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Autore: evil 65    11/01/2020    14 recensioni
( Sequel di So Wrong )
Quando vengono assegnati ad una missione congiunta, Peter Parker e Carol Danvers si ritrovano costretti a ad affrontare sentimenti che credevano ormai soppressi da tempo.
A peggiorare ulteriormente la situazione già molto tesa, i problemi per la coppia di Avengers sembrano appena cominciati. Perché ad Harpswell, cittadina natale della stessa Carol, cominciano ad avvenire numerose sparizioni che coinvolgono bambini…
( Crossover Avengers x IT's Stephen King )
Genere: Fantasy, Horror, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Carol Danvers/Captain Marvel, Peter Parker/Spider-Man
Note: AU, Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Avengers Assemble'
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Ecco un nuovissimo capitolo!
Bando ai convenevoli e vi auguro una buona lettura ;)




Il ritorno 

L’asteroide si stava dirigendo verso la Terra ad una velocità di 15 km al secondo.
Il campo gravitazionale di Giove lo aveva deviato mesi addietro. Non di molto: modificare in modo apprezzabile la traiettoria di una simile massa richiedeva un’enorme quantità di energia. Un piccolo scarto, appena percettibile... ma con il tempo, sufficiente. 
Fu una vera fortuna, quindi, che l’alterazione in corso fosse stata notata da una degli astrofisici più decorati del pianeta, la Dottoressa Jane Foster.
Carol Danvers cominciò a fluttuare nel vuoto, si girò verso la luce abbagliante del sole e fece un profondo respiro. Poi si allontanò, con le braccia e il corpo tesi in un’unica linea, e diventò un unico raggio giallo brillante che illuminava la notte eterna dello spazio. 
Fluttuare in quel vuoto senza tempo era una sensazione unica. Liberazione pura, non esistenza e coesistenza con l’intero universo al tempo stesso.
L’asteroide aspettava. Una grossa massa bitorzoluta di scorie che sembrava piombare verso di lei, anche se la sua linea visiva era perpendicolare rispetto al tragitto del meteorite.
Si strofinò la mascella e aggrottò le sopracciglia
Allungò una mano, da cui partì un raggio di luce accecante di energia cosmica verso la superficie rugosa di quella roccia potenzialmente letale, capace di rendere un pianeta sterile.
Dal punto colpito si alzarono i colori dello spettro e dalla superficie salì un getto luminoso.
Carol era straordinariamente forte, ma la sua forza non sarebbe bastata a deviare il corpo celeste, né aveva energia sufficiente per distruggere il meteorite. Quello che poteva fare era usare il suo raggio per surriscaldare una parte della superficie, in modo che la materia dell’asteroide si staccasse come il gas di scarico di un razzo ad angolo retto rispetto alla sua orbita.
Adesso, a milioni di chilometri dalla Terra, una piccola deviazione avrebbe ancora fatto la differenza. Tuttavia, anche per la minima variazione nel corso dell’asteroide era necessaria una quantità incredibile di energia, e una quantità imprecisata di tempo.
Prendendo un respiro profondo e facendo appello a quel potere indomabile che scorreva come un tornado dentro di sé, la supereroina aumentò la forza d’attacco.
Si sentiva viva, enorme e potente. Non poteva fallire, lì, davanti all’occhio nudo del Sole, mentre così tante persone contavano su di lei. C’era in gioco un pianeta, il suo pianeta… la Terra.
La luce crebbe d’intensità ma, per quello che sembrò un tempo interminabile, Carol temette che non sarebbe stato sufficiente.
Poi, un grosso pezzo di asteroide si staccò dalla massa principale, sollevando sbuffi di vapore acqueo condensato e polvere di ferro. Il contraccolpo provocato da quella frattura fu sufficiente a deviare la sua traiettoria di qualche metro.
Quando sarebbe passato vicino alla terra, tale distanza sarebbe cresciuta di almeno 10 000 km.
Con un sorriso stanco e soddisfatto, Carol chiuse gli occhi e puntò in direzione del suo pianeta natale. Era tempo di tornare a casa.
 
                                                                                                                                                           * * *  

Una pagina di giornale che svolazzava tra l’erba secca del parco situato di fronte all’Avengers Mansion andò a fermarsi contro la base della statua di Tony Stark.
Sbatté a intermittenza, come un animale esausto che si ferma per riprendere fiato. Pochi secondi dopo, il vento di Ottobre se la portò via di nuovo.
