Ancora qualcosa
da desiderare
Di Breed 107
Capitolo quattordicesimo
Il dolore stava attenuandosi. Azzardò un respiro più
profondo, ma anche questa volta la fitta al petto fu forte, tale da strappargli
un gemito appena smorzato. Chiuse gli occhi e tornò a respirare con più calma,
inspirando ed espirando lentamente. Si addossò ancora di più all'albero alle
sue spalle, avvertendo con fastidio la ruvidezza della corteccia aderire alla
sua pelle sudata e bruciante. Strinse i denti, resistendo alla tentazione di
lanciare un urlo di rabbia: sapeva che farlo gli avrebbe
fatto male, molto male.
Da quanto se ne stava seduto lì,
si chiese, rannicchiato contro quell'albero? Non doveva esser molto,
appena pochi minuti…
Respirò di nuovo a fondo e stavolta il dolore fu
molto più tollerabile: bene, allora c'erano buone possibilità che le costole
rotte non fossero poi tante, una o due… Una bella
notizia, finalmente! Già, così bella che le sue labbra si
piegarono in un sorriso. Ma quel sorriso non aveva nulla a che fare con
quello solito, arrogante e fiducioso per cui Ranma
Saotome era famoso.
Aveva rischiato grosso. Già, poteva restarci secco.
Con amarezza pensò a quello che tutti avrebbero detto se fosse successo
davvero: 'il grande Saotome morto per una caduta da un albero'… lui che aveva lottato e sconfitto esseri
sovrannaturali, aveva rischiato l'osso del collo per un ramo marcio!
Come ogni mattino aveva preso ad allenarsi,
lanciandosi con rapidità e leggerezza da un ramo ad un altro dei tanti alberi
che lo circondavano, sfidando se stesso ad essere sempre più veloce e a salire
sempre più in alto. Niente di speciale, routine praticamente.
Quella mattina però era atterrato a pie’ pari su un ramo all'apparenza robusto, ad una velocità piuttosto elevata, ma
nell'attimo esatto in cui i suoi piedi vi si erano poggiati, il ramo aveva
ceduto di colpo facendolo precipitare a capofitto da un'altezza di almeno 20 metri.Se non fosse stato il grande
Saotome sarebbe morto di certo, invece aveva attenuato la caduta cercando di
afferrare uno dei rami sottostanti a cui aggrapparsi; c'era riuscito, non prima
però di sfregare per un lungo tratto il dorso contro l'aspra corteccia.
Il dolore era stato lancinante, la camicia si era
tanto lacerata da ridursi in brandelli, così sospettava che anche la pelle
della schiena avesse subito un analogo trattamento.
Con un po' di fortuna ed agilità, era comunque riuscito
ad aggrapparsi al un ramo su cui era praticamente caduto, urtando anche
violentemente il petto: era stato a quel punto che aveva temuto di essersi
sbriciolato svariate costole. A fatica e ansimando quasi per l'adrenalina che
gli scorreva a flotti nel corpo, era ridisceso
lentamente al suolo per accasciarsi alla base dell'albero ed aspettare che il
dolore scemasse e le membra smettessero di tremare.
Era furioso, arrabbiato con il mondo intero, con il
maledetto ramo, la maledetta corteccia che doveva avergli praticamente
asportato via il primo strato di pelle del dorso, la sua testa dura… Perché non
aveva già ingoiato il suo orgoglio e se n'era tornato da Akane? Perché avrebbe dovuto chiederle scusa, ecco perché. Strinse
i pugni, sempre più furente.
A che cosa si era ridotto? Era ricoperto di ferite, colmo di sofferenza e frustrazione, incerto sul
suo futuro… ma forse, pensandoci un secondo, la colpa non era tutta sua, non
era contro se stesso che doveva rivolgere biasimo e dispetto. No, il vero
responsabile di tutto, dolore fisico e morale, era un altro. Il dannato Hibiki.
La mascella gli si serrò con uno scatto ed un nervo
parve guizzare sotto la pelle tesa e pallida del volto su cui erano ormai
evidenti i segni della dura vita che stava conducendo. Riconosceva il
sentimento che stava montandogli dentro, pur non avendolo provato spesso: odio,
odio puro. Gli colava dentro freddo e vischioso,
permeandogli le pareti dell'animo, un torvo placebo per attutire il dolore.
Dopo tutto non era così male provare tanto odio, non
quando era l'unica cosa che poteva farti dimenticare dov'eri, ai piedi di un
albero, solo e ferito.
'Prega che non ti ritrovi sulla
mia strada, Ryoga… prega i kami di non incontrarmi mai più' pensò minaccioso, mentre una fitta al fianco gli ricordava di respirare con più
tranquillità.
“Dove diavolo sono?!”
L'urlo, talmente forte da echeggiare nella quiete
del bosco, gli fece riaprire gli occhi che non ricordava nemmeno di tener
chiusi. Conosceva bene quella voce, sapeva chi mai avrebbe potuto gridare tali
disperate parole scoprendo di essersi perso per la milionesima volta. Ranma
Saotome sorrise crudelmente, mentre i suoi occhi grigi, cupi come il più
tempestoso dei cieli, parvero animarsi di una luce fosca. Evidentemente le
divinità non avevano affatto simpatia per Ryoga
Hibiki.
