Ancora qualcosa
da desiderare
di Breed 107
Capitolo tredicesimo
Ukyo scosse la testa, per nulla stupita: come aveva
sospettato Akari era ancora lì, seduta accanto a Ryoga. O meglio, raggomitolata al suo fianco. Non si era allontanata da lui nemmeno per andare
a letto quella sciocca, finendo così per addormentarsi accanto al suo amato. Era proprio irrecuperabile, si
disse la cuoca con un sospiro di rassegnazione, poi entrò nella camera di
solito occupata da Konatsu ma che al momento accoglieva Ryoga Hibiki ed in
punta di piedi si avvicinò alla sua amica; la osservò alla luce della fievole
luce che filtrava dal corridoio e non poté evitarsi un sorriso intenerito:
Akari era sdraiata sul pavimento, il viso rivolto verso Ryoga ed una mano era appoggiata con leggerezza al braccio del ragazzo, nel
tentativo inconscio di mantenere con lui una sorta di contatto.
“Sei proprio senza speranze…” sussurrò prima di coprire
la ragazza con uno yukata. Era una notte calda, ma dormire sul pavimento non
era certo l'ideale. Ukyo pensò per un momento di svegliarla ed imporle di
tornare a letto, ma scartò subito l'idea, Akari non avrebbe accettato di
muoversi da lì, almeno fino a quando quello stupido
non avesse dato segni di aver ripreso conoscenza.
I suoi occhi ormai assuefatti alla penombra si
spostarono su Ryoga, scrutandolo con un misto di curiosità e di sottile
dispiacere; non poteva evitarlo, non riusciva a cancellare dalla memoria la
loro chiacchierata di qualche settimana prima, le sue parole… le sue
sconcertanti rivelazioni, che poi non erano state tanto sorprendenti a dire il
vero, ma questo non significava che non le avessero fatto
male. Ukyo strinse le labbra, una leggera rabbia le fece tremare le mani
che strinse a pugno: perché, si domandava, quello stesso ragazzo che le aveva
spiegato senza troppi giri di parole come stavano le cose tra Ranma ed Akane e
che aveva voluto a forza aprirle gli occhi, non aveva riservato la stessa
sincerità ad Akari, una sciocca romantica che pendeva praticamente dalle sue labbra?
'Sarà la prima cosa che ti
chiederò, Hibiki, appena avrai la compiacenza di ritornare dal mondo dei sogni'. Lo guardò ancora, scrutando il suo volto rilassato,
poi dopo un ultimo sospiro si allontanò chiedendosi se Konatsu fosse comodo
sistemato su un futon al piano di sotto.
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Nabiki sospirò, buttandosi alle spalle con un gesto
carico di stizza il piccolo diario dove registrava con maniacale precisione ed
accuratezza le sue entrate e le dolenti
uscite. Aveva vari motivi per essere arrabbiata la seconda delle sorelle Tendo, a cominciare proprio dal suo piccolo registro: da
giorni ormai non vi erano entrate degne di nota.
La perdita di Kuno cominciava a farsi avvertire e
anche le scommesse sul rientro di Ranma ormai languivano. Inoltre la piccola
sveglia sistemata sulla scrivania segnava le tre del mattino e lei era ancora
sveglia, per cui non era difficile prevedere una giornata
pesante per l'indomani. Ed infine, ultimo, ma non ultimo per gravità, Nabiki
era furiosa per la causa scatenante della sua inusuale insonnia… Aveva provato a negarlo a se stessa per ore, poi sfibrata ci aveva
rinunciato e aveva amaramente accettato la verità: non riusciva a togliersi
dalla testa quel dannato Toshio, il suo bacio rubato… e Kuno.
Imprecò sottovoce e poggiò il capo sulle braccia
incrociate, chiudendo gli occhi. A farle rabbia non era tanto
l'aver subito l'avance di Toshio Nogata, in fondo si trattava di un
semplice, piccolo ed innocente bacio. Beh, forse non tanto innocente,
provenendo da quel concentrato di malizia…
Comunque fosse stato solo quello,
Nabiki Tendo non si sarebbe scomposta più di tanto, non la solita Nabiki, per
lo meno.Ed era proprio quello a turbarla: non si
riconosceva più. Da quando Toshio era entrato nella sua vita era stato capace di confonderla. Poche parole, qualche sorriso ben piazzato,
qualche sguardo profondo e voilà, ecco che la furba e imperturbabile Nabiki
Tendo, vero terrore del Furinkan, si era trasformata in una ragazzina
qualunque, alle prese con i propri turbamenti come una qualsiasi adolescente.
Era snervante!
E poi quel maledetto Kuno,
ci si metteva pure lui! Perché si era innamorato di
quella dea bionda? Non poteva continuare a rendersi ridicolo con la sua smania
per Akane e la ragazza con il codino?! Le cose erano
state così semplici e prevedibili, prima… ed ora tutto diventava confuso ed
incerto. La precarietà spaventava Nabiki più di qualsiasi altra cosa. Il suo
pianificare, progettare, assicurarsi fonti di denaro erano
solo tecniche per rendere la sua vita controllata… ed ora tutto andava alla
malora, per colpa degli ormoni impazziti di uno sciocco ragazzo fissato con il
kendo e per gli occhi ambrati di un manipolatore!