Un netturbino che si trovava nel bel mezzo del parco osservò il foglio che si stava avvicinando con l’aria di chi si appresta a prendere una decisione titanica.
Poi, con l’esagerata circospezione del bevitore di lunga data, allungò un piede e lo bloccò.
Quando si piegò verso il brandello di giornale, dalla lattina che teneva stretta in mano si riversò sui pantaloni un fiotto di birra.
Dalla bocca gli sgorgò una sfilza di imprecazioni in diverse lingue.
Poi, strofinò la macchia con un largo fazzoletto viola, raccolse il foglio, un’edizione parigina del Daily Bugle, e cominciò a leggere.
I suoi occhi saltavano da una colonna all’altra, divorando le parole.
 
“Sempre più frequenti le segnalazioni di Mutanti in tutto il mondo. Due giorni fa, una coppia di turisti ha affermato di aver investito un uomo con la macchina nei pressi del Canada. Dopo aver contattato le autorità locali per segnalare l’incidente, hanno visto l’uomo alzarsi come se niente fosse e correre nella foresta.”
 
Con un gesto convulso, l’uomo piegò parte del foglio e chiuse gli occhi.
<< Che stronzata >> borbottò a bassa voce.
Quasi in risposta, il suo stomaco emise un sordo brontolio.
L’uomo aggrottò le sopracciglia e buttò giù una lunga sorsata di birra scadente, che gli lasciò un gusto acido sulla lingua ed esplose con un bruciore nello stomaco vuoto. Il brontolio si placò e lui fece un sospiro.
Poi, sentì un sonoro brusio provenire dalle sue spalle. Il netturbino si voltò di scatto.
Una giovane donna bionda, illuminata da una luce dorata, stava scendendo dalla volta celeste.
Il vento cambiò direzione e investì l’uomo in pieno, facendogli perdere la presa sulla pagina del giornale.
Il netturbino spalancò gli occhi con timore reverenziale.
C’era qualcosa di angelico quella donna. Era di una bellezza assolutamente mozzafiato…e molto familiare.
Quando la luce cominciò a diradarsi, l’inconfondibile figura di Capitan Marvel si palesò davanti a lui.
L’uomo rimase fermo e immobile, totalmente incapace di compiere anche il più piccolo movimento. Aveva lavorato in quel parco per quasi nove quindici mesi, ma non aveva mai visto la supereroina di persona. Come il resto del mondo, dopo due anni di assenza, pensava che non sarebbe mai più tornata sulla Terra.
Carol volse al netturbino un rapido cenno del capo e procedette a incamminarsi verso la Avenger Mansion.
Con stivali sportivi, una camicia e una giacca da aviatore marrone, l’eroina varcò la soglia della base con passo marcato e si fermò al banco della reception.
<< Devo vedere il Signor Rhodes >> dichiarò con un sorriso accomodante.
La segretaria, una rossa con la montatura degli occhiali a tal punto sagomata che sembrava portare un pipistrello sulla faccia, la fissò stranita.
<< Il Signor Rhodes è molto impegnato. Chi devo annunciare? >> domandò con voce atona.
Carol inarcò un sopracciglio.
<< Gli dica che Capitan Marvel vuole vederlo >>
<< Oh! >> esclamò la ragazza, guardandola negli occhi. << Mi dispiace… sono nuova, e non l’avevo riconosciuta >>
“ Oh, andiamo, sono passati solo due anni” pensò l’Avenger, cercando di trattenere un’espressione accigliata.
Dopo che la segretaria ebbe annunciato la sua presenza attraverso un interfono, Carol camminò fino alla destinazione prestabilita.
L’ufficio di James “Rhodey” Rhodes era esattamente come se lo ricordava, una sala di medie dimensioni che sembrava fuoriuscita direttamente da un film di guerra degli anni 80, tipo Full Metal Jacket.
C’era una giacca dei Marines appesa al muro, modellini di carro armati, aerei militari e altri macchinari bellici, foto e articoli di giornale raffiguranti War Machine e pure un ritratto del Presidente Barack Obama.
I suoi occhi si posarono finalmente su Rhodey, vestito con la sua consueta uniforme da colonnello, che si alzò dalla scrivania e le lanciò un largo sorriso.
<< Carol! >> esclamò, allungando una mano. << Mi fa piacere rivederti. Ottimo lavoro con quel meteorite, oggi >>
<< Sono solo felice di essere stata utile >> ribattè la donna, stringendo l’arto teso e sorridendo a sua volta. << Di essere tornata col botto, capisci? >>
<< Buffo che tu la metta in questo modo >> disse il collega Avenger, ricevendo un sopracciglio inarcato da parte della bionda.
<< Se tiri fuori uno dei tuoi atroci doppi sensi, Rohdey, giuro che ti lancio dalla finestra >>
<< Ti prego, ho superato quella fase. So fare di meglio, adesso, credimi >> ridacchiò l’altro, per poi farle cenno di sedersi. << Bhe, ora che sei tornata sulla Terra e rientrata dal tuo periodo di pausa, ti rivogliamo alla grande…per conto tuo, ovviamente >>
<< Certo, questa è l’idea >> confermò Carol, con una scrollata di spalle.
Rohdey annuì soddisfatto.
<< Bene…ci serve che tu faccia un’intervista >>
<< … >>
La supereroina prese a fissarlo con uno sguardo impassibile.
<< …No. Mi rifiuto. Scordatelo >>
<< Non è facoltativo, Carol >> rispose il colonnello, con un sospiro stanco.
In tutta risposta, la donna si limitò ad incrociare ambe le braccia davanti al petto.
<< Uh, tu non sei il mio capo. Non sei nemmeno il capo degli Avengers >>
<< Sono stato candidato ad esserlo >>
<< E questo che significa? >> ribattè l’altra, con un cipiglio visibilmente scontento.
Rhodey si accasciò sullo schienale della sedia, intrecciando le dita delle mani sotto il mento e fissando intensamente la bionda.
<< Sono tempi nuovi…e difficili. La percezione del pubblico è più importante che mai. Gli Avengers, sia separatamente che insieme, sono stati sotto torchio ultimamente. E stiamo cercando di migliorare la nostra immagine pubblica >> ammise con riluttanza. << Sei lontana dei reflettori da un po’. Dobbiamo lavorare su questo, renderlo qualcosa di positivo. Sono tutti d’accordo, e io sono stato incaricato di parlarne…perché, bhe, metti un po’ paura >>
<< Che diavolo significa? Sono stata nello spazio a salvare pianeti per quella che mi è parsa una vita…da cose come conquistatori intergalattici ed eruzioni solari…prendo un periodo di pausa per motivi personali e… >>
<< Il problema non è la pausa, Carol. Quella la gente può capirla…in termini umani >>
<< Allora non capis…aspetta! Lo spazio è il problema?! >> domandò l’altra, incredula.
Di fronte a lei, il compagno Avenger annuì in conferma.
<< Lo spazio è il problema >>
<< Sono confusa >> borbottò Carol, portandosi una mano alla testa per frenare l’emicrania imminente. << Sei segretamente  un criminale mandato a torturarmi a suon di stupidità? >>
<< No, ma secondo un sondaggio ciascuno di noi potrebbe voler segretamente conquistare il mondo >> rispose l’altro, con un roteare degli occhi.
La donna prese a scrutarlo stranamente. << Un sondaggio? >>
<< Tutti li fanno, oggi giorno. Il problema di te che sei stata nello spazio per tanto tempo è che…la gente non poteva vederti. E, non avendoti vista…non capiscono cosa tu abbia fatto >>
Carol gemette e affondò nello schienale della sedia. << Stai…stai parlando sul serio? >>
<< Purtroppo sì >> confermò Rhodey, sospirando una seconda volta.
La donna rilasciò un sonoro sbuffo. Dio, ora ricordava perché aveva passato quasi due anni lontano da questo pianeta. Sicuramente c’erano altre ragioni, ma la politica umana era sempre stata una delle poche cose capaci di causarle un esaurimento nervoso.
<< Bene, ok >> borbottò sconfitta. << Vogliono delle foto? Vogliono vedermi da vicino per capire che faccio, chi sono? Bene…lascia che continui a fare quel che faccio >>
<< Più un’intervista >> continuò Rhodey, ricevendo un’occhiataccia da parte della donna.
L’uomo, tuttavia, mantenne un’espressione tranquilla, per nulla intimidito dalla minaccia implicita della collega.
Dopo quello che sembrò un tempo interminabile, Carol rilasciò un sospiro rassegnato.