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Konatsu sospirò, incrociando le braccia. Per nulla
stupito, osservò Ryoga fermarsi di colpo e scrutare il bosco che ormai li
circondava da parecchie ore, prima di gridare la sua angosciosa domanda al
nulla. Quante volte gliel'aveva sentito chiedere in quegli ultimi giorni?
Almeno una decina…
Il povero Ryoga si domandava sempre dove diavolo
fosse finito e anche il ninja cominciava a chiederselo, così come si domandava quando avrebbero trovato il signor Saotome. Il suo
compagno di viaggio, evidentemente frustrato, curvò le spalle e abbassò il
capo, mormorando tra sé e sé incomprensibilmente; un po' gli dispiaceva per
lui, non doveva esser facile vivere con un tale problema, senza contare la
maledizione. E già, si disse il ninja abbozzando un
sorrisetto di pia compassione, non doveva esser facile essere Ryoga Hibiki.
“Siamo già passati di qui?” la voce del suddetto
Hibiki gli arrivò in un soffio infastidito, mentre continuava a rivolgergli le
spalle incurvate dalla delusione.
Konatsu si guardò in giro poi
scosse il capo “No, è la prima volta. Da che parte andiamo ora?” gli chiese il più gentilmente possibile, tentando di celare la propria
insofferenza: non gli piaceva esser lì, ma la colpa non era di quel povero
ragazzo e poi era stata Ukyo a chiedergli quel favore.
Beh, ad essere sinceri, la sua adorata Ukyo
gliel'aveva ordinato senza mezze misure, ma la sostanza non cambiava:
avrebbe fatto tutto per lei, anche accompagnare Hibiki nei suoi pellegrinaggi
in cerca di Ranma Saotome. Mentre il ragazzo davanti a lui si
rimetteva in cammino scegliendo di voltare a destra, proprio dove il piccolo
sentiero che seguivano spariva travolto dalla fitta vegetazione, il kunoichi
rammentò cosa gli aveva detto la sua datrice di lavoro il pomeriggio di appena
quattro giorni prima. “Seguilo, non perderlo di vista nemmeno per un istante. Probabilmente quello stupido alla
fine lo troverà davvero Ranma, ma non voglio
c’impieghi un secolo! Perciò evita che Ryoga ripassi sempre dallo stesso punto
e una volta trovato Ranma… – a quel punto gli occhi della ragazza si erano stretti percettibilmente – fa' che torni
immediatamente a Nerima. Immediatamente, hai capito Konatsu?”
Al ninja non era rimasto che
annuire, preparare un piccolo fagotto dove raccogliere pochi effetti e mettersi
in cammino alle calcagna dell'eterno disperso, il quale non aveva trovato nulla
da ribattere nel trovarselo al seguito. Teneva troppo
a mantenere la promessa fatta alla signorina Tendo per
fare storie e mostrarsi offeso, pensò Konatsu. Di quel passo però dubitava che
riuscisse a mantenerla.
Non aveva lontanamente sospettato che il compito
affidatogli da Ukyo risultasse essere così gravoso: la
tendenza di Ryoga a girare a vuoto aveva dell'incredibile. A volte dubitava che
il ragazzo sapesse riconoscersi il davanti dal didietro…
Lo guardò fermarsi ai piedi di una piccola
collinetta che quasi dal nulla era sbucata dinanzi a
loro dal folto della boscaglia, come a chiedersi se fosse meglio scalarla o
girarci intorno e lo affiancò, osservandone il profilo. Era di nuovo
determinato, lo si vedeva dalla sua espressione, la
stessa che sovente gli aveva visto in quegli ultimi giorni; per quanto potesse
apparire disperato nel ritrovarsi in un posto completamente sconosciuto,
riacquistava subito animo, spinto dall'importanza della sua missione.
“Ryoga…”
“L'istinto mi dice di andare dritto, al di là della collina” Konatsu si strinse nelle spalle: per
lui non aveva alcuna importanza in quale direzione l'istinto li guidasse, il
suo compito era quello di vegliare affinché non facessero la stessa strada più
di una volta. Inoltre sospettava che Ukyo l'avesse
mandato anche per un altro motivo, che non aveva voluto confessargli, ma non
importava nemmeno quello, per lei lo avrebbe fatto anche senza alcuna
spiegazione per pura devozione.
“Se la pensi così, andiamo. La signora Ukyo mi ha detto che in un modo o
nell'altro hai trovato il signor Saotome anche in posti molto lontani da
Nerima.”
Ryoga annuì: in fondo gli era successo più di una
volta, come a Ryujenzawa o in quel maledetto
villaggio dove Akane era stata posseduta dallo spirito della bambola, aveva
finito sempre con l'imbattersi in Ranma anche senza volerlo. Nel suo animo
sospettava che più che inciampare in Ranma, il suo cuore lo avesse spinto
verso Akane, ma avrebbe trovato quel maledetto, doveva
farlo, per Akane e per se stesso.
“Andiamo” disse deciso, inerpicandosi su per il
leggero declivio della collina; Konatsu lanciò uno sguardo al cielo limpido
prima di seguirlo, chiedendosi fuggevolmente cosa stesse facendo Ukyo a quell'ora.
