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Autore: Sheep01    29/01/2020    2 recensioni
[IT, Fix-It fic]
Aveva fatto i conti con la possibilità che avrebbe potuto restare intrappolato in quelle fogne per sempre. Il suo corpo, le sue ossa, a sgretolarsi nel ventre di Derry. Per sempre.
Ma non era stata Beverly a metterli al corrente che chi moriva a Derry era destinato a non morire mai veramente? Doveva essere vero perché, in qualche universo alternativo a quello, nessun Eddie avrebbe mai potuto sopravvivere a una ferita del genere...
Eppure... eppure...
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 4

 

Pensa, pensa, pensa.

Richie non faceva che pensare ad una sola cosa, da qualche giorno a quella parte.

E no, non si trattava del sedere di Eddie Kaspbrak. Per quanto carino e proporzionato fosse. E per quanto se lo trascinasse in giro per casa di continuo. Fasciato in un paio di calzoni da casa che lui stesso gli aveva ingenuamente prestato, a suo agio come se ci fosse nato, con quei cazzo di pantaloni.

Eddie, che in pochi giorni non aveva fatto altro che portar ordine e scