7
Castle
Castle la guardò scomparire dietro la porta e appoggiò il giornale, che non aveva mai iniziato a leggere, dove l'aveva trovato.
E così erano arrivati alla fine, pensò con un pizzico di autocompatimento. Sospirò.
Aveva sperato fino all'ultimo che Kate cambiasse idea. Anzi, non aveva mai davvero creduto che lei potesse davvero avere un'opinione tanto diversa.
Le aveva lasciato tempo e spazio in abbondanza, ma lo aveva fatto convinto che, a un certo punto, lei avrebbe accettato l'idea di un bambino. Il loro bambino. Non un bambino ipotetico e futuro. Uno già reale.
Invece, con sua sorpresa e rammarico, era andata fino in fondo, proprio come aveva sempre sostenuto che avrebbe fatto. Questo che cosa diceva di loro? Molto poco, se qualcuno glielo avesse chiesto.
Era così immerso nelle sue tristi riflessioni che non sentì la segretaria del medico chiamare il suo nome.
"Signor Castle?", ripeté la donna a voce più alta, guardando nella sua direzione. "Adesso può entrare nello studio".
Era così sorpreso di essere stato interpellato da trattenersi a stento dal risponderle che no, grazie, non doveva entrare, era lì solo in veste di accompagnatore. Ovvio, si disse, fermandosi in tempo. Siamo in uno studio ginecologico. È chiaro che la visita non riguarda me.
Non riusciva a capire il motivo di quella richiesta. Non erano quelli i patti stabiliti con Beckett. Lei sarebbe entrata da sola e lui era lì solo in veste di buffone di corte. Non che fosse esattamente questo il loro accordo verbale, ma gli era parso doveroso essere presente per tentare di diminuire la tensione che di certo l'avrebbe attanagliata. Era stato bravo, tutto considerato.
Il medico lo stava pazientemente aspettando alla porta. Era molto giovane e Castle represse l'istinto di chiedergli se il vero dottore fosse in procinto di raggiungerli.
"Buongiorno, signor Castle, piacere di conoscerla. Kate la sta aspettando nell'altra stanza", lo salutò amabile, mostrandogli la direzione con un gesto della mano.
Quale altra stanza? Si chiese Castle, mentre l'uomo lo faceva passare in locale più piccolo, dove scorse un lettino e Beckett distesa sopra a occhi chiusi.
Stava male? Aveva avuto un malore durante la visita? Era per questo che avevano richiesto il suo intervento?
"Va tutto bene?", volle sapere, un po' preoccupato.
"Lo vediamo subito. Kate ha voluto che anche lei assistesse all'ecografia".
Davvero? Abbassò lo sguardo sbalordito, ma lei si era voltata verso lo schermo, così non poté interpretare il significato di quel cambio di programma.
Deciso a fare il meglio che poteva, pur non comprendo ancora che cosa ci si aspettasse da lui, prese posto sull'unico sgabello presente, di dimensioni esigue e molto scomodo, alla sinistra del lettino. Se lo aveva voluto lì con lei, doveva avere le sue motivazioni.
Il medico accese il computer e passò la sonda sull'addome di Kate. Era molto tesa, riusciva a vederlo anche dalla sua posizione arretrata.
Comparvero le prime immagini confuse e, d'istinto, Kate allungò una mano all'indietro a cercare la sua, in una muta richiesta di aiuto che si affrettò a raccogliere. Gliela accarezzò piano.
Il medico, troppo gioviale per i suoi gusti – Kate non lo aveva messo al corrente che non sarebbe stato un momento felice? Doveva per forza far trapelare tutto il suo entusiasmo? - mosse lentamente la sonda in senso orario. "Controlliamo se questo bambino si fa vedere. Forse è ancora un po' presto, ma... no, eccolo qui", annunciò trionfante, voltando lo schermo nella loro direzione. "Riuscite a vederlo?", chiese allegro.
Loro si sporsero in avanti, finsero di guardare attentamente, gli sorrisero con molta cortesia e infine risposero, all'unisono: "No".
Si lanciarono un fuggevole sguardo d'intesa.
"Non preoccupatevi, la prossima volta sarà più grande e quindi più facile anche per voi individuarlo", cercò di confortarli il medico. La prossima volta? Era uno scherzo di cattivo gusto?
" È quella zona tutta nera?", chiese Beckett con una voce che Castle non riconobbe.
"No", rispose il medico pazientemente. "La parte nera è proprio dove non è il bambino".
"Oh", commentò Kate, delusa. Le strinse la mano in segno di comprensione. Nemmeno lui era ferrato in materia.
"In ogni caso direi che va tutto bene e mi sembra in linea con le settimane di gestazione. Adesso vediamo se riusciamo a sentire il cuore", proseguì, gettando l'intera stanza nel panico, anche se non parve accorgersene.
"Si sente... già?", gli domandò Beckett in apprensione.
"Potrebbe, ma se anche non succede non significa niente di brutto", la tranquillizzò. Castle chiuse gli occhi. Era maledettamente difficile. Non era sicuro che avrebbe retto fino alla fine. Perché gli stava facendo questo? Perché aveva specificatamente voluto sottoporlo a una prova del genere?
Di colpo, senza preavviso, nella stanza risuonò un battito molto forte e accelerato, che, a ogni colpo, sembrava rivendicare la propria autonoma, formidabile esistenza.
Kate sbarrò gli occhi e strinse convulsamente la mano di Castle. Le si riempirono gli occhi di lacrime che non tentò di trattenere. A Castle parve che fosse il suo, di cuore, a scomparire per sempre. Non avrebbe mai dimenticato quel suono. Come avrebbero fatto ad andare avanti, dopo?
Fece dei respiri profondi per mascherare la sua emozione, evitando accuratamente di incontrare il suo sguardo o si sarebbe messo in ginocchio a implorarla di fare cose che lei non voleva e che lui non poteva chiederle.
L'ecografia si concluse. Fortunatamente.
Vennero fatte accomodare sulle poltroncine davanti alla scrivania nella stanza più ampia. Il medico sorrise, convinto di trovarsi davanti due futuri genitori orgogliosi.
"Qui ci sono le analisi che dovrà fare al più presto, la prescrizione per le vitamine e l'acido folico che avrebbe già dovuto assumere e che quindi deve iniziare subito. Cerchi di riposare, attività fisica moderata, vita normale, insomma. Ci vediamo tra un mese. Per ogni problema o dubbio, non esiti a chiamarmi. Avete qualche domanda?"
Sì, lui avrebbe avuto delle domande. Molte. Che cosa significava tra un mese? Loro non avevano un mese. Non avevano nemmeno un'altra settimana. Stava per dire qualcosa, ma Kate lo trattenne, posandogli una mano sulla gamba.
Castle non riusciva a capire che cosa stesse succedendo. Perché nessuno aveva parlato di aborto? Perché avevano finto che il bambino sarebbe nato? Era uno scherzo? Se sì, non era divertente. Era mostruoso.
In un attimo furono di nuovo in strada. Era disorientato e un po' arrabbiato. Ma, più di tutto, era indicibilmente triste.
Beckett
Non aveva nessuna voglia di tornare già a casa, sentendosi ancora molto turbata dopo quella prima visita. In silenzio gli indicò l'entrata dei giardini vicino al suo appartamento, in attesa di un suo cenno di conferma. Castle era ancora insolitamente taciturno, camminava vicino a lei con le mani in tasca e lo sguardo fisso a terra, ma le pareva piuttosto cupo e assente.
Si avvicinarono alle altalene di comune accordo, senza averlo deciso. In mezzo a quel silenzio raggelante, lei iniziò a dondolarsi, proprio come quando era piccola. Mosse le gambe avanti e indietro ritmicamente, si diede un'ultima spinta vigorosa, prese velocità e di colpo fu in aria, volteggiando sempre più in alto, sentendosi libera per la prima volta da molto tempo. Felice. E più lasciava spazio a quelle emozioni rinvigorenti e più si sentiva piena di forza e aumentava la spinta delle gambe per volare sempre più su.
