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Autore: evil 65    25/01/2020    13 recensioni
( Sequel di So Wrong )
Quando vengono assegnati ad una missione congiunta, Peter Parker e Carol Danvers si ritrovano costretti a ad affrontare sentimenti che credevano ormai soppressi da tempo.
A peggiorare ulteriormente la situazione già molto tesa, i problemi per la coppia di Avengers sembrano appena cominciati. Perché ad Harpswell, cittadina natale della stessa Carol, cominciano ad avvenire numerose sparizioni che coinvolgono bambini…
( Crossover Avengers x IT's Stephen King )
Genere: Fantasy, Horror, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Carol Danvers/Captain Marvel, Peter Parker/Spider-Man
Note: AU, Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Avengers Assemble'
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Ecco un nuovissimo capitolo, in cui farà la sua comparsa l'ottavo antagonista di questa storia. 
Vi auguro una buona lettura!




Vengo in pace

La notte era tranquilla come uno specchio d’acqua.
Poi, d’un tratto, tutti i cani che abitavano nello stato del Nevada cominciarono ad abbaiare, seguiti rapidamente dal miagolio impazzito dei gatti e dal gracidare delle rane. Gli uccelli, invece, volarono in preda al panico tra gli alberi, volteggiando nel cielo nero come locuste.  
Un disturbo statico attraversò le radio della contea e anche i televisori più nuovi si incendiarono, con il volume sparato a mille.
La gente riunita attorno ad essi fece un balzo all’indietro per l’improvviso boato e le fiammate, abbagliata nei propri soggiorni, nei bar o sui marciapiedi di fronte alle vetrine dei negozi di elettrodomestici dell’intera regione.
Per coloro che in quella notte d’Ottobre si trovavano all’aperto, il fenomeno fu visivamente spettacolare.
Una sottile scia luminosa sfrecciò attraverso lo strato superiore dell’atmosfera terreste, facendosi più intensa mano a mano che si avvicinava al suolo.
Poi cominciò a espandersi, sempre più brillante, come una meteora verde smeraldo.
A un certo punto parve fermarsi, per poi precipitare in centinaia di scintille che lentamente si smorzarono nella notte stellata.
Alcuni testimoni – per lo più contadini - dissero che per un attimo sembrò rimanere sospesa nell’aria, quindi schizzò verso est, sempre più fioca mentre si allontanava.
Il giorno dopo, i giornali della contea si riempirono di storie su UFO e missili provenienti dalla Russia o dall’Iraq. Le classiche bufale che accompagnavano questo tipo di eventi.
Quelli che chiamarono gli uffici meteorologici si sentirono rispondere che probabilmente si era trattato del residuo di qualche meteorite, forse una pioggia improvvisa di stelle cadenti.
Ma nelle pianure del Nevada qualcuno sapeva che le cose erano andate diversamente, anche se non poteva riferirlo a nessuno.