Un leggero colpo alla porta la strappò bruscamente
ai suoi pensieri. “Sì?” chiese prima che la porta si aprisse appena e il volto
minuto di Akane comparisse nello spiraglio.
“Scusa, ho visto che avevi la luce accesa e allora…
tutto bene Nabiki?”
“Veramente dovrei essere io a chiederlo a te. Come
mai sei ancora sveglia? Dovresti riposare.”
Sua sorella minore si strinse nelle spalle ed
entrò, zoppicando leggermente, per poi chiudersi la porta alle spalle “Non ci riesco. Ti spiace se resto un po' qui? Non sembri in
procinto di andare a dormire” le chiese, adocchiando il letto ancora intatto.
Nabiki le fece segno di sedersi ed Akane si
accomodò proprio sul letto, nascondendo a malapena un'espressione di dolore che
il movimento le procurò al fianco. “Ti fa ancora molto male?”
“Solo quando mi muovo… o rido.”
“Allora cercherò di trattenere la mia verve comica,
sorellina.”
Akane le sorrise poi notò
il piccolo diario sul pavimento “Problemi?” chiese, in effetti il fatto che
Nabiki fosse ancora sveglia a quell'ora era strano.
“Non proprio. Le entrate sono in calo data la
defezione di Kuno, ma rimedierò in qualche modo.”
“Uhm, immagino di sì… Non occorre
offrirti il mio aiuto, vero?”
“Già, di solito il tuo consenso non mi serve.
Senti, sorellina…” Akane la osservò in attesa, aveva
la sensazione che qualcosa turbasse sua sorella e la sua espressione in quel
momento sembrava confermare tale sensazione. Era certa che stesse per aprirle
il suo animo, un avvenimento più unico che raro e che proprio per tale eccezionalità doveva essere accolto dal più profondo e
rispettoso silenzio.
“Ecco, tu… tu sei innamorata di Ranma, vero?” sulle
prime fu presa contropiede da quella domanda, soprattutto per il tono
assolutamente privo di malizia di Nabiki.
“Se negassi mi crederesti?” le chiese a sua volta e
l'altra sorrise scuotendo il capo, facendo così agitare
il corto caschetto.
“No… e com'è? Com'è essere innamorati?”
Akane sgranò gli occhi, stentava a crederci: era
quello il problema di sua sorella, l’amore?! Era
stupita perché in passato Nabiki non aveva mai condiviso con nessuno ciò che
provava; anche quando aveva avuto quella folle sfida con Kinnosuke Kashaoh i suoi veri sentimenti non le erano mai stati
chiari. A volte pensava che Nabiki si fosse davvero innamorata di lui, ma non
poteva esserne certa. Ed ora…
Nabiki teneva lo sguardo basso,
le mani poggiate sulle ginocchia, sembrava a disagio.
“Sei innamorata Nabiki?” le domandò non potendo evitarsi un tono stupito, Nabiki fece una smorfia e si
strinse nelle spalle.
“No… però, insomma, sono curiosa. Mi rispondi o no?”
Akane annuì, poi abbassò lo sguardo a sua volta,
fissandolo sulla fasciatura che le teneva l'avambraccio immobilizzato: non
avvertiva più dolori forti, ma la ferita sembrava pulsarle.
“E' uno schifo. Essere innamorati è una tortura, orribile…
e meravigliosa. Fa male, ma non sempre; a volte… a volte
ti fa sentire così euforica! Però è anche brutto,
perché affidi il tuo cuore a qualcun altro e non sempre questa persona sa come
trattarlo… e viceversa. Quando sei tu ad essere amato, sei responsabile della
felicità dell'altro e della sua infelicità.” Akane
carezzò lievemente la fasciatura, negli occhi aveva ancora il volto indurito
dallo sconforto di Shan-po… e poi l'immagine indelebile che più volte le
ritornava in mente, le spalle di Ukyo, contratte dalla
tensione mentre la proteggeva. Non avrebbe mai dimenticato quell'immagine, mai.
Nabiki aggrottò le sopracciglia “Quindi sei pentita
di esserti innamorata di Ranma?”
“No, assolutamente no – gli occhi scuri di Akane si fissarono nei suoi e Nabiki riconobbe la
determinazione per cui sua sorella era famosa – non mi pentirò mai di amarlo.”
“Anche se non dovesse
tornare più?”
La ragazza più giovane sorrise e il suo volto si rilassò “Oh, Ranma tornerà, vedrai. Tornerà da me.”