Qualcosa dovette riscuoterlo dal torpore, inducendolo a smettere di fissare un punto vago all'orizzonte per concentrarsi su di lei.
"Fermati!", le gridò quando gli sfrecciò vicino. "Beckett, basta, fermati, è pericoloso". Lei rise, convinta che stesse scherzando, ma quando lo vide farsi paonazzo si rese conto che era preoccupato sul serio. Allungò le gambe e frenò, strisciando con i piedi a terra.
"Sei impazzita?", le domandò agitato.
"Qual è il problema?". Perché se la prendeva tanto?
"Potresti cadere e farti male", le spiegò, sforzandosi di stare calmo.
Lei si mise a ridacchiare. Apprezzava la premura, ma stava esagerando.
"Chi vuoi che cada dalle altalene? Sono sicure".
"Sono sicure per dei bambini. Non per degli adulti che pesano il triplo".
Gli lanciò un'occhiata divertita.
"È perché sei caduto da piccolo e non hai ancora superato il trauma?"
"Molto divertente. Ridi pure, intanto io ti ho salvato la vita", le rispose con tono sostenuto.
"Quando ero piccola io e miei cugini trascorrevamo molte ore sulle altalene, in estate. Giravamo su noi stessi seduti sul seggiolino incrociando più volte le catene a cui erano appese, per poi lasciarci andare di colpo. Oppure dondolavamo a pancia in sotto e intanto ci confidavamo i nostri segreti. Non ti dico la nausea. Ah, e facevamo a gara a chi si spingeva più in alto per poi saltare a terra al volo, con buona pace delle nostre gambe". Era la prima volta che si apriva così tanto con lui, con qualcuno in generale, anche se probabilmente tutto quello che stava ottenendo era di terrorizzarlo con le sue passate avventure.
Non ricevendo nessuna reazione e ligia alla promessa che gli aveva fatto di starsene ferma, si mise a guardare oziosamente le persone che popolavano il parchetto a quell'ora della sera.
Proprietari di cani che lanciavano palline, ragazze che ridevano tra loro, giovani uomini in giacca e cravatta che tornavano dal lavoro, gente che correva, che parlava al telefono, che faceva programmi. Anche Castle era assorto a osservare con attenzione qualcosa e lei, seguendo il suo sguardo, vide che stava contemplando un bambino che giocava da solo nel recinto sabbioso.
Inspirò profondamente. Era arrivato il momento.
"Il dottore sostiene che il bambino nascerà in primavera", gli comunicò con la voce un po' tremante. Lui non sembrò accorgersi del suo turbamento. Né di tutto quello che implicava.
Si girò verso di lei con aria assente. "È una bella stagione. Anche io compio gli anni in primavera", convenne. E tornò a voltarsi. Lei si era aspettata fuochi d'artificio e altre manifestazioni di isteria collettiva, ma Castle era impenetrabile ai suoi tentativi di metterlo al corrente delle novità.
"No, intendeva proprio il giorno di inizio della primavera, l'equinozio", insistette.
"Sai che non è fisso, vero? Cambia ogni anno".
Lei lo guardò esterrefatta. Era ubriaco o solo, semplicemente, molto ottuso? Strano, di solito era più perspicace.
"Castle!", sbottò spazientita. "Concentrati!"
Ebbe finalmente la sua attenzione, ma niente si smosse tra i suoi neuroni temporaneamente dormienti.
"Quale parte di 'Il bambino nasce il 21 marzo' non ti è chiara?".
Finalmente la nebbia parve diradarsi. Lui spalancò gli occhi, muovendosi al rallentatore. Abbandonò l'altalena e si alzò in piedi. Aprì e chiuse la bocca, senza riuscire a emettere un suono. Più tardi gli avrebbe descritto la scena e avrebbero riso insieme.