                                                                                                                                                                * * * 

Altrove 

La creatura senza nome cacciava nella semioscurità delle fogne.
La fame le stava addosso, non sembrava mai placarsi del tutto. Ecco perché lei continuava a cacciare, a nutrirsi…a dispensare morte.
Ricordava vagamente un tempo – ma parliamo di miliardi di anni fa - e un luogo in cui era stato diverso. Era stato qualcosa d’altro, qualcosa di più gentile. Ma quei giorni erano ormai finiti. Ora c’era solo la fame, la rabbia e la malizia con la quale perseguiva i suoi diabolici propositi.
Quel giorno aveva scelto la forma di un grosso alligatore per muoversi più agilmente tra i condotti fognari. Non era un corpo che usava spesso, di solito preferiva forme più simili a quelle delle sue prede. Quella del clown era la sua preferita, ci era particolarmente affezionato.
Ricordava ancora un lontano pomeriggio degli anni 20, quando aveva visto per la prima volta Robert “ Bob” Gray con il suo buffo vestito argentato e la faccia dipinta, circondato da decine di bambini sognanti. Bambini pieni di immaginazione…e paure nascoste, facili da imitare e sfruttare. Gustose bellissime paure.
La creatura si mise a scrutare l’area circostante, attirata da una fragranza improvvisa e…sconosciuta.
Sbattè le palpebre da rettile, visibilmente confuso. Era successo qualcosa di nuovo, per la prima volta da molti secoli.
 In quell’oscurità, e soprattutto nell’acqua inquinata soffocata dalle macerie, i suoi occhi servivano a poco. Erano più importanti i gusti e gli odori, le piccole particelle che lo informavano dei pasti da scovare pazientemente. E quell’odore, quella bizzarra fragranza che aveva appena invaso le sue narici, era qualcosa che non aveva mai sentito prima.
Era quasi come il profumo del sole stesso, qualcosa che solo una creatura come lui sarebbe stato in grado di percepire e comprendere. Ma non era proprio la stessa cosa, era mischiato al dolce aroma della carne umana…e qualcos’altro. Qualcosa di non umano, di alieno.
Qualcuno era entrato senza permesso nel suo territorio di caccia. Forse una minaccia, o forse no, ma doveva esserne sicuro. Nella sua lunga vita aveva imparato ad analizzare ogni variabile con calma ed efficienza.
Si immerse. L’acqua sudicia s’infranse intorno al suo muso largo e piatto, mentre la corrente gli scorreva ai lati delle narici sollevate. Di tanto in tanto le membrane trasparenti scivolavano giù a coprire gli occhi sporgenti, poi si sollevavano di nuovo.
Le narici gli diedero le prime avvisaglie del banchetto in arrivo, il riso inconfondibile di un bambino che zampettava proprio sopra di lui.
Anche se di solito preferiva dormire, sapeva che doveva dirigersi verso il cibo.
Vide profilarsi la bocca di un altro tunnel.  Nel canale c’era appena lo spazio sufficiente per voltarsi ed entrare nel nuovo condotto, persino per un corpo flessibile come il suo. Poteva ancora fiutare la preda che l’aspettava da qualche parte, sola e senza la protezione degli adulti.
Più vicino. Molto vicino. Già pregustava il dolce sapore della carne, del sangue e della paura mischiati assieme come un unico e prelibato coctail.
Si sarebbe avventato su quella preda ignara in un attimo. A parte quelli senza vie di fuga, nessun pasto aveva mai tentato di difendersi. Correvano e basta.
La maggior parte tentavano di fuggire lontano da lui, ma non per molto. Perché lui era Harspwell, e quella cittadina era il suo mattatoio personale.
Gli era permesso. Quello era il suo territorio. La sua casa vacanze, lontano dall’infinità del vuoto cosmico.
La grande mascella si aprì ed emise un ruggito che riecheggiò per molti secondi attraverso il labirinto apparentemente infinito di tunnel e condotti, canali e corridoi.
 Quando l’eco alla fine si spense e il predatore puntò verso la sua prossima vittima. Era tempo di nutrirsi ancora una volta, e poi…avrebbe indagato su quel misterioso disturbo.
 
