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Autore: Ksyl    21/01/2020    2 recensioni
Dopo il week end negli Hamptons, Kate Beckett rimane incinta a sorpresa: la loro coppia recentemente formata riuscirà a superare lo sconvolgimento delle loro vite? Seguito di "Un colpo di testa"
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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2 Castle

Una volta all'esterno, vennero accolti da una giornata infernale di fine luglio. Il caldo aveva già smesso da diverse ore di essere sopportabile e la luce era così accecante da costringerli a socchiudere gli occhi. Gli fece venire voglia di mare, di sabbia che scotta sotto ai piedi, panorami, ombra, la brezza dell'oceano e non certo scartoffie e impegni lavorativi, a causa dei quali sarebbe stato costretto a separarsi di nuovo da lei, nonostante fosse tornato prima perché sopraffatto dal bisogno di stare in sua compagnia, dopo sette giorni di astinenza.
"Perché sei così lenta, oggi? Di solito non riesco a starti dietro", notò Castle, sconcertato, voltandosi per vedere che fine avesse fatto.
"È la nuova versione del 'Manuale del playboy secondo Richard Castle'"? Ti informo che il risultato che non è proprio lusinghiero".
Lui non riprese a camminare, obbligandola a fermarsi a sua volta. Gli sembrò molto pallida e stranamente a corto di fiato. Qualcosa non andava.
"No. È che non mi sembra che tu ti sia ripresa dal tuo malessere, come invece sostieni. Dovresti riposare, non affannarti in giro per la città". Gli parve un'osservazione ragionevole. Non aggiunse che sarebbe stato felicissimo di mandare al diavolo tutto e chiudersi in casa con lei.
"Sto bene, Castle, te l'ho detto, ho solo un po' di mal di stomaco e sono stanca morta. E odio questo caldo. Dio, mi sembra di essere in una fornace, senza mai un attimo di tregua. Quest'anno è peggio del solito", si lamentò facendosi aria con la mano.
Questo non era da lei. Lamentarsi e non tollerare il caldo. Anzi, di solito volteggiava per la città fresca come una rosa, mentre il resto della città boccheggiava per l'afa. E amava il sole caldo sulla pelle, se lo ricordava molto bene.

Finse di essersi convinto della sua spiegazione, ma dentro di sé iniziava a non sentirsi del tutto tranquillo. Ben presto arrivarono al punto in cui le loro strade si sarebbero dovute separare. Fu tentato di insistere perché fuggissero insieme – in quel modo avrebbe potuto tenerla d'occhio – ma sapeva che lei non avrebbe apprezzato.
"Ci vediamo più tardi. E mi occuperò personalmente di farti tornare in forma", le promise.
"D'accordo", accettò. Gli parve sollevata. "Non vedo l'ora", aggiunse piano.
Lui si chinò per baciarla, un gesto normale per una coppia appena ricongiunta, ma lei fu veloce a ritrarsi. "Che cosa stai facendo? Potrebbero vederci!", si guardò in giro con apprensione.
"Ci sono milioni di turisti intorno a noi, chi vuoi che ci riconosca? Siamo lontani dal distretto", cercò di tranquillizzarla. Il fatto di dover tenere segreta la loro storia era fonte di grande divertimento ed eccitazione per lui, ma qualche volta lei tendeva a diventare paranoica. Rispettò comunque i suoi desideri e si limitò a metterle una mano sulla guancia, che sentì umida sotto le dita. Qualcosa non andava sul serio, ma forse era lui che stava diventando paranoico.

Diverse ore dopo, che gli erano parse eterne, Castle ritrovò finalmente la via del distretto. Sarebbe tornato prima, ma lei lo aveva avvisato che il suo appuntamento con un testimone sarebbe andato per le lunghe. Nonostante fosse calata la sera, il caldo era ancora feroce e lui si trovò a desiderare il refrigerio dell'aria condizionata del suo loft, dove sperava che avrebbero trascorso la notte insieme.
Beckett era seduta alla sua scrivania, nell'identica posizione in cui l'aveva trovata quando era arrivato, nel pomeriggio. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sollevarla di peso e portarla via di lì. Era stanco di non poterla avere tutta per sé, era tornato prima apposta per passare un po' di tempo con lei, ma era costretto a dividerla con documenti e scartoffie varie. Forse avrebbe dovuto avvisarla, ma era stato euforico per essere riuscito ad anticipare il rientro e aveva voluto farle una sorpresa.
"Sei sicura di non poter mollare tutto e venire via con me? Ho in mente una cena che ti rimetterà al mondo", le propose, sapendo già in partenza che non avrebbe accettato. Il senso del dovere di Kate Beckett era qualcosa contro cui non si poteva combattere.
"Mi piacerebbe moltissimo, Castle", rispose rammaricata, approfittando del suo arrivo per staccarsi dai fogli che aveva davanti e per stiracchiarsi i muscoli della schiena. "Ma credo di averne ancora per un po'. Perché non vai a casa, inizi a preparare quella cena che mi hai promesso e io ti raggiungo dopo?"
"Sei esausta. Dovresti davvero spegnere tutto e concludere la giornata lavorativa", obiettò lui.
"Castle", lo ammonì con tono severo. "Non ricominciare".