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La scalata alla piccola collina si rivelò più ardua
del previsto, tanto che giunti sulla sommità i due ragazzi dovettero fermarsi
per riprender fiato. Konatsu si asciugò la fronte imperlata di sudore e,
curioso, scrutò i dintorni in cerca di tracce di Ranma. Intorno a loro si
stendeva un vero e proprio mare di alberi, talmente
fitti da non permettere di vedere altro che chiome lussureggianti, mentre in
lontananza, a qualche chilometro di distanza da loro, scorse un promontorio
roccioso; probabilmente affacciava sulla valle che avevano percorso prima di
inoltrarsi in quella foresta.
“Proseguiamo in questa direzione” Ryoga indicò un
punto indefinito dinanzi a sé e Konatsu annuì, seguendolo giù per il declivio
della collina. Tra poco sarebbe stato il momento di fermarsi per il pranzo e
sarebbe toccato a lui preparare qualcosa, si disse il
ninja cercando di ricordare quante provviste avessero ancora a disposizione.
Era perso in quelle considerazioni, quando un'esclamazione del suo compagno di
ricerca lo richiamò alla realtà. “Guarda!”
Ai piedi della collina, nascosta dai rami degli
alberi più alti, c'era una piccola radura non molto ampia ma sufficiente ad
ospitare una piccola tenda da campeggio. Qualcuno quindi era accampato lì!
Speranzoso, Konatsu corse verso il piccolo alloggio
di fortuna e si affacciò all'interno, ma questi si rivelò esser vuoto; Ryoga lo
affiancò, osservando non solo la tenda, ma anche alcuni oggetti lasciati
accanto ad essa tra cui uno zaino ed una borraccia.
“Credi che sia del signor
Saotome?”
L’eterno disperso annuì
pensieroso, poi con un gesto del capo indicò proprio lo zaino
abbandonato “Quello mi sembra proprio di Ranma. Ma lui dove sarà?”
non c'era infatti segno della sua presenza, almeno nelle immediate vicinanze.
“Forse è andato a cercare qualcosa da mangiare, è
quasi ora di pranzo.”
Ryoga annuì, ma la sua espressione turbata non
mutò: aveva uno strano presentimento. Ora che finalmente era riuscito a trovare
quello stupido adempiendo in tal modo alla promessa fatta ad Akane, non si sentiva però affatto sollevato. Inquieto, alzò lo
sguardo verso l'alto, verso le cime degli alberi trafitte dai raggi del sole
sempre più alto in cielo “Cerchiamolo” disse asciutto, rimettendosi in cammino.
Konatsu lo seguì perplesso: a suo parere la cosa migliore da fare sarebbe stata
aspettare lì il ritorno di Ranma, senza correre il pericolo di perdersi, che
nel caso di Ryoga era una certezza, più che una possibilità. Ma
il suo amico aveva quell'espressione tanto scura che preferì non obiettare
nulla e limitarsi a seguirlo, cercando di memorizzare la strada e tornare così
in seguito alla tenda senza problemi.
La ricerca si rivelò però esser più breve del
previsto.
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Ranma lo sentì avvicinarsi; prima ancora che Ryoga
gli apparisse praticamente dinanzi sbucando da un
cespuglio, avvertì la sua presenza e si preparò. Il suo corpo s’irrigidì per la
tensione che attraversò i suoi muscoli, strinse i pugni e puntò lo sguardo
glaciale verso il punto esatto dove, alcuni istanti dopo, il
ragazzo effettivamente emerse.
Non era solo, ma Ranma ignorò l'altra persona: i
suoi occhi si fissarono su Ryoga Hibiki, mentre un tremito lieve cominciò a
scuotergli il corpo, un fremito di rabbia che pulsava dal suo animo. Lasciò
ancora una volta che la rabbia montasse in lui
incontrollata, tanto forte da annullare anche il dolore fisico che stava
tuttora affliggendolo.
Ryoga imprecò contro i cespugli che lo avevano
avviluppato e dei quali si era liberato con una certa
fatica, poi una volta superato l'ostacolo, si ritrovò in un'altra piccola
radura di forma circolare. Alzò gli occhi di scatto, come in
risposta ad un tacito richiamo e fu allora che lo vide: Ranma Saotome era
seduto ai piedi di un albero, schiena poggiata al tronco e le gambe leggermente
piegate. Era in condizioni pietose, valutò sconcertato il ragazzo e anche
Konatsu, subito dietro di lui, sembrò essere dello stesso parere visto il suo
piccolo grido stupito, il quale si perse immediatamente nel silenzio compatto
che improvviso sembrò calare sui tre e sull'intero bosco.
Istintivamente Ryoga strinse un pugno intorno alla
bretella del proprio zaino, tanto che le nocche della mano sbiancarono
illividendosi. Deglutì, la gola improvvisamente arida e fece alcuni passi verso
il ragazzo che aveva tanto cercato, stupendosi ancora una volta delle sue
condizioni. Era smagrito e pallido, il volto ed il corpo ricoperti di polvere e
terra, come se fosse stato vittima di una caduta… e
sulle sue braccia erano visibili rivoli di sangue non accora rappreso, segno di
una qualche ferita. Che diavolo gli era accaduto?
Konatsu si morse le labbra,improvvisamente conscio della tensione che permeava l'aria. Vide Ryoga avanzare
verso Ranma ed avvertì l'impulso di fermarlo: c'era qualcosa nella
sguardo di Saotome che non lo convinceva, qualcosa di malsano e molto
più inquietante del suo stato. Anche Ryoga doveva
averlo avvertito ed il suo modo di procedere rigidamente lo testimoniava;
nonostante questo, quando Ranma scattò fulmineo avventandosi contro di lui,
entrambi i ragazzi ne furono colti di sorpresa.