                                                                                                                                                          * * * 
                                                               
La storia di Carol, come quasi tutte le storie degne di nota, comincia con una famiglia. Quando era piccola, pensava che la sua fosse perfetta.  Specie quando lasciarono Boston per il Maine, in modo che il padre potesse aiutare suo zio Richie con i banchi di aragoste che raggiungevano le coste americane.
Harpswell era magica, almeno per lei e i suoi fratelli, Steve e Joe Junior.
Nel Maine le regole erano diverse rispetto a Boston. In poco tempo quei tre bambini erano diventati dei veri teppisti.
Non che a loro importasse,  troppo impegnati com’erano a tuffarsi dal molo, a togliere le aragoste dalle trappole, ad arricchire il loro vocabolario cittadino con qualche bella imprecazione o a riempirsi la bocca delle ciambelle di Sugar’s Lee e di gelati confezionati.
Sì, Carol ricordava tutto. Ma soprattutto…ricordava che non voleva ricordare.
Cercando di tenere a freno quelle memorie spiacevoli, strinse le mani sul volante della macchina e tenne gli occhi sulla strada, proprio mentre il veicolo superava il cartello delimitante il confine di Harpswell.
La cittadina non era cambiata molto dall’ultima volta che l’aveva visitata : una piccola accozzaglia di case e villette provinciali, tipiche del Maine, qualche grosso Megastore, monumenti storici occasionali – quasi tutti riguardanti la pesca – e una piazza centrale che fungeva anche da parco di ritrovo per le famiglie del posto.
Lanciò un’occhiata laterale e vide che Peter si era addormentato durante il viaggio.
Rilasciò un sospiro. In circostanze diverse le sarebbero bastati pochi minuti per raggiungere questo posto, ma la presenza del ragazzo in incognito aveva reso necessario l’uso di uno dei molti veicoli a disposizione della squadra, in questo caso una Chevrolet Caamaro rosso fuoco targata 2010.
Non che alla donna dispiacesse più di tanto, le erano sempre piaciute le macchine sportive. Il problema era che Harspwell distava quasi due giorni di macchina da New York, e Carol non era più abituata a viaggi così lunghi senza l’uso delle proprie capacità speciali. Erano quasi claustrofobici.
Una volta trovato un parcheggio, spinse delicatamente la spalla di Peter e questi si svegliò all’istante.
<< Siamo arrivati? >> borbottò con un gemito, suscitando un roteare degli occhi ad opera della supereroina.
“ Sono io quella che dovrebbe lamentarsi” pensò infastidita.
Lo aiutò a tirar fuori i bagagli e cominciò a guardarsi attorno, nel tentativo di ricordare la strada più veloce per raggiungere la loro prossima destinazione.
Dopo una rapida scansione dell’area, i suoi occhi si posarono sull’emporio di fronte a cui aveva parcheggiato. Era un negozio di ciambelle, sulla cui vetrina era scritto a caratteri cubitali : SUGAR’S LEE, LA CIAMBELLA UFFICIALE DI CAPITAN MARVEL.
Carol guardò l’insegna con occhio critico. << Ufficiale? Non sapevo che l’avessimo resa ufficiale >>
<< Che c’è? Preferisci Dunkstah, adesso? >> disse una voce alle spalle della coppia, spingendoli a voltarsi.
Dietro di loro aveva appena preso posto la figura di un uomo anziano alto quasi un metro e novanta, probabilmente sulla sessantina, con corti capelli bianchi raccolti in una pettinatura a caschetto e gli occhi dai lineamenti vagamente orientali.
<< Meglio tenerlo per te, Danvers. Non vorrai mica che si sappia in giro che ci tradisci >> disse lo sconosciuto, con un occhiolino malizioso.
Carol inarcò un sopracciglio.
<< Tu non sei la signora Lee. È lei la proprietaria di Sugar’s >>
<< Beh, sono Louis Lee >> rivelò l’anziano, tirando fuori un mazzo di chiavi e procedendo ad aprire la porta del negozio.
Gli occhi della donna si dilatarono come piatti.
<< Il piccolo Louis? >> domandò incredula, ricevendo in cambio un sorriso malizioso.
<< Non mi chiamano più così da quando ho superato il metro e novanta. Cosa ti porta da queste parti, Carol? >> chiese allungando la mano destra in segno di saluto.
La bionda restituì il gesto e sorrise a sua volta.
<< Ragioni >> rispose con una scrollata di spalle poco impegnativa. << Dicono che non si può tornare a casa. Ma sinceramente? Da come mi funziona la testa, a volte mi sembra di non essere mai partita >>
<< La cosa non mi sorprende >> ridacchiò l’uomo, per posare gli occhi su Peter. << E tu? Come conosci il nostro intrepido capitano? >>
<< Piacere, mi chiamo Peter Parker >> disse rapidamente il ragazzo. << Lavoro come…uhm, stagista per i Vendicatori >>
<< Un lavoro per cui molti ucciderebbero >> commentò Louis, fissando il vigilante con sospetto.
Questi si trattenne dal sudare, consapevole di quanto la sua storia di copertura suonasse debole. Ma era il meglio a cui lui e Carol erano riusciti a pensare durante il viaggio! Non che le alternative scelte da Rhodey fossero migliori.
Pensò velocemente ad un modo per cambiare argomento.
<< Aspetta, Louis Lee…il tipo dell’albero? >> chiese all’improvviso, ricordando che Carol aveva citato un bambino con quel nome durante la loro prima conversazione al cimitero.
L’uomo di fronte a loro rilasciò un sospiro quasi rassegnato, prima di lanciare alla donna un’occhiata visibilmente irritata.
<< Devi proprio raccontare quella storia ad ogni anima che incontri? >> borbottò stizzito.
In tutta risposta, Carol si limitò a porgergli un sorriso imbarazzato.
Poi, dopo aver salutato Louis con un abbraccio spacca ossa, cominciò a condurre Peter verso quella che sarebbe stata la loro residenza durante l’intero svolgersi della missione.
 
