok» provo a rassicurarla. Le sorrido.
«Dopo sarà meglio… b-beh, sarà meglio che passi dalla mia stanza in albergo, almeno potrò guardare se sono davvero a posto quelle ferite. Ho… ho il kit del pronto soccorso in camera, nel caso te le medico» farfuglia con un filo di voce. Prima che distolga lo sguardo dal mio riesco a intravedere un lieve rossore d’imbarazzo sul suo volto.
«Ma, la tua manager ha detto che…».
«Da quando Radish Son fa quello che gli dice di fare la gente?!»
«Già…» sorrido di più. «Allora verrò…».
«S-solo perché è il caso che qualcuno controlli quelle maledette cicatrici!» prova a difendersi, visibilmente imbarazzata, senza voltarsi. «Sei… sei talmente stupido che te le sarai medicate male… non farti strane idee!»
«Certo, certo…» ridacchio, cercando di non darlo a vedere. «Grazie Là, non so come farei senza di te».
Lei mi risponde con uno sbuffo, tenendo fisso lo sguardo sul panorama mozzafiato che ci si para davanti.
 
Il cielo smette lentamente di lasciar cadere gli ultimi cristalli di neve e il freddo si fa subito più secco. Lazuli si abbassa il cappuccio e libera i suoi capelli dorati scrollando la testa in quel modo sensuale che mi ha fatto sognare non so quante volte. Che mi ha fatto impazzire, e che lo fa tuttora. Una lieve brezza gelida conduce alle mie narici un dolce profumo di albicocca. Il suo shampoo, già. La mollettina glitterata rifulge per un istante le flebili eppure magiche luci della notte.
Rabbrividisce ancora, seppur in modo quasi impercettibile. La stringo di più. Lei non solo mi lascia fare, ma addirittura appoggia la testa sulla mia spalla e respira profondamente.
«Solo perché si gela…» ci tiene a precisare.
«In effetti avevi detto che per un po’ non mi volevi vicino…» provo a provocarla.
«Fa troppo freddo per badare a quello che avevo detto» sibila irritata. Con una mano dà uno strattone al giaccone per tirarlo più verso di sé, mentre con un piede mi regala un pestone degno dei suoi colpi migliori.
«Ev… e-evviva l’inverno, allora…» farfuglio a denti stretti per il dolore.
«Comunque… comunque sei uno stupido» sbotta dopo qualche secondo di silenzio. «Per quello che dici e per … beh, per tutto».
«Ecco… appunto…» dico con voce malferma, deglutendo il nulla. «Mi dispiace. Mi dispiace davvero tanto. Scusami Là».
«Non importa più» ribatte lei, senza esitare. «Se sono qui con te adesso vuol dire che non importa più. Altrimenti ti avrei lasciato morire assiderato su una panchina della stazione stanotte» aggiunge, glaciale e crudele come ama essere talvolta. «Anche se un po’ di fresco da patire sarebbe stata una pena congrua per te».
«Preferisco farmi picchiare dalla mia regina, piuttosto».
«Non vale quello, ormai sei forgiato dalle mie botte purtroppo» ribatte, e potrei giurare che stia sorridendo anche se non posso vedere la sua espressione. Mi sento improvvisamente più leggero. «E poi ti piacciono. Sei uno stupido masochista maiale. Stupido… tanto, tanto stupido».
«Già, hai ragione… e infatti ci tengo a scusarmi come si deve» sospiro, di nuovo serio. «Sei tornata da Kanazawa in fretta e furia perché eri preoccupata per me e perché avremmo potuto festeggiare insieme il tuo compleanno. Ma io ho rovinato tutto…» aggiungo, stringendo il pugno della mano con cui non cingo Lazuli così forte da farmi male. «Ti giuro che non volevo… ti giuro che… che ti amo».
«In realtà ti devo anch’io delle scuse» ribatte lei, sorprendendomi. Sembra impassibile, ma so che non lo è.
«Non devi nessuna scusa a un coglione come me».
«Invece sì, e dato che sei venuto fin qui solo per vedermi mi tocca essere sincera» mi spiega.
«No, Là, davvero…».
«Sapevo che avevi bisogno di qualcuno che ti stesse accanto in un momento così difficile» mi interrompe, sollevando al contempo la testa dalla mia spalla senza smettere però di guardare davanti a noi. «È stato un po’ uno shock sapere che non sono stata io quella persona. Nemmeno stavolta, quando avrei dovuto esserlo. Per quello… beh, per quello ieri ti ho detto quelle cose. Anche per quello, almeno…».
«Sono stato io a dirti di non preoccuparti, Là! Sono stato io a non spiegarti subito tutto...» protesto. «Non devi prenderti colpe che non hai, non voglio perché sono stato io da solo a creare tutto questo casino e tu non lo meritavi! Tu sei l’ultima persona al mondo che io vorrei veder soffrire, e guarda alla fine che cazzo ho…».
«Rad» mi interrompe. Il suo tono è dolce. I suoi occhi tornano a guardare i miei, finalmente. E sono lucidi, di nuovo. «Mi spiace per non esserci stata quando più ne avevi bisogno».
La purezza con cui dice queste parole mi uccide e mi rianima nello spazio di un millisecondo. Mi disarma, del tutto.
La osservo, me la mangio con gli occhi. In quel preciso istante, mentre qualche leggero fiocco di neve riprende a scendere dal cielo, mi rendo conto di non aver mai visto in tutta la mia vita qualcosa di così bello come mi appare lei adesso.
La vedo davvero come una principessa delle favole, solo che lei è molto più bella.
Guardo la mia principessa dagli occhi di ghiaccio e penso che potrei andare avanti a guardarla per sempre. Lei è lo spettacolo più bello che abbia mai visto.
«A me basta sapere che ci sei per essere sempre felice. Che tu sia al mio fianco o in giro per lavoro» le sorrido.
«Così però è come dire che non faccio mai niente per te!» ribatte, accennando un lieve broncio.
«E ti giuro che è una sensazione fantastica essere felice solo grazie alla consapevolezza della tua presenza, della tua esistenza. Io so com’è il mondo senza di te. So quanto fa schifo… quanto mi fa paura» le spiego, respirando a pieni polmoni una boccata d’aria gelida. «Non mi serve che tu faccia qualcosa in particolare per me, anche perché tu non ti rendi conto di quanto fai e hai già fatto per me. Per sistemare la mia vita incasinata. Per dare un senso al mio mondo. Per aiutarmi a trovare il mio posto nel mondo» aggiungo, liberandomi una mano da sotto il giaccone per accarezzarle una guancia. È fredda. Lascio che il calore della mia mano si trasmetta al suo volto prima di sistemarle delicatamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Un altro dei suoi gesti ricorrenti che mi fa letteralmente impazzire. «Spero con tutto me stesso che un giorno potrò diventare per te lo stesso tipo di persona che sei tu per me».