Non ricominciò, sapeva riconoscere quando era il caso di arrendersi.
"Ok, come vuoi. Ti porto una tazza di caffè?".
"Sì, grazie. Oggi sono stata così impegnata da non avere nemmeno avuto il tempo di berlo. E nessuno lo sa preparare come fai tu", accettò, grata.
Gli fece piacere poter essere d'aiuto in qualche modo. Si impegnò a preparare il miglior caffè di sempre, felice che lei ne avesse notato la superiorità, grazie al suo ingrediente segreto.
Si presentò da lei con due tazze e aspettò che facesse spazio tra i documenti prima di depositarne una proprio davanti a lei. Quanto gli erano mancati quei momenti tutti per loro, quelli in cui erano da soli al distretto e la sua scrivania definiva i limiti del loro universo.
Kate chiuse gli occhi, forse pregustando gli effetti della caffeina sul suo sistema nervoso. Lo aveva preparato scuro e forte, per darle un po' di carica in più.
Non appena ne bevve un sorso, fece una smorfia disgustata e si trattenne dallo sputare nella tazza, che appoggiò schifata sulla scrivania, cercando un fazzoletto. Era esterrefatto. Non gli era mai successa una cosa del genere.
"Che razza di caffè mi hai portato?! Hai perso il tuo tocco magico?"
Lui guardò prima lei, poi la propria tazza, accostò le labbra per berne un piccolo sorso e infine, cautamente, le disse: "A me sembra il solito caffè".
Lei respirò a fondo, non sapeva se per reprimere la nausea che aveva fatto ritorno provocata dal suo peggior caffè di sempre o se per soffocare tendenze omicide nei suoi confronti.
"Devi aver bevuto dei caffè davvero orribili durante il tuo viaggio, se questo ti sembra buono. È cambiato qualcosa? Miscela? Fornitore?", esclamò schifata.
Castle non replicò. Terminò il suo caffè, prese anche la tazza di Kate, andò nello stanzino, versò tutto il contenuto dentro al lavandino, le sciacquò e tornò a sedersi lentamente accanto a lei. Aveva intuito che cosa fosse successo e non sarebbe stato semplice comunicarglielo. Avrebbe voluto prepararsi meglio.

"Kate". Lei alzò lo sguardo incuriosita dai suoi modi formali. "Non stai bene. Devi fare un test", le comunicò con un tono che non ammetteva repliche, anche se aveva cercato di essere calmo e di non far trasparire l'urgenza. Troppi dettagli che non tornavano, il caffè era stato solo l'ultima goccia.
Lei sbuffò. "Ancora con questa storia? Sto bene, non devo sottopormi a nessun test. Te l'ho già detto milioni di volte, oggi. E poi ho appena fatto la mia visita annuale della polizia. Sono sana come un pesce".
"Un test di gravidanza", specificò brevemente, sporgendosi verso di lei, per diminuire la distanza tra di loro. Sperava di essere pronto per l'esplosione che ne sarebbe seguita.

Lei lo guardò, dapprima senza capire. "La gravidanza di chi?" era la domanda che le leggeva negli occhi. Poi, quando il significato esatto delle parole sembrò penetrare nella nebbia, si ritrasse da lui, scuotendo la testa, come a voler scacciare il più lontano possibile un'ipotesi inconcepibile.
"È uno dei tuoi soliti scherzi? Lo trovi divertente, Castle?", furono le prime, taglienti, parole che le uscirono dalla bocca. "Io non sono incinta. Assolutamente. Che cosa ti viene in mente?!", insistette.
"Kate...", cercò di intervenire lui per non far degenerare la situazione. Le prese una mano, ma lei si scostò oltraggiata.
"No". Suonò più come un'ultima difesa disperata, che come una risposta. "No. No. No. No", ripeté come un mantra, più a se stessa che a lui. Come se fosse convinta che bastasse questo per poter imporre al suo corpo la propria volontà. "Castle...", riprese con voce tremante di rabbia. "Devi andartene a casa. È tardi. Devo finire ancora un sacco di cose. E sono stanca. E tu vieni qui e mi distrai con le tue solite sciocchezze", gli comunicò con voce seccata, come se il problema fosse lui.

Sapeva riconoscere un atteggiamento di negazione, quando lo vedeva gloriosamente in scena. E la conosceva abbastanza da sapere che la sua richiesta era reale. Non voleva che insistesse per rimanere con lei, voleva proprio rimanere da sola. Non si impose, non la pregò, non cercò di convincerla con la logica.
Le prese una mano tra le sue, appoggiò le labbra delicatamente all'interno del polso, e infine si alzò.
"Chiamami, quando... quando vuoi. Anche stanotte".
Prese la giacca e se ne andò.

   
 
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