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Autore: Infected Heart    22/01/2020    12 recensioni
La storia di due destini che si incrociano per caso.
Una cantautrice, una cameriera, e un biscotto della fortuna in un ristorante giapponese.
Cosa riserverà il futuro?
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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N.d.A: Ciao a tutti! Inizio col ringraziarvi per aver scelto di aprire questa One-Shot. Questa volta mi sono permessa di usare Efp come una sorta di pagina di diario, quindi ancora non so se questo capitolo avrà un seguito o se si esaurirà qui. Detto ciò, vi illustro brevemente il termine “Chidakash”, che ritroverete tra poco nel testo: si tratta, secondo la filosofia hindu dello Yoga, dello spazio retrofrontale, la sede della memoria e dell’inconscio, dove vengono immagazzinate tutte le esperienze che ci condizionano.
Ora potete proseguire a leggere, se vi va :)
Vi auguro una buona lettura… Spero di riuscire ad emozionarvi e di sapere cosa pensate della mia piccola Slice Of Life.


Un abbraccio,
Infected Heart






TI CHIAMERO’ HANAMI


Voglio scrivere di te.
Prima che la mia memoria, crudele e manchevole, cancelli la tua immagine dallo schermo nero del Chidakash.
Prima che questa parentesi temporale venga inghiottita in un gigante buco nero. Quello dove vanno a finire tutti gli amori che finiscono dove batte poco il sole.
Per ricordare ogni sensazione che mi hai fatto provare ed ogni pulviscolo di magia del nostro strano incontro.
Per ricordare l’attimo perfetto in cui mi sei apparsa davanti.
Non mi hai nemmeno salutata, sei arrivata al tavolo del sushi con un gran sorriso e una spontaneità disarmante.
Soprattutto per una come me, che vive coi pensieri per aria.
Con la tua voce gioiosa mi hai riportata a terra e a stento ho osato guardarti, perché i complimenti proprio non so accettarli.
Eppure tu mi hai detto che sono bellissima, e non ho potuto fare altro che ricambiare.
Rivolgere il mio sguardo a te, che in fondo eri imbarazzata quanto me.
L’ho capito, sai? Dal modo in cui hai spostato la conversazione su altro, continuando a ridere.
Ridevi, e cercavi di continuare a stare con me, finché hai potuto, finché il lavoro non ti ha chiamata.
Mi sfioravi mentre avvicinavi il tuo volto al mio, insistendo per spiegarmi la procedura di ordinazione prima che arrivassero gli altri ragazzi al tavolo.
In un soffio te ne sei andata portandoti dietro i miei occhi e la tua coda di cavallo biondo platino, al limite del bianco.
La tua sagoma sensuale e vestita di nero ha lasciato il posto a quella di mia sorella, e io proprio non sono riuscita a trattenermi: le ho raccontato del nostro gioco di sguardi, senza però dirle cosa ci eravamo dette.
Solo dopo, quando ci hanno raggiunte Luca ed Adriano, ho scoperto che aveva assistito all’intera scena:


-Oh, ragazzi, nemmeno il tempo di entrare che la cameriera già ci ha provato con mia sorella. “Bellissimi capelli, eh! Davvero fighissimi.” - Cita, con sbattere di ciglia.


-E allora mi son detta che era il momento di defilarsi e darvi il tempo di fare conoscenza.-


Da lì in poi è stato tutto un:


-Eh, ma come ti guarda.-


-E’ venuta al tavolo solo per farsi passare il piatto da te.-


Eh, sì, perché non eri te l’addetta al nostro servizio, e quindi ogni volta che mi gravitavi attorno era tutto un dissimulare, tra te che mi gettavi occhiate furtive ma intense e io che non riuscivo a non fissarti appena ti giravi.
I miei occhi trasparenti evitavano i tuoi, scuri e dolci come il cioccolato, e si posavano sui dettagli del tuo corpo: il tatuaggio ad ideogrammi giganti sul lato sinistro del collo, e quello sull’avambraccio opposto.
Ancora mi chiedo cosa volessero dire quei caratteri.
Avrei tanto voluto chiedertelo.
Avrei tanto voluto ascoltarlo, da quelle labbra da scimmietta simpatica.
Dalla tua risata quando hai capito che avevi fatto breccia, nella fantasia del mio cuore e dei miei sensi.
Portavi i piatti in cucina alla nostra destra, e ridevi come scottata da chissà che cosa.
Non sei riemersa da lì dentro per un bel pò, e solo quando sei tornata da me ho capito che era a causa mia.
Avrei voluto chiederti tante cose, lasciarti un biglietto discreto con il mio numero, dirti che sì, anche tu sei bellissima.
Dirti che la tua risata è uno dei suoni più belli che io abbia mai sentito.
Avrei voluto scriverti frasi di una banalità mostruosa, di quelle che, quando le leggo da qualche parte, mi scappa lo scherno tanto sono ridicole.
Ma non avevo mai capito quanto la semplicità è banale solo se mai provata.
L’ho capito solo quando ci siamo quasi scontrate di petto, mentre uscivo dal locale.


-Ciao, cara- le ultime parole che mi hai rivolto, con tono lascivo e sguardo ammaliante.
Dopo avere liquidato i miei amici con fare professionale ed educato.


Ovviamente le mie guance si colorano come i fiori di ciliegio, quando i versetti si sprecano, una volta usciti dal locale.


Apriamo i biscotti della fortuna, di cui non è più ben chiara l’origine, visto che a quanto pare sono lo spaccio della cucina fusion, anche quando non è tale.


Nel mio c’era scritto: “Sarete baciati dalla fortuna.”


Adriano subito commenta: “Dalla Fortuna…” occhieggiando all’interno del locale.


Tutti mi incitano a tornare dentro, ma io non ne ho il coraggio, sei sul posto di lavoro, e poi… se mi sono immaginata tutto?
Se questo feeling fosse solo frutto del mio cuore affamato d’amore e di scene da film romantico?
Se fosse solo l’idealizzazione di un mito da piccola naïve sprovveduta e inesperta?


Ancora me lo chiedo oggi, ad una settimana e a 1.035 km di distanza, mentre fatico a raccontarti tra queste righe, e penso a te ogni volta che mi guardo i capelli color ciliegia.
Quelli che a te hanno colpito così tanto.
E invece di chiederti il tuo nome, ora mi chiedo dove vanno a finire tutti i flirt mai sviluppati, quelli che fanno battere il cuore così forte che si ha paura di affrontarli.
Ora non faccio altro che sommergermi di domande, e mi rendo conto che aveva ragione chi mi disse: “Le persone si innamorano tutti i giorni, solo che non hanno il coraggio di dirselo.”


Ecco, probabilmente nemmeno io riuscirò a dirti il mio, di nome.
Forse la mia pelle non sfiorerà mai più la tua, forse le nostre strade non si incroceranno di nuovo.
Ma tu hai fatto rinascere in me la primavera, quella tenera, dolce, che gioca senza paura nel primo sole dell’anno, inconsapevole dei rischi che si corrono a lasciare i petali troppo esposti.
Guardare te è stato come veder sbocciare proprio i ciliegi, in un tripudio di aromi e sapori che sanno di nuovo.
Che sanno di me.
Sapevi di me, e io ti chiamerò Anami.
Come il nome del ristorante che mi ero appuntata da qualche giorno sul telefono, perché era perfetto per una storia.
Questo avevo detto a mia sorella Loredana, mentre credevo che “Hanami” si scrivesse senza “h”.
Volevo scrivere una storia, ma ancora non sapevo che sarebbe stata la nostra.
Ora chiudo con una chiave la pergamena dei ricordi, e la metto in un cassetto del cuore.
Uno di quelli con le serrature farlocche, come quelle dei diari segreti delle adolescenti, che si aprono anche senza girare.
Perché so perfettamente che mi concederò di pensarti, anche se non dovrei.
Mi va bene così, una memoria a facile accesso, che sbiadirà col tempo.
Eppure, come con tutte le storie incompiute, lascerò sempre un pò di inchiostro sul fondo della boccetta, per vedere se ci sarà un seguito.
Se si seccherà, inutilizzato per sempre, o se servirà per comporre nuovi intrecci con qualcuno che non sei tu.
Perché non importa cosa succederà, grazie a te ricorderò sempre il profumo della primavera.
La mia.
 
  
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