Con un grido più simile ad un ruggito furioso, che
quasi nulla aveva di umano, Ranma si scagliò contro
Ryoga ad una tale velocità che lui non poté evitarlo. Lo slancio li spinse
entrambi a terra e all'indietro per molti metri, facendoli rotolare sul terreno
ricoperto di foglie che si levarono impazzite nell'aria, celando a Konatsu la scena per alcuni istanti.
Quello che vide appena il manto di foglie tornò a
depositarsi, lo fece sbarrare gli occhi per lo stupore e lo sconcerto.
Completamente accecato dalla rabbia, Ranma colpiva Ryoga bloccato a terra dal
suo corpo, come un ossesso; il suo furore era tale da avergli fatto dimenticare
perfino il suo essere un artista marziale: nei suoi attacchi non c'era metodo,
né tecnica… nessuna lucidità e ragione, solo furia ed odio.
Una pioggia di pugni si abbatteva su Ryoga che, come
frastornato tentava di proteggersi il volto, ma molti
colpi riuscirono a superare le sue difese e presto parecchi tagli dolorosi
cominciarono ad aprirsi, lacerandogli la pelle in più punti.
L'eterno disperso avvertiva il sangue colargli da
una ferita al sopracciglio a quando un ennesimo pugno
di Ranma lo colpì in piena faccia, decise di reagire, ma allibito si rese conto
di non sapere come: il suo rivale non stava combattendo come al solito.
Quella non era una sfida o un duello d’arti
marziali come le altre volte: Ranma stava scaricando su di lui una tale rabbia
e frustrazione che, Ryoga ne era conscio, se non
avesse fatto qualcosa, avrebbe finito con l'ucciderlo. Combatteva come un
animale ferito, con lo stesso spirito ferino e la stessa mancanza di raziocinio, come poteva controbattere una tale forza distruttiva?
L'unica scelta era utilizzare la sua tecnica più potente, sperando di avere il
tempo per metterla in pratica. Scostando le mani dal viso dove erano poste a
difesa, le poggiò sul petto di Ranma e cercò di concentrarsi, cosa difficile e
pericolosa in quelle condizioni, visto che in quel modo si esponeva senza barriere ai colpi dell'altro. Un pugno violentissimo infatti lo colpì al mento, stordendolo quasi per la forza e
per il dolore: doveva sbrigarsi!
“Shishi hokodan!” urlò con la poca voce che riuscì
a scovare in petto e sollevato vide l'onda d’energia negativa illuminargli le
mani per poi colpire Ranma, scagliandolo lontano da sé. A fatica, accecato dal
proprio sangue che dall'arcata sopraccigliare lacerata gli colava copioso sugli
occhi, si mise seduto e riprese fiato, scoprendo nuove fitte e sofferenze;
oltre che al viso Ranma doveva averlo colpito anche al petto, incrinandogli
almeno un paio di costole, valutò amaro.
Ranma mugugnò, contorcendosi per la sofferenza; il
colpo di Ryoga gli aveva fatto molto, molto male, ma fu soprattutto il cadere
sulla schiena a ridurlo quasi alle lacrime. Provò a rimettersi seduto, spinto
dalla furia cieca che ancora lo pervadeva; le braccia coperte di nuovi graffi
tremarono per lo sforzo e lui le sentì appena, nonostante pesassero come
macigni. Aveva colpito Ryoga fino allo sfinimento, lacerando la pelle nelle
nocche che ora erano sanguinanti come già una buona parte di sé. Nonostante
questo, nonostante levare ancora i pugni gli risultasse arduo, Ranma aveva ancora una sola cosa in mente: punire Ryoga.
Fu l'urlo acuto e stridulo di Konatsu a far capire ad Hibiki che non poteva ancora fermarsi a valutare i danni,
infatti il suo rivale si era rimesso già in piedi e nonostante apparisse più
malconcio di prima, lo vide avventarglisi di nuovo
contro con rinnovata foga, segno che lo shishi hokodan era stato meno efficace
del consueto. Stavolta non si fece cogliere impreparato: pur se sofferente si
alzò, ponendosi in posizione di difesa e tentando di ignorare le fitte dolorose
e il bruciore che gli incendiava quasi il viso. Se Ranma Saotome voleva uno scontro all'ultimo sangue, per la miseria, lo
avrebbe avuto!
Spaventato, Konatsu guardava gli altri due ragazzi
combattere, sentendosi impotente di fronte a tanto odio. Mettersi tra loro
affinché la smettessero sarebbe stato inutile poiché avrebbero di certo ignorato la voce della ragione.
Il ninja non aveva mai visto una lotta più serrata
e sporca di quella: in quel combattimento non c'era nulla che rammentasse
nemmeno lontanamente le nobili arti marziali, ma solo selvaggia determinazione
a ferire l'altro, a fargli scontare le proprie sofferenze nel modo più doloroso
possibile. Doveva comunque tentare qualcosa o
avrebbero davvero finito con l'ammazzarsi! Era questo l'altro motivo per cui Ukyo aveva voluto spedirlo alle calcagna di
Ryoga, ora ne era pienamente conscio, ma come?
Konatsu si morse le labbra, sempre più in preda al
panico; saltellava sul posto e ogni tanto lanciava gridolini angosciati, chiamando a turno uno dei due contendenti, sperando vanamente che
la smettessero. Un atteggiamento che lui per primo valutò
poco virile e ciò lo fece infuriare con se stesso. 'Pensa Konatsu, pensa, pensa!!! Maledizione! Devo smetterla di comportarmi da
femminuccia e darmi da fare, prima che si uccidano! Ukyo non me lo perdonerebbe mai!' Era vero, doveva intervenire, comportarsi da uomo, una
volta per tutte. Così, finalmente risoluto, Konatsu capì cosa doveva fare.
Il ninja inspirò a fondo cercando di raccogliere
tutte le sue energie, si liberò del suo piccolo zaino gettandolo a terra e poi
frugò in una manica della sua tenuta da ninja e quando trovò quello che
cercava, trasse un altro respiro profondo e con il pensiero di Ukyo in testa e nel cuore, agì.
“Hissatsu kurenai-jigoku!” l'urlo
imperioso del kunoichi irruppe nel relativo silenzio del bosco, provocando
perfino la fuga di alcuni uccelli riparati tra i rami
degli alberi più vicini.
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Ranma non capì mai veramente del
tutto cosa fosse successo: un secondo prima stava battendosi con Ryoga,
con null'altro in mente se non la determinazione a fargliele scontare tutte ed
un secondo dopo, spinto via da una forza irrefrenabile, si era ritrovato a
terra, dopo che qualcosa di caldo e liscio lo aveva colpito fulmineamente in
vari punti del corpo senza però fargli del male. Per puro istinto arretrò e
parò il volto con entrambe le braccia, mentre la schiena già martoriata veniva scossa da un profondo brivido di… disgusto. Cosa stava succedendo? Cosa… cosa
stava facendo?
I battiti del cuore impazzito e il suo respiro
mozzato e affannoso furono i primi suoni che gli giunsero, riportandolo alla
realtà; improvvisamente tutto sembrò tornare vivo, anche il dolore ora tornava
prepotente, intenso e così i suoi sensi che, ora lo sapeva, negli ultimi minuti
aveva ignorato. Ora vedeva di nuovo con chiarezza e avvertiva, nitida la
presenza di qualcun altro, oltre a Ryoga.
Abbassò le braccia dolenti e
perplesso osservò Konatsu. Ne fu quasi impressionato: il ninja sembrava
quasi stagliarsi dinanzi a lui, ritto e determinato, l'espressione seria e
terribile al tempo stesso. In una mano, levata in alto oltre il suo capo, un
piccolo oggetto quasi baluginava colpito da un tiepido raggio di luce… un… un
rossetto?!
Ryoga, ugualmente buttato a terra da quell'energia
sconosciuta, stava a fatica mettendosi a sedere,
imprecando a bassa voce. Anche lui parve poi stupirsi quando notò Konatsu. Si era praticamente messo tra lui e
Ranma e con occhi terribili, li guardava a turno, come a sfidarli a muovere un
solo muscolo.
Ryoga aggrottò le sopracciglia… Che diavolo era
successo? Un attimo prima stava lottando con Ranma,
poi era stato come investito e scaraventato a terra da una forza incredibile e
poi qualcosa di tiepido l'aveva colpito, non facendogli male, ma facendogli
venire la pelle d'oca per il fastidio… E che cavolo ci faceva Konatsu con un
rossetto in mano?! Anzi, a ben vedere, le labbra del ragazzo erano rosse,
brillanti e stranamente lucide come se… come se…
Un atroce sospetto gli fece spalancare gli occhi,
anche se farlo gli procurò una fitta non indifferente
al ciglio ferito. Fissò Ranma sgomento e nell'attimo in cui lo fece, capì
quanto fondato fosse il sospetto: sul suo volto,
nonostante lividi e macchie di sangue, spiccavano segni di labbra, scarlatti ed
aggraziati. Uno di questi, poi, era piazzato proprio nel centro della fronte,
dando al terribile Saotome un
aspetto… beh, sì, ridicolo. Ryoga si morse l'interno della bocca per evitarsi
di ridere, che cosa stupida da fare in un simile frangente, però vedere Ranma,
il furente Ranma che solo pochi istanti prima stava per ucciderlo, ricoperto di
rossetto…
Ranma batté le palpebre un paio di volte, ancora
confuso; adesso sapeva cosa era successo, ricordava quella tecnica di Konatsu,
ma ancora non poteva capacitarsene. Se Ryoga non
avesse portato in faccia le testimonianze di quella tecnica balorda, non ci
avrebbe creduto. E invece eccoli lì, chiari, evidenti e beffardamente
brillanti, i segni delle labbra del ninja facevano bella mostra sul volto di
Ryoga, persino sul collo… e poi perché aveva un'espressione
tanto stupida quel suino? Sembrava stesse reprimendo
uno sbadiglio o… o una risata. All'improvviso, anche Ranma ebbe voglia di
ridere. Gettò il capo all'indietro e,
semplicemente, lo fece.
Ridere gli costava non meno fatica del respirare,
visto il campionario di ferite che sfoggiava in quel momento, ma proprio non
poteva farne a meno; sentì il riso nascergli da dentro, inondarlo completamente
e mandare all'aria ogni resistenza che tentò di opporgli: proprio come la
rabbia prima, ora l'ilarità più insensata lo permeava tutto. Non poteva assolutamente farci nulla, del resto bastava lanciare
uno sguardo alla faccia imbambolata di Ryoga e al rossetto ancora levato in
alto di Konatsu per non potersi frenare.
