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Autore: Lightyel    28/11/2019    5 recensioni
Una piccola storia che narra le avventure di Harley Keener e Peter Parker, sotto la supervisione di Tony Stark – padre improvvisato di due pesti senza freni. Riusciranno a non farlo impazzire, prima della fine?
Episodio 1: That's So Harley!
Episodio 2: Geni per caso (parte 1)
Episodio 3: Geni per caso (parte 2)
Episodio 4: Mai dire Cena
[ Harley & Peter + Tony - Fluff/Comico - Storia scritta a quattro mani da _Lightning_ e Miryel ]
Genere: Comico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harley Keener, Harley Keener, Morgan Stark, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[ Harley & Peter & Tony - Fluff  - Word Count: 3705 ]



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Episodio 2. Geni per Caso – Parte Prima

 

Quando Peter varca la soglia di scuola, quella mattina, è un agglomerato di entusiasmo e ansia. Non che normalmente ansia e senso di inadeguatezza non lo accompagnino ogni glorioso istante della sua vita, ma oggi è una giornata diversa. In realtà lo è per tutti gli studenti che attendono le classifiche per la qualifica annuale delle Olimpiadi studentesche di matematica, dove Peter non è mai mancato di partecipare, con risultati sempre abbastanza soddisfacenti. Non lo fa per la gloria, più per mantenere la borsa di studio con una media sempre alta. L'unico modo che ha per frequentare la scuola senza far tirare fuori un soldo a zia May. Si addentra nell'atrio della scuola e una calca di rumorosissimi studenti si è riunita di fronte alla tabella delle graduatorie. Lui è lì, dietro a una cinquantina di persone, e non riesce a vedere un accidenti. Si alza sulla punta dei piedi e tenta, invano, di leggere da una distanza di tre o quattro metri, le scritte piccole e poco chiare delle graduatorie. Okay, è Spider-Man, ma non ha la supervista!

Ricade sui talloni molleggiando appena con uno sbuffo trattenuto, e si rassegna ad aspettare un varco. Raggiunge la bacheca con indolenza fittizia, sentendo in realtà una massiccia dose di energia nervosa in circolo, di quella che lo invoglia a fare un paio di capriole all'indietro sul posto. Finisce con la punta del naso che quasi sfiora il foglio, sospinto dalla pressione di altri studenti irrequieti dietro di lui.

Quasi s'incrocia gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco le lettere e schizza a leggere la colonna della "P" con un sussulto agitato.

Page... Perkins – un vuoto al cuore – ma no! Si è saltato! Parker! Eccolo lì, nero su bianco, inconfutabile prova della sua qualifica. Si concede un sospiro sollevato che cela un pizzico di soddisfazione.

Si poggia una mano sul cuore e non vede l'ora di dirlo al signor Stark, anche se, come sempre, farà una delle sue battute ad effetto, tipo... com'era quella dell'anno prima? Ah, sì, «Oh, di nuovo, Pete? Sappi che... conto su di te! L'hai capita, vero? Conto, perché sono le Olimpiadi Matematiche!» e aveva riso della propria, trashissima ironia. Peter scuote la testa, a quel ricordo, mentre un sorriso gli vibra sul lato sinistro della guancia. Fa per tirare fuori il cellulare dalla tasca troppo stretta dei jeans – difatti fa un po' di fatica e si morde la lingua tra i denti – e poi si arresta, quando gli occhi gli cadono sull'elenco, di nuovo, alla lettera K. Si blocca come un fesso, come pure le sue dita che hanno fallito miseramente l'intento di sfilare il cellulare. Non ci può credere. 

Non ci può proprio credere...

Keener, Harley.

Lui. Il bimbetto biondo del primo giorno con una parlantina tale da fargli chiedere se fosse davvero umano, e non piuttosto un cyborg programmato per non tacere mai. Quello che chiama il signor Stark "Tony", come fossero amici di vecchia data. Che un po’ gli inacidisce il fegato perché... Perché mai? Nah, non gli fa né caldo né freddo, nella sua logorante irrequietezza.

Trattiene un sospiro che gli gonfia le guance irrigidite. Ritrovarselo nel gruppo delle Olimpiadi gli sembra un qualche segno del destino. Un castigo divino. Un modo per punirlo di tutti gli zaini persi e tutte le cene mancate con zia May – la quantità di rimproveri che gli si è abbattuta addosso ultimamente è abbastanza per ritenere plausibile un suo coinvolgimento, almeno a livello mistico.

Riesce nell'impresa di tirar fuori il telefono dalla tasca, rischiando quasi di romperla per la troppa forza che ci mette.

Lo sblocca e si allontana dalla calca, siccome qualcuno ha iniziato a spintonarlo. Non sa se scrivere al signor Stark della graduatoria, omettendo il fatto di Harley o se dirgli anche di lui. O, meglio, non dire niente e basta, ma sa benissimo quando l'uomo ci tenga, a certe informazioni, anche se non vuole darlo a vedere. Zia May crede che Tony Stark nasconda, sotto quella corazza, una mamma chioccia super apprensiva e Peter pensa che un po’ sia così. Sbuffa verso l'alto, e il ciuffo ribelle che gli cade sulla fronte si tira indietro, per poi tornare fastidioso esattamente dov'era. Scrivere o non scrivere? Dirgli di Harley, o non farlo?

Uffa, non lo sa proprio! La decisione più difficile della giornata è stata la scelta di quali scarpe mettere... e ne ha due paia solamente, eh!

Storce la bocca, tormentandosi il labbro inferiore. Non vuole fare un torto a Tony... né ad Harley, ammette. Dopotutto, se si è qualificato alle Olimpiadi di Matematica alla sua età – quanti anni avrà, poi? Dodici? – deve pur essersi distinto in qualche modo, vista l'imparzialità del signor Harrington. Si merita di essere lì, sicuramente.

E Tony meriterebbe di saperlo subito... se solo non lo pungolasse il pensiero che proprio lui l'ha tenuto all'oscuro per anni sull'esistenza di quel ragazzino iperattivo.

Così opta per la via di mezzo, una di quelle che di solito non gli stanno troppo simpatiche, ma che qualche volta ritiene di potersi concedere, e prende a digitare sul telefono:

«Signor Stark, mi hanno preso anche quest'anno alle Olimpiadi Matematiche :D», scrive, e invia il messaggio, sebbene l'emoticon che ha inserito non rispecchi il suo reale stato d'animo. Si gratta la testa e si sente un pochino in difetto per aver omesso il fatto che anche quel ragazzino a quanto pare geniale sarà un suo compagno di squadra. Può giurare su tutto ciò che ha di più caro, tra cui l'intera collezione di Stormtrooper del Lego Star Wars, che quando Tony saprà di entrambi gongolerà, e forse è per paura di perdere quel primato col signor Stark, che infine ha parlato solo di sé. Se ne vergogna un po' e quasi pensa di dirglielo, quando la pelle sulle braccia gli si alza improvvisamente, seguita da un brivido lungo la spina dorsale che lo fa rizzare sulla schiena. Sono i suoi sensi, quelli di ragno; quelli che zia May chiama indecorosamente "Peter campanello".

Alza lo sguardo istintivamente verso la porta della palestra e si sente mancare per un attimo il respiro nei polmoni.

 


 

Dopo otto anni di scuola passati tra dispetti, prese in giro e “scherzi” di cattivo gusto, Harley sa riconoscere un bullo quando ne vede uno. Non si era certo aspettato di trovare bulli in una scuola simile, ma Flash è un bullo, su questo non c'è ombra di dubbio, e non ha perso tempo a farsi riconoscere come tale sin dai primi giorni. Il genere di bullo che in una tipica scuola newyorkese avrebbe il ruolo opposto, del ragazzo secchione a cui viene costretta la testa nel gabinetto, ma che alla Midtown si sente in dovere di colmare una lacuna gradita.

«Scansati, nano! Cosa ci vuoi trovare, tu, là sopra?» lo apostrofa, troppo vicino a lui, a ribadire il fatto che può invadere il suo spazio personale come e quando vuole.

Harley gira appena la testa, con quell'espressione impassibile che ancora non gli riesce troppo bene. Il ragazzo è più alto di lui, e potrebbe benissimo leggere la tabella dei risultati oltre la sua testa... ma no, non è così che funziona.

«Il mio nome,» risponde quindi, con la massima calma e le mani che scivolano dalle cinghie dello zaino alle tasche dei jeans, alzando poi con ovvietà le spalle.

Flash alza le sopracciglia e la sua fronte, libera dai capelli tirati indietro con la gelatina, si riempie di rughe, finché non fa roteare gli occhi e tira fuori uno sbuffo che sa di presa in giro.

Harley tenta, in tutti i modi, di non palesare sul viso il disgusto che gli sta attraversando nella schiena, con un brivido.

«Il suo nome, dice!» esclama Flash, rivolto a nessuno in particolare. «E, di grazia, quale sarebbe? Così ti faccio il favore di cercarlo e non trovarlo, e magari ti togli dai piedi!» Gli dà un'altra spinta, e Harley si acciglia.

Nelle tasche, trova l'anello che raccoglie le sue chiavi fino a serrare le dita sul bossolo oblungo e metallico ribattezzato "antibullo". Non è del tutto sicuro di cosa faccia: Tony l'ha definito "la pignatta della cicala"... ovvero una descrizione affatto illuminante sul suo potenziale offensivo. Però gli ha garantito che non è letale.

Porta l'indice sul pulsante a un'estremità, per ogni evenienza, e non si schioda dal suo posto. Alza un po' il mento, scrollando via una ciocca di capelli dal volto, e guarda dritto negli occhi il ragazzo più grande, con un'espressione che spera esterni il giusto mezzo tra indifferenza e spavalderia – cerca di focalizzare una delle tipiche smorfie di Tony e teme che la sua imitazione non sia affatto convincente.

«Harley. E so leggere, grazie: lo trovo da solo,» conclude, voltandogli le spalle e piantando di nuovo il naso sul foglio dei risultati, la mano sudata che ancora stritola l'antibullo.

Il caos ribolle improvviso, come dell'acqua in una pentola sopra ad un fuoco troppo alto. Flash gli dà una spallata che Harley, con le spalle già contratte – siccome ha indurito i muscoli in un istinto di difesa che è un po' automatico e un po' no, attutiscono. Traballa leggermente, non perde l'equilibrio e di questo se ne compiacerebbe pure, se non fosse che, quando fronteggia di nuovo quel primate, questi gli tiri uno spintone, che lo fa indietreggiare. Stringe di più le dita intorno all'antibullo e, nel momento esatto in cui decide di pigiare il bottone, sente in lontananza una voce urlare: «Flash, lascialo stare!»; fa giusto in tempo a riconoscere il timbro acuto di Peter Parker, ma il danno è già fatto: scintille che scoppiettano come petardi saltellano sotto ai piedi di Flash, che si è voltato in direzione di Spider-Man, forse nel tentativo di spintonare anche lui.

La scena che ne segue lo avrebbe di certo divertito, in circostanze diverse, ma gli effetti dell'antibullo sono più forti di quanto Tony gli avesse accennato. Come se... come se fossero raddoppiati.

Alza gli occhi su quelli di Peter, che fa lo stesso, mentre Flash continua a zompettare sul posto, urlando, e tutta la scuola li guarda.

Tra i suoi piedi fasciati da mocassini, guizzano impazziti due bossoli rosso-oro impegnati a scatenare un pandemonio di scintille e piccole esplosioni, che trasformano la palestra in un'affollata strada di China Town a Capodanno; Flash si scansa  imprecando dalla zona di tiro in un modo ridicolo che ricorda un ballerino di tip-tap e il resto dei presenti si profonde in esclamazioni agitate o inneggiamenti alla rissa.

Harley inquadra la sagoma di Peter oltre la sottile nebbiolina fumogena causata dagli "antibulli", e vede riflessa sul suo volto la propria espressione: bocca semiaperta, occhi sgranati, e un indice puntato in avanti.

«Anche tu?!» esclamano poi all'unisono, completando il gioco dei mimi proprio mentre i congegni "non letali" esauriscono la loro carica e rotolano via inerti.

Prima che uno dei due riesca ad esternare una frase più coerente, vengono interrotti da una voce adulta proveniente dall’ingresso della palestra, seguita da un paio di colpi di tosse asfittici:

«Cosa caspiterina succede qua dentro, ragazzi? Credevo che qui ci fosse il raduno per le Olimpiadi di Matematica, non un laboratorio pirotecnico!»

«Professor Harrington!» urla Flash, e la sua voce è uno squittire irritante, oltremodo insopportabile. Harley gira il viso verso sinistra e Peter fa lo stesso, in un gesto meccanico. Tutti li guardano, e scende il silenzio, quando anche l'ultimo bossolo scoppia. L'unico rumore udibile è il fiato corto del bullo – vittima degli "antibulli", che ora ha alzato un dito e li indica, entrambi, tremando. «Parker e questo ragazzino! Mi hanno lanciato addosso queste cose

«Non è vero!» interviene Peter, e fa un passo verso di lui, stringendo tra le dita l'oggetto incriminante, ma solo Harley può vederlo, siccome sa di cosa si tratta.

Flash si gira di scatto verso di lui, indicandosi le gambe con un gesto teatrale; sembra stiano per uscirgli gli occhi fuori dalle orbite, per quanto li ha spalancati.

«Ho quasi perso un piede, Parker! Abbi almeno la decenza di ammetterlo! L'ho sempre detto, che hai qualche rotella fuori posto!»

«Oh, beh,» tartaglia il signor Harrington, raddrizzandosi stupefatto gli occhiali sul naso. «Beh, questo è... è inaspettato; insomma! Parker e...» indirizza uno sguardo interrogativo ad Harley, che si stringe nelle spalle nel rispondere:

«Keener,» quasi sbuffa, fissando in cagnesco Flash, che sta palesemente gongolando per averli messi nei guai. «E non è andata affatto così, lui ha...»

«Parker, da te non mi sarei mai sognato simili atti di... intemperanza!» lo ignora Harrington, parlando con una voce squillante che tradisce quanto sia impreparato a gestire la situazione. «E questi... cosa sono questi?» aggiunge, spostando l'attenzione sulle armi del delitto ancora fumanti ai loro piedi.

«Petardi,» si affretta a dire Peter, così in fretta che Harley ha l'impressione che si sia quasi morso la lingua per anticiparlo nel rispondere. «Semplici, semplicissimi petardi, nulla... nulla di fuori dall'ordinario, ecco,» s'incarta, e mentre fissa Harrington cerca di guardare di sottecchi anche lui, intimandogli chiaramente di tacere.

Harley lo asseconda, senza però poter evitare una tenue espressione contrariata che gli increspa le sopracciglia: non avrà un’identità segreta da proteggere, ma sa capire da solo quando è il caso di essere sinceri o meno.

«Petardi! Santo cielo! Il regolamento parla chiarissimo, in proposito!» esclama drammaticamente Harrington, strabuzzando gli occhi.

«Signor Harrington, mi creda, non volevamo che acc-»

«Vorresti farlo passare per un incidente, Parker? E far passare me, per scemo?», dice Flash, e il suo sorrisetto da gradasso torna a solcare quel viso da pugni che si ritrova. Harley vorrebbe quasi rispondergli che è scemo, e di questo probabilmente è cosciente persino quel rimbambito di Harrington che, con un diniego della testa, incrocia le braccia al petto, ma ha ancora gli occhi puntati su Peter, il quale ha la faccia di uno che preferirebbe sprofondare nel terreno, piuttosto che stare lì a farsi rimproverare per aver cercato di mantenere l’ordine.

«Io non sto di-»

«Ora basta.» La voce di Harrington si alza di colpo, ma l'autorità è sempre stata una sua grave mancanza. Harley pensa che, quasi sicuramente, li lascerà andare intimando loro di smetterla di litigare e punzecchiarsi; tutto andrà bene, c'è solo bisogno che Peter la smetta di rispondere alle provocazioni di Flash. Un comportamento, in effetti, un po' spavaldo che non gli si addice, ma – Harley lo ha capito – lo ha fatto principalmente per difendere lui. Arriccia le labbra, a quel pensiero, e cerca di appuntarsi mentalmente di ringraziarlo, più tardi.

Ogni buon proposito di Harley, però, sfuma via, quando inaspettatamente la questione prende una piega ancora peggiore di quella che è. Sembra quasi assurdo, ma il professor Harrington stringe i pugni, li guarda e, in un sospiro, alza un dito e indica un punto indefinito dell'edificio.

«Parker. Keener. Con me in presidenza.»

 


 

Un solo movimento fuori posto, e la missione sarebbe fallita con conseguenze catastrofiche. Tony armeggia con le pinzette come se stesse maneggiando una testata atomica, e fa combaciare l'ultimo pezzo del vaso sperando che il movimento non lo porti a collassare di sua sponte. Il coccio si assesta con un lieve click, e gli altri pezzi reggono il sussulto.

Tony smette di trattenere il fiato e si ripromette di non testare mai più dei droni in salotto, onde evitare le ire di Pepper per l'ennesimo soprammobile disintegrato. Per fortuna questo danno è facile da camuffare, visto che tecnicamente il vaso era già rotto, e i frammenti sono evidenziati da un reticolo d'oro unito adesso a uno strato invisibile di supercolla. Sta giusto per posare il delicato oggetto sulla mensola, quando il suo cellulare erompe in una serie di schitarrate spaccatimpani, rischiando di farglielo cadere di nuovo dalle mani.

Emette uno sbuffo che rasenta il panico, posa al sicuro quella bomba ad orologeria e sorride nel leggere il numero che lo sta chiamando. Altre buone notizie sui suoi adolescenti preferiti, ne è sicuro.

«Sai cosa ne penso del chiamarmi durante l’orario scolastico, Harl, ma immagino tu debba darmi qualche buona notizia. Avanti, sono tutto orecchi!» esclama, come sempre senza né salutare, né chiedere chi ci sia dall’altra parte. Dritto al sodo, come al solito. Il suo petto si è gonfiato, tronfio. 

«Signor Stark, mi perdoni il disturbo, sono Roger Harrington, insegno scienze alla Midtown High School. So che lei è il secondo contatto di emergenza del signor Keener, giusto?» Il suo petto si sgonfia, come un palloncino.

Tony fa una smorfia; arriccia le labbra come se avesse baciato con passione un limone acerbo. «Dipende da quello che ha combinato» risponde; poggia il telefono sulla spalla e piega la testa per tenerlo senza mani, mentre si prende la pelle tra le sopracciglia, «Comunque sì, sono io. Che è successo?» 

«Lui e un altro compagno sono stati richiamati in presidenza. Avremmo bisogno che lei venisse qui in veste di tutore del ragazzo, siccome è ancora minorenne.» 

«Harley? In presidenza? Cos'è, uno scherzo?» chiede esterrefatto, col sospetto di stare davvero cadendo vittima di una qualche beffa ai suoi danni architettata con i suoi nuovi amici della Midtown – quella Bishop gli è sembrata davvero una testa calda.

Ma... non sarebbe da Harley: avrà anche cercato di segnare un headshot con uno sparapatate contro Iron Man, ma non ce lo vede a fare questo tipo di stupidaggini. Dopotutto, non è un se stesso quattordicenne.

«Purtroppo no, signor Stark, e, insomma, capisco che lei sia molto impegnato... ma la signora Keener è al lavoro e lei figura sulla lista da contattare in questi casi...»

«E che caso è, questo?» tenta di nuovo Tony, col cuore che salta troppi battiti.

Si ripete che, se fosse davvero un’emergenza, quel professore non sarebbe così calmo e lo starebbero chiamando da un ospedale, non dalla Midtown. Cerca piuttosto di capire come diavolo dovrebbe porsi davanti a Harley, se in versione di supporto morale o di paterna severità... entrambe ancora in collaudo.

«Le spiegherà tutto il preside Morita, ma posso dirle che il signor Keener e un suo compagno hanno... fatto un uso improprio di materiale pirotecnico non autorizzato, dei petardi che si ostinano a chiamare "antibullo"... insomma, ragazzate, nulla di grave, questa è più una tirata d'orecchie per evitare che...»

Tony ha smesso di ascoltare ad "antibullo", con un microinfarto nell'udire quella parola, e una chiara immagine di Harley con un occhio nero che gli si para davanti, seguita da altre ancor meno piacevoli che gli causano una stretta allo stomaco. E quel “compagno”... Cristo, a volte non vorrebbe essere così perspicace.

Ha un piede già in automatico sulla soglia di casa, quando Friday si interpone nella telefonata, udibile solo a lui.

«Capo, May Parker la sta chiamando; metto in attesa il signor Harrington?»

«Merda!» esclama, e non si capacita di averlo detto ad alta voce finché Harrington non reagisce a quella brutta parola con un singulto spiazzato. Non importa. Niente ha importanza, ora come ora, siccome ha sull'altra linea una delle donne più spaventose che abbia mai conosciuto. Ha sempre pensato che, in confronto, Pepper e Natasha arrabbiate siano decisamente più gestibili. May Parker non lo è, e la cosa peggiore è che se Tony aveva già un sospetto su chi fosse l'altro alunno incriminato, ora non ha più dubbi sulla sua identità. «Senta, professore,» esordisce, soppesando quella parola, come se Harrington, in effetti, fosse tutto tranne che un insegnante. «arrivo in un attimo, il tempo di ammansire una bestia feroce.» Non attende nemmeno una risposta e risponde all'altra chiamata, per nulla sicuro che la passerà liscia, stavolta.

«May, che piacevole sorpresa! Pepper voleva giusto invitare te e Peter a pranzo, domenica , pensa un po'!» sfarfalla, con troppo entusiasmo, che non cela affatto i suoi timori.

«Se non mi dai subito una spiegazione del perché la presidenza mi ha chiamato dicendo che Peter è lì per colpa di una cosa chiamata antibullo, domenica non ci sarà un pranzo, ma una veglia funebre: la tua e la sua, Tony!»

Tony serra gli occhi per qualche istante, ad attutire l'onda d'urto che gli investe il timpano, e si arrischia a parlare solo quando dall'altro capo del telefono non rimane che un silenzio tombale.

«Uh, May, so che tuo nipote è, tecnicamente, Spider-Man, ma... ecco, ho pensato che fargli avere qualche mezzo per difendersi meno vistoso di una ragnatela sarebbe stato, uh, diciamo...»

«...un'enorme cazzata?» completa lei, melliflua quanto un orso pronto a sbranarlo sul posto.

Tony deglutisce a vuoto.

«Nnn… , più o meno. Ho sottovalutato la variabile adolescenziale; quella mi frega sempre,» borbotta, puntellandosi contro lo stipite dell'ingresso mentre cerca di far carburare i neuroni.

Cosa che si risolve con la creazione di scenari sempre più apocalittici, il più devastante dei quali è un possibile, insanabile litigio tra i suoi due jukebox umani preferiti... per causa sua. Perché non sa mai tenere a freno la bocca e, quelle poche volte in cui dovrebbe spiccicare due parole sensate di fila, preferisce tenersele per sé. Si schiaffa una mano sul volto: Pepper ha ragione, e a volte è veramente un idiota.

«Bene, genio,» continua May, «sappi che ho chiamato quell'anima pia che sarà costretta a sopportarti per il resto dei suoi giorni, e abbiamo deciso che in presidenza ci andrai tu, da solo, per entrambi i ragazzi; e vedi di comportarti bene! Qualcosa in contrario?»

«Immagino che, anche avessi qualcosa in contrario, farlo presente sarebbe un tantino controproducente» commenta, ed è felice che l'ira di May sia filtrata prima da Pepper che sì, è un'anima pia. E sì, dovrà sopportarlo per il resto dei suoi giorni. «D'accordo, d'accordo! Ci penso io. Ah, le mie povere coronarie!» Scuote la testa, e May gli lancia un altro paio di accidenti, prima di attaccare e lasciarlo con il tu, tu, tu del telefono muto. Tony sospira. Recupera le chiavi dell'auto nel piattino di vetro giallo all'ingresso. Le lancia in aria, distrattamente e le recupera in un colpo tra le dita.

Sarà un lungo pomeriggio, ne è certo.


Fine prima parte

 

 


 


Note autrici:

Carissimi Lettori!
Ebbene sì, siamo tornate, più cariche di prima. Così tanto che questa parte doveva essere una shot e invece abbiamo avuto la necessità di dividerla in due parti… la colpa non è nostra, comunque, ma del fatto che abbiamo deciso di inserire TRE personaggi logorroici, Tony fra tutti, che si ruba il palcoscenico e caccia via a calci tutti gli altri XD Prendetevela dunque con loro/lui (e con noi, che siamo pure più logorroiche e abbiamo fatto la fuh-sione! della vita u.u)

NB: La scelta di usare “Peter campanello”  è una variante alla cacofonicissima traduzione italiana di Peter Tingle, diventata Peter Prurito che ci sapeva troppo di piattole o varicella, quindi nel corso dell’opera avrà svariati nomi, mai mai QUELLO. È troppo brutto, per essere usato U.U so che convenite con noi... e se non convenite, conveniate (?)  ♥

La piantiamo di appallarvi e ringraziamo tutti coloro che hanno letto, recensito e/o inserito la storia tra le loro liste: sappiate che ci fate feliciE e che vi amiamo così tanto da convincerci a non smollarvi capitoli di 6000 parole ♥ 
Non temete: torneremo presto col seguito delle mirabolanti e logorroiche avventure dei nostri idioti preferiti: rimanete sintonizzati!

Light&Miry

 
   
 
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