                                                                                                                                                               * * *  

Marie Danvers e suo figlio Joe Junior vivevano lungo il confine della cittadina, appena un isolato dietro al negozio dei Lee. Il tragitto era breve, ma Carol avrebbe comunque avuto il tempo di riflettere sulle poche opzioni che le erano rimaste.
Il sole stava tramontando, la speranza di un po’ di sollievo dal caldo opprimente. Tuttavia, la caligine nell’aria sarebbe durata per giorni.
Dopo un paio di minuti, arrivarono di fronte all’abitazione.
Nonostante fosse alta due piani, la casa dei Danvers era di dimensioni modeste e sorgeva in mezzo a un grande giardino recintato che la nascondeva dalla strada.
Una volta arrivati, Peter e Carol intravidero una donna che li aspettava di fronte all’uscio dell’abitazione.
Il vigilante strabuzzò gli occhi per la sorpresa. Durante il viaggio in macchina si era disegnato mentalmente un ritratto ben specifico della madre di Carol Danvers. Ma quella donna…non sembrava affatto una persona di ottant’anni.
Aveva le stesse caratteristiche facciali di Carol, incorniciate da lunghi capelli argentati che le cadevano sulle spalle, adornati da occasionali striature dorate e lucenti. Gli occhi erano di un blu elettrico, molto diversi da quelli della supereroina.
Nonostante la sua età avanzata, era ancora in carne, con una figura atletica e dai lineamenti risoluti. In poche parole, sembrava che non avesse più di sessant’anni, forse anche meno.
Carol sorrise timidamente e si fermò di fronte a lei. << Ciao, mamma. Sono a ca…off! >>
Prima che potesse terminare il saluto, la donna si era lanciata contro di lei e l’aveva stretta in un caldo abbraccio.
<< Perché non mi hai avvertita? >> borbottò, mentre affondava il viso nei capelli dell’Avenger. << È stato Louis a dirmi che eri in città >>
<< Avevo scordato quanto vanno veloci le notizie qui >> sospirò Carol, mentre la madre si staccava e la scrutava con occhi affettuosi.
<< E io quanto tu vai veloce >> disse dopo qualche attimo di silenzio, posando una mano sulla guancia della figlia.
Poi, gli occhi della donna si posarono su Peter. Il ragazzo era rimasto in silenzio durante lo svolgersi dell’intera scena, sentendosi quasi un intruso in mezzo a quel momento così intimo.
<< Allora, non mi presenti al tuo amico? >> chiese Marie, volgendo un sorriso malizioso in direzione di Carol.
La bionda arrossì appena e si girò verso il compagno di squadra, facendogli segno di farsi avanti. Il vigilante arrossì a sua volta.
<< Peter Parker, signora >> si presentò rapidamente, porgendo la mano destra in segno di saluto. << Lavoro con sua figlia come stagista >>
<< Non chiamarmi signora, ti sembro una signora?>> ribattè freddamente Marie, stringendo ambe le palpebre degli occhi.
Peter lasciò cadere la mano, deglutendo a causa di un improvviso senso di terrore.
<< Io…ehm…uh… >>
<< Ti sto solo prendendo in giro >> lo rassicurò la donna, lanciandosi in avanti e abbracciando il ragazzo con un sorriso malizioso. Il tutto sotto lo sguardo di una Carol molto divertita.
Il vigilante arrossì ancora più intensamente e restituì goffamente il gesto.
Una volta separatisi, Marie si fece da parte e indicò la casa alle sue spalle.
<< Coraggio, entrate >> offrì gentilmente. E così fecero.
Carol diede subito una rapida occhiata agli interni dell’abitazione.
<< La casa è fantastica, mamma >> disse con gioia evidente. Era esattamente come se la ricordava, sembrava quasi che non fosse invecchiata di un giorno. Un conglomerato modesto ma accogliente, pieno di antiquariato e oggetti da pesca sparsi sui muri e sui mobili.
Marie sorrise mestamente. << L’abbiamo ristrutturata nel corso degli anni. Ma sì, abbiamo cercato di non cambiare troppe cose.>>
Mentre li conduceva in salotto, un odore familiare attirò l’attenzione della supereroina.
Facendo mente locale del Layout dell’abitazione, puntò lo sguardo in direzione di quella che doveva essere la cucina. Attraverso la porta semi aperta, intravide qualcosa che le fece venire istantaneamente l’acquolina in bocca.
<< Quella è…>>
<< Torta di pesche e mirtilli, con zucchero di canna…proprio come piace a te >> terminò Marie per lei, dopo aver seguito lo sguardo della figlia.
Carol si voltò verso di lei, gli occhi illuminati per l’eccitazione. L’espressione della bionda, tuttavia, passò da allegra a imbarazzata quando si rese conto che Peter la stava fissando con un sorriso molto divertito. Dio, si stava comportando come una bambina.
<< Ma una cosa alla volta >> continuò la madre, attirando l’attenzione di entrambi. << Peter, ti mostrerò la camera degli ospiti. Carol, Joe è in cortile, ti conviene andarlo a salutare >>.
 