«L-lo… lo sei già, cretino…» sussurra Lazuli, abbassando la testa per non farmi vedere il suo imbarazzo.
«Forse tu non riesci davvero a capire quanto cazzo ti amo… cosa rappresenti per me. Cosa penso di te» ribatto, sollevandole il mento tra indice e pollice per costringerla a guardarmi. «Sai, vorrei darti i miei occhi per farti vedere come ti vedo io».
«Non serve, scemo. Lo so già… fidati che lo so già» mi sorride dolcemente.
«Tu sei sempre un passo avanti» le sorrido ancora. «Sei la mia principessa dagli occhi di ghiaccio».
«Rad…» sospira, di nuovo seria, senza smettere di puntare il suo sguardo glaciale nel mio.
«Sì?»
«Chiudi gli occhi…» soffia sensualmente in direzione delle mie labbra, così vicine alle sue.
Deglutisco il nulla cosmico, mentre fisso incantato i suoi occhi e il rossore accennato sulle sue gote. Mentre guardo con desiderio le sue labbra appena dischiuse.
Eseguo il suo ordine. Il petto potrebbe esplodermi da un momento all’altro. Voglio baciarla. Ho voglia di lei. Sento che sta per baciarmi.
«Radish…» sussurra di nuovo, ancora più vicina alle mie labbra. Così vicina da sfiorarmele con la punta della lingua. Da riscaldarmele col calore della sua voce. Sì, ora ci baceremo. Mi protendo verso di lei. I pacchetti regalo rischiano di cadermi dalla tasca. Già, devo ancora darglieli. Dopo, però… dopo averla baciata. Ne ho bisogno.
Allungo il collo ancora di più e apro leggermente la bocca. Ma, a sorpresa, non trovo le sue labbra. Non sento più il suo calore, ma solo uno spostamento repentino di aria ghiacciata.
Realizzo solo in quel momento che non mi ha praticamente mai chiamato “Radish” per intero da quando ci conosciamo. La sento liberarsi in un attimo della mia presa intorno alla vita.
Sento soprattutto un clamoroso ceffone sulla guancia risparmiatami da Vegeta, la stessa su cui mi aveva però colpito Lunch.
Riapro gli occhi. Li sgrano, mentre i miei polmoni si riempiono di aria gelida quasi da mozzarmi il fiato. Il freddo e lo stupore mi bloccano in gola un grugnito di dolore.
«Questo è perché mi hai fatto soffrire!» sbotta Lazuli, per poi afferrarmi con entrambe le mani la faccia. Mi costringe a guardarla. Il giaccone ci si sfila dalle spalle e si affloscia ai nostri piedi. «Questo è perché ti amo, razza di scemo…» aggiunge, azzerando le distanze tra noi e baciandomi con veemenza.
Rischio quasi di cadere all’indietro. Finisco con la schiena contro la barriera che circonda il perimetro del pianerottolo dello scivolo. Resto senza fiato, letteralmente. Inebriato da lei, dal suo sapore, dalle sensazioni irripetibili che provo. La stringo forte a me, la avvolgo in un abbraccio per scaldarla e farla mia. La bacio a mia volta.
La bacio come se non l’avessi mai baciata prima. Le nostre lingue si cercano e si rincorrono, si accarezzano e si sbranano a vicenda. I nostri sapori si mischiano, insieme alle nostre anime. La sento fluire in me, e penso di non essere mai stato così bene. Di non essere mai stato così sospeso tra sogno e realtà. Le gambe mi cedono, o forse è solo una sensazione. Come è solo una sensazione la vertigine e il vuoto che dallo stomaco arriva fino alla mia testa. Quel senso di risucchio interiore che si prova negli incubi o mentre si precipita nel vuoto.
Ti senti anche tu così, Là? Io credo che potrei svenire da un momento all’altro, ma non posso farlo e non voglio farlo perché non penso ad altro che continuare a baciarti. Con avidità, con urgenza. E sento che tu stai facendo lo stesso. Che ci stiamo dicendo tante cose senza parlare. Perché non serve, perché tanto stiamo cadendo assieme nel vuoto. Nel nulla, soli in questo parchetto, di notte, sotto la neve. Nessuno ci vede, ma ci siamo. Qualcosa si sente. Il mondo ci sente. Siamo due temporali nel bel mezzo del niente per davvero.
E ci stiamo dicendo la stessa cosa usando parole diverse, mentre precipitiamo senza smettere di baciarci. Cadiamo nel vuoto, è vero, ma ci giuriamo “per sempre”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci di nuovo qui, col primo capitolo del 2020 che arriva giusto giusto per scacciare un po’ via la malinconia che lascia sempre addosso (almeno a me) il termine del periodo natalizio e la progressiva sparizione di tutte le luci e le decorazioni. Non poteva che essere un bel capitolo questo, siete contenti di quello che avete letto?! È stato bello per me tornare a vedere Rad e Là così, spero abbiate apprezzato.
Tra l’altro, siccome sono stupido e non avevo niente di meglio da fare, ho inserito in questo capitolo volutamente una frase relativa alla descrizione dell’ambiente circostante praticamente uguale ad una che ho usato nella mia breve one shot “Il gatto e l’onigiri” che ho pubblicato nel fandom di Fruits Basket. Chi la becca vince millemila punti, come direbbe Senku di Dr Stone! :-)
La scena di Rad e Là abbracciati sotto un unico giaccone vi è piaciuta? A me moltissimo, anche se non so quanto possa valere il mio parere quando parlo di Rad e Là. Però faccio appello alle disegnatrici di efp, se avete voglia di disegnare quella scena mi renderete felice!
Alla fine anche Lazuli si sentiva in colpa, per fortuna sono riusciti a chiarirsi. Rad tira fuori il jolly e fa sciogliere Là con una frase presa in prestito da “Ops” di Mr Rain. Però, prima del bacio, lei gli regala un bel ceffone, giusto per fare anche un remake del capitolo 8 di questa storia, ve lo ricordate?
 