“Ne sei così convinta…”
“Certo! E' innamorato di me, Nabiki, quindi
tornerà. Questa sua fuga… è come una sfida che lui crede di avermi lanciato e
lo sappiamo quanto può essere testardo in questi casi, ma stavolta la sua
proverbiale imbattibilità sarà infranta: Ranma perderà la sfida e tornerà da
me.” Un sorriso convinto e determinato non meno del
suo tono accompagnò quelle parole e Nabiki non poté far altro che ricambiarlo;
non aveva certo le idee più chiare adesso, ma in un certo qual modo parlare con
Akane le era servito: le aveva dato la voglia di
conquistare a sua volta quella stessa sicurezza e determinazione che vedeva
animare sua sorella minore.
“Allora, chi è il fortunato?” la domanda di Akane risuonò divertita.
“Non esiste alcun fortunato! Te l'ho detto, solo
curiosità… A questo proposito, dato che siamo in vena di confidenze, desumo che
tu e Ranma vi siate confessati i vostri reciproci
sentimenti… quando? E come?”
Akane arrossì lievemente, ma il sorriso divertito
di prima non svanì dalle sue labbra “Se credi che ti racconti tutto così che tu
possa andare in giro a rivendere la
notizia, beh, ti sbagli! A meno che…”
“A meno che?”
“A meno che tu mi faccia
il nome del fortunato che ti ha fatto innamorare!”
“Accidenti, sei davvero testarda! Su, avanti,
racconta alla tua sorellina, tu e Ranma vi siete baciati?
E lui ti ha mai toccato e…” una cucinata ben piazzata
proprio in pieno viso interruppe l'imbarazzante interrogatorio.
La notte scivolò
dolcemente su Nerima, tra i canti dei gatti in amore e dei grilli, per nulla
rassegnati alla fine dell'estate.
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Sentiva caldo… non un caldo
afoso, come quello che aveva patito negli ultimi giorni vagando per luoghi
sconosciuti. No, era un caldo piacevole, quasi… intimo. Un calore proveniente da dentro di lui,
quasi.
Ryoga Hibiki si sentì bene. Mentre
riaffiorava dal suo lungo sonno, si sentì bene come mai in quegli ultimi tempi.
Nell'istante in cui divenne lucido avvertì chiaramente le proprie labbra
stirarsi in un piccolo sorriso; dio mio, pensò riaprendo lentamente gli occhi,
da quanto non sorridevo?
Il soffitto che gli apparve dinanzi non gli era
sconosciuto, ma non fu quello a scacciare il sorriso che lo aveva accolto quel
mattino (era mattino, il sole infatti sembrava
invadere completamente il posto dove si era risvegliato). Il fatto era che lui
non avrebbe dovuto essere lì, ovunque fosse lì, non ricordava ancora dove aveva
visto quel soffitto… Ma lui avrebbe dovuto essere
all'aperto, sì, nel parco pubblico di Nerima.
Aveva vagato per giorni, la mente stordita dal
dolore, l'animo tanto anestetizzato da non riuscire nemmeno a prostrasi per la sofferenza. Si era trascinato in giro a
lungo, infischiandosene di tutto, persino della propria forma, una volta tanto
non gli era importato essere un porcellino… non gli
era importato di nulla. E poi, all'improvviso, si era ritrovato in questo
parco, la coscienza ancora assopita, convinto solo di essere
lontano finalmente dall'unico punto sul pianeta dove non voleva più essere.
Solo quel desiderio, di essere il più distante possibile da Nerima, lo aveva
mandato avanti, solo quell'unico pensiero lucido lo aveva tenuto vivo in tanto stordimento, ma quel parco aveva un che di familiare… quel
laghetto… ci era già stato e più di una volta. Sempre più cosciente si era
guardato attorno, più spaventato che curioso, fino a quando l'atroce sospetto
era diventato realtà: era tornato lì, a Nerima, da Akane.
La rabbia era esplosa in lui incontrollabile; la
sofferenza, che per giorni era stata tenuta a bada dal suo stato quasi catatonico,
gli si era riversata addosso senza avviso lasciandolo senza fiato, il petto
contratto per il dolore fisico e gli occhi sbarrati di fronte a quella
maledetta insegna che invitata i visitatori a mantenere il parco di Nerima
pulito… E poi, il mondo era esploso. Di colpo aveva sentito la sofferenza
prender forma ed esplodere in lui, intorno a lui. Doveva aver lanciato
uno shishi hokodan da primato, non lo sapeva, doveva intatti esser svenuto
prima che l'energia ritornasse al suolo. Chissà che danni aveva
fatto…
Però a quel punto la domanda
tornava: cosa ci faceva lì quel soffitto? Era in quel maledetto parco l'ultima
volta che era stato cosciente! Aveva paura di guardarsi intorno e se… se per
qualche strano motivo, avesse scoperto di essere al
dojo Tendo? La sua vita era tanto bizzarra che una simile eventualità non era
da escludere. Perciò restò a rimirare quel soffitto
ancora qualche istante, gli occhi quasi dolenti per lo sforzo di non guardare
altrove.
