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Autore: Lightyel    10/11/2019    6 recensioni
Una piccola storia che narra le avventure di Harley Keener e Peter Parker, sotto la supervisione di Tony Stark – padre improvvisato di due pesti senza freni. Riusciranno a non farlo impazzire, prima della fine?
Episodio 1: That's So Harley!
Episodio 2: Geni per caso (parte 1)
Episodio 3: Geni per caso (parte 2)
Episodio 4: Mai dire Cena
[ Harley & Peter + Tony - Fluff/Comico - Storia scritta a quattro mani da _Lightning_ e Miryel ]
Genere: Comico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harley Keener, Harley Keener, Morgan Stark, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[ Harley & Peter & Tony - Fluff  - Word Count: 4056 ]



•••




Episodio 1. That's So Harley!

 

L'ingresso della Midtown High School of Technology, più che di una scuola superiore, sembra quello di una sala congressi pronta ad accogliere il colto luminare o il geniale professore universitario di turno, con troppe scritte e citazioni a decorare l'ingresso e troppe vetrate con laboratori a vista. Almeno, è quello che pensa Harley mentre se ne sta col naso all'insù a fissare l'insegna del nome, abbellita da un atomo stilizzato. L'edificio più alto che abbia visto a Rose Hill è quello del municipio, ed era comunque in mattoni e cemento, non certo in vetro e acciaio come la maggior parte di quelli a New York.

Rimane fermo qualche istante più del dovuto, con gli occhi vispi che seguono la struttura geometrica dell'edificio, prima che un lieve spintone riporti il suo sguardo all'altezza di molto inferiore a cui si trova a guardare di solito. Un mare di schiene con relativi zaini variopinti ostruisce di nuovo la sua visuale, e si affretta a unirsi alla fiumana che inizia a incanalarsi nelle porte d'ingresso.

Prende un grosso respiro che gli raschia la gola, poi un sorriso tremulo gli solca il viso. Stringe le spalline del suo zainetto e, come inghiottito da un imbuto, si ritrova nell'atrio gigantesco dell'edificio, adornato di lavagne in sughero – con annessi annunci attaccati con delle puntine colorate, vari poster e disegni alle pareti. Deve raggiungere la palestra; o così gli hanno detto, nella lettera di ammissione. È lì che i professori, e forse il preside in persona, presenteranno a lui e agli altri studenti, il programma dell'anno e la scuola. È nervoso e elettrizzato all'idea di iniziare quella nuova avventura; così tanto che non riesce proprio a togliersi quel sorrisetto dalla faccia. Così si ferma, quando tutti lo fanno, in attesa che la presentazione abbia inizio. Si guarda intorno e vede solo volti sconosciuti e velati di una preoccupazione appena percettibile, di chi, come lui, non riesce a trovare punti di riferimento ed è al contempo trepidante ed emozionato di fronte all'ignoto di una nuova scuola

Guarda fisso davanti a sé e individua il telo di un proiettore sul fondo della palestra, che per ora trasmette solo lo schermo blu e anonimo dello stand-by. Dopo qualche minuto e un traffico di tecnici il video si avvia, e appare in primo piano una sedia. E poi appare Capitan America in persona, che vi si siede sopra con un sorriso smagliante e decisamente artefatto, di quelli che fanno dolere le guance solo a guardarli.

Harley si massaggia le sue, di guance, prima di fossilizzare la propria attenzione sull'uomo e sulle sue rassicurazioni a proposito di quell'anno scolastico che sta per intraprendere.

«Possedere un sogno è il primo passo verso la sua realizzazione. Ogni buon proposito, è un gradino che vi innalza alla conoscenza e alla maturità. Abbiate fiducia nelle vostre capacità e, come sempre, non dimenticate di portare con voi un buon pranzo, in questo arduo cammino.» Captain America ammicca allo schermo; alza un pollice e poi parte con altre frasi fatte; altre piccole perle decisamente poco profonde ma che, agli occhi di chi lo ama, sembrano preziosissimi consigli di vita. Harley storce il naso, ma cerca di leggere tra le righe un intento di spronarlo a non mollare. Tony avrebbe usato parole diverse, per farlo. Sicuramente meno pompose e più, come dire, pratiche. Un'attitudine spicciola che, decisamente, preferisce. Il video si conclude con altri accorgimenti e, infine, un giovane tirocinante – o almeno così pare, chiama il suo nome insieme a molti altri e li invita a seguirlo nelle loro aule assegnate.