                                                                                                                                                * * * 
 
Carol trovò Joe Junior nel campo da palla canestro che suo zio Richie aveva realizzato per loro a metà degli anni 80.
Il suo fratellino non era cambiato molto dall’ultima volta in cui Carol l’aveva visto. Al contrario della madre, il tempo non si era affatto risparmiato con lui. Non che avesse un brutto aspetto, sia chiaro.
Anche a cinquant’anni, l’uomo era riuscito a mantenere una corporatura atletica e muscolosa che non aveva nulla da invidiare ad attori famosi della stessa età, come Daniel Craig. Il paragone le sembrava appropriato, perché proprio come il divo in questione JJ aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri della madre. Solo lei e Steve avevano ereditato quelli del padre, un fatto che la riempiva di disgusto ogni volta.
<< Ciao, JJ >> salutò con un sorriso affettuoso, attirando l’attenzione del fratello.
Questi si voltò, il viso adornato da un’espressione impassibile.
<< Sono solo Joe, ora >> disse freddamente. Il sorriso di Carol si allentò appena, ma la donna riuscì a mantenerlo.
<< Il Junior l’hai perso per strada? >> domandò con un sorriso di presa in giro.
L’uomo non la degnò di una risposta.
<< Bene, ora vola è fa pure battute. Quando si degna di farsi vedere >> borbottò, per poi lanciare il pallone da basket che teneva tra le mani, centrando perfettamente il canestro presente sul lato opposto del campo.
Carol lo intercettò prima che potesse raccoglierlo.
<< Vuoi sfidarmi? Scommetto che riesco ancora a stracciarti >> disse con un ghigno impertinente.
JJ si limitò a fissarla per quello che sembrò un tempo interminabile, prima di ghignare a sua volta.
<< Ci sto >>
E, detto questo, si fece da parte per permetterle di tirare.
L’Avenger prese un respiro profondo e fissò intensamente il canestro. Poi, lanciò il pallone e guardò con soddisfazione mentre l’oggetto centrava in pieno il bersaglio. Bene, non aveva perso il suo tocco.
<< Bel tiro, eh? >>
<< Non così tosto, fagiolina >> rispose il fratello, con una scrollata di spalle.
Carol inarcò un sopracciglio e incrociò ambe le braccia davanti al petto. << Oh, se lo vuoi più tosto ti accontento >>
<< Chiunque sa fare canestro, da queste parti >> ribattè JJ, per poi puntare qualcosa oltre il confine del campo. <<  Ma se vuoi giocare con i grandi devi superare la rete…e centrare il bidone >>
Poi, afferrò la palla e tirò dritto in quel punto, centrando perfettamente il contenitore argentato dal diametro non più largo del canestro stesso.
<< Solo fortuna >> sbuffò Carol, ricevendo un’occhiata divertita ad opera del fratello.
<< Solo talento. Prova tu, fagiolina >> la incitò con tono beffardo.
La donna strinse gli occhi per la sfida e recuperò la palla. Si girò verso il bidone e aguzzò la vista, tendendo i muscoli e focalizzando il bersaglio con attenzione quasi metodica.
Lanciò la palla…e lo mancò.
Trattenne un ringhio, mentre poteva sentire il ghigno divertito che andò a formarsi sul volto di JJ.
<< Quella Capitan Marvel è un grande eroe a New York. Ma qui? È eliminata  >> disse questi, dandole una rapida pacca sulla spalla.
Carol si voltò verso di lui con il fuoco negli occhi. << Avanti, voglio la rivincita>>
<< Sei stata eliminata. Regole della casa, non puoi venire qui e cambiare gioco >> disse l’altro, sorridendo canzonatorio.
Lo sguardo della donna si fece più affilato. << Wow, tale padre tale figlio, vero Junior ? >>
<< Bada a come parli, super schiappa >> disse il fratello, utilizzando un tono di voce molto più serio.
Entrambi rimasero fermi e immobili, impegnati in una gara di sguardi in cui nessuno dei due sembrava disposto a rinunciare.  Ma in quel momento, la voce di Marie Danvers li costrinse a interrompere.
<< Ragazzi, a cena! >> urlò la donna, richiamandoli in casa.
 
