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Autore: Lightyel    22/01/2020    4 recensioni
Una piccola storia che narra le avventure di Harley Keener e Peter Parker, sotto la supervisione di Tony Stark – padre improvvisato di due pesti senza freni. Riusciranno a non farlo impazzire, prima della fine?
Episodio 1: That's So Harley!
Episodio 2: Geni per caso (parte 1)
Episodio 3: Geni per caso (parte 2)
Episodio 4: Mai dire Cena
[ Harley & Peter + Tony - Fluff/Comico - Storia scritta a quattro mani da _Lightning_ e Miryel ]
Genere: Comico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harley Keener, Harley Keener, Morgan Stark, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[ Harley & Peter & Tony - Fluff  - Word Count: 4245 ]



•••




Episodio 3. Geni per Caso – Parte Seconda.


 

Il battito regolare del suo piede contro il pavimento di un grigio stinto risuona incessante nello stretto corridoio della presidenza. Tony comincia a pensare di essere lui, quello in punizione, e si passa per l'ennesima volta la mano sulla nuca, coi gomiti puntati sulle ginocchia in una posa d'eterna attesa. Sente delle voci ovattate provenire da oltre la porta di legno, con un vetro smerigliato che rende impossibile sbirciare all'interno, ed è abbastanza sicuro di riconoscere il timbro squillante di Harley di tanto in tanto.

Incrocia le braccia al petto con un sospiro, arricciando il naso per far scivolare un poco più in basso gli occhiali da sole rossastri, e schiocca la lingua in un moto esasperato.

Il pensiero di dover fronteggiare i due ragazzi lo mette più in ansia della prospettiva di un'orda aliena in avvicinamento. Almeno può disintegrarli, gli alieni.

Non è mai stato bravo a fare la figura di riferimento, ma pare che Peter e Harley lo vedano proprio in quel modo. Non sa come sia successo, visto che ha superato i quaranta ma dimostra cerebralmente qualcosa come dodici anni, in quanto a responsabilità e decisioni sensate — e, deve ammetterlo, il motivo per il quale è stato chiamato lì, a parlare con il preside Morita, è qualcosa che fondamentalmente è successa per causa sua e delle sue geniali invenzioni. Certo, Harley e Peter forse avrebbero dovuto usare quei così in modo più responsabile. Ma, lui, avrebbe fatto di meglio?

Un piccolo sorriso gli vibra sul lato della bocca. Nah, probabilmente no. Anzi...

Le voci all'interno della stanza proseguono ovattate e indistinte, così Tony aziona il cervello e parte un filmino mentale: lui che, severo, redarguisce i due ragazzi e questi che, silenziosi, incassano il colpo e abbassano la testa, chiedendo scusa. Utopia. Pura utopia, lo sa già.

Harley si rigira benissimo le frittate e Peter cerca di giustificare pure colpe palesi. Sarà difficile, e non tanto perché quei due sono così, ma perché — non lo ammetterà mai ad alta voce — vuole loro un gran bene.

Sospira. È più confuso e in ansia di prima, ora. Chiude e apre la mano sinistra, che ha iniziato a tremare.

Rimanda a dopo la gara mentale d'insulti a Cap che gli ha regalato quel tic molesto, e cerca di elaborare un piano. È teoricamente bravo, a farlo; l'unica pecca è che non lo ritiene mai necessario, visto che si affida alla sua leggendaria abilità nell'improvvisare con ciò che ha per le mani al momento. Il che si riduce, adesso, a Peter che probabilmente ce l'ha a morte con lui per avergli tenuto nascosto qualcosa – con quale faccia potrebbe mai biasimarlo? – e Harley che, anche in questa scuola tecnicamente “per geni”, si trova nelle spiacevoli condizioni di dover usare un antibullo. Si rifiuta di pensare che i due l'abbiano usato per gioco, né tanto meno l'uno contro l'altro, anche se quel pensiero terrificante l'ha sfiorato: non sono attaccabrighe irresponsabili, non sono lui, non hanno la costante inclinazione a scoprire quanto possono tirare la corda con qualcuno prima che questi lo sollevi per il bavero e lo inchiodi contro l'armadietto.

Sospira a mezza voce, tirandosi nervoso il pizzetto. Non lo nega: da quel punto di vista è Harley, a impensierirlo. Città nuova, scuola nuova, amici nuovi... stessi bulli. Tony sospira di nuovo, adesso con una fitta di rabbia ad attraversarlo, e si spinge con un gesto secco gli occhiali sul naso.

Peter non è un ragazzo spavaldo, ma è Spider-Man. Finge di non averlo, il potere di difendersi, ma ce l'ha. Harley no. Harley è come lui: un cervello più grosso della sua pazienza. Ha un brivido lungo la schiena, che cerca di frenare, serrando le labbra; si raddrizza quando quello che a quanto pare è il preside Morita si affaccia dalla porta e lo guarda monoespressivo.

«Signor Stark, scusi l'attesa. Può entrare, ora», gli dice e Tony si sente tornato al liceo, e la sua mente va indietro di tanti anni. 

Si alza in piedi, si allaccia il bottone centrale del completo Armani, si sistema gli occhiali sul naso e entra, non prima di aver stretto la mano al preside. Quando questi si chiude la porta alle spalle e Tony entra, ci sono due schiene a dargli il benvenuto: quella ricurva di Peter e quella più rigida di Harley. Non si voltano e Tony sa perfettamente il perché.

In mezzo a loro c'è una sedia vuota, che è certo di dover occupare lui. E chi altri?

Fa scattare lo sguardo qua e là nell'ufficio, intersecando per un istante quello di Rogers nella fotografia sbiadita su una mensola. Oh, fantastico. Proprio quello che gli mancava. [1]

Si accomoda con un sospiro mal trattenuto sulla sedia centrale, frapponendosi tra le vibranti aure di energia negativa emanate dai suoi due protetti.

Harley si impegna stoicamente a fissare il bordo in legno massiccio della scrivania, quasi volesse mapparne ogni venatura. Ha su quell'espressione rigida e spenta, troppo adulta, di quando qualcosa lo turba ma non vuole lasciarlo trasparire. La vede troppo spesso allo specchio: sa riconoscerla.

Peter neanche ci prova, a mascherare il proprio nervosismo, e fa ballare a intermittenza un ginocchio a ritmo con quello che deve essere il battito agitato del proprio cuore. Spera di sbagliarsi, perché se così fosse non sarebbe più l'unico dei tre con palesi problemi cardiaci. Il ragazzo fa scattare la testa a guardarsi alle spalle, e la sua perplessità diventa evidente, così come la domanda che gli pende dalle labbra: perché c'è solo Tony, qui?

Questi sfrutta la studiata barriera degli occhiali da sole per ignorare il suo sguardo interrogativo, e ringrazia che sia il preside a prendere parola per primo, risparmiandogli un confronto che, lo sa, si è solo spostato dietro l'angolo.

«Signor Stark, mi dispiace molto che sia dovuto intervenire lei... immagino ci siano faccende più importanti di cui deve occuparsi, ma la situazione è degenerata a tal punto che i due ragazzi, qui, hanno avuto bisogno di un richiamo,» esordisce Morita, mentre fa il giro della scrivania ma non si siede. 

Poggia i palmi aperti delle mani sul tavolo e guarda prima Harley, poi Peter. Entrambi non sembrano propensi al contatto visivo dell'uomo, che sospira. 

«Il motivo principale non è tanto la ragazzata in sé, mi creda, ma il fatto che due soggetti come Parker e Keener – che non hanno mai causato problemi – abbiano deciso di agire in questo modo; inaspettatamente, oserei dire», conclude, e continua a ricercare i loro sguardi ancora fissi altrove, ma mai sul suo.

Tony guarda prima uno e poi l'altro. Apre bocca per parlare, ma Peter lo precede, cupo.

«Non dovremmo aspettare i genitori di Harley?» 

Si volta leggermente a guardarlo, in cerca di una risposta, che Tony soppesa alzando un sopracciglio nella sua direzione.

«No, non dovremmo. Sono qui per te e per lui, ed entrambi dovreste darmi un paio di spiegazioni, a quanto pare, di cosa sia saltato in quelle vostre testoline geniali.»

Peter sgrana appena gli occhi, schiudendo la bocca.

Tony, piazzato là in mezzo, percepisce chiaramente che ora anche Harley lo sta fissando perplesso, probabilmente per il motivo opposto e complementare a quello di Peter. Tony maledice mentalmente Pepper e May per averlo cacciato in questa situazione oltremodo precaria, e la madre di Harley per averle appoggiate. È bravo a destreggiarsi sul filo del rasoio, ma vorrebbe evitare di farlo diventare uno stunt quotidiano, per giunta con due adolescenti troppo perspicaci.

«È stata legittima difesa,» interviene a quel punto Harley, con voce chiara, anticipando la replica esterrefatta e fuori tema che Peter sta probabilmente per formulare.

Tony fa perno sul sedile, voltandosi a guardare il più piccolo – Cristo, si sente uno di quei pupazzetti a molla che ondeggiano qua e là; ci manca solo che si accasci disarticolato sulla sedia e la riproduzione sarebbe perfetta. Batte le palpebre dietro le lenti colorate invitando un continuo da parte del ragazzo, che ha sollevato un po' il mento con aria sicura di sé, a dispetto delle sopracciglia bionde corrugate. Il preside rimane in silenzio con le mani giunte dinanzi a sé, in ascolto.

«Ha cominciato Flash,» rincara Peter, da dietro la sua spalla, e articola le parole con più lentezza del solito, come se stesse ancora cercando di assorbire l'ultima informazione ricevuta.

«E voi avete continuato,» s’interpone il preside, severamente.

«Beh, se non fossi intervenuto...» comincia Peter, in fretta, e Tony lo intravede mordicchiarsi un labbro in tensione.

«... sarebbe comunque successa la stessa cosa,» ribatte Harley, scrollando il capo, e quel semplice scambio di battute innesca un battibecco che dà l'impressione a Tony di avere un angioletto e un diavoletto sulle spalle a rintronarlo.

«Non potevo certo sapere che anche tu avessi...»

«Neanch'io potevo saperlo; l'avrei usato a prescindere...»

«Appunto, quindi in sintesi...»

«... sarebbe...»

Tony serra gli occhi, prevedendo l'impatto.

«... colpa tua/sua,» concludono i due all'unisono, fissandolo in sincrono.

Li guarda; prima uno e poi l'altro. Il desiderio più grande che lo pervade in quel momento è quello di alzarsi, fare un doppio carpiato dalla finestra e sparire per sempre. Alza gli occhi al cielo, mentre il suo sguardo torna a fronteggiare la parete dietro al preside Morita, che ora si è seduto. Cerca conforto nel candore di quel muro e trova solo un nuovo motivo per desiderare di andarsene: la foto di Rogers, che non ha ovviamente abbandonato quella stanza, siccome – e per fortuna – non ha vita propria, lo fissa con la sua ridicola autorità. È convinto di poter annoverare quella giornata come la peggiore mai avuta in vita sua.

 

 


 

Peter è pervaso da un contorto mosaico di pensieri e sentimenti nella testa, che vanno dall'odio ai sensi di colpa. Lo sa benissimo di aver sbagliato ad agire di impulso, ma dopotutto Flash gli fa sempre quell'effetto, specie quando è il motivo che gli fa vibrare i maledetti sensi di ragno e perdere un po' la ragione. Deve agire, se il pericolo è in agguato; non li ha solo per sport, quei poteri, e lo sa benissimo che le responsabilità significano anche dover scegliere se mettersi in pericolo e fare del bene o rimanere fermi dove si è, e poi sentirsi in colpa per non aver fatto niente.

Non può negare di aver provato un po' di gelosia, nei riguardi di Harley, ma è anche vero che quel ragazzino non gli ha fatto niente; niente di concreto, almeno. Niente di vero, solo si è illuso che col signor Stark condivida un rapporto più profondo di quello che ha con l’altro, quando magari non è così. Quando magari è solo diverso, e non migliore... o superiore. Si morde il labbro inferiore e lancia uno sguardo ad entrambi; trattiene un sospiro tra lingua e palato e torna a guardare il preside Morita, che ora ha appoggiato i gomiti alla scrivania e li guarda; tutti e tre. Come se pure il signor Stark fosse un ragazzino che sta espiando le proprie colpe.

«Signor Stark, mi pare di capire che è lei ad aver fornito i ragazzi dell'oggetto del misfatto e, se non ho inteso male, si tratta di un marchingegno di legittima difesa, sbaglio?»

«Non sbaglia!» esclama il signor Stark, e si impettisce. Si liscia il colletto della camicia, «Ho dato loro il mezzo, ma a quanto pare l'avvertimento solo in caso di stretta necessità è un pochino da rivedere», conclude, e lancia loro occhiate severe, che però non sono poi così credibili.

«Flash ha iniziato a spintonarmi! A prendermi in giro! Ho agito di impulso, lo ammetto, ma certe ingiustizie te le tolgono dalle mani!» risponde Harley, sulla difensiva.

Tony apre la bocca, ma Peter lo zittisce. «Lo ha preso di mira e non stava facendo niente di male, signor Stark! Stava solo... guardando le graduatorie delle Olimpiadi Matematiche e Flash ha iniziato a dargli fastidio. Non ce l'ho fatta a restare con le mani in mano. Questo non giustifica quello che abbiamo fatto ma sono certo che lei avrebbe fatto lo stesso, d'impulso.» 

Alza gli occhi sui suoi, finalmente, perché vuole che capisca. Vuole che capisca quanto è difficile ammettere di aver sbagliato, sapendo di avere in parte ragione. Ma forse il signor Stark lo sa benissimo, come ci si sente, in certi casi.

Il signor Stark sospira, senza negare, lancia uno sguardo a lui, poi ad Harley e torna infine a fissare il preside, uno specchio del suo volto oscillante tra l'impotenza e la rassegnazione, con una tinta di colpevolezza scaturita probabilmente da fonti diverse. Il signor Stark sospira di nuovo e Morita gli fa silenziosamente eco.

«Signor preside, come vede sono con le spalle al muro,» esordisce inclinando la testa ora verso Peter, ora verso Harley. «Mi affido al suo buon senso nel decidere come far scontare a questi due la loro... iniziativa avventata, ma dettata dalle circostanze e permessa da cause esterne,» conclude, piantandosi svogliato una mano sul petto.

Peter quasi si lascia scappare un sorrisetto a quelle parole, che denotano come sempre l'abilità del signor Stark nel gestire situazioni ben più spinose di un richiamo in presidenza... per poi rabbuiarsi nel realizzare che probabilmente la vera punizione li aspetta fuori da quella porta. Le ramanzine del signor Stark sono rare e decisamente meno terrificanti di quelle di May, ma gli sembra sempre che vadano a far cigolare cardini dolorosi e poco oliati del proprio cuore. Gli risultano insostenibili, gli danno la nausea, lo fanno sentire sbagliato.

«Direi che due ore di detenzione dopo le lezioni, per tre giorni, saranno sufficienti,» conclude Morita, guardando loro due, e probabilmente aveva quell'idea in testa sin dall'inizio di tutta la faccenda. «E divieto assoluto di introdurre altri... congegni non autorizzati,» aggiunge, stavolta fissando il modo eloquente il signor Stark, che dal canto suo annuisce appena per poi tracciarsi un'ironica croce sul cuore con l'indice.

«Non accadrà più, gliel'assicuro

Peter potrebbe giurare di aver sentito un chiaro sottotono minaccioso in quell'affermazione, ma non fa tempo a rimuginarci troppo su che si ritrovano tutti e tre nel corridoio, con la porta della presidenza che si chiude alle loro spalle.

Il signor Stark si piazza di fronte a loro, a braccia incrociate e con un'espressione severa che ricalca quella rigida della sua maschera; fa per togliersi gli occhiali, per poi ripensarci e muovere un secco cenno del mento verso l'uscita.

«Marsc', ragazzini. Parliamo in macchina.»

 

***



Quando raggiungono la macchina, lo fanno in un silenzio tombale. Harley è chiuso nelle spalle; le dita strette al suo zainetto e il casco di capelli biondi gli coprono gli occhi che non si sono mai alzati dal pavimento. Il signor Stark mordicchia lo stecco di plastica del caffè che ha preso poco fa alla macchinetta, nervoso. Prendono posto sui sedili e Peter non vorrebbe sedersi davanti, proprio accanto al suo mentore, ma a quanto pare vige la legge del più grande, come sempre... e non può fingere di non esserlo, proprio ora che ha tentato di dimostrare che è un adulto responsabile.

Deglutisce un groppone a vuoto, mentre infila la cintura – tentando di non romperla con la sua superforza; sarebbe la terza questo mese, e sospira, in attesa. Lo sa che quella calma apparente preannuncia solo la tempesta imminente e che il signor Stark è silenzioso perché sta cercando di accendere quella scintilla, quella fiamma che sarà poi, inesorabilmente, l'inizio di una discussione di cui sanno già l'esito, tutti e tre.

 Lui ha ragione e loro torto. Fine.

«Dunque» esordisce Iron Man, e Peter sussulta. «Chi ha cominciato?»

«Flash. Non abbiamo mentito!» replica Harley.

«E dopo Flash?»

«Pensa davvero che abbia importanza chi ha lanciato per primo quei cosi?» interviene Peter, e quando Tony gli punta un dito addosso, senza distogliere lo sguardo dalla strada, siccome si è immesso nella corsia, alza gli occhi al cielo e sbuffa.

«Le domande le faccio io! E credetemi quando vi dico che vorrei essere da tutt'altra parte, invece che qui a fare la ramanzina a due adolescenti in piena crisi ormonale. Prendetevela con le vostre mamme, o le vostre zie», borbotta Tony, e entrambi abbassano il capo. «Andiamo, che accidenti vi è saltato in testa di fare? L'antibullo non è un giocattolo da usare per scatenare una guerra scolastica!» 

«E allora perché ce l'hai dato?» obietta Harley dal sedile posteriore, e quell'intervento fa apparire due pieghe severe tra le sopracciglia di Tony.

Prima che possa rispondere, un colpo di clacson trapassa loro le orecchie, spingendolo a ripartire con un acuto stridio di gomme prima di subire un linciaggio da parte dei newyorkesi impazienti al semaforo.

«Ve l'ho dato come deterrente,» risponde infine, sbuffando aria dal lato della bocca. «O meglio: deterrente per gli altri e supporto per voi. Per avere una sicurezza in più in caso di necessità... Non pensavo l'avreste mai usato davvero!» sbotta infine, con un picco acuto nella voce.

Peter si mordicchia le labbra, catturando lo sguardo imbronciato di Harley nel retrovisore. Nessuno dei due è convinto di quella spiegazione, ma incredibilmente Tony non sembra aver allestito una scusa delle sue. Sembra sincero, e in parte Peter riesce a comprendere il suo ragionamento... in fondo, anche lui si sente più forte nel sapere di essere Spider-Man. Non perché userebbe mai i suoi poteri a vanvera, ma perché il solo fatto di averli funge da garanzia. Non parla, però: non vuole dar ragione al signor Stark quando ce l'ha fin troppo spesso.

«Non l'ho mai usato, a casa,» puntualizza ancora Harley. «Solo, non pensavo che mi sarei dovuto difendere anche qui! Non me l’aspettavo e... ho reagito d'istinto. E anche Peter,» commenta ancora, serrando le braccia al petto con fare indisponente.

S’interpone tra loro una breve pausa, che sembra vacillare nell’aria come il preludio di una possibile fine della discussione. Peter lo spera con intensità, ma quello non è decisamente il suo giorno fortunato.

 


 

«Lo so», esordisce Tony senza preavviso, e li guarda entrambi, poggiando il gomito sul bracciolo del sedile mentre guida, ed entrambi i ragazzi sussultano. «Lo so che fa una rabbia pazzesca, lo so che a volte ve le tolgono dalle mani; lo so che è umiliante, che è destabilizzante, che è dannatamente ingiusto... ma vi prego, Cristo santo. Per favore!» 

Harley apre leggermente la bocca, perché non è abituato a Tony Stark che lo prega in quel modo e lo fa per ben due volte. 

«So di non essere la persona giusta, so di avervi dato io quei cosi, so che probabilmente se ne avessi avuto uno al tempo ne avrei abusato e ora sarei in qualche riformatorio con quattro ergastoli, ma be'... almeno voi, che non siete come me, contate fino a dieci e...» 

Sbuffa, poi si passa una mano trai capelli, e arriccia le labbra. E non fatemi preoccupare, avrebbe voluto dire; Harley glielo legge negli occhi.

«... E non comportatevi come i ragazzini idioti che non siete,» conclude invece, brusco a dispetto del complimento implicito.

La linea di silenzio che si interpone tra loro s'ingarbuglia coi loro pensieri, perché entrambi vorrebbero dire qualcosa, accettare quel rimprovero scaturito a fin di bene. 

«Te l'ho detto: abbiamo reagito d'istinto,» scrolla le spalle Harley, e sembra che stavolta stia cercando di porre quel fatto come un'azione fallata.

Tony prende un grosso respiro, poi si toglie gli occhiali da sole, appuntandoseli sul taschino della giacca; Harley si raddrizza di riflesso e scorge Peter imitarlo quasi sull'attenti. Tony Stark che si toglie gli occhiali per parlare con qualcuno è un evento e una concessione da non sottovalutare.

«Visto che tutto questo si è trasformato in un talk-show melenso in cui sono evidentemente io ad avere il compito di raccontare storie strappalacrime, rincaro la dose nella speranza di non dovermi mai più abbassare a tanto,» sciorina, con fare ironico ma anche stranamente titubante. «Avevo sperato che voi due andaste d'accordo, perché forse mi sto avvicinando alla senilità e mi sarebbe piaciuto avere due pesti in laboratorio a farmi impazzire più del normale...» s'interrompe, serrando di scatto le labbra come a troncare una continuazione del pensiero, o forse un sorriso.

Harley scocca uno sguardo a Peter, che lo sta già fissando con occhi un po' sbarrati e altrettanto increduli.

«... ma quello che sto per dire contribuirà probabilmente a farvi detestare a vicenda, e lo capirei fin troppo bene. Non mi piace operare per due pesi e due misure, ma in questo caso esistono due pesi e due misure. Harl,» lo chiama poi, con voce quasi severa, prima che lui riesca davvero ad elaborare ciò che sta sentendo. «Se avessi usato l'antibullo da solo in una situazione simile, ti avrei comunque rimproverato per aver abusato di quella che, in fin dei conti, è una mia tecnologia bellica... ma non avrei montato su questa scenata né avrei rischiato di farmi venire un infarto da stress.»

Harley deglutisce, fissa Peter e non gli risulta difficile connettere i puntini ed esplicitarli:

«Solo perché lui è Spider-Man?»

Cala un silenzio che, a differenza di ciò che Harley possa pensare, non schiaccia. Piuttosto sembra una grossa bolla d'aria che si gonfia di anidride carbonica ed è pronta ad esplodere. Non sa se l’esplosione avrà origine da Peter o da Tony. Per questo tace, ma la miccia è accesa. La scintilla la consuma, e infine scoppia e il silenzio si rompe come un vaso che cade a terra, senza possibilità di salvezza.

«Accantoniamo per un attimo la faccenda antibullo, ti va?», domanda l'uomo, rivolto a un  Peter che fa roteare gli occhi al cielo, siccome il tono che ha usato è tutto fuorché pregno di comprensione. «E parliamo del fatto che, per una ragione più che discutibile, il signorino, qui, ha capito chi sei!»

Indica Harley, che si sporge in mezzo ai loro sedili sentendosi chiamare in causa.

«Come se avessi avuto l'intento di farmi scoprire...»

«No, e l'avrei ritenuto più tollerabile, se fosse andata così. Invece no, è la tua assoluta mancanza di attenzione, che mi spiazza! La fortuna è che sia stato Harley a scoprirlo e non un idiota qualunque, tipo quel– quel Flasher o come accidenti si chiama!»

Tony e Peter si scambiano uno sguardo astioso, fugacissimo, che non sfugge agli occhi ridotti a due fessure di Harley, anche se i suoi pensieri sono altrove, discosti dalla faccenda dell’identità di Peter che, di fatto, lo riguarda marginalmente.

È vero: Tony li sta mettendo su due piani diversi e Peter è più forte solo perché è Spider-Man. E se non lo fosse stato? È un pensiero un po’ infantile, il suo. Lo sa che è così, ma, d’altra parte, lui poteri non ne ha… ma gli è stato dato un congegno che un po’ di sicurezza in se stesso gliela fa provare; solo che paradossalmente averlo usato ha causato più problemi che altro. Non solo scolastici – e sono pure risolti, quelli – ma anche umani. Di equità. La stessa che pensava di poter condividere con Peter ma a quanto pare non è possibile. Si rende conto che è normale, forse pure giusto che sia così, ma non riesce a non provare un moto di fastidio, dentro di sé.

«Ho capito,» dice quindi monocorde, tagliando la spessa tensione che si è interposta tra quelli che, deve ricordarselo più spesso, sono Iron Man e Spider-Man. «È logico che siamo su piani diversi, anche se abbiamo fatto la stessa cosa. È logico, e giusto,» ripete, con la consapevolezza che sia davvero così, ma che a livello personale non lo ritenga comunque “giusto”, pur andando a suo vantaggio.

«Harley…», comincia Peter, ma si morde un labbro e cerca lo sguardo di Tony per un po’ di supporto, che non riceve, siccome l’altro ha girato lo sguardo altrove: non vuole prendere alcuna posizione.  

Giusto fino ad un certo punto, sbagliato nell’altro. Harley alza le spalle. 

«Ho solo questo, come difesa.» 

«Ma io ho agito allo stesso modo per difenderti!»  

«E ci siamo andati di mezzo in due! Non serviva. Andiamo, tu sei… Spider-Man, accidenti! Che bisogno c’era?» sbotta infine. 

«Ho agito “d’istinto”, come te, e non ci vedo niente di strano!» 

«Ma tu sei Spider-Man!», ripete. «Te ne saresti potuto occupare al di fuori!» 

«Cosa?», ride Peter, nervoso, poi fa una smorfia di disapprovazione, e si passa nervoso una mano tra i capelli. «Spider-Man non serve a questo. Lungi da me occuparmi di faccende personali quando sono in quella tuta.» 

Harley fa per replicare; apre la bocca e aggrotta le sopracciglia, nervoso. Sa che Peter ha ragione ma allo stesso tempo si sente ferito. Vorrebbe quasi dirglielo, spiegare loro cosa l’attanaglia, ma Tony li ferma, alzando le mani e mettendole una sotto l’altro.

«Time out! Time out!», esclama e sia lui che Peter sussultano. «Ecco, parlavo proprio di questo, quando ho accennato a voi due che vi detestate, ed è l’ultima cosa che voglio! Quindi ora mi fate il sacrosanto piacere di darvi una calmata, riflettere sui vostri dissapori senza confrontarvi e, nel frattempo, ce ne andiamo a cena fuori da qualche parte, tutti insieme. Questa sarà la vostra punizione, fine della discussione!» 

Harley e Peter si scambiano un'occhiata spaurita.

«Tutti insieme chi?» chiede allarmato Peter.

Tony sfodera un sorrisetto tetro e molto minaccioso che rasenta  il compiaciuto.

«Hai capito benissimo, Parker. Chiama tua zia.»

 

 


Fine seconda parte


 

Note:

[1] Il nonno del preside Morita faceva parte degli Howlings, di qui la foto nostalgica nel suo ufficio (che si intravede anche in Homecoming). E ciò spiega anche perché alla Midtown facciano vedere video di Cap quando questi è tecnicamente ricercato causa Guerra Civile.

 

 


 


Note autrici:

Ma salve, nostri prodi lettori!

Ebbene sì: vi abbiamo ingannato. Spudoratamente, per giunta. Non solo questi non sono capitoli brevi, ma non sono nemmeno fluff e spensierati, perché noi ci nutriamo d’angst a colazione e pranzo e cena… quindi da qualche parte dovremo pur riversarlo. A scapito vostro. Statece. Dopotutto meglio noi che i vampiri, no? Almeno non vi risucchiamo via la vita (così dicono…).

Suvvia, sappiamo che in fondo apprezzate (?) vedere le nostre Tre Grazie (indovinate chi è Graziear– *censura*) alle prese coi problemi più disparati.

Anche quando non sono poi tanto super. Soprattutto quando non lo sono. Qui sfioriamo una tematica delicata quale il bullismo con l’intento di far sorridere per la situazione paradossale che si viene a creare, ma non vuol dire che la tratteremo con leggerezza… perché no, signore e signori *grilli in sottofondo*, non abbiamo ancora finito e, contro tutte le nostre aspettative (ma quando mai) questa storia si è trasformata da raccolta a pseudo-long. Già. L’abbiamo fatto.

Era impossibile che non divenisse tale, dopotutto. Come fai a non spolpare via chilometri e chilometri di angst, collegato da un capitolo all’altro? Non si può, esatto! Quindi beccateve sta pseudo-long (che è una long, dai… lo è, non prendiamoci in giro)!

Ringraziamo e mandiamo cuore e amore a tutti coloro che hanno recensito e aggiunto la storia alle liste, e speriamo di tornare in tempi decisamente più brevi :’)

Un baciotto,

Dal Raccordo Anulare è tutto,

Light&Miry

 
   
 
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