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Autore: Sheep01    25/01/2020    2 recensioni
[IT, Fix-It fic]
Aveva fatto i conti con la possibilità che avrebbe potuto restare intrappolato in quelle fogne per sempre. Il suo corpo, le sue ossa, a sgretolarsi nel ventre di Derry. Per sempre.
Ma non era stata Beverly a metterli al corrente che chi moriva a Derry era destinato a non morire mai veramente? Doveva essere vero perché, in qualche universo alternativo a quello, nessun Eddie avrebbe mai potuto sopravvivere a una ferita del genere...
Eppure... eppure...
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 3

Il buio.

Eddie aprì gli occhi e si trovò ad osservare il buio. Completo, spiazzante. Avvolto in una bolla di silenzio.

La sentì montare all'improvviso quella sensazione di panico: i polmoni che si chiudevano, il respiro ridotto a un sibilo e quella insensata necessità di allungare una mano per cercare il suo respiratore. Un oggetto minuscolo, inutile ma che lo faceva sentire al sicuro.

Il respiratore però non era lì. Myra, sua moglie, non era lì. Comprese rapidamente di non trovarsi in un un luogo familiare.

Non riusciva a muoversi, non riusciva a respirare, lo sterno pulsava dolorosamente come trafitto da una lama. Avvertiva distintamente il sudore colargli giù per il collo, lungo la spina dorsale, ghiacciarglisi sulla schiena.

A Derry.

Era ancora a Derry, pensò. Sotto chilometri di tunnel sotterranei, nel ventre della bestia.

Dove erano tutti quanti? Perché lo avevano lasciato solo? Non voleva uscire da solo da quel posto.

Una brulicante sensazione di impotenza, di disperazione si impossessò di lui.

E fu in quel momento, in quell'organico, palpitante nulla che si rese conto che stava gridando.

«Eddie! Eddie...» un richiamo, una mano sulla spalla e un cono di luce a illuminare una sagoma che in altri contesti non avrebbe faticato a riconoscere.

Si divincolò, agitandosi, deciso a sfuggire a qualsiasi cosa lo avesse catturato.

«Eddie, sono io. Sono Richie, guardami.»

Una mano sul viso, un guizzo di lucidità.

«R-Richie... ?»

Lo riconobbe, certo, anche senza occhiali, ma non riuscì a comprendere cosa stava accadendo finché non fu accolto nel suo abbraccio. Caldo, confortante. Un abbraccio che non riuscì a ricambiare, non subito almeno.

«Va tutto bene, Eddie. Va tutto bene.»

In qualsiasi posto fosse, improvvisamente, si sentì al sicuro.
 

***
 

«Hai bisogno di aiuto serio, Eddie caro, non puoi continuare così».

Myra non faceva altro che assillarlo, giorno, dopo giorno, dopo giorno.

Restava sempre spiazzata dai suoi violenti attacchi di panico notturno. Non riusciva a comprenderli, né a dargli appoggio sufficiente per superarli. Semmai non faceva che aumentare il suo disagio, mettendoci il carico da cento. Gli aveva suggerito la psicoterapia, si era vista costretta ad affrontare, lei stessa, argomenti che non era riuscita del tutto a comprendere. Come avrebbe anche solo potuto raccontarle cosa era successo esattamente a Derry, senza che venisse preso per pazzo? Con gli altri Perdenti avevano preso la solenne decisione di raccontare una comoda menzogna a riguardo. Sul come si fosse praticamente impalato da solo dopo uno stupido tuffo nelle acque dei Barren. Un incidente. Le autorità l'avevano presa per buona e multato ognuno di loro per l'idea sconsiderata. Un misero prezzo da pagare per evitare di essere internati una volta per tutte.

Myra non aveva fatto altro che spingerlo ancor più a fondo in quella sua prigione fatta di soffocanti attenzioni.

«Sto bene, ti ho detto. Non ho bisogno altro aiuto, ho solo bisogno di tempo.»

«Sono passati sei mesi e la situazione non migliora, dovresti valutare di cambiare terapia, il dottor Bridges ha detto che...»

«So cosa ha detto il dottor Bridges, ma non mi interessa. Posso decidere da solo di cosa ho bisogno o meno.»

«Il dottor Bridges», riprese Myra, come se non lo avesse nemmeno sentito, «ha detto che puoi andare da lui, la prossima settimana, ti presenterà a una sua collega, una specialista davvero in gamba. Un curriculum di tutto rispetto, se me lo chiedi. Ho guardato fra i tuoi impegni e giovedì prossimo sei libero, così ti ho già fissato un appuntamento e...»

«Ma allora non mi ascolti?»

«Come, caro? Ma certo che ti ascolto...» allungò una mano per sfiorargli il viso ma Eddie si ritrasse infastidito.

«No, non mi ascolti. Ho detto che non ci andrò.»

«Che sciocchezze, certo che ci andrai, tesoro.»

«Piantala di trattarmi come fossi un bambino!» si era rimesso in piedi, scostando la sedia del tavolo di cucina con un gran fracasso. Myra si era zittita, arretrando appena con quella sua faccia instupidita, piena di sconcerto.

«M-ma E-Eddie caro, non...» la voce tremula, sulla soglia del pianto.

«Non fare così. Non fare così, cazzo! Non riesci ad affrontare una discussione senza piagnucolare o prendere la parola, senza nemmeno ascoltarmi? Ce la fai? Ci riesci? Sì? Per due minuti?»

La vide annuire freneticamente e dovette combattere con se stesso per non pentirsene immediatamente o chiederle scusa per come le si era rivolto. In dodici anni di matrimonio erano rare le volte che aveva perso la pazienza a quella maniera o che le si era rivolto con niente più che infastidita accondiscendenza.

«Non ho alcuna intenzione di andare dal dottor Bridges», prese fiato, «non ho alcuna intenzione di farmi psicanalizzare più di quanto non abbiano già fatto. Mi hanno ribaltato come un calzino e tutto quello che sono riusciti a tirarmi fuori è che sono insoddisfatto della mia vita. Perciò forse su una cosa hai ragione: dovrei seguire i consigli dei medici. Alla lettera. Quello che ho intenzione di fare, adesso, è prendermi una lunga aspettativa dal lavoro e capire che diavolo ho intenzione di fare da oggi in poi. C'era un prima... e ci sarà un dopo. Io mi trovo esattamente nel mezzo. Mi sono trovato nel mezzo per più di ventisette anni.»

Myra adesso sembrava terrorizzata.

«Perciò ora sta a te decidere se hai voglia di assecondare questo mio nuovo percorso o starne fuori, per sempre.»

«Eddie m-mi stai dando un ultimatum?»

«Se è così che vuoi chiamarlo...»

«Non oserai», si era rimessa in piedi, superandolo in altezza, persino.

Per la prima volta in dodici anni, Eddie Kaspbrak non aveva arretrato di un solo passo.
 

***
 

Eddie osservava le spirali di fumo che si avvolgevano sopra la sua tazza di tisana bollente.

Lo sguardo un po' perso, la sensazione di esser stato accartocciato come un foglio di carta e poi rimesso in sesto in modo approssimativo.

«Hai bisogno di qualcosa di più forte?» la voce di Richie lo costrinse a sollevare lo sguardo, «ce l'ho qualcosa di più forte.»

Non gli erano servite spiegazioni riguardo ciò che era appena successo. Gli era bastato assistere al patetico teatrino per capire; meno di mezzo secondo per agire e trascinarlo fuori dall'incubo.

Succedeva spesso quando erano ragazzini e il miracolo non si era esaurito adesso che erano due adulti.

«No, non ho intenzione di finire agli alcolisti anonimi nel giro di una settimana. Questa tisana che sa di calzini marci andrà benissimo.»

«È valeriana. Prego, comunque.»

«Scusa...» si passò una mano sul viso, esausto, «è che...»

«Lascia perdere. Fa schifo anche a me la valeriana... ma funziona.»

Eddie ne bevve un sorso a dimostrazione che, quantomeno, stava cercando di metterci la buona volontà: «Non ti facevo un tipo da valeriana.»

«Infatti non lo sono», gli rispose stiracchiandosi, cercando nelle tasche della felpa un pacchetto di sigarette. «È un souvenir dimenticato qui da un mio... ex.»

Eddie alzò lo sguardo, sorpreso.

«Cosa?» lo incalzò Richie. «Pensavi conservassi il mio sedere per il controllo della prostata?»

«Cristo santo, Richie... perché con te deve diventare tutto... grottesco?»

«Grottesco il controllo della prostata? Non dirmi che non ne hai mai fatto uno. Pensavo che nessun reparto ospedaliero avesse più segreti per te.»

«Non era quello che intendevo, è che...»

«Che hai una visione romantica del sesso? Non avevo alcun dubbio a riguardo», si rimise in piedi e andò ad aprire una finestra, prima di accendersi la sigaretta. Un vizio che non si era tolto dai primi anni dell'adolescenza. «Scommetto che la tua prima volta è stata su un letto di petali di rosa, circondato da candele alla vaniglia. Poi hai cominciato a starnutire per l'allergia e la tua ragazza ha cominciato finalmente a sentire qualcosa.»

Eddie scosse la testa e affogò la sua esasperazione nella tisana che sapeva di piedi.

Si sentiva osservato ma cercò disperatamente di non farci caso. Non era stata sua intenzione creare tanti disagi, ma nemmeno aveva messo in conto che si sarebbe accampato a casa di uno dei suoi migliori amici a tempo indefinito.

In realtà non aveva programmato un bel niente di quello che era successo nelle ultime quarantotto ore, il che aveva dell'assurdo.

Eddie Kaspbrak che non calcolava i rischi delle sue decisioni fin nei minimi dettagli: doveva essere completamente impazzito.

«Secondo te sto impazzendo, Richie?» la domanda gli era uscita flebile, quasi sovrappensiero, una riflessione raccolta in volo che si era trasformata in parola.

La sensazione di avere il suo sguardo addosso si intensificò, se possibile.

«Non più del solito, direi», una risposta di quelle che dovrebbero farti sentire meglio, ma che non aveva sortito l'effetto desiderato. Poi il rumore dei passi dell'uomo e una mano sulla spalla, «Non stai impazzendo, Eddie.»

«A volte mi sembra di sì», sospirò, «a volte ho come la sensazione di non avere più il controllo sulla mia vita. E... s-su niente, in realtà.»

«Non sempre si può avere il controllo. A volte tocca inserire il pilota automatico», lo vide indicarsi, «chiedilo a un esperto.»

«Per te è più facile. Tu sai sempre cosa fare.»

«Io?», Richie scoppiò a ridere, «sono quarant'anni che prendo decisioni di merda, amico mio, e mi vieni a dire che so cosa fare? Non lo so più di quanto non lo sappia tu o chiunque altro, credimi.»

«Allora insegnami cosa dire al pilota automatico per impedirgli di lanciarsi nell'abisso.»

Richie scosse la testa, posando i gomiti sul tavolo, per cercare di catturare il suo sguardo, fisso in quella tazza di tisana di piedi.

«Che melodramma, Spaghetti. Non devi dirgli nulla, perché non stai precipitando in nessun abisso. Ci stai risalendo, da quella fogna, credimi... solo che devi capire che direzione seguire. E quello che mi hanno insegnato al corso di sub - non dire niente, sì, ho seguito un corso di sub - è che quando ti trovi in difficoltà devi sempre seguire la direzione delle bolle. Quelle ti riportano in superficie.»

«Io non vedo nessuna bolla Richie...»

«E io cosa sono?» si batté una mano sul petto, «Mi chiami sempre coglione. Coglioni o bolle hanno sempre una forma... sferica. Sarò la tua bolla, se lo desideri.»

Eddie sorrise e finalmente si decise a guardarlo. Era decisamente meglio Richie di quella stupida tisana.

«Non potrai essere la mia bolla per sempre.»

Lo vide esitare un istante, come fosse indeciso se dire una cretinata immane o qualcosa di serio.

Ma la sua mano fu più rapida di qualsiasi parola. Catturò quella di Eddie, prima che la sua boccaccia potesse dire qualsiasi cosa.

«Sarò la tua bolla ogni volta che ne avrai bisogno...» mormorò, «coglione.»

Eddie scosse la testa con accondiscendenza a quella precisazione, ma sentì qualcosa di familiare in fondo allo stomaco, qualcosa che aveva cercato di ignorare il più delle volte quando pensava a Richie; forse perché lo riteneva strano, forse perché sbagliato, il più delle volte perché non lo capiva.

All'inizio era convinto si trattasse solo di suggestione, come quel pensiero che lo tormentava da mesi, perché ci aveva rimuginato troppo. Dal giorno in cui Richie gli aveva confessato di essere... stato innamorato di lui. Si era arrovellato per settimane sulla possibilità di aver ignorato i segnali o averli mal interpretati. Il senso di colpa per non aver avuto l'audacia o la giusta inclinazione per ricambiarlo come avrebbe meritato.

Ma poi... erano arrivati gli incubi e i sogni che sembravano ricordi perduti di quell'infanzia che ancora faticava a tornare del tutto. Che forse non sarebbe mai tornata del tutto. I contorni di alcuni avvenimenti ancora offuscati, persi nelle nebbie di Derry.

Ma uno di quei sogni... uno su tutti gli aveva scatenato dentro quell'abissale confusione che in nessun modo avrebbe mai potuto ricollocare se non avesse preso quel cazzo di aereo per Philadelphia.

E ora che era arrivato fino a Los Angeles, per lui, si chiese se non fosse arrivato il momento di capire se si trattava solo di suggestione e senso di colpa o se fosse davvero qualcosa che aveva solo dimenticato.

«Richie...» si ritrovò a dire, accertandosi di avere la sua più completa attenzione.

E forse fu il tono o la gravità del suo sguardo a far sì che Tozier lo osservasse con paziente attesa.

«Te lo ricordi il giorno in cui me ne sono andato da Derry?»
 

***
 

Era un freddo pomeriggio di inizio primavera, Eddie si affacciò dalla finestra della sua stanza per un'ultima volta.

Il viavai degli operai, che caricavano su un grosso camion bianco dei traslochi tutto quello che era stato in quella casa, dacché aveva memoria, gli metteva addosso un misto di impotenza e malinconia. Impacchettare una vita intera in grossi scatoloni di cartone non era una cosa da tutti i giorni. Doveva ancora scendere realmente a patti col fatto che avrebbe lasciato quella casa, per sempre, che forse avrebbe lasciato persino Derry per sempre.

Dopotutto, lui e sua madre, non avevano parenti prossimi che li avrebbero richiamati in quel luogo per le feste: erano soli, e stavano scappando (sì scappando. Perché era così ossessionato da quella parola?) da quella zia che diceva li avrebbe accolti più che volentieri, lontano dal Maine; mentre i suoi amici, bè... molti di loro se ne erano già andati. Come se Pennywise, svanendo per sempre (o almeno così credevano), avesse spezzato quel filo invisibile che li aveva tenuti legati. Rassegnato a lasciarli andare alla deriva, uno dopo l'altro.

Dopo quel pasticcio col padre, Beverly era stata la prima a lasciare Derry. Poi Stan. Ben a seguire e infine Bill... l'addio più tormentato e doloroso. Almeno fino a quando Eddie non si era reso conto di dover essere lui il prossimo a partire. A lasciare tutto. A lasciare chi restava...

Mike sembrava aver accettato la sua partenza, rassegnato a quello straziante esodo, ma Richie... Richie non si era più fatto vedere da quando gli aveva annunciato che non avrebbe terminato il semestre nella stessa scuola. E la cosa, a livello inconscio, gli aveva spezzato il cuore.

Ora si trovava a un passo dal trasloco. Ancora qualche mobile, una manciata di scatole e si sarebbe trovato in una casa fatta di echi e sagome di quadri fantasmi sui muri.

Sarebbero partiti quella sera stessa.

Si scansò dalla finestra e raccolse i due zainetti nei quali aveva raccolto la sua collezione di fumetti.

Sua madre gli aveva chiesto di sbarazzarsene ma, forse per affetto o una sorta di finale atto di ribellione, non lo aveva fatto. Li avrebbe caricati su quel camion e portati con sé. Su come giustificarli una volta arrivati a destinazione ci avrebbe pensato poi.

Scese i gradini, seguendo un paio di operai nerboruti che parlavano una lingua straniera, forse portoghese e si trovò all'esterno, dove sua madre, accanto alla recinzione, stava conversando con il vicino: un tizio che faceva lo scrittore e raramente si interessava a loro. Forse era interessato a comprare la casa o forse solo a capire chi sarebbe venuto a disturbare le sue notti insonni di vena artistica, una volta trasferiti i silenziosi vicini.

Approfittò di quell'attimo di distrazione per lanciare, letteralmente, uno dei due zaini sul camion e poi... e poi si rese conto che non era un operaio quello che se ne stava in piedi, a reggere una bici, appena fuori dal vialetto di casa.

«Richie...», mormorò, prima di poter caricare anche il secondo zainetto. L'istinto lo spinse a muoversi rapidamente, a caricarsi sulle spalle quello che gli era rimasto e andare incontro al ragazzo, prima che si sfaldasse come una fantasia, così come era arrivato.

Non sapeva cosa dirgli, in realtà, non come avrebbe reagito se gli avesse confessato che sarebbe partito definitivamente da lì a qualche ora ma Richie non sembrava essere lì per delle spiegazioni.

«Ce li hai due minuti?», gli chiese, semplicemente.

Eddie guardò in direzione di sua madre, che non sembrava essersi accorta di nulla, men che meno che fosse sceso dalla sua stanza.

«Anche cinque», sorrise un po' nervoso e, senza dire niente, prese a seguire il ragazzo e la bici che si era portato dietro.

***

Richie non sembrava aver capito la domanda.

Lo fissava un po' instupidito, come se faticasse anche solo a ricordare le dinamiche del proprio, di trasloco.

«Non sono sicuro...»

«Non te lo ricordi.»

Richie gli lasciò andare la mano.

«È ancora tutto un po' confuso, sai? Tante cose sono tornate, sopratutto quelle che abbiamo ricordato assieme a Derry, ma altre... altre devo proprio sforzarmi. Solo la scorsa settimana mi sono ricordato di una stupida lezione di ballo che Beverly mi aveva dato giù ai Barren. È stata una vera rivelazione.»

Eddie si trovò a sorridere al solo pensiero di Richie e Beverly che ballavano sulle note di una vecchia radiolina, giù ai Barren.

«Bè, non importa, è stato stupido chiedertelo.»

«Magari potresti rinfrescarmi la memoria tu. Sono sicuro che se ne parliamo, i ricordi torneranno più facilmente.»

«No... non...» cercò di imbastire la frase affinché risultasse un diniego convincente ma poi si trovò a raccontare una bugia, «non lo ricordo nemmeno io. Ero solo curioso di sapere se venisse in mente a te...»

Richie gli lanciò uno sguardo perplesso e per un lungo attimo Eddie fu convinto avrebbe scoperto la sua ingenua bugia, ma poi lo vide stringersi nelle spalle.

«Mi spiace. Pagina bianca», fece un cenno davanti al viso come a cancellare tutto quanto.

«Non importa.»

«No, aspetta, aspetta. Ricordo!» Eddie rialzò lo sguardo, il cuore che prese a battere un po' troppo rapidamente, un picco d'aspettativa. «Ricordo che ero veramente incazzato con te. E con tutti gli altri. Sì, questo me lo ricordo. Perché ve ne stavate andando tutti, come se poi avreste potuto fare veramente qualcosa; eravamo solo dei ragazzini che dovevano seguire i loro genitori, ma ero... incazzato. Avevo finito per prendere a pugni una pecora morta alla macelleria di Mike, perché mi ricordava Rocky e sembrava che a Rocky Balboa una cosa del genere lo calmasse alla grande.»

L'aneddoto ebbe il potere di accendere un sorriso sul viso di Eddie, ma non placò la sua delusione. Non era esattamente la risposta che si era atteso. Eppure aveva il terrore di raccontare quello che lui ricordava. Se non fosse stato un vero ricordo ma solo uno stupido sogno? Avrebbe alimentato stupidamente le speranze di Richie? O forse lo avrebbe solo imbarazzato, visto come si erano messe le cose. Aveva un fidanzato. Aveva avuto... insomma era andato avanti.

E lui... lui non era sicuro, non ancora, di capire che diavolo gli stesse succedendo.

«Bè, l'immagine di te che prendi a pugni una pecora morta non è esattamente il tipo di ricordo che mi aspettavo ma... ora mi hai dato di che riflettere per il resto della nottata.»

«Ehi, che razza di ingrato, ti ho appena aperto il mio cuore su un avvenimento davvero intimo.»

«Le pecore morte?»

«No, il tuo cervello d'arachide.»

Eddie soffocò una risata.

«Credo sia il caso che tu vada a letto, Richie... perché se cervello d'arachide è l'insulto migliore che ti è venuto in mente devi essere davvero stanco.»

«Già... e chi mi assicura che tu non ti metterai a risistemarmi tutti i cassetti della cucina mentre torno a letto?»

«Non sento questo impellente bisogno di risistemarti casa, Boccaccia. Considerato come ricordavo la tua camera a Derry, questo appartamento a confronto è il giardino zen di Marie Kondo», gli rispose.

Lo guardò rimettersi in piedi e prendergli la testa fra le mani: «Questo elemento non mi trasmette gioia, forse è il caso di sbarazzarsene», disse Richie in una malsana imitazione della Kondo.

Eddie sbuffò qualcosa che voleva essere un insulto o una risata e lo spintonò via.

«Va' a dormire...»

«Ci vado, ci vado, ma anche tu dovresti. Ma se proprio non ci riesci... avrei la lavatrice da fare.»

«Piantala», gli lanciò dietro un tovagliolino abbandonato sul tavolo.

Ma Richie si era già allontanato, cinguettando un buona notte.
 

***
 

Camminavano fianco a fianco, in silenzio. Un evento straordinario considerato come si svolgevano, di solito, i loro incontri: Eddie che non smetteva mai di parlare, mentre Richie lo rimbeccava con gli insulti più fantasiosi che gli venissero in mente.

Ma quello non era il momento per le stronzate, non era il momento per i giochi, per gli scherzi, per le spacconate da ragazzini. Eddie sapeva che quello sarebbe stato un addio. E lo sapeva anche Richie, perché così serio non lo aveva visto mai.

«Perché ti sei portato dietro quello zaino?» la prima frase che gli sentì pronunciare da quando si erano allontanati da casa. Non che avessero fatto molta strada, probabilmente avrebbero solo girato pigramente attorno al quartiere.

«Non lo so, pensavo di lanciarlo sul camion dei traslochi per non farlo vedere a mia madre... e poi me lo sono solo portato dietro.»

«Che c'è lì dentro che la signora Kappa non può vedere? La tua collezione di film porno?»

«Macché, sono solo fumetti... fumetti, vedi?» si sfilò lo zaino dalle spalle e lo posò a terra per aprirlo, come dovesse dimostrare a Richie che non erano film porno. Lui, che di quei filmacci non ne aveva mai posseduti e le sole immagini spinte che avesse mai visto arrivavano dalle riviste sconce che Richie stesso aveva sgraffignato al mini market della città e portato ad un raduno dei Perdenti come consultazione... anatomica.

Richie posò a terra la bici e si chinò a guardare, sicuramente più interessato ai titoli che a capire se fossero davvero... porno.

«Ehi, questo è mio!» disse, tirando fuori un numero di Batman.

«Davvero? Non me lo ricordavo, puoi riprendertelo se vuoi...»

«Uhm, no, puoi tenerlo tu... la storia non mi era piaciuta granché», lo lanciò di nuovo nello zaino, tornando a scartabellare fra gli altri titoli.

Eddie rimase per un po' ad osservarlo, senza capire se Richie avesse effettivamente qualcosa da dirgli o se fosse venuto solo per passare le ultime ore con lui. E a guardarlo così, chino sui suoi fumetti, con i capelli ancora scombinati dal vento della bicicletta e quella sua camicia dai colori arditi, capì che quelli erano gli ultimi minuti che avrebbero potuto passare assieme per molto tempo. Fu così che sentì montargli dentro un tale magone che per poco non fu certo che sarebbe esploso come uno stupido, all'angolo di quella strada.

«Rich... io stasera me ne vado», non era sua intenzione interrompere a quel modo la tranquillità del momento, non dopo settimane che Richie nemmeno gli parlava, ma sapeva che se non lo avesse detto subito, dopo non sarebbe più riuscito a pronunciare una sola parola.

Il ragazzo, ancora chino sullo zaino, non disse nulla, si prese tutto il tempo di finire di sfogliare un numero di una rivista horror per ragazzi.

«Lo so», rispose infine, senza rialzare lo sguardo, «me lo ha detto Mike.»

Si rimise in piedi.

«E da quel ficcanaso che è, non ha fatto altro che tormentarmi, dicendo che sarei almeno dovuto venire a salutarti. Una seccatura, se proprio vuoi saperlo. Ho dovuto assecondarlo per farlo tacere. Sappi che se sono venuto qui è solo per causa sua», intrecciò le braccia al petto con aria solenne, ma quando ricambiò lo sguardo di Eddie tutta la spavalderia che si era costruito addosso crollò con sbigottita rapidità.

Eddie vide ingrandirsi quei suoi occhi già enormi, dietro le lenti degli occhiali, e capì immediatamente cosa lo avesse sconcertato a tal punto.

Si era appena reso conto di aver cominciato a piangere.

Non che non ci avesse provato a trattenersi, ma semplicemente quel blocco, proprio all'altezza della gola, era emerso, senza possibilità di recupero. E si odiò per questo: non avrebbe voluto piangere, non davanti a Richie.

«E-ehi, guarda che io stavo scherzando. Ancora non mi conosci, dopo tutto questo tempo? Io scherzo sempre, Kaspbrak... ma proprio oggi doveva venirti in mente di piangere?» parlava rapidamente, sistemando ossessivamente sul naso la montatura di quei suoi grossi occhiali.

«Davvero, Eds, non piangere, non lo sai che piangere... che piangere fa... spezzare le venuzze degli occhi! E d'un tratto ti ritrovi con gli occhi così rossi e gonfi da fare concorrenza a una... mosca! Come nel film La Mosca, te lo ricordi? Non vorrai diventare brutto come quel Seth Brundle!»

Eddie, che lo stava ascoltando certo, non riusciva comunque a frenarle quelle sporche lacrime, né a ridere delle sue stupide battute, perché capiva che gli sarebbero mancate anche quelle, oltre a un sacco di altre cose. Gli sarebbe mancato quel suo modo buffo di muoversi, gli sarebbero mancati tutti i nomignoli idioti che gli affibbiava, gli sarebbero mancate le sue Voci, gli sarebbero mancate le giornate passate assieme, i pomeriggi alla sala giochi, le estati fatte di risate e sfide impossibili ai Barren, le corse a perdifiato in bicicletta e le sessioni condivise su quell'amaca malmessa, giù al rifugio dei Perdenti. Gli sarebbero persino mancate quelle sue disgustose battute su sua madre.

In un istante aveva capito che tutte le cose belle della sua infanzia sarebbero state spazzate via in poche ore. Il suo mondo, così come lo aveva vissuto sino a quel momento, si sarebbe estinto, per darne vita a uno nuovo. Un mondo diverso, senza i suoi amici, senza Richie.

«Io non me ne voglio andare», si trovò a dire, senza aver preventivato nemmeno quello.

Richie si zittì per qualche istante, sistemandosi ancora una volta quei suoi occhiali. Anche quel gesto gli sarebbe mancato.

«Nemmeno io voglio che tu te ne vada», mormorò e dal modo in cui le labbra gli si erano piegate all'ingiù capì che ci sarebbe voluto davvero poco per veder esplodere anche lui, di quella stessa, strampalata malattia di pianto.

Non ci pensò due volte a toglierlo dall'imbarazzo e invece di cercare di placarsi fece solo un paio di passi in avanti, prima di tuffarsi, letteralmente, fra le sue braccia. Uno slancio rapidamente ricambiato, così disperato e audace che, in qualche assurdo modo, sembrò decretare la fine dell'infanzia così come l'avevano conosciuta.

«Mi fanno schifo le lettere, ma ti scriverò tutti i giorni.»

«Non fare promesse cretine che non puoi mantenere, Tozier...»

«Una volta settimana, allora.»

Eddie lo strinse più forte.

«V-va bene, va bene. Ti scriverò e basta... quando avrò qualcosa da dire. Se mi lascerai i tuoi fumetti.»

«Tutti, tranne Batman.»

«Tranne Batman, ovvio, quello fa schifo.»

Si presero tutto il tempo per godersi quell'ultimo, estremo, atto di delicata intimità, prima di essere riscossi dal rumore di un motore che si riavviava, nel parcheggio di qualcuna delle abitazioni accanto.

Quando si divisero erano ancora così vicini che Eddie poteva vedere, sul viso dell'amico la spruzzata di lentiggini che facevano capolino da sotto gli occhiali.

E sentì riaffiorargli ancora quella stupida sensazione alla base dello stomaco, la stessa che provava ogni volta che era con Richie, da qualche mese a quella parte, una sensazione che non aveva mai avuto il coraggio di affrontare.

«D-devo rientrare, prima che mia madre chiami la polizia...» balbettò.

«C-certo... certo che devi rientrare, non possiamo far impensierire mamma chioccia.»