                                                                                                                                                            * * *
 
La cena cominciò in relativa calma.
Sebbene sentisse ancora lo sguardo del fratello su di lei, Carol decise d’ignorarlo e concentrarsi sul cibo che aveva davanti. Non aprì bocca nemmeno quando JJ gli rubò la boccetta del sale proprio mentre era sul punto di afferrarla, probabilmente in un vano tentativo di suscitare un qualche tipo di reazione.
Dopo qualche minuto di silenzio, Marie volse la propria attenzione nei confronti della figlia.
<< Allora…tutto  a posto, Tesoro? >>
<< Uh uh >> rispose Carol, senza alzare gli occhi dal piatto.
Marie sorrise debolmente.
<< Perché era da un po’ che non venivi. E per quanto ti piacciano quelle lasagne… >>
<< Che cosa ci fai qui, fagiolina? >> la interruppe bruscamente JJ, ricevendo uno sguardo d’avvertimento dalla madre.
Carol lo guardò con la coda degli occhi.
<< Devono tutti avere un motivo per visitare la propria famiglia? >>
<< Tutti? No. Tu? Senza dubbio >>
<< Forse stavo solo passando da queste parti e mi mancavate, ok? O forse le lasagne >>
<< Riprovaci >> disse il fratello, incrociando ambe le braccia davanti al petto.
Con un sospiro rassegnato, la donna versò un po’ di vino nel bicchiere e lo inghiottì con un unico e rapido sorso, il tutto mentre Peter la fissava preoccupato.
Il suo umore continuò a naufragare per tutto il pasto.
Il ritmo della conversazione sembrava ormai stabilito. Marie introduceva un argomento e JJ rispondeva con eccessivo sarcasmo e disprezzo.
Peter assisteva al gioco delle parti senza intervenire.  Anche gli altri seduti al tavolo dovevano avvertire la stessa tensione.
 La cena, nonostante la premura della madre, per Carol sapeva di cenere.
<< Joe… >> sospirò Marie, conscia che la situazione fosse sul punto di degenerare.
Il figlio le lanciò un’occhiata impassibile.
<< Mamma, non me ne starò seduto qui a fingere che non ci abbia snobbato per anni. Anche quando papà era malato >> disse freddamente.
Al sentire tali parole, Carol si ritrovò incapace di trattenere uno sbuffo sprezzante.
<< Beh, io non me ne starò seduta qui a fingere che tu non sappia perché non sono venuta…o che papà fosse un grand’uomo …>>
POM!
Joe sbattè ambe le mani sulla superficie del tavolo, alzandosi dalla sedia con uno scatto e interrompendo la donna prima che potesse terminare la frase.
Senza dire una parola, uscì dall’abitazione e chiuse violentemente la porta di casa dietro di sé. Appena mezzo minuto dopo, Carol sentì il distinto rumore di un veicolo che si allontanava dal vialetto.
Con un sospiro quasi rassegnato, si alzò dal tavolo e procedette a seguire il fratello.
Peter rimase ammutolito e passò lo sguardo dalla porta d’ingresso alla figura di Marie Danvers, il cui volto era ora adornato da un’espressione sconsolata.
<< …il cibo è delizioso >> offrì con tono imbarazzato, nel tentativo di sdrammatizzare la situazione.
In tutta risposta, anche la donna si alzò dal posto a sedere, lasciando il vigilante come unico occupante della cucina.