<< Okay… okay, organizzala >>
<< Già fatto >> rispose Rohdey, arricciando ambe le labbra in un sorriso soddisfatto. << È programmata tra una settimana >>
Carol ringhiò stizzita. << Ti odio. Ho già minacciato di lanciarti da una finestra? >>
<< L’hai fatto. E ho anche bisogno che tu mi faccia un favore >>
<< Ti sto già facendo un favore. L’intervista è un favore >>
<< Okay, diciamo due favori, allora. Anche se questa cosa potrebbe interessarti >> disse l’Avenger, suscitando uno sguardo curioso ad opera della collega.
Nel mentre, Rhodey estrasse un fascicolo rilegato da sotto la scrivania e lo posò sulla superficie del tavolo.
<< Nell’ultimo anno, una regione del Maine è stata soggetta a numerose sparizioni di bambini, tutti di età compresa tra i 5 e i quattordici anni >> iniziò con uno sguardo cupo. << Per qualche ragione, la cosa è passata inosservata a livello nazionale, fino a quando una famiglia che si trovava in viaggio nella zona non ha denunciato la scomparsa della figlia di nove. >>
Carol inarcò un sopracciglio. << Di quanti bambini stiamo parlando? >>
<< Il numero è ancora incerto, ma le autorità della cittadina più vicina ci hanno riferito che sono avvenute almeno tredici sparizioni confermate >> rispose il colonnello, visibilmente a disagio con l’argomento.
La supereroina lo fissò sorpresa.
<< Ok, questo è davvero strano. Come mai una cosa del genere non è su tutti i giornali? >> domandò incredula.
<< È la stessa domanda che mi sono posto >> ammise Rhodey. << Ed è anche la ragione per cui volevo chiederti di dare un’occhiata. È possibile che sia coinvolto un superumano. >>
Carol passò brevemente lo sguardo da lui al fascicolo sulla scrivania.
<< La situazione sembra brutta, certo, ma non così tanto da mobilitare gli Avengers. Non sarebbe meglio lasciare che se ne occupi lo Shield ? >> chiese con tono incerto.
Quasi come se si fosse aspettato quelle parole, Rhodey aprì il rilegato e lo fece scivolare verso di lei.
<< Ecco la cittadina dove sono avvenute la maggior parte delle sparizioni >> disse, invitandola a leggere la prima pagina.
Senza perdere tempo, Carol afferrò il fascicolo, se lo portò agli occhi…e si bloccò.
Un brivido le percorse la spina dorsale, mentre una mano fantasma sembrò attanagliarle lo stomaco.
Sulla cima della pagina, scritto a caratteri cubitali, spiccava il nome della cittadina : Harpswell.
Ad un qualsiasi altro Avenger, la denominazione di quel luogo non avrebbe provocato alcuna reazione. Ma non a lei, non a Carol Danvers. Poiché quella…era la stessa cittadina in cui era nata e cresciuta, e dove attualmente vivevano gli ultimi membri rimasti della propria famiglia.
<< Tutto bene? >> domandò Rhodey, notando che la donna aveva improvvisamente smesso di respirare.
Carol chiuse gli occhi, contò fino a cinque e rilasciò un sospiro.
<< Sì, io…grazie per avermene parlato >> disse dopo qualche attimo di silenzio.
Poi, prese a fissare intensamente il compagno Avenger.
<< Lo prendo >> disse con un tono che non ammetteva repliche.
Rhodey le lanciò un piccolo sorriso.
<< È quello che speravo di sentire. Lì dentro c’è tutto quello che siamo riusciti a scoprire >> disse indicando il fascicolo.
La donna annuì, si alzò dal posto a sedere e procedette a incamminarsi verso l’uscita della stanza.
<< Oh, e porta con te anche il ragazzo ragno >> aggiunse il colonnello, prima che potesse uscire dalla porta.
Carol si drizzò di scatto, come se fosse stata colpita da un fulmine.
Con movimenti quasi meccanici, girò lentamente la testa verso il collega Avenger.
<< Perché? >> chiese in modo apparentemente casuale, nel tentativo di frenare l’ondata improvvisa di emozioni che cominciò ad attraversarle il corpo.
<< Potrebbe servirti una mano >> rispose Rhodey, stringendosi nelle spalle. << Inoltre, è da un po’ che non gli affido missioni, e voi due avete sempre lavorato bene assieme. >>
La donna aprì e chiuse la bocca un paio di volte.