Qualcosa si mosse sul suo braccio e lui,
istintivamente, spostò gli occhi in basso, per poi sgranarli di colpo per la
sorpresa: poco distante da lui, raggomitolata in posizione fetale, Akari
dormiva tranquilla. Era sua la mano, lievemente poggiata al suo
avambraccio, che muovendosi appena aveva richiamato la sua attenzione. Akari?
Akari…
Forse aveva le allucinazioni, però… era la più bella allucinazione che avesse mai avuto! Il solo osservare
il suo viso tranquillo ed addormentato gli riempiva l'animo di pace e serenità.
Senza quasi rendersene conto, vide una propria mano
allungarsi verso di lei e prima di poterselo impedire, le carezzò una guancia
rosea e liscia. Non era un'allucinazione, nessuna visione
incorporea poteva essere così piacevole. Ryoga sentì le labbra tirarsi
di nuovo in quel timido sorriso di prima, sorriso che però sparì prontamente appena gli occhi di Akari si spalancarono di colpo.
“Ryoga!” lei s’alzò a sedersi, mente lui in tutta
fretta ritirava la mano, le guance colpevolmente in fiamme, ma la ragazza non
sembrò aver notato quel gesto; infatti lo guardò con
un misto di preoccupazione e gioia, le labbra appena schiuse, le ci volle
qualche secondo prima di riuscire a parlargli. “Ryoga, come stai?! Ero così preoccupata! Come… come ti senti?”
gli chiese e lui si strinse nelle spalle.
“Io sto bene, sono solo
confuso. Siamo a Nerima, vero?”
“Sì, io e Ukyo ti abbiamo trovato ieri dopo quella terribile esplosione! Ero così in pensiero,
ma Ukyo mi ha detto che non c'era nulla da temere e…”
“Ukyo? – Ryoga aggrottò le
sopracciglia – conosci Ukyo?”
Akari annuì e sorrise lievemente “Siamo a casa sua,
è da un po' che sono sua ospite.”
“Ecco spiegato il soffitto…”
“Come?”
Ryoga scosse il capo “Nulla, non farci
caso” la rassicurò, mettendosi seduto. Ancora preoccupata, Akari gli
pose una mano su una spalla, ma poi la ritirò fulminea appena lui tornò a
guardarla “Sto bene – tentò di rassicurarla – ho solo la
testa un po' sottosopra e lo stomaco vuoto. Da quanto tempo
sono qui?”
“Da ieri sera… Ryoga – sembrò esitare nel
pronunciare il suo nome – cosa… cos'era quella esplosione?
Ukyo mi ha solo detto di non preoccuparsi, che non eri ferito, ma eri privo di sensi! Io… io non …” le sue parole morirono in un fioco sussurro e timidamente abbassò lo
sguardo mentre Ryoga la osservava. Le guance le sembrarono poter prendere fuoco
da un momento all'altro, ora che si rendeva conto anche di un'altra cosa: si
era addormentata accanto a lui! E lui l'aveva scoperta!
Era imbarazzante da morire, lo ringraziò intimamente di non averne fatto cenno,
ma non riusciva a guardarlo in viso.
“Ukyo ha detto bene, Akari, non
sono ferito. E' che… ecco, detta in poche parole, con quell'esplosione
ho lasciato fluire via da me tutta la rabbia che covavo da un po' e tolta
quella, non avevo molto altro a sostenermi, credo. Ora va meglio” non sembrava del tutto convinto, anzi quelle parole suonarono più
come un flebile tentativo di rassicurare lei.
Lo guardò negli occhi ed ebbe la conferma ai suoi
sospetti: non stava bene, non del tutto. Non c'era più, questo era vero, quell'espressione vuota e spenta che tanto l'aveva
angustiata all'ospedale il giorno dell'incidente, però non era uno sguardo
sereno quello. Placato per il momento, sì… stanco sì, ma ancora triste.
Terribilmente triste. “Sono così addolorata per quello che ti è successo…”
mormorò in un soffio, troppo timida per dare maggiore
sicurezza a quelle parole.
“Non è stata colpa tua Akari, davvero, credimi.”
“Ma non è solo questo! Non
è il senso di colpa che mi addolora! Io provo dolore per te! Per quello
che tu stai passando, per quello che ti è successo! Io vorrei tanto che tu che
tu fossi felice, non ho voluto altro! Per questo quel
giorno sono andata via da casa Tendo, costringere te a restare là, non potevo permettere che tu soffrissi in quel modo!”
La foga con cui gli parlò lo stupì, ma non gli rese
meno gradite le sue parole, il loro significato più profondo. Non avrebbe
meritato un tale amore nemmeno in mille anni! Tanta generosità, tanto slancio per lui, che le aveva solo dato sofferenza…
Quel calore così dolce che aveva provato al suo risvegliò tornò a scaldarlo,
tornò ad invadergli il petto. Era lei a dargli quel calore?
Prima che potesse trovare una risposta, la porta si
aprì con un cigolio che fece voltare entrambi. Ukyo, leggermente perplessa,
ricambiò il loro sguardo. “Io volevo vedere se eravate svegli – borbottò
imbarazzata, poi incrociò le braccia al petto, riacquistando la sua solita aria
sicura – e dal momento che il nostro bell'addormentato si è svegliato, potete anche scendere di
sotto a mangiare qualcosa, sempre che tu Ryoga sia capace di trovare il piano
di sotto.”
Non lo stupì il suo tono ruvido e lievemente
ostile, perciò non si prese la briga di arrabbiarsi con lei “Grazie, cercherò di non perdervi di vista, così da non ritrovarmi
fuori di qui. Mi spiace, ti ho costretto di nuovo ad ospitarmi.”
Ukyo fece una smorfia “Ringrazia
Akari, fosse stato per me ti avrei lasciato nel parco… Portalo tu di sotto”
disse poi rivolta all'altra ragazza prima di dar loro le spalle e
andarsene.
Akari sorrise e, con leggero impaccio, si alzò “Seguimi, hai bisogno di mangiare, di certo.”
“Io devo andarmene. Non posso restare molto” disse in fretta, evitando di guardarla.
“Ma non puoi andartene!
Sarai certo debole e poi…”
“Akari, io non posso restare! – la voce di Ryoga
risuonò più determinata e udibile fu il suo sforzo di non gridarle contro – Non
posso correre il rischio di incontrarla! Io… non ce la
farei, non lo sopporterei” Akari aggrottò le fini
sopracciglia e per alcuni istanti che a Ryoga parvero eterni restò a fissarlo,
perplessa.
“Promettimi una cosa” lui si volse a guardarla,
stupito dal suo tono di voce. Era fermo, come quando sul tetto del dojo gli
aveva detto addio, anche il suo viso esprimeva una forte determinazione “Promettimi
che resterai qui almeno fino a stasera.”
Ryoga scosse il capo con veemenza “No, non posso
prometterti niente e…”
“Promettimi almeno questo! – Akari tornò ad
inginocchiarsi accanto a lui, stavolta una nota disperata vibrò nelle sue
parole, nonostante questo però i suoi occhi mostravano
la stessa tenacia di prima – Non ti chiedo altro che restare qui fino a
stasera, ti prego! Non ti ho mai chiesto nulla, se… se mai hai provato un po' di affetto per me, prometti!”
Ryoga annuì senza nemmeno accorgersene, spinto dalla lacrime che vide nei suoi occhi e dalla sua aria
decisa e afflitta al tempo stesso: porgli un simile ricatto faceva male a lei
quanto a lui. Soddisfatta Akari annuì e tornò a sorridergli “Bene, non lasciare
questa stanza. Chiederò a Konatsu di portarti qualcosa da mangiare e il tuo
zaino, così potrai cambiarti se vuoi, ma tu non uscire da qui!”
Ryoga annuì ancora, incapace di far altro. La seguì con lo sguardo fino alla porta “Dove vai?” le domandò
poi con un filo di voce.
“Torno presto, ho una faccenda da risolvere” e
senza aggiungere altro uscì, lasciandolo solo e ancor più confuso.
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Akane represse a stento uno sbadiglio e piena d’invidia
osservò sua sorella maggiore: com'era possibile che Nabiki fosse in forma così
smagliante, mentre lei si sentiva un mostro assonnato? Poteva quasi avvertirle
fisicamente le occhiaie deturparle il volto, mentre a guardarla nessuno avrebbe
mai detto che Nabiki avesse passato gran parte della
notte sveglia a chiacchierare con lei.
Avrebbe dovuto segnarsi quel giorno sul calendario
si disse con un mezzo sorriso, poiché un simile avvenimento, lei e Nabiki che
chiacchieravano a lungo, accadeva con la stessa cadenza di un'eclissi solare… e
non doveva nemmeno preoccuparsi che sua sorella andasse a rivendersi le
confidenze che le aveva fatto! Nabiki aveva promesso
che non una parola detta in quella stanza sarebbe arrivata ad orecchio alcuno…
Certo, lei trovava sempre un modo per aggirare le promesse, ma per una volta
voleva fidarsi. C'era qualcosa di strano in Nabiki già da qualche giorno, ma ripensandoci
cosa non era strano nella sua vita ultimamente? La sua già non normalissima
vita in quegli ultimi giorni stava diventando ancora più assurda e complicata.
Abbassò lo sguardo nella ciotola di riso che Kasumi
le aveva riempito in maniera imbarazzante, come se il
suo stato giustificasse un'abbuffata, ma a quanto ne sapeva lei una razione
extra di cibo non rientrava nella cura per un braccio rotto ed un ematoma al
fianco…
Nabiki si alzò, lasciando la sua ciotola vuota sul
tavolo e salutò il resto dei commensali con allegria, pronta ad andare a
scuola. Akane avrebbe voluto imitarla, ma le preghiere di suo padre e gli sguardi
timorosi di Kasumi e la signora Nodoka l'avevano fatta
desistere; in fondo era meglio così: aveva bisogno di essere in forma per
affrontare il Furinkan.