Ryoga aggrottò le sopracciglia: che aveva da ridere
quel cretino?! Non si rendeva conto di essere coperto
di rossetto su tutta la faccia?! Era proprio uno stupido, però… ecco, vederlo ridere era contagioso. Non
aveva alcuna voglia di mettersi a ridere imitando quel bastardo che l'aveva
attaccato di sorpresa, alcuna voglia, già… ma proprio
non ce la faceva a non ridere: andiamo, era sufficiente ricordare la faccia da completo ebete che Ranma aveva fino a
qualche istante prima per farsi venire la ridarella! Ah, quanto gli sarebbe
piaciuto poterlo fotografare in quel momento, con quella faccia da fesso e i segni di rossetto sparsi ovunque! Akane l'avrebbe
scorticato… eh sì, anche questo era un pensiero
piacevolissimo, tale da farlo ridere ancor di più.
Konatsu ripose il suo rossetto con un sospiro di
sollievo e con un lieve sorriso sulle labbra ancora truccate osservò i due
ragazzi sganasciarsi senza ritegno; non era stato quello il suo intento, ma
aveva comunque interrotto quell'insensata battaglia di
prima, quindi poteva ritenersi più che soddisfatto. Con calma attese che l'eccesso di riso passasse e con esso, ogni traccia di odio.
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Il riso scemò lentamente, fino a quando i due completamente spossati restarono silenti ed immobili;
Konatsu trattenne il fiato per alcuni istanti, temendo forse che avrebbero
ricominciato a picchiarsi di santa ragione, ma evidentemente erano troppo
stanchi e feriti per farlo, perché nessuno di loro accennò a muoversi, anzi.
Ranma, che l'eccesso di risa aveva fatto schiantare al suolo, restò fermo a
fissare il cielo, le braccia al petto in completo abbandono, mentre Ryoga se ne
stette seduto, la testa poggiata ad una mano e lo sguardo basso; ognuno
sembrava ignorare l'esistenza dell'altro, fino a che Konatsu non ritenne che quel silenzio fosse durato anche troppo.
“Per fortuna vi siete calmati, sembravate due
folli…” azzardò il kunoichi con voce appena tremante.
“Dillo a quell'idiota! E' stato lui che m' ha
aggredito senza motivo!” protestò Ryoga veemente,
alzando la testa di scatto.
“Senza motivo?! Certo che hai proprio una bella faccia tosta, P-Chan!” fu la pronta
risposta di Ranma che scattò a sedere, per poi gemere di dolore tenendosi una
mano sul fianco.
Konatsu gli si precipitò accanto e gli mise una
mano su una spalla, preoccupato “Sta male, signor
Saotome?”
“Non sto benissimo, devo essermi
rotto una costola o due… e quell'idiota mi ha sparato uno shishi hokodan
in pieno petto come se non bastasse!”
“Oh, scusami tanto! Dovevo lasciarmi colpire
secondo te, cervello annacquato?! Mi hai spaccato quasi la faccia! Mi ritroverò
pieno di lividi!”
“Sarà certo un giovamento per il tuo brutto muso.”
“Avete bisogno di farvi medicare, tutti e due. Per fortuna ho con me il
necessario!” intervenne Konatsu, più per evitare un'altra lite che per
spirito umanitario…
Con la sua usuale solerzia, il ragazzo raccolse il
proprio zaino e frugò tra i pochi oggetti, trovando facilmente il piccolo kit di pronto soccorso che aveva avuto la preveggenza di
portare con sé; si avvicinò a Ryoga, il cui sopracciglio stava ancora
sanguinando abbondantemente, anche se lui vi teneva premuta contro una mano.
Non aveva fatto che qualche passo verso di lui, che
il ragazzo lo bloccò, alzando l'altro braccio e agitandolo freneticamente
“Stammi lontano!!! Non provatici neppure, razza di…
di…”
“Ma Ryoga…”
“Hai ancora la bocca sporca di rossetto! Mi hai… mi hai…” proprio non riusciva a dirlo, povero Ryoga.
Ranma scosse il capo e sbuffò “Quell'idiota crede
che tu voglia baciarlo di nuovo, Konatsu.”
Il ninja spalancò gli occhi, sorpreso ed indignato
“Cosa?! – un profondo rossore gli colorò il viso – Ma…
ehi! Io non bacio i maschi per divertimento! Sono un uomo io!”
“MA SE E' QUELLO CHE HAI APPENA FATTO!?”
“Eh? E' una delle mie tecniche, stupido!!! Ed ha anche dannatamente funzionato, razza di maiale
omofobico!”
Ryoga spalancò gli occhi stupito:
era la prima volta che vedeva il kunoichi tanto furioso e, per un istante, lo
vide per quello che davvero era: un ragazzo. Certo, prima che scoppiasse a
piangere con grossi e lucidi lacrimoni.
“Io… io non … sembravate due pazzi… ed io… non
sapevo cosa fare per… siete due idioti!” riuscì a dire tra i singhiozzi
mentre, tutto tremante, si inginocchiava a terra e nascondeva il volto
tra le mani.
Ranma e Ryoga si scambiarono un'occhiata colpevole.