<< Nessun’altro è disponibile? >> chiese, dopo qualche attimo di silenzio.
Rhodey scosse prontamente la testa.
<< No, sono tutti impegnati. Strange sta dando la caccia ad un Ghoul in Sud Africa o qualcosa del genere, Hulk è in una missione di pace in Israele, Bucky e Sam sono in Messico per combattere una cella Hydra dormiente, e i Lang stanno presentando il loro ultimo progetto alla Convention Nazione delle Scienze. Per quanto riguarda me, ho una riunione con il Pentagono tra mezz’ora >> terminò, per poi lanciare un’occhiata perplessa in direzione di Carol. << C’è qualche problema? >>
<< No, affatto >> rispose rapidamente la donna. << È solo che…Sai che preferisco lavorare da sola >>
Al sentire tali parole, le labbra del colonnello si sollevarono in un sorriso orgoglioso.
<< Credimi, il ragazzo non sarà una distrazione >> disse con tono rassicurante. << Negli ultimi due anni ha fatto passi da gigante, c’è un motivo per cui è diventato uno degli eroi più popolari del mondo. Tony sarebbe orgoglioso di lui >>
“ Non è la sua competenza a preoccuparmi” pensò Carol, con una punta di rassegnazione.
Capendo che non sarebbe stata in grado di uscire da quella situazione senza evitare domande scomode, fece appello ad ogni oncia del proprio autocontrollo per mantenere la calma.
<< Dove si trova? >> chiese, dopo qualche attimo di silenzio.
In tutta risposta, Rhodey si limitò a lanciare un ghigno ironico.
<< Ti basterà seguire le sirene >>
 
                                                                                                                                                            * * *  

<< Non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento >>
Curt Connors, biologo specializzato nello studio dei rettili, pronunciò quella frase in una grossa aula della Stark Nord High University, edificio finanziato dalla fondazione Stark un anno dopo la morte del miliardario che l’aveva inaugurata.
Peter Parker procedette a scriverla in fretta e furia sul blocco degli appunti, cercando in tutti i  modi di contrastare la stanchezza che dall’inizio di quella giornata cercava inesorabile di fargli chiudere gli occhi.
Non che qualcuno potesse fargliene una colpa. L’aumentò della criminalità per le strade avevano reso le sue ronde sempre più frequenti, e il tempo libero a disposizione era diminuito di conseguenza.
A questo ritmo avrebbe cominciato a soffrire d’insonnia entro la fine del mese, e lo sapeva anche lui.
<< Questa frase è tradizionalmente attribuita a Darwin e in genere si ritiene che tale citazione sia tratta dal libro L'origine della specie. In realtà le citazione non è presente in nessuno degli scritti di Darwin, come confermato anche dallo storico Jon Van Wyeh >> continuò Connors, scrivendo il nome del suddetto scienziato sull’unica lavagna presente nella classe.
La manica del braccio destro mancante, perso durante un’esplorazione in Africa, svolazzò a causa del vento che filtrava dalle finestre della stanza.
 << Questa citazione è tuttora riportata sul pavimento di pietra della California Academy of Sciences, ma l'attribuzione a Darwin è stata rimossa. Con ogni probabilità la citazione è da attribuire a Leon C. Megginson, professore universitario e saggista statunitense, che in Lessons from Europe for American Business scrive: “Secondo L'origine delle specie di Darwin, non è la più intelligente delle specie a sopravvivere. Non è nemmeno la più forte. La specie che sopravvive è quella in grado di adattarsi meglio ai cambiamenti dell'ambiente in cui si trova.” >>
Connors si girò verso il gruppo di studenti raccolti, sorridendo piacevolmente.
<< Lo stesso Megginson in Key to Competition is Management dice: “Non è la più intelligente delle specie quella che sopravvive; non è nemmeno la più forte. La specie che sopravvive è quella che è in grado di adattarsi e di adeguarsi meglio ai cambiamenti dell'ambiente in cui si trova. Così dice Charles Darwin nel suo Origine delle specie.” Il fatto che queste frasi siano associate alla teoria darwiniana e in particolare al libro L'origine della specie potrebbe giustificare in parte l'origine della falsa attribuzione… >>
RIIIIIIIIIIIIIING!
Il suono della campanella gli impedì di terminare la frase.
Con un sospiro rassegnato, l’uomo posò il gessetto sulla scrivania della classe.