Suo padre temeva anche un ulteriore
incontro/scontro con Shan-po, ma Akane sapeva che l'amazzone non avrebbe
provato ad attaccarla ancora. Si mordicchiò le labbra al pensiero di quello che
era accaduto e di cosa ciò significasse, sul serio.
Qualcosa si era rotto, il delicato e folle
equilibrio che si era instaurato tra lei e coloro che la circondavano era
andato a pezzi… e la cosa strana e perfino ridicola era che non aveva fatto
nulla per infrangerlo. C'erano state volte in cui avrebbe persino pagato
affinché le sue rivali venissero a conoscenza di quanto accaduto tra lei e Ranma, ma aveva sempre creduto che sarebbero stati
loro due a renderlo noto. Per quasi due anni tutti loro avevano vissuto come
dei ciechi, non vedendo e non volendo vedere qual era
la realtà dei fatti, tutti avevano recitato la loro parte, con enfasi eccessiva
a volte. Anche lei e Ranma avevano seguito il copione che li voleva innamorati, ma
restii ad ammetterlo, poi ad un certo punto qualcosa nel delicato meccanismo si
era inceppato ed ecco che all'improvviso tutti sapevano tutto. Ryoga, Ukyo e Shan-po, senza che una parola fosse detta loro, ecco
che tutti all'improvviso aprivano gli occhi e capivano la verità. Il
lato terribile era che malgrado la verità, tutta
la verità, fosse venuta a galla, nessuno era felice. Quella verità non aveva
fatto che vittime, lei per prima. Neanche questo aveva previsto.
“Akane… ehi, Akane” il richiamo di Kasumi le giunse
come da lontano, chissà da quanto stava chiamandola.
A fatica riemerse dai propri pensieri e guardò la
sorella maggiore, ostentando la sua espressione più
normale “Sì?”
“C'è una visita per te.”!
“Una visita? Chi è?”
Kasumi le sorrise “La signorina Unryu
vorrebbe parlarti in privato. L’ho fatta salire in camera tua.”
“Oh sì, ti ringrazio. Finirò dopo” alluse alla ciotola quasi intatta e non senza fatica si
rimise in piedi: quel maledetto fianco non smetteva di darle noia.
“Appena avrete finito, vi
preparerò del tè, d'accordo?”
“Sì, ti ringrazio Kasumi.”
Akari la stava aspettando in piedi, al centro della
stanza. Quando entrò, la ragazza si volse a guardarla
e provò a sorriderle, ma ciò che riuscì a fare era solo la pallida ombra del
sorriso dolce e solare della solita Akari.
“Ciao! Sono contenta che tu sia qui, Akari.”
“Io supponevo che non saresti andata a scuola e…
come stai?” indicò il braccio fasciato ed Akane si strinse nelle spalle.
“Meglio di quanto sembri, devo avere un aspetto a
dir poco orrendo! Non stare in piedi, prego, puoi sederti sulla mia sedia”
La ragazza annuì e fece come le
era stato detto, ma quando anche Akane si fu messa comoda sul proprio
letto, tornò ad alzarsi, probabilmente troppo nervosa per restare ferma. Anche le sue piccole mani continuavano a tormentare il bordo
della leggera camicia azzurra che indossava e i suoi occhi vagavano inquieti
per la stanza. “Spero che tu guarisca presto… quanto tempo dovrai tenere il gesso?”
Akane sorrise e decise di alleviare le sofferenze della sua amica, arrivando
subito al dunque e sorvolando i vari convenevoli “Volevi parlarmi di qualcosa
in particolare, Akari?” le chiese tranquilla, ricevendo un'occhiata
supplichevole e tesa in risposta.
“Io, sì… ecco, ieri… ieri dopo che io e… Io e Ukyo
stavamo tornando al locale e abbiamo trovato…” si zittì, incapace di trovare le parole appropriate, poi chiuse gli occhi per
calmarsi e inspirò profondamente. Quando tornò a parlare la sua voce era più ferma e apparentemente sotto controllo “Ryoga è
a Nerima. Io e Ukyo lo abbiamo trovato ieri sera al
parco, privo di sensi.”
Akane aggrottò le sopracciglia “Gli è successo
qualcosa?” chiese dopotutto in ansia e Akari scosse il capo.
“No, ha perso le forze dopo aver eseguito lo shishi
hokodan, io non so se tu conosci – con un cenno di assenso,
Akane la invitò a continuare – ora è da Ukyo. Fisicamente sta bene, ma non è
delle ferite del corpo che io mi preoccupo.”
“Akari, io non credo che…”
“Akane, ti prego, lasciami parlare! – la ragazza le
andò vicina e con slancio prese la sua mano sana tra le sue – io so che quello
che ti ha fatto è terribile, ma sono certa che per quanto tu possa odiarlo, non è nemmeno la metà di quanto lui odii se
stesso!”
“Non dubito che si senti in colpa.”