                                                                                                                                                                   * * * 

Nevada

La coppia di fratelli Frank ed Edward Pines stava tornando da una consegna a Carson City, Nevada.
Erano alla guida di un grosso camion cisterna lungo circa otto metri che conteneva almeno cinque metri cubi di azoto liquido. I due erano stati chiamati un’ora prima per condurre il mezzo attraverso i boschi della contea, in cambio di un paio di bigliettoni da mille.
Attualmente, la zona circostante era abbastanza buia. Non si vedeva quasi niente, questo perché il primo centro abitato si trovava probabilmente a un centinaio di chilometri di distanza.
I fari illuminavano discariche piene di oggetti di ogni genere, da vecchi veicoli a contenitori di acido solforico. Alcuni detriti erano stati buttati lì da poco. Qua e là si alzava del fumo. C’era anche del materiale incandescente, la cui combustione però era terminata.
Dopo quasi mezz’ora, il camion deviò nella fitta pineta, sobbalzando a ogni infossatura del sentiero.
<< Ferma! >> urlò all’improvviso Frank, attirando l’attenzione del fratello. Questi inchiodò, spegnendo il motore.
<< Per la miseria >> borbottò stizzito. << Che diavolo ti prende?>>
<< Lì, dietro! Giuro di aver visto un tizio con un cilindro d’argento grande quanto una macchina!>>
<< Oh, per l’amor del cielo! Io indietro non ci torno>>  disse Edward, arricciando il volto in una smorfia.
<< Eddai, diamogli solo un’occhiata!>> supplicò l’altro. << Non capita mica tutti i giorni di vedere una cosa del genere >>
<< Merda >> borbottò il fratello, per poi riaccendere il motore del camion e cominciare a fare retromarcia. << Un giorno o l’altro sarai la mia morte! >>
Arrivarono a destinazione dopo mezzo minuto.
In effetti, c’era davvero un grosso cilindro argentato  incastonato nel terreno. Sporgeva dalla sabbia del Nevada per circa due metri emmezzo ed emetteva una luce cangiante di vari colori.
<< Bhe, che io sia dannato >> borbottò Edward, dando una lunga occhiata a quel misterioso oggetto.
L’uomo che gli stava accanto strizzò gli occhi verso di loro, abbagliato dai fari del camion. Era un tizio sporco e lacero, con la barba macchiata dal tabacco e i capelli talmente arruffati da sembrare lana d’acciaio. Aveva decisamente l’aria di un barbone.
I due gli si avvicinarono.
<< È mio!>> gridò lo sconosciuto, spostandosi davanti alla cosa come per abbracciarla.
<< Calma, vecchio>> lo tranquillizzò Frank. << Cos’è quella roba? >>
<< Il mio biglietto per la bella vita. E voi, siete del Governo? >>
<< Diamine, no! Andiamo, amico, vogliamo solo dare un’occhiata >>
L’uomo afferrò da terra una pietra. << State indietro! L’ho trovato io, quindi è mio!>>
<< Non assomiglia a niente che abbia mai visto >> disse Edward, girando attorno all’oggetto con interesse.
Il vecchio abbaiò una risata. << Certo che no! Si tratta senza dubbio di un’arma segreta. È per questo che l’hanno conciata in modo così stravagante >>
<< L’hanno conciata chi? >>
 << Ho già detto troppo. Andate via e lasciatemi solo >> ringhiò il barbone.
 Edward strinse ambe le palpebre degli occhi e osservò il vecchio strambo.
<< Ok, ora mi hai incuriosito>>  gli disse. << Raccontami qualcosa di più >>
<< Sta’ alla larga da me, ragazzo! Una volta ho fatto fuori uno usando solo un barattolo di sottaceti!>>
Edward rilasciò un sospiro quasi rassegnato e infilò una mano sotto la giacca, estraendo una pistola calibro 45.
<< È… è precipitato la scorsa notte >>  balbettò il vecchio, con gli occhi sbarrati per la paura. << Mi ha svegliato. Ha illuminato tutto il cielo come se fosse il 4 Luglio! Oggi l’ho cercato per ore, immaginando che il bosco sarebbe stato battuto da quelli del Governo, invece non è venuto nessuno. L’ho trovato poco prima che facesse buio >>
Abbassò il capo per un attimo, con un’espressione imbarazzata.
<< Doveva essere un aereo a reazione, nessuna traccia di carburante o altro. Ho pensato che i militari mi avrebbero pagato bene per riaverlo. Pensate, una volta un mio amico ha trovato una sonda atmosferica e gli hanno dato cento dollari! Così ho immaginato che una cosa grossa come questa poteva valere un milione di volte tanto!>>
Frank scoppiò in una risata. << Cento dollari, dici? Senti un po’, te ne darò mille per averla >>
<< Posso guadagnarci anche un milione!>>
Frabk inarcò un sopracciglio e fece cenno alla revolver che il fratello teneva in mano.
<< Mille vanno più che bene >> brontolò il vecchio.
ZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZ!
Un sonoro sibilò attirò l’attenzione del gruppo.
I tre uomini si voltarono all’unisono in direzione del misterioso oggetto, ora illuminato da un debole bagliore azzurro.
Sorpreso, il barbone compì un balzo all’indietro e mise alcuni passi di distanza tra lui e il cilindro. Aveva visto abbastanza film nella sua adolescenza da sapere che una luce del genere, emessa da un oggetto di natura completamente ignota, non era mai un buon segno.
Al contempo, Edward serrò le mani sulla pistola e la puntò verso il cilindrò, la cui luminosità era ora accompagnata da un ping! basso e ritmato, come il suono di una sveglia.
Uno sbuffò di vapore fuoriuscì dai lati dell’oggetto. Poi, la parte superiore del cilindro di aprì in dure, producendo un fischio acuto e sinistro.
Il barbone deglutì e si avvicinò cautamente alla coppia di fratelli, visibilmente innervosito dall’intera situazione.