 << Bene, tempo scaduto. Vi consiglio di guardarvi il capitolo 12 dell’omonimo libro, potreste trovarla una lettura illuminante >> disse con tono d’avvertimento, facendo una rapida panoramica delle persone raccolte.
Peter scrisse rapidamente anche quell’ultima nota e cominciò a preparare lo zaino.
<< Ciao, Peter >>
Il suono di quella voce lo costrinse a fermarsi.
L’adolescente si voltò, trovandosi di fronte all’esile figura di una giovane ragazza dai lunghi capelli biondi. Aveva una bellezza provinciale, con grandi occhi azzurri e un sorriso che avrebbe potuto illuminare anche la giornata di un aspirante suicida.
<< O-oh. Ciao, Gwen >> balbettò Peter, salutandola con un rapido cenno del capo.
La ragazza roteò gli occhi, come se avesse assistito a quella reazione un milione di volte. Internamente, il vigilante cercò con tutte le sue forze di trattenere un rossore.
Gwen Stacey era probabilmente la studentessa più intelligente della Stark North Hight University, con un quoziente intellettivo che rivaleggiava persino con quello del vigilante. Questo, unito al fatto che fosse anche una delle ragazze più carine del campus, l’avevano resa il bersaglio di numerose cotte.
Lo stesso Peter aveva accarezzato l’idea di chiederle di uscire, prima di seppellire rapidamente quel pensiero traditore. Quell’invito era riservato ad un’altra persona…qualcuno che non vedeva da quasi due anni.
Una stretta dolorosa cominciò ad attanagliargli il cuore, il ricordo inaspettato di una promessa che stava cominciando a farsi sempre più flebile.
<< Lezione interessante, non pensi anche tu? >> disse Gwen, scuotendolo da quella sensazione sgradevole.
L’arrampica-muri sorrise debolmente.
<< Sì, il professor Connors sa sicuramente di cosa sta parlando >> rispose con tono disinvolto. Poi, lanciò alla ragazza un’occhiata incerta.
 << Avevi bisogno di qualcosa? >>
<< Io e gli altri ragazzi ci chiedevamo se volevi venire a studiare con noi >> disse Gwen, facendo cenno ad un gruppo di studenti in attesa all’uscita della classe.
 << Ho anche portato dei muffin! >> aggiunse rapidamente, come se volesse dargli un incentivo per partecipare.
Peter si mosse a disagio sulla punta dei talloni. La tentazione di accettare era forte, ma qualcosa lo costrinse a valutare attentamente le sue prossime parole.
Sarebbe stato così facile lasciarsi andare, vivere la vita normale di un ragazzo universitario, valutare la possibilità o meno di uscire con la studentessa più bella del campus…ma non poteva. Anche dopo che erano passati due anni, non poteva smettere di pensare a LEI.
Per quanto fosse lontana, chissà dove, a visitare posti che andavano oltre i suoi sogni più sfrenati…lui poteva ancora sentire la sua presenza fantasma avvolgerlo con un abbraccio caldo rassicurante. Il sapore delle sue labbra, il tocco dei suoi baci…
Scosse la testa da quei pensieri e volse alla compagna di classe un sorriso imbarazzato. 
<< Mi dispiace, Gwen, ma il mio turno inizierà tra pochi minuti e sono già in ritardo >> disse con tono di scusa.
Il volto della ragazza passò da felice a deluso nella frazione di un secondo.
<< Il tuo lavoro di tiene davvero impegnato >> borbottò con amarezza.
<< Non immagini quanto >> disse il ragazzo, mentre si passava una mano tra i cappeli.
Con un sospiro rassegnato, Gwen gli lanciò una timida occhiata. << Allora…sarà per un’altra volta? >>
<< Sicuramente >> rispose rapidamente Peter, ben consapevole che quella era una promessa che non sarebbe mai riuscito a mantenere. Non quando il ricordo di una certa persona era ancora così vivido nella sua testa.
Dopo essere uscito dall’edificio universitario, l’adolescente s’incamminò con aria stanca verso l’ingresso della metropolitana che confinava con il campus.
Spostò tutti i libri che stava portando sotto un solo braccio, per cercare con la mano libera un gettone nella borsa. Al cancello si fermò da una parte, lasciando passare altri studenti. A giudicare dai loro cartelloni doveva essersi appena conclusa una manifestazione a favore degli Inumani.
Arrivò a destinazione dopo dieci minuti.
Peter aveva affittato un appartamento in un palazzo in arenaria ristrutturato vicino a Central Park, poco lontano dal campus universitario.
Dopo esservi entrato, indossò gli auricolari del cellulare e fece partire una canzone dei Queens a tutto volume.
Quel livello di suono così alto era necessario a causa del vicino del piano inferiore, un fanatico di Lemmy Kilmister che ascoltava di continuo musica Heavy Metal.
Senza perdere tempo, l’adolescente posò i libri sull’unica scrivania presente nel loggiato e cominciò a indossare la sua tuta da Spider-Man.
Una volta terminata l’operazione, aprì la finestra del salotto e si guardò attorno per essere sicuro che nessuno lo avrebbe notato uscire.
<< Si va in scena >> sussurrò a se stesso, per poi coprirsi il volto con la maschera.
 
                                                                                                                                                           * * *
 
Faceva un caldo insolito per essere ottobre, e i bambini attorno alle pompe antincendio costituivano un’immagine senza tempo.
L’unica cosa che mancava era l’esperienza: nessuno sapeva come far uscire l’acqua dagli idranti. E non aveva importanza se una cosa simile avrebbe comportato un improvviso calo della pressione idrica locale, compromettendo seriamente la lotta agli incendi, motivo per cui i piromani erano sempre pronti ad accontentare una banda di ragazzini sudati in una giornata afosa.
Jake Halpner, vestito con pantaloni mimetici e canotta stracciata alla Rambo, era fermo all’angolo tra la Hills e la Brown, cercando di tenere giù la prima pagina della rivista sollevata dalle occasionali folate di vento.
L’articolo era intitolato: “ Spider-Man, la minaccia mascherata, colpisce ancora!”, di J. Joanh Jameson.
L’uomo alzò lo sguardo, quando i suoi complici si fermarono all’edicola vicino a lui, senza dare nell’occhio.
Si guardò attorno un paio di volte. La zona era completamente deserta.
Con un respiro profondo, afferrò la canna delle pistola che teneva nei pantaloni e si preparò a minacciare il proprietario del tabacchino.
Solitamente, i rapinatori prediligevano piccoli negozi e supermercati, ma Jake aveva scoperto che coloro che lavoravano alle edicole erano molto più facili da intimidire, e soprattutto non portavano mai un’arma potenzialmente carica sotto l’asse del gazebo.
Qualcuno lo tocco improvvisamente alla spalla.
Jake si voltò di colpo e la ferocia indurì i suoi scarni tratti portoricani. Poi, l’espressione si sciolse come cera a causa dello stupore. Stava fissando dritto nella maschera di Spider-Man.
<< Toc Toc >> disse il supereroe, con tono di voce allegro.
Gli occhi dell’uomo si dilatarono come piatti. Senza perdere tempo, alzò la canna della pistola e si preparò a sparare, ma qualcosa gli bloccò la mano contro la parete dell’edicola. Una sostanza bianca e filamentosa, fuoriuscita dai polsi dell’Avenger con un sibilo.
 << Hai rovinato la battuta. Avresti dovuto chiedere “ chi è?” >> continuò Spider-Man, con tono beffardo.
Uno dei complici si preparò a fare fuoco.
Peter balzò in avanti e colpì con un calcio laterale il ginocchio dell’uomo. La gamba si piegò.
Gli sferrò un altro calcio alla mandibola e il criminale ricadde a terra, emettendo un sonoro gemito.
 << Certa gente non apprezza l’umorismo di strada >> commentò l’arrampica-muri, scuotendo la testa in finta delusione.
BZZZZZZZZZZZZZZ!
Il suo senso di ragno cominciò a vibrare.
Il secondo complice aveva sparato un colpo, ma Peter fu rapido ad evitarlo.
Saltò in aria con un’eleganza che lasciò il criminale senza fiato. Eseguì una piroetta in volo, portando il tallone destro sotto di sé, e ruotando colpì con un perfetto calcio circolare contro la spalla del malvivente.
Si udì un tonfo secco, come una zucca che cade per terra. L’uomo indietreggiò.
Continuando a roteare, Spider-Man atterrò con leggerezza e si rimise in posizione di combattimento, proprio mentre Jake era riuscito a liberarsi dalla ragnatela.
Il supereroe lo salutò con un rapido cenno del capo.