“Non è solo questo, lui è disperato! Nei suoi occhi c'è un tale dolore, così forte da stringermi il
petto…”
“Anche quello che mi ha
fatto è stato doloroso, Akari. Credi che allontanarlo da me sia stato facile?
Ho sempre pensato a lui come ad un amico, probabilmente il migliore che io
avessi… ed ora l'ho perso.”
Nonostante parlasse con tono
misurato, la sofferenza era palese nella voce della ragazza. Akari la avvertì,
così come la vide nei grandi occhi scuri dell'amica e per un istante si chiese
se ciò che stava facendo fosse giusto, ma poi il ricordo di altri
occhi le ridiede determinazione: gli occhi di Ryoga, colmi di pacata
rassegnazione all'infelicità.
“Lui ti ama.”
Akane batté le palpebre e per alcuni istanti pensò
di aver capito male “Lui è innamorato di te, lo è
sempre stato” Akari ribadì il concetto guardandola dritto in viso.
“Non… non è vero…. Ti sbagli… lui non…”
“Lui ti ama, Akane. Non ha mai avuto il coraggio di
dirtelo e probabilmente non lo avrà mai, ma è così che stanno le cose. Non ti
mentirei mai su una cosa del genere, non t’immagini nemmeno quanto mi faccia male, ma non è tacendo che smetterà di amarti.”
Akane si sentiva come se l'avessero appena
schiaffeggiata. Ryoga innamorato di lei?! Le pareva impossibile… Sì, aveva intuito di piacergli, ma l’amore...
No, non poteva crederci, non poteva accettarlo…. non voleva crederlo perché ciò stava a dimostrarle ancor di
più quanto sciocca e ingenua lei fosse.
Inconsciamente ritirò la mano da quelle di Akari e abbassò lo sguardo puntandolo sul pavimento,
dentro di lei la confusione aumentava e con essa la rabbia, l'unico sentimento
che lei era egregiamente in grado di gestire. “E' una sciocchezza! E se pure fosse vero, questo non lo renderebbe meno
colpevole ai miei occhi, anzi!”
“Ma forse sapendo che è
per amore che si è comportato così potresti comprenderlo meglio, se non
giustificarlo… Anche tu, anche tu sei innamorata Akane, anche tu sai quante
cose stupide si fanno per amore o per gelosia – a quella parola, Akane sobbalzò
– tacerti di P-Chan era l'unico modo per Ryoga di vedere ricambiato il suo
sentimento, se pure in maniera distorta… ed anche una sua piccola rivincita su
Ranma. Se trasformandomi in un maialino riuscissi a
farmi voler bene da lui, credimi, andrei a gettarmi in quella fonte maledetta
immediatamente!”
“Akari, lui non può… sei tu quella che ama!”
“Non è quello che ha detto al signor Ranma quella
mattina, la mattina prima che lasciassi questa casa – sorrise con amarezza e
sospirò – io lo so che non posso chiederti di perdonarlo ora, ma ti prego,
dagli almeno la speranza che questo possa accadere prima o
poi! Ti prego…” sorprendendo una già confusa Akane, Akari le si prostròdinanzi, inginocchiandosi ai suoi piedi e
chinando il capo in chiaro segno di supplica.
Presa alla sprovvista Akane restò a fissarla, gli
occhi sgranati dinanzi ad una simile scena. Allungò la mano integra e le sue
dita tremanti le sfiorarono una spalla “Per favore, alzati. Non devi
inginocchiarti davanti a me, Akari” la voce le tremava
forse ancor di più delle sue mani e dovette deglutire più di una volta per
renderla più ferma prima di tornare a parlarle, una volta che l'altra ebbe
risollevato il volto verso di lei.
“Hai detto che Ryoga è da
Ukyo? – Akari annuì velocemente – Credi che Konatsu lo accompagnerebbe
qui?”
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“Oh, benvenuti! Siete davvero gentili, venire così
numerosi a trovare Akane… Prego, accomodatevi.”
Ryoga deglutì nervoso e si inchinò
rigidamente davanti a Kasumi che li accolse al loro arrivo al dojo. Con passo
tremante seguì Konatsu in casa, mentre Ukyo chiudeva il piccolo corteo in
visita. Era così agitato da tremare quasi; non poteva crederci: Akane voleva
vederlo!
Quando Ukyo gliel'aveva detto poco prima, aveva pensato fosse una bugia della ragazza. L'aveva
guardata con occhi sgranati, fino a quando lei
evidentemente stanca di ripetergli di smuoversi lo aveva afferrato per il collo
della maglia e lo aveva trascinato fuori, borbottando di stupidi suini. Aveva
provato a fare resistenza, dicendole della promessa fatta ad Akari sul non
muoversi da lì, ma lei aveva alzato gli occhi al cielo prima di dirgli con voce chiaramente irritata che era stata proprio Akari a chiederle
di condurlo da Akane, dietro invito di quest'ultima. “Perciò, ora smettila di
fare lo stupido e seguici, e non provarci nemmeno a
perderti, altrimenti giuro che ti inseguirò con la mia
spatola!”