Al contempo, qualcosa cominciò ad uscire dall’oggetto.
I tre uomini si drizzarono di scatto, come colpiti da un fulmine, troppo scioccati dallo svolgersi di una scena che sembrava fuoriuscita direttamente da una pellicola dell’orrore.
La figura era alta quasi due metri, umanoide, e sembrava fondersi con le ombre della notte. Aveva una corporatura tozza e muscolosa, pari o superiore a quella di un lottatore di wrestling. No, si corresse mentalmente Edward. Era decisamente più grosso. MOLTO più grosso. E per giunta…non aveva nulla di umano, ad eccezione della posizione eretta su due gambe e la presenza di quattro arti in totale.
La pelle dell’essere sembrava quella di un rettile, e in molti punti era coperta da una sorta di bizzarra armatura, un mix di tecnologia dall’aria futuristica mischiata con oggetti di natura tribale.
Indossava una maschera dalla superficie liscia e levigata, a immagine e somiglianza di un muso tozzo e schiacciato, con un paio di fessure luminose al posto degli occhi.
Vagamente, Edward notò che dalla testa scendevano lunghe trecce dall’acconciatura rasta, simili a quelle che aveva visto nei nativi americani che aveva incontrato durante un viaggio in Nord Dakota.
Senza perdere tempo, l’uomo alzò la pistola una terza volta e la puntò con decisione verso il misterioso individuo.
<< Ok, amico, non fare movimenti bruschi >> ordinò con voce ferma, suscitando un guaito sorpreso ad opera del fratello.
In tutta risposta, la creatura si voltò verso il gruppo di uomini e inclinò la testa di lato, in apparente curiosità.
Edward deglutì per la paura ma cercò di mantenere i nervi saldi. Per far capire all’essere che faceva sul serio, tolse la sicura alla pistola e sorrise con arroganza.
<< È meglio non fare scherzi, amico. Questo non è un giocattolo, e posso assicurarti che è carica >> disse freddamente.
Al contempo, la creatura rilasciò un suono bizzarro, un click! basso e ritmato molto simile al chiacchiericcio di una cicala, o forse di un grillo. Poi, una luce scarlatta partì dalla spalla destra dell’essere e tre puntini rossi si materializzarono sul petto di Edward.
L’uomo inarcò un sopracciglio.
<< Sei sordo? Ho detto di… >>
Non ebbe la possibilità di finire la frase.
Uno strano cilindrò si drizzò dalla spalla della creatura, producendo un sibilo metallico. Poi, un proiettile di luce azzurra partì dalla bocca dell’oggetto, centrando in pieno il corpo di Edward e trapassandolo da parte a parte, sollevando copiosi schizzi di sangue in ogni direzione.
Frank cacciò un urlo terrorizzato, mentre il corpo senza vita del fratello si accasciava sul terreno sabbioso. Tentò di estrarre la pistola che portava nella tasca dei pantaloni…e il movimento attirò l’attenzione della creatura.
Sì udì un altro sibilo e l’area circostante venne illuminata ancora una volta da un bagliore azzurro. Poi, il corpo senza testa dell’uomo cadde a terra, proprio accanto a quello del fratello.
L’essere rilasciò un altro paio di click, prima di puntare lo sguardo in direzione dell’ultimo umano rimasto. Questi si era pisciato nei pantaloni e alzò le mani in segno di resa, con gli occhi gonfi di paura e lacrime.
L’alieno - perché ormai il barbone era sicuro al 100% che quello era un fottuto omino verde – lo scrutò attraverso la maschera con uno sguardo attento e calcolatore, come se stesse valutando il suo livello di minaccia.
Dopo quello che sembrò un tempo interminabile, emise un sonoro sbuffo e si voltò. Inutile dire che il barbone approfittò della cosa per lanciarsi in una fuga rocambolesca attraverso la pineta, urlando “aiuto!” a pieni polmoni.
( Track 3 : https://www.youtube.com/watch?v=1ZTfpKL868A )
La creatura lo ignorò e cominciò a guardarsi intorno.
Alzò il braccio destro, adornato dalla presenza di un bizzarro dispositivo collegato al gomito e al polso da alcuni cavi.
L’essere pigiò alcuni pulsanti e, come dal nulla, un’immagine olografica si materializzò al di sopra dell’oggetto. Raffigurava una giovane donna umana sui trent’anni, dai lunghi capelli biondi, vestita con una tuta rossa e blu dall’aria militare.
L’alieno annuì compiaciuto, mentre numerose sfere fluttuanti cominciarono a fuoriuscire dal cilindro ancora aperto. Erano poco più grandi di un pallone da calcio, ma il bagliore azzurro che le circondava conferì loro un’aria decisamente minacciosa.
Poi, la creatura allargò ambe le braccia e lanciò verso il cielo un ruggito che riecheggiò per tutta la vallata.
Cetanu, capo clan Yautja dei Paya, Era giunto sulla Terra in cerca di una preda ben specifica. E ora…la caccia era aperta.





Boom! Ed ecco qui il nostro ottavo antagonista, che i fan dell’horror e della fantascienza avranno sicuramente riconosciuto. Si tratta di uno Yautja, noto più comunemente con il soprannome di Predator, antagonista principale della saga Predator e co-protagonista dei film Alien vs Predator.
Per chi non lo sapesse, i Predator sono una razza aliena dedita alla caccia di specie ostili o considerate “degne” di essere combatture.
Questo Predator è un mio OC personale e sarà un po’ un’amalgama delle migliori versioni del personaggio sparse per i media. Immagino abbiate capito a chi stia dando la caccia, no? Ecco perché l’ho reso un degno avversario.
Nel mentre, IT ha percepito l’arrivo dei nostri eroi ad Harpswell. Secondo voi come la prenderà?


 
  
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