"Ma... come è possibile? Di quale bambino stiamo parlando? Non sei andata dal medico per fissare la data dell'aborto? Che ne hai fatto della vera Beckett?", farfugliò in modo incoerente.
"Una domanda per volta", lo prese in giro, senza riuscire a contenere il sorriso che aveva represso dall'uscita dello studio, per fargli una sorpresa.
Vedendolo avvicinarsi con fare sospetto, lo fermò con una mano, allarmata.
"Castle se hai intenzione di sollevarmi e farmi ruotare come fai sempre quando sei in preda all'entusiasmo, ti avverto che io e tuo figlio ti vomiteremo in testa".
Non era una minaccia infondata, Castle dovette rendersi conto del rischio reale, perché si limitò a prenderla tra le braccia e stringerla forte, quasi soffocandola. Gli ormoni molesti che avevano preso possesso del suo corpo in maniera permanente cominciavano già a insinuarsi nel suo equilibrio mentale, spingendola a piangere senza ritegno. Doveva fermarsi. Ma le era impossibile. Era raggiante, euforica e vederlo tanto entusiasta era più di quello che fosse in grado di sopportare mantenendo un contegno adeguato. Gli singhiozzò sulla spalla, ma con discrezione.
"Quando hai cambiato idea?", le chiese dolcemente, senza smettere di tenerla contro di sé. Non ce la faceva. Castle era così felice che lei avrebbe solo voluto scivolare in un angolo e piangere tutte le sue lacrime. Più lo guardava e più si commuoveva. Lei per prima si stava chiedendo dove fosse finita la vecchia Beckett.
Abbassò gli occhi, improvvisamente timida. Gli doveva una risposta.
"È che... ", inghiottì le lacrime. "Batteva il cuore. Quando l'ho sentito ho capito...", gli confessò con un po' di imbarazzo.
La baciò sulle labbra. "Nemmeno io dimenticherò mai quel suono", ammise lui. Le fece tenerezza. Chissà che cosa doveva aver provato in quei momenti, convinto che presto lei avrebbe messo in atto una decisione definitiva.
"Andrà tutto bene", aggiunse tenendola stretta. Glielo aveva sempre detto, ma questa volta lei gli credette.
"Che cosa dirà la gente? Alexis, tua madre, mio padre?", gemette. Sarebbe presto diventato tutto reale.
"E il ragazzo che ci consegna le pizze? Non pensi a come gli spezzeremo il cuore? Ha sempre avuto un debole per te. E il sindaco? È anche un po' merito suo. Non credi sia il caso di fare una conferenza stampa? A Obama non vogliamo dire niente?". Era tornato il vecchio Castle in una versione potenziata di milioni di volte, sarebbe stato difficile tenerlo a freno.
"È una cosa seria! Non possiamo presentarci dal nulla e informarli che avremo un bambino". Lo aveva detto ad alta voce. Avrebbero avuto un bambino.
"Certo che è una cosa seria! Avrei citato Obama, altrimenti? Kate...", proseguì cambiando atteggiamento prima che lo colpisse con la borsetta. "C'è tutto il tempo che vogliamo".
"Quindi... possiamo aspettare a dirlo agli altri? Possiamo tenerlo per noi ancora per un po'? È che... è ancora presto. Non sono ancora passate le prime settimane, quelle più pericolose". Come erano cambiate le sue priorità. Fino a poco prima aveva temuto lo scorrere del tempo che le avrebbe precluso alcune scelte e adesso non vedeva l'ora di superare il primo trimestre.
"Per me va bene. Sarà bello condividere il segreto tra noi. E per noi intendo io, te e Lanie. In ogni caso mia madre e Alexis sono in Europa. Non si può certo informare qualcuno che avrà un fratello o una sorella per telefono", convenne Castle.
"Un fratello", dichiarò decisa.
"O una sorella", ripeté lui.
"No, è un maschio".