Quando si era infine reso conto
di non esser vittima di uno scherzo crudele della ragazza, il nervosismo aveva
cominciato ad invaderlo. Akane voleva vederlo… perché? Che volesse perdonarlo? Non voleva illudersi, ma non poté impedirsi di sperarlo ad
ogni passo che lo avvicinava al dojo. Konatsu ogni tanto gli lanciava occhiate
preoccupate, forse temendo che alla minima distrazione avrebbe potuto perderlo
di vista, mentre Ukyo gli camminava affianco
ignorandolo.
Kasumi fece loro strada
verso la sala e gli ultimi metri furono terribili per Ryoga, il cuore gli
martellava dolorosamente in petto tanto forte da rimbombargli in testa. Che doveva dirle? Se lei davvero voleva
perdonarlo, non ci sarebbero state parole sufficienti a ringraziarla…
Improvvisamente, mentre entrava nella sala inondata
dal sole, si rese conto di aver voglia di piangere, non sapeva nemmeno se per
la gioia o la tensione. Resistette a malapena e abbassò gli occhi, cercando di
tornare padrone di se stesso prima di vederla.
“Akane, hai ancora delle visite! Prego, ragazzi, mettetevi comodi, io preparerò del tè.”
Ryoga era rimasto fermo sulla soglia delle porte scorrevoli e fu grazie ad una spinta di Ukyo che parve uscire dal proprio stato catatonico
“Avete fatto presto. Ukyo, non pensavo saresti venuta anche tu, però ne sono
lieta.”
La sua voce… Ryoga finalmente rialzò lo sguardo e
la vide; era seduta dinanzi al tavolo, al suo solito posto. Bella
come sempre… Aveva sempre saputo che il bianco le donava e quell'abito leggero
con le bretelline sottili pareva fatto apposta per
risaltare il colore dei suoi capelli.
Akane li guardò a turno, soffermandosi poi su di
lui “Non state in piedi, mettetevi comodi.”
Ryoga ubbidì immediatamente, sprofondando, o meglio
afflosciandosi sulle ginocchia di fronte a lei e per la prima volta si accorse
di qualcosa di diverso, il braccio fasciato.
“Cosa ti è successo, Akane?!”
chiese ansioso, lei si strinse nelle spalle e pose il braccio ferito in grembo,
nascondendolo alla loro vista.
“Un piccolo incidente, nulla di serio…” uno sbuffo
infastidito di Ukyo fu l'unico commento.
“Dov'è Akari?” chiese poi
spiccia la cuoca guardandosi intorno.
“E' fuori in giardino, se volete raggiungerla – più
che una proposta, quella frase di Akane risuonò come
un ordine, seppur pronunciato con garbo – No, tu no Ryoga” il ragazzo infatti
aveva cominciato ad alzarsi, imitando gli altri due. Lui annuì e tornò a
sedersi, infossando quasi il capo tra le spalle.
Passarono alcuni istanti di profondo silenzio dopo
che Ukyo e il suo assistente ebbero lasciato quel
tavolo per uscire fuori; Ryoga sembrava immerso nello studio delle venature del
tavolo da cui non staccava lo sguardo, mentre Akane osservava lui, le
sopracciglia appena corrugate e l'espressione di chi sta cercando le parole più
adatte, poi, quando le trovò, sospirò.
“Ryoga, io…”
“Akane io ti chiedo ancora scusa! Tu sei così
gentile da avermi voluto parlare nonostante tutto quello che ti ho fatto! Per
colpa mia… per colpa mia hai litigato con Ranma e… e tante persone hanno sofferto
per quello che ti ho fatto – pensò ad Akari – ma
averti deluso è la cosa peggiore che potessi fare… io… io…” quel fiume di
parole si esaurì in un mormorio confuso. Aveva parlato di slancio, spinto dal
senso di colpa, ma all'improvviso il silenzio di Akane
pesava come un macigno. La guardò titubante: e se Akane non aveva chiesto di
incontrarlo per perdonarlo? Se invece era tutt'altro
quello che voleva dirgli? Il solo pensiero lo agghiacciò e ancor più in ansia
restò a guardarla.
Ed Akane sorrise, un sorriso piccolo e quasi timido
eppure così bello per il ragazzo che sentì il cuore
allargarsi al solo guardarla “Faresti una cosa per me, Ryoga?”
“Tutto ciò che vuoi, Akane, qualsiasi cosa!”
“Riportami Ranma.”
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Bene, fatto (sembro Giovanni Mucciaccia)…
l'attesa sta per finire, cari/e ammiratori/trici di
Ranma, nel prossimo capitolo finalmente il nostro eroe avrà lo spazio che
merita ^_^. Mi spiace se questa storia si sia tanto 'dilatata', ma come più volte ho ripetuto ad
alcuni di voi, non bisogna dimenticare che questa fic funge da ponte alla prossima: in pratica molte cose scritte in questi
capitoli, serviranno a spiegare molte 'dinamiche' della fiction futura.