«Ci sentiamo presto allora...» mormorò, asciugandosi gli occhi, e chinandosi sullo zaino per recuperare quell'orribile numero di Batman. Lo alzò come a far vedere a Richie che era proprio quello che aveva intenzione di portarsi via. Diede un calcetto al resto, spingendolo nella sua direzione.

«Questi sono tutti tuoi, ricordati di me, mentre li leggi.»

Richie si strinse nelle spalle, un mezzo sorriso triste sulle labbra: «Sarebbe comunque impossibile dimenticare che sono tuoi, sembrano nuovi.»

Eddie sentì di nuovo tornare alla carica quel nodo alla gola e poi quella scossa allo stomaco, capace di farlo sentire euforico e malato allo stesso tempo. Comprese così che se non lo avesse fatto subito, non sarebbe riuscito a farlo mai più. Prese come la rincorsa, di nuovo, verso Richie. Uno dei suoi più cari amici d'infanzia e la prima e unica persona ad averlo mai fatto sentire a quella stupida maniera.

Si alzò sulla punta dei piedi e, prima che potesse anche solo decidere come doveva succedere, era già successo: labbra su labbra.

Un bacio rapido, casto, salato di lacrime e caldo come l'estate.

L'istante successivo stava già correndo via, il richiamo di sua madre dalla fine della strada.

Una nervosa risata in gola e di nuovo quel magone inconsolabile.

Non lo sapeva che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto Richie... per i prossimi ventisette anni.
 

***
 

Sciacquò la tazza nel lavandino e la ripose a sgocciolare assieme alle altre stoviglie.

Era passata quasi un'ora da quando Richie era tornato a coricarsi, ma Eddie non era sicuro di poter fare altrettanto; per nulla convinto degli effetti benefici della valeriana. Probabilmente sarebbe rimasto a fissare il soffitto per il resto della notte, a pensare e ripensare a quello stupido... sogno o ricordo che fosse.

Non avrebbe potuto mai presentarlo a Richie, non finché non fosse stato certo di non incasinargli la vita. Non prima di essere sicuro, lui stesso, che quel sentimento che lo aveva spinto a baciarlo, il giorno della sua partenza, fosse reale e non... una suggestione dell'inconscio.

Suggestione. Cominciava a odiarla, quella parola.

Forse avrebbe solo dovuto prendersi qualche giorno, godersi la compagnia di Boccaccia e poi tornarsene a New York, a cercare di ricominciare in un altro modo che non fosse quello di ripescare vecchie fantasie infantili per dare un nuovo slancio alla sua esistenza.

Si passò una mano sul viso, e si fece strada verso la camera degli ospiti, più confuso di quando si era svegliato. In un certo senso avrebbe preferito farsi catturare solo dagli incubi. Quelli, di giorno, se non altro, sparivano.

Fu allora che udì un rumore. Sottile e prolungato. Un lamento. Dalla camera di Richie.

Per un istante si disse di tirare dritto, che non erano affari suoi, ma quando questi si ripropose non potè far altro che dirigersi dove l'amico stava risposando. Lo vide attraverso le ombre della stanza. Gli occhi chiusi, il viso contratto in una smorfia e poi di nuovo quel lamento, prolungato come un pianto sommesso.

Un incubo.

Lo poteva capire dal modo in cui muoveva le palpebre ora che si era avvicinato.

Per quanto tempo ancora IT avrebbe continuato a tormentarli, anche ora che era morta?

Perché non poteva essere altro che quello. Credeva forse di essere l'unico? Quell'esperienza aveva lasciato un segno, dentro ognuno di loro. E se la prima volta gli era stato concesso di dimenticare, di preservare la loro esistenza dall'orrore, questa volta non sarebbe stato così semplice. Un caro prezzo per mantenere quei ricordi orribili sì, ma anche tanto cari. Importati a definire quello che erano e quello che avrebbe finalmente potuto scegliere di diventare.

Si trovò a sedersi sul bordo del letto di Richie, a posargli una mano sul viso, ad accarezzargli debolmente una tempia, finché il lamento non sembrò chetarsi.

«Eddie...» lo sentì mormorare.

Sussultò appena, come fosse stato scoperto, ma Richie stava ancora dormendo.

Gli passò una mano fra i capelli, quel viso così vulnerabile, senza i suoi occhiali.

«Sono qui, la tua bolla...», disse, e sul volto di Richie fiorì un debole sorriso.

 

Continua...

  
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