"Come fai a saperlo?", chiese sorridendo, convinto che si stesse prendendo gioco di lui. Non era così. Ne era certa, anche se non avrebbe saputo spiegarne il motivo.
"Lo so e basta. Sono cose che si sentono, non lo dici sempre anche tu?", lo sfidò.
"Quindi adesso tu e il bambino vi siete messi a comunicare? Ti dà anche i numeri della lotteria? Potrebbe essere utile, tienimi aggiornato".
"Castle, perché devi essere tanto superficiale?". Fece per andarsene.
"Hai ragione, scusa. Scusami. È che è strano sentirti dire certe cose. Di che altro avete..." fece gesto vago con la mano. "Parlato?".
"Mi ha chiesto se non ci fosse in giro un candidato migliore come padre. Gli ho risposto di perdonarmi per la scelta, ma non avevo saputo resistere al tuo fascino virile", tentò di fuggire lontano sganciando l'ultima parola, ma lui fu più svelto, la raggiunse e la afferrò sollevandola in aria. "Mettimi giù! Castle! Stai dando spettacolo! E ti ho già detto che il mio stomaco non approva certi movimenti", gli intimò, lasciandosi sfuggire un grido.
Riuscirono a calmarsi solo molto tempo dopo. Probabilmente avevano dato spettacolo. Qualcuno in effetti li aveva guardati con curiosità, ma a loro non era importato.
"Ci sono delle condizioni, però. Insindacabili", gli annunciò compita, quando tornarono a poter comunicare in modo civile, come due adulti.
"Tutte le condizioni che vuoi", accettò precipitosamente in preda all'ansia. Quanto male gli aveva fatto? Sarebbe stato recuperabile? Lo aveva ferito in modo indelebile?
"Punto primo", snocciolò alzando un dito. "Non lo chiameremo fagiolino, lenticchia o qualsiasi altro prodotto della terra".
"Ok", annuì. "Niente ortaggi, sono d'accordo. Vai avanti".
"E io non mi trasformerò in un elefante", proseguì decisa.
"Certo che no", convenne lui, bisognoso di compiacerla.
"Ma se lo diventassi...", continuò, come se non l'avesse sentito. "Tu mi aiuterai ad alzarmi dal divano ogni volta che ne avrò bisogno e non mi lascerai mai, in nessun momento e circostanza, a dibattermi come una tartaruga rovesciata sulla schiena".
Lui si mise una mano sul cuore. "Mai. Te lo prometto. Anche se tecnicamente le tartarughe non hanno il guscio davanti", iniziò a spiegare.
"Castle!".
"Ok, niente balena spiaggiata". Che bella immagine. Preferiva l'elefante. E poi come si permetteva? Un po' di rispetto per una futura madre. Madre. Lo stomaco sfarfallò.
"Poi...", continuò, tornando a concentrarsi.
"Beckett, dovevi avvertirmi che l'elenco era così lungo, avrei preso appunti. Si sta facendo buio".
Gli intimò di fare silenzio con una delle sue occhiate.
"Ho quasi finito. Non farò il corso pre-parto, non mi toccherai continuamente la pancia e, soprattutto, non ci sposeremo".
"Perché non possiamo sposarci?", si stupì lui.
"Castle, tu sposi tutti!", gli fece notare con poca diplomazia.
"Sfortunatamente, non hai tutti i torti. Va bene, vivremo nel peccato, se così desideri", accettò. "C'è altro?"
Lei fece un sospiro, improvvisamente stanca per tutte le emozioni di quel pomeriggio, delle ultime settimane. Era esausta. Appoggiò la testa sul suo petto.
"Andrà tutto bene, vero?" chiese con una vocina minuscola che non si era mai permessa di far udire a nessuno.
"Sarà tutto grandioso. Noi saremo grandiosi. E lo sarà anche il nostro futuro erede maschio", la rassicurò, passandole una mano tra i capelli.
"Diventerò enorme", si lagnò, abbandonata contro di lui.
"Diventerai bellissima", le sussurrò emozionato, stringendola.