Konatsu aveva ragione, soprattutto Ranma ne era
consapevole: aveva attaccato a testa bassa, fregandosene degli anni passati ad
allenarsi duramente non solo per apprendere le più sofisticate e micidiali
tecniche marziali, ma anche per apprendere lo spirito e l'onorabilità delle
arti marziali e aveva infine gettato queste ultime due cose alle ortiche per
rabbia. Raramente si era sentito così meschino come in quel momento, mentre osservava
il suo amico piangere.
Ryoga dal canto suo non si sentiva certo meglio.
Sbuffò ed imbarazzato si grattò la nuca “Konatsu senti…
scusa, ok? Ti va di medicarci? Ne abbiamo proprio
bisogno” gli chiese con il suo tono più dimesso e quando l'altro lo guardò
ancora titubante, gli sorrise.
“D'accordo… snif, vi medicherò. Non ho molto con me… snif – si
“Però, ecco, faresti una
cosa prima?”
“Eh? Cosa?”
“Ti toglieresti quel rossetto? Mi fai venire i
brividi…”
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Konatsu non poté fare
granché, soprattutto per le ferite di Ranma alla schiena: erano troppo estese
per poterle medicare col poco che aveva, quindi si limitò a pulirgli e
disinfettargli la pelle lacerata. Sconcertato si chiese come avesse potuto
farsi una simile cosa, ma proprio quando stava per fargli qualche domanda,
Ryoga lo precedette “Che ti sei fatto lì?” chiese brusco.
Era seduto qualche passo dietro di loro, le braccia
incrociate al petto e l'aria imbronciata; i colpi ricevuti stavano rapidamente
trasformandosi in lividi e una vistosa medicazione
spiccava sul suo occhio destro dove finalmente il sangue aveva cominciato a
coagularsi; anche sul labbro c'era un taglio abbastanza profondo, pur se non
così tanto da aver bisogno di punti.
Ranma corrugò la fronte, voltandosi verso di lui
solo per qualche istante, poi tornò a fissare davanti a sé “Niente… un albero”
bofonchiò, imbarazzato; sentiva che se avesse detto dello stupido incidente del
mattino, Ryoga gli avrebbe riso in faccia.
“Ti è caduto addosso un albero?!”
“Ma sei scemo?! Certo che
no! – lo fulminò con un'occhiataccia cattiva, poi sbuffò calmandosi – Il
contrario, sono stato io a caderci addosso…” sperò che bastasse come
spiegazione, a quanto pareva sì perché l'altro non fece altre domande in
merito.
Konatsu scosse il capo, riponendo finalmente il
pronto soccorso “Ho fatto il possibile, come vanno le altre ferite?”
“Bene.” In realtà aveva un dolore tremendo ad un
occhio e ad un zigomo, dove non si faceva illusioni
sarebbero apparsi due bei grossi ematomi… così come un discreto dolore gli
proveniva dal petto: nel punto in cui lo shishi hokodan incompleto lo aveva
colpito, la pelle sembrava essersi come leggermente ustionata.
Con sorpresa aveva scoperto di riuscire a muoversi
discretamente, segno che le sue costole erano più robuste di quanto avesse
sperato; lo stesso non poteva dirsi per le braccia e le mani, ricoperte di
lacerazioni e graffi, nemmeno fosse stato assalito da
un branco di gatt… ehm, felin… insomma, animali.
La mano destra, soprattutto, gli faceva male e
osservandola, notò con scoramento quanto fosse piuttosto gonfia e livida. 'L'ho colpito proprio con
tutte le mie forze… - pensò muovendo lentamente le dita - tutto sommato è un miracolo che non gli abbia
rotto la faccia. E' più coriaceo di quanto pensassi'
fuggevolmente si volse verso Ryoga e incontrò i suoi occhi puntati su di lui;
distolse in fretta i propri, corrucciato e si mise in piedi.
“Dove vai?”
“A mettermi qualcosa addosso” la sua camicia infatti, o meglio ciò che ne restava, giaceva ai suoi piedi
ridotta in brandelli.
Ryoga saltò su, avvicinandolo “D'accordo, così puoi
anche preparare le tue cose, domani mattina al più tardi voglio essere a
Nerima.”
Ranma si volse a guardarlo di slancio, le
sopracciglia tanto corrugate da sembrare unite “Che cosa? Vorresti che io
tornassi a Nerima?” gli domandò stupito e l'altro
sgranò gli occhi, a sua volta sorpreso.
“E perché cavolo credi che
sia qui, razza di sciamannato?!”
“E che ne so io?! – Ranma
lo fronteggiò, la sua voce vibrante di nuova rabbia – Con il tuo schifoso
orientamento magari potevi esserci finito per caso!
Non sarebbe nemmeno la prima volta che ti ritrovo tra i piedi!”
Ryoga assottigliò gli occhi
chiari fino a ridurli in uno spiraglio “Senti un po’ tu…”
Konatsu alzò gli occhi al cielo, esasperato: se non
fosse stato per la promessa fatta alla sua adorata, li avrebbe mollati lì
volentieri, infischiandosene se avessero ricominciato a picchiarsi. Con un
sospiro rassegnato s’intromise tra i due, pericolosamente vicini, e annoiato
cominciò a frugare in una delle sue maniche “Non costringetemi a rifarlo”
minacciò tranquillo, ma nonostante l'apparente pacatezza le
sue parole fecero effetto: i due stupidi si allontanarono uno dall'altro fulminei
e cominciarono a pregarlo contemporaneamente di non ricorrere alla sua arma. Ne
fu contento: non gli piaceva mica sbaciucchiare dei ragazzi, soprattutto quei
due!