Procedono lungo il corridoio a passo spedito ma discontinuo, una trentina di ragazzi egualmente nervosi, trepidanti e impazienti che si scambiano sorrisetti impacciati, abbassano gli occhi timidi o si guardano intorno curiosi. Harley ricambia qualche sorriso con spontaneità, provando l'impulso di mettersi a saltellare mentre cammina. È alla Midtown. È davvero alla Midtown e una parte di lui non riesce ancora a crederci. Si sente in un sogno ad occhi aperti. Il suo sorriso si allarga e pensa che dovrebbe fare qualcosa di più per ringraziare Tony, perché un orologio buffo non è neanche lontanamente abbastanza, anche se lui dice di sì e continuerà a ribadirlo per sempre.

L'ora successiva vola via in un battibaleno, tra presentazioni un po' forzate, gruppi che già iniziano ad aggregarsi e i fogli dei corsi a scelta che vengono distribuiti tra i banchi. Firma disordinatamente nelle colonne che gli interessano e cerca di memorizzare qualche nome, ma gli è sempre difficile leggere in fretta e tenere a mente le parole scritte, così gli rimangono impressi solo un Miles con cui seguirà chimica e che attacca subito bottone con lui, e una Kate nel gruppo unico di ginnastica.

Infine suona la campanella, e si dirigono in massa fuori dall'aula per la ricreazione.

Miles gli ha detto che nei prossimi giorni, se gli va, potranno passare la ricreazione insieme ma che oggi non può proprio stare con lui, siccome deve sincerarsi della presenza di una certa biondina intraprendente – o così gli ha spiegato, un po’ impacciato. Allora Harley sorride, quando l’altro si congeda e sparisce correndo tra la folla di ragazzi che riempie il corridoio del primo piano. Sospira una risatina, alleggerito all’idea che, a differenza delle paranoie che lo avevano attanagliato nei giorni precedenti a quello, per ora sta andando tutto più che bene. I suoi compagni sembrano simpatici, Miles pare una brava persona e, non meno importante, non è stato risucchiato dal vortice dell’ansia da primo giorno di scuola. Così, in attesa che l’ora di ricreazione finisca, si avventura tra i corridoi dell’immensa struttura che è la Midtown e tenta di memorizzare le aule e qualche faccia, giusto per passare il tempo.

Finisce per perdersi, ovviamente, ma non gli importa più di tanto mentre si gode quella mezz'ora di esplorazione fuori programma. Si lascia guidare dalla curiosità, affacciandosi in laboratori che gli fanno luccicare gli occhi e sbirciando dalle finestrelle delle aule informatiche. Si ripete almeno dieci volte di tornare adesso nell'atrio, così da individuare l'armadietto che gli è stato assegnato prima della prossima ora, ma scolla il naso da una vetrinetta invasa di premi di fiere scientifiche solo a ridosso della campanella. Si trova a correre a rotta di collo al piano terra per arrivare in tempo all'appello successivo, timoroso di far tardi.

Mentre sfreccia nel largo corridoio costeggiato da armadietti blu e invaso di studenti di tutti gli anni, la maggior parte molto più alti di lui, capta con la coda dell'occhio un volto conosciuto. Si ferma con uno stridio di scarpe da ginnastica, aprendosi in un gran sorriso ed esitando poi sul posto.

Dondola i piedi con fare indeciso, perché lui, quel tipo, lo ha già visto da qualche parte e non gli ci vuole poi molto per azionare gli ingranaggi che girano nel suo geniale cervello, e associare a quel viso un nome e un cognome. Esita, quando si rende conto che quello non è solo, ma è impegnato in un'ilare conversazione con un tipo — probabilmente un compagno di classe con cui ha particolare confidenza, che poco dopo si congeda, salutandolo con una lunghissima e bizzarra stretta di mano, che Harley osserva con un sopracciglio alzato.

Si avvicina di mezzo passo, poi di un altro, fino ad accostarsi alla sua spalla, più o meno all'altezza della sua testa. Il ragazzo non si accorge di lui come aveva sperato, così lui prende un respiro, mette su un gran sorriso e rilascia la sua voce squillante:

«Ehi, Peter!» esclama, e il ragazzo più grande sussulta e si volta di scatto in un sol movimento, fissandolo a occhi sgranati. «Sei Peter Parker, vero? Tony mi ha parlato di te!»

Peter ammutolisce – reazione piuttosto singolare, siccome Tony gli ha raccontato di quanto in verità sia logorroico, quasi quanto lui – e, balbettando suoni afoni, lo squadra senza alcuna malizia da capo a piedi.

«Sì, sono… sono io. Mi chiamo così e tu… tu chi… Ton- cioè, il signor Stark ti ha parlato di me? Lo conosci?» balbetta, tutto d’un fiato, visibilmente spaesato e con gli occhi strabuzzati. Sembra un gufo.

Harley pensa che in generale ha davvero una buffa faccia, soprattutto ora che è agitato per chissà quale motivo, e pensa anche che sia insolito che chiami Tony "il signor Stark": dopotutto l’uomo non gli è affatto sembrato il tipo che tiene alle formalità. Ma tiene per sé queste considerazioni e si limita ad alzare le spalle, stringendo le cinghie dello zaino mezzo vuoto.

«Sí, cioè, non proprio, Tony ha solo detto che parli un sacco e che vai a questa scuola, ma ha una foto nel suo ufficio, quello alla Tower, lí in bella vista sulla scrivania, e c’è uno che ti somiglia con Tony che tiene una targa del tirocinio Stark con su scritto Peter Parker, quindi quando ti ho visto qui ho pensato che dovevi essere per forza tu!» dice in un lampo, sorridendo soddisfatto delle sue deduzioni.

Peter, al contrario, si ritrae leggermente, palesemente travolto da quel flusso di parole. Harley pensa che magari sta solo cercando di assimilarle, e che quell’apparente blackout non significhi – nel modo più assoluto, che lo ha sconvolto. Dopotutto non ha fatto niente di male. Si è solo avvicinato all’unica persona, per ora, con cui ha qualcosa in comune. Certo, si tratta di Tony, e pensa divertito che forse non è qualcosa di cui andare fieri, ma tant’è... 

Continua a sorridere, sebbene il viso del ragazzo più grande palesi ancora troppe cose a cui Harley non sa dare un’identità.

«Uh...» Il suono stentato che emerge dalla bocca di Peter potrebbe essere una conferma di quell'ipotesi, così come del contrario, e Harley aggrotta le sopracciglia, inclinando appena il capo e sporgendo il labbro inferiore in un moto perplesso.

«Uh, il signor... come... P-perché conosci il signor Stark?» riesce a chiedere infine Peter, con due pozzi neri di confusione piazzati negli occhi castani, neanche avesse visto un alieno a tre teste.

«Beh, è un po' lungo da spiegare, ma l'ho, diciamo, aiutato in una missione qualche anno fa,» alza le spalle infine, strofinandosi il naso con l’indice col suono della campanella che corona quelle ultime parole.

Si chiede se l'occhio umano possa raggiungere le dimensioni di un piattino da caffè senza effetti collaterali per la salute. In effetti adesso Peter sembra anche un po' più pallido, quasi cereo. 

Lo ha forse rotto?


 

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Peter si sente spaesato, come quella volta in cui ha aperto la porta di casa e ha trovato il signor Stark a casa sua, per reclutarlo col fine di portarlo in Germania a combattere contro Captain America. Quel giorno non è stato particolarmente capace a gestire le proprie emozioni, ma effettivamente non ha mai pensato che Tony Stark potesse trovarlo e capire che Spider-Man era lui. Ha tipo i mezzi per trovare un terrorista infilato nelle montagne dell'Asia, figuriamoci se non ha quelli per scoprire che un ragazzino sfigato come lui tira ragnatele e si infila una maschera per difendere il crimine! O, almeno, questa è la risposta che si è dato per darsi una calmata, quel giorno. Ora, è completamente destabilizzato. Conosceva già il signor Stark per fama, ma quel ragazzino? Chi accidenti è? E poi chiama il signor Stark per nome, come se fosse una specie di... figlioccio? Sbatte le palpebre un paio di volte, incapace di rispondere, di dire mezza frase che abbia un senso compiuto, e allora balbetta ancora, e stringe le dita intorno alle spalline dello zaino. E perché il signor Stark non gli ha mai parlato di lui?