Ringrazio tutti voi che mi lasciate sempre un commento perché siete carinissimi a farlo, per chi scrive e ci mette il cuore alla fine è l’unico modo per sapere cosa ne pensa il pubblico e per trovare ulteriori motivazioni per andare avanti, quindi sappiate che siete fondamentali. Grazie anche a chi legge in silenzio e a chi ha inserito la long nelle liste. È stato un capitolo di svolta direi, quindi se volete dirmi cosa ne pensate mi renderete felice.
Grazie poi agli autori dei tre disegni che ho deciso di pubblicare: Rad e Là quando si vedono sul set al termine del capitolo precedente e poi un omaggio alla Befana dai nostri cyborg di Dragon Ball. Non è un caso che compaia anche C17 oltre al già visto nella storia C16, pensate che possa essere un indizio di qualcosa? ;-)
 
Il prossimo capitolo si intitola “I diciott’anni di C18” e la narrazione proseguirà dal punto in cui si è interrotta in questo. Riuscirà finalmente Rad a dare a Là i due regali di compleanno che ha portato con sé? Cosa le avrà preso? Andrà poi nella stanza d’albergo di Lazuli a farsi medicare le cicatrici nonostante il divieto imposto dalla manager?
Io vi ho fatto queste domande per mettervi curiosità, ma sappiate che il vero hype forse dovrete conservarlo per un’altra bomba che sgancerà Là all’improvviso relativa a Videl. Cosa pensate possa essere successo? E perché sarà proprio Lazuli a sganciare questa bomba su Videl?
Se lo volete sapere ci vediamo mercoledì prossimo con “Remember me”, io conto di tornare già venerdì sul fandom, però, con una one shot dedicata a Crilin e, udite udite, Marion!
Grazie a tutti e buon anno!
 
Teo
 

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