“Comunque io a Nerima non
ci torno! Non mi potete costringere” affermò Ranma
risoluto, appena fu sicuro che il rossetto fosse al suo posto.
“E invece ci ritorni e
come! Ti sei divertito abbastanza, è ora che te ne torni a casa!”
“Divertito?! Divertito?! Senti, tu è meglio che stai zitto! E' tutta tua la colpa se mi ritrovo qui, tua e di quel maschiaccio senza…”
Ryoga gli puntò contro uno sguardo rovente,
talmente astioso da zittirlo, intorno a lui per alcuni istanti parve brillare un'aurea rosso-fuoco “NON OSARE OFFENDERE AKANE! NON
PROVARCI NEMMENO!” lo ammonì, tremando per lo sdegno: se solo ci avesse
provato, Konatsu o meno, gliel'avrebbe pagata!
Ranma richiuse la bocca di scatto, poi parve
riprendere coraggio e tornò a parlare con la stessa determinazione “Io non ci
torno lì, in quel covo di pazzi dove tutti vogliono dirmi cosa fare e dove
tutto, tutto quello che succede è comunque colpa mia!”
fissò significativamente il suo oppositore, ma Ryoga non parve particolarmente
impressionato.
“Hai le tue colpe, Ranma, come tutti… come me –
abbassò lo sguardo a terra, sopraffatto da un'improvvisa mestizia, ma lo rialzò
subito – ma non ti permetterò di scappare da lei.”
“Io non sono scappato!”
“Oh sì che l'hai fatto! Ma adesso devi tornartene a
casa e affrontare da uomo le conseguenze di quello che hai fatto.”
“Non ho fatto nulla, dannazione! L'unica mia colpa è di averti coperto e di essermi innamorato di
lei… accidentaccio!”
Furioso con se stesso per essersi lasciato tanto
andare da urlare certe cose, Ranma si voltò del tutto intenzionato a correre
via: non lo avrebbero riportato a casa, mai e poi mai! Non sarebbe tornato
strisciando, dandogliela vinta! Mai e…
“E' stata Akane a chiedermi di riportarti da lei ed
io gliel’ho promesso, perciò ora puoi pure scappare, ma ti troverò Saotome,
ovunque tu vada, credimi.”
Possibile che… Si voltò di
nuovo verso Ryoga, gli occhi spalancati “Non… non è vero…”
“No, Ryoga dice la verità! E' stata la signorina Tendo a …”
“Vuole che tu ritorni da lei” tagliò corto l'eterno
disperso. Era stranamente calmo, valutò di sfuggita Ranma,
troppo tranquillo per avergli appena detto una cosa simile che avrebbe
invece dovuto lacerargli il cuore…
“Perché allora non è
venuta lei a cercarmi eh? Perché ha mandato te, il suo
amichetto del cuore?” ribatté testardamente.
“La signorina Akane non…” cominciò Konatsu, le mani
strette al petto, ma Ryoga lo zittì con gli occhi, in
un gesto che non passò inosservato a Ranma. Cosa stava
per dirgli?
Una strana morsa gli imprigionò il petto, mentre un
cupo presentimento gli fece tremare le gambe “Cosa c'è? Cosa
è successo ad Akane?” chiese in fretta, i suoi occhi grigi che si spostavano
freneticamente da uno all'altro colmi d’ansia.
“Non posso dirtelo, le ho promesso che non ti avrei
raccontato nulla.”
“Nulla di che, maledizione! – con un gesto
improvviso, Ranma lo afferrò per il bavero della sua casacca e lo scosse,
furioso – Avanti parla!”
“La signorina Akane è ferita, signor Saotome! E' per questo che ha chiesto a Ryoga di cercarla! Dovevo dirlo – Konatsu abbassò lo sguardo – io non le ho
promesso nulla” si giustificò poi con un briciolo di voce.
Ferita… Akane era ferita? Ma
come… e cosa… “Oh no…” sussurrò Ranma, lasciando andare la presa su Ryoga.
Non ci voleva un genio a capire cosa doveva essere accaduto: qualcuno aveva
attaccato Akane e lui non era lì a proteggerla! Imprecò tra i denti “Come sta?”
“Non ha nulla di grave, ma ha subito una forte
contusione ad un fianco e…”
“Basta così Konatsu! Akane non voleva ti dicessimo
nulla, non voleva che tu tornassi perché sai delle sue ferite.”
“Chi è stato? Chi ha osato… chi?” chiese con foga, ma Ryoga incrociò le braccia al petto e lo osservò: se
non fosse stato per i lividi, la sua pelle sarebbe stata nivea, pallida… le
mani gli tremavano, ma se per sdegno o per spossatezza, questo non sapeva
dirlo. Non aveva alcuna intenzione di dirgli di
Shan-po.
“Sarà Akane a dirtelo se vorrà, ora smettila di farci il terzo grado e muoviamoci.Devo riportarti
indietro.”
“Perché tu? Perché ha mandato proprio te?”
In tutta risposta, Ryoga sorrise, un sorriso
piccolo e lieve, triste e consapevole, ma anche rassegnato “Perché ognuno espia
prima o poi i suoi sbagli, Ranma, in molti modi. Portarle l'uomo che ama è il mio.”