«I-io... non ho idea di chi tu sia...» sbotta, e ha davvero paura di essere risultato troppo duro. O forse troppo pappamolla? Oddio, ora ha le paranoie!

Quel ragazzino, che gli arriva sì e no alla spalla e ha una zazzera di capelli biondicci e arruffati che si ostinano a ricadergli sugli occhi vispi, avrà a malapena tredici anni. Non dovrebbe nemmeno andare alla Midtown, figurarsi essere in confidenza col più grande genio del nuovo millennio, nonché supereroe!

«È normale che tu non mi abbia mai visto: mi sono trasferito qui a New York con mia madre la settimana scorsa; prima vivevamo in Tennessee, in una città microscopica. Tony ci ha dato una mano col trasloco,» spiega a raffica lui, concludendo il tutto con una lieve alzata di spalle e un sorriso che per la prima volta sembra farsi impacciato.

Peter batte di nuovo le palpebre e gli sembra di vedere doppio, storto, sfocato. Ha un tornado in testa e nessuna delle informazioni che sta sciorinando quel ragazzino trova una collocazione nel suo database mentale. Teme che da un momento all'altro gli apparirà davanti una schermata blu lampeggiante che impone un immediato riavvio delle sue sinapsi in tilt.

Gli sembra quasi di sentire il suono indistinto e innaturale del computer che si spegne; spera che si riaccenda presto – il suo cervello, intende.

«Oh... oh, be'. Be', insomma, quindi... quindi conosci bene il signor Stark e vieni dal Tennessee. Certo, chiaro, insomma... sono certo che il signor Stark mi abbia parlato di te; sicuramente lo avrà fatto e io non me lo ricordo! Dai, perché non avrebbe dovuto, se siete così in confidenza! Magari se mi dici il tuo nome, posso fare mente locale.» Peter sbuffa divertito, ma è nervoso. Non pensa che, quello che sente in mezzo al petto, sia un moto di gelosia. Piuttosto la confusione più totale, perché col signor Stark dopotutto ci passa un sacco di tempo e a quell'uomo piace parlare, ma troppo poco spesso dei propri affari sentimentali, se così li vuole definire. Semplicemente gli rode un po' il fegato che quel ragazzino – ancora senza nome, sappia esattamente chi è lui, ma non viceversa. Si sente un idiota e, allo stesso tempo, uno scalino sotto nella piramide affettiva del signor Stark, rispetto a dove pensava di essere.

«Oh, certo, giusto! Mi chiamo Harley Keener!» annuncia quindi il ragazzino, sorridendo smagliante neanche avesse annunciato i numeri vincenti della lotteria.

Non pervenuto. Peter riavvolge a velocità tripla tutte le conversazioni avute col signor Stark, ed è sicuro, assolutamente sicuro, di non avergli mai sentito proferire quel nome.

Rimane a fissare Harley con la pantomima di un sorriso contratto in volto, ben consapevole di essere una frana a mentire. Non sa neanche perché dovrebbe farlo, in realtà – per non ferire Harley? Per non passare per disattento? Per non rivelare la verità, ovvero che il signor Stark gli ha nascosto qualcosa? – ma sa che sarebbe l'unico modo per svicolare a una conversazione sempre più imbarazzante, almeno per lui.

A parte fuggire a gambe levate.