<< Salve, signor criminale, sono Spider-Man! Puoi chiamarmi insetto, testa di tela… >>
Non più di tanto sorpreso, Jake puntò sua Smith & Wesson a canna mozza, si mise in posizione isoscele, impugnando l’arma a due mani, mirò al centro del vestito del vigilante, fece un bel respiro, trattenne il fiato e premette due volte il grilletto.
Il revolver produsse una bella quantità di fuoco, rinculo e rumore. Nessun altro risultato.
Stupito, l’uomo abbassò la pistola.
Spider-Man era a due metri di distanza, non poteva averlo mancato. Poi, vide la stessa sostanza filamentosa di poco fa… che ora copriva la bocca della pistola.
<< Cha maleducato >> disse Peter, attirando ancora una volta l’attenzione del ladro.
Si lanciò in avanti, abbassandosi per fare perno su una mano, mentre la gamba eseguiva un calcio a falce.
Jake perse la presa sull’arma, che venne prontamente recuperata da una ragnatela dell’Avenger.
<< Tieni, ti è caduto questo! >> esclamò questi, per poi lanciarla contro la testa del criminale. L’uomo cadde a terra a causa della forza d’impatto, e svenne sul colpo.
 << E resta lì! >> ordinò Peter, indicando drammaticamente il corpo immobile del delinquente.
Fatto questo, volse lo sguardo in direzione dell’edicola, dove il proprietario lo stava fissando sbalordito.
Dopo quasi un minuto di silenzio, l’uomo balbettò un rapido : << G-grazie >>
<< Nessun problema, faccio solo il mio dovere >> rispose il vigilante, sorridendo sotto la maschera.
In quel preciso istante, un rumore insolito ma familiare al tempo stesso risuonò alle sue spalle.
Il proprietario dell’edicola spalancò la bocca in apparente sorpresa, mentre una luce abbagliante illuminò il quartiere nonostante fosse già pieno giorno.
La testa di Peter si girò di scatto…e il suo cuore mancò un battito.
Davanti a lui c’era una giovane donna, vestita dalla gola fino alla suola delle scarpe con una bizzarra uniforme variopinta, con motivi rossi e blu.
Aveva un emblema sul petto che ricordava una stella.
Era alta quanto lui, e aveva i capelli lunghi e dorati che circondavano un volto dai lineamenti forti e risoluti. E poi c’erano gli occhi…occhi che Peter non avrebbe mai potuto dimenticare, illuminati come un paio di lampadine.
<< Carol >> sussurrò a bassa voce, le lenti della maschera spalancate per l’incredulità.
Il bagliore che circondava il corpo della donna cominciò a diradarsi, e questa volse al ragazzo un sorriso a mala pena accennato.
<< Peter >> saluto con un rapido cenno del capo.
Inconsciamente, il vigilante compì alcuni passi in direzione della nuova arrivata, quasi come se si volesse accertare di non avere le visioni.
Una volta fermatosi di fronte a lei, allungo la mano e percepì il calore familiare scaturito dall’energia cosmica, e la ritrasse subito. Era l’unica conferma di cui aveva bisogno.
Era…era davvero qui. Carol Danvers, la donna di cui si era innamorato…era di nuovo sulla Terra, e ora stava proprio qui, di fronte a lui.
<< Sei…sei tornata >> disse dopo qualche attimo di silenzio, la gola improvvisamente secca.
Carol lo fissò teneramente. << Già >>
Peter inspirò bruscamente, assimilando ogni cadenza di quella voce che ormai non sentiva da due anni.
Poi, lanciò una rapida occhiata in direzione dell’edicola, poi sui criminali svenuti.
Senza perdere tempo, li intrappolò in un bozzolo di ragnatele e tornò a fissare la supereroina.
<< Ti va di mangiare qualcosa? >>



Com'era? Spero bello!
Aaaaah, quanto mi era mancato scrivere dei miei bimbi. Sono passati due mesi dal finale di So Wrong, quindi spero davvero di non aver perso la mano. 
Penso di essere l'unico scrittore italiano a trattare questa ship ( grazie al cielo per i siti di fan fiction americani e spagnoli ), quindi è un po' una questione di orgoglio personale. 
Nel prossimo capitolo avremo la tanto attesa ( spero? ) rimpatriata tra i due.
In quanti hanno colto la citazione a Wolverine?
  
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