 

Solo che Peter non sfugge mai dalle responsabilità – certo, a volte vacilla e vorrebbe farlo ma... Spider-Man non approverebbe mai. Così, cercando di reprimere l'istinto di tirare un grosso respiro che tradirebbe il suo animo ferito, stira il suo sorriso fino a farsi del male e, cercando di sembrare tutt'altro che abbattuto, tenta di trovare una collocazione alle sue mani: prima sui fianchi, poi nelle tasche, poi ancora strette intorno allo zaino, fino a incrociare le braccia al petto. È patetico, lo sa da solo, e la sua vocina interiore gli urla di non palesarlo troppo; disinvolto, così dovrebbe essere, peccato che non sia capace.

«Ah... ehm... no, non ti ha mai nominato, ora che ci penso. Pensa un po',» esordisce, e gli esce dalla bocca lo sfarfallio di una risata nervosa «tu sai chi sono io e io non su chi tu sia. Si vede che il signor Stark ne ha, di cose da raccontare su di me.» E tutte imbarazzanti, immagino, pensa Peter, a disagio, poi si volta, buttando i libri alla rinfusa nello zaino e gettandoselo sulle spalle in un moto quasi frenetico.

Harley sembra distanziarsi un poco da lui, le sopracciglia chiare corrugate in un moto perplesso.

«Uhm... Sì, parla davvero un sacco di te,» gli conferma, cautamente.

La sua vaghezza non fa che accendere formicolii d'imbarazzo sulle guance di Peter – la lista di figuracce si allunga a dismisura nella sua mente e grazie a Dio in questo caso deve tenere il conto solo di quelle di Peter Parker e non di quelle di Spider-Man.

«Comunque... mi dispiace, ma devo proprio scappare, Peter: la campanella è suonata e rischio di perdere il controappello al mio primo giorno! Questa scuola è enorme! Non sono abituato e ci metto un sacco ad arrivare ovunque, quindi magari parliamo dopo, o domani, va bene?» dice in fretta, riprendendo subito un atteggiamento frizzante.

Peter realizza in quel momento che lui, in teoria, doveva già essere in aula di fisica da cinque minuti per il test d’ammissione al corso di biotecnologie col professor Harrington, e trattiene l'impulso di piantarsi sonoramente un palmo sulla fronte.

Guarda l'orologio, e spalanca la bocca, ma non emette alcun suono, sebbene sia ancora totalmente destabilizzato dal fatto che il signor Stark – che Harley ancora, imperterrito, continua a chiamare per nome, il che gli lancia scariche dolorose al cuore ogni volta che lo nomina – abbia parlato un sacco di lui. Gli lancia uno sguardo preoccupato. Sa di aver spalancato le narici, il che deve farlo sembrare veramente stupido, più del solito. Annuisce, mentre i muscoli della mascella si induriscono.

«Sì, certo, ci vediamo in giro. Non... non perderti» risponde, cercando di risultare l'adulto della situazione, ma sa quanto sia poco credibile, siccome quella parte gli riesce abbastanza male. Alza una manina per salutarlo. «Buon primo giorno!» esclama, poi si volta, e se ne va con troppi pensieri nella testa; un vero e proprio mosaico di incertezze e domande.

Pensa giusto di rimandare la composizione di suddetto mosaico a dopo, quando la voce squillante di Harley risuona dietro di lui, frantumandolo di netto:

«Ehi, Peter! Hai lo zaino aperto, ti stai perdendo la tuta da ginnastica!»

È il modo in cui lo dice, a mandargli una scossa allarmata lungo le giunture. In un battibaleno fa scivolare davanti a sé lo zaino, rischia di scheggiarsi i molari per quanto li serra quando vede le gambe del costume di Spider-Man che penzolano fuori dalla zip come sgargianti festoni rosso-blu, e richiude il tutto in fretta e furia cercando di non stracciare a metà lo zaino per un eccesso di forza. Zia May gliene ha già ricomprati abbastanza.

«G-grazie!» lancia dietro di sé, e non si volta a guardare Harley, che ha detto quel “tuta da ginnastica” con un po' troppa enfasi.

Non vuole assolutamente trovare conferma dei propri paranoici timori.

Non è certo che quel ragazzino non abbia capito che nasconde nello zaino la tuta del suo alter-ego spara-ragnatele; se è alla Midtown, significa che così stupido non deve essere e, sinceramente, gli ha dimostrato una gran bella parlantina, un'acutezza considerevole e, soprattutto, una lucetta negli occhi di chi sa il fatto suo. Gli ricorda un po' il signor Stark, per certi versi – la sua versione miniaturizzata, bionda e senza bypass vocale, però.

Allora Peter allunga il passo, cerca di lasciarsi alle spalle tutte quelle preoccupazioni e soprattutto Harley, di cui sente ancora la presenza dietro di sé e i suoi occhi addosso. Non è mai stato così nervoso nemmeno durante il suo primo esame.


 

_______________________________________


 

Tony sa che, per il suo bene, è meglio che si tenga molto lontano dai fornelli – Pepper dice che la distanza ottimale è dieci metri – e ne ha la conferma quando il suo cellulare decide di inviargli una scarica di vibrazioni insistenti e moleste dalla tasca posteriore proprio mentre sta cercando di far sembrare la sua omelette un'omelette, e non uno scarto di saldatura di stagno appena uscito dal laboratorio. Sospira a mezza voce, perché riconosce il ritmo frenetico dei messaggi e sa che può essere una sola persona... motivo per cui non può ignorarla.

Si destreggia come può, tenendo il manico della padella con la sinistra e spingendo fuori il telefono dalla tasca con la destra, le sopracciglia aggrottate in una linea a metà tra la spavalderia e il catastrofismo per la pericolosità di quella manovra, e sblocca lo schermo senza guardarlo, gli occhi sempre fissi sul blob giallognolo e ribollente che aspetta solo un suo momento di distrazione per carbonizzarsi.

«Ehi, Tony!»

«Non potrai mai immaginare.»

«Chi ho incontrato.»

«Oggi.»

«A scuola!»

«!!!!»

È Harley. L'incapacità di quel ragazzo di scrivere un solo messaggio, unico, senza dover premere il tasto di invio come se farlo in quel modo molesto gli aumentasse la paghetta settimanale, è agghiacciante quanto ammirevole. Tony non ne sarebbe mai in grado. Sospira e, con un mezzo sorrisetto, lascia il manico della padella per rispondere.

«Ragazzino, ho molte doti, ma non quella della chiaroveggenza,» scrive, dando il buon esempio ed inviando una frase completa, corretta e di senso compiuto.

Sulla chat appaiono fugacemente i tre puntini di risposta, a intermittenza, seguendo la cadenza della mitragliata di messaggi che riceve. Tony scuote la padella, evitando appena in tempo che l'uovo si attacchi sul fondo, compiaciuto del suo multitasking ma con una ruga nervosa che si fa strada in mezzo alla fronte man mano che legge.

«Tieniti forte»

«Perché»

«Sto per darti»

«La notizia»

«Del giorno!»

«Rullo di tamburi»

«Ho conosciuto»

«Spider-Man

Conclude Harley, senza dimenticarsi di inserire, alla fine, una faccina che porta gli occhiali da sole. Quella che, in un momento diverso, Tony avrebbe con affetto definito "la faccia da stronzo arrogante del nuovo millennio", se non fosse che il tempo pare essersi bloccato, esattamente come il suo cuore, in questo momento, dopo aver letto quel nome scritto in grassetto e in capslock sulla chat.

Si pianta con lentezza un palmo sul volto, una falange alla volta che va a stringersi tempie e zigomi: un tentativo di svitare brutalmente la testa dal suo supporto naturale e, collateralmente, rendere inerte quella maledetta boccaccia che si ritrova. Non che abbia dato ad Harley chissà quali direttive specifiche, ma non pensava che una descrizione vaga come “un ragazzo smilzo e con la faccia da scemo che non la smette un secondo di parlare” avrebbe inevitabilmente portato quel tornado tra i goffi piedi di Peter. Con un piccolo respiro trattenuto, spera che non abbia riportato al ragnetto quelle esatte parole. Come se fosse quello, il problema, e non la fuga d’identità in atto al momento.

Lascia in sospeso la chat con Harley – suvvia,  a volte risponde dopo giorni, non se ne avrà a male proprio adesso, no? – e apre quella di Peter, stranamente silenziosa.

La promessa del giorno prima spicca ancora sull'ultimo messaggio – per fortuna non spezzettato ai minimi termini come fa Harley:

«Per il tirocinio non saprei… le scrivo dopo scuola così le posso inviare gli orari! :-)»

Tony conta tre secondi, tutto il tempo che è disposto a concedersi e a concedergli, poi prende a digitare, pestando i pollici:

«Ragazzo, com'è andata a scuola?»

Lo invia prima di meditare troppo su quella formulazione decisamente atipica per lui, e si appoggia al piano cottura tamburellandovi una marcetta con le dita, in attesa.

Sulla chat compaiono i famosi tre puntini che gli comunicano che Peter sta scrivendo. Quasi sospira di sollievo. È certo che, come Harley, lo inonderà di una serie di messaggi, inviati a mo' di mitraglietta, dove gli comunicherà che a scuola è andata benissimo, che ha già fatto faville ai test di idoneità del primo giorno, e che ha gli orari che gli aveva chiesto, immortalati in una fotografia pronta per essere spedita. E invece no. Invece no.

«Tutto bene, grazie.» È tutto ciò che scrive Peter, in una laconica e fredda – fredda? No, sarebbe meglio dire gelida! – risposta.

Tony sente i ponti neurali che garantiscono il funzionamento del proprio cervello che collassano.

Fissa la risposta di Peter, poi fissa un messaggio di Harley apparso nella tendina delle notifiche – “È davvero simpatico, perché non ci hai mai presentati?” – perché, davvero? Certe domande dovrebbe farsele pure lui, ogni tanto – poi sente un deciso puzzo di bruciato che gli invade le narici e spegne rassegnato il fornello senza neanche girarsi a controllare i danni, di certo irreversibili. Su tutti i fronti.

Si preme un palmo contro la bocca con tanta forza che probabilmente si sta dislocando il pizzetto, poi lo scosta appena per far trapelare la propria voce, con una nota acuta a modularla:

«Tesoro?» chiama, storcendo appena il naso e tirando le labbra in un'ammissione di colpevolezza. «Mi sa che ho fatto casino...»

 

Fine capitolo I
 


 


Note autrici:
Salve a tutti! No, seriamente siete arrivati fin qui? Coraggiosi! Nah, in verità non avevamo dubbi! Sapete che cos'è questa storia? Un racconto a quattro mani! E sapete chi sono le autrici? No? Ve le presentiamo:

Miryel: 30enne (SIGH), contabile, celiaca. Ha praticamente pubblicato solo storie su questo fandom, e come protagonisti... Be', sempre e solo loro. Peter e Tony ♥ ha una predilezione per l'angst, ma non disdegna anche il fluff, eh! Ha molti acciacchi, siccome è vecchia.
4:02:06]:
_Lightning_: 23enne così confusa da colpirsi da sola, come lavoro a tempo pieno psicanalizza Tony e le sue turbe in varie e variopinte salse più o meno da quando ha messo piede nel fandom, rompendo l'anima a chi vi bazzica. Il suo condimento preferito rimane l'angst, al massimo fluff-angst che poi le sale la glicemia ed è un casino. Pepperoniana convinta, con qualche deriva recente dovuta alla vecchiaia, che tra tutte e due siamo un centro anziani.
 
ABOUT THIS PROJECT: Questa idea nasce in modo un po' bizzarro e improvvisato, ma soprattutto, de core , che qua mica stamo a pettina' le bambole. Il punto è che siamo vecchie, indi per cui nostalgiche, quindi l'ispirazione deriva da tutte quelle sit-com e cartoni anni '90/primi 2000 che passavano Disney Channel, Cartoon Network e simili. Il titolo è un ovvio calco di Zack&Cody al Grand Hotel (The Suite Life of Zack&Cody in inglese), e quello del capitolo riprende That's so Raven!
L'intento è quello di fare appunto una serie "a episodi" che prenda un po' spunto da show di questo genere.
Sperando che questo primo episodio abbia stuzzicato il vostro appetito, vi diamo appuntamento al prossimo capitolo. Esatto, non vi libererete così facilmente di noi *risata doppia satanica*
A presto,
Light e Miry

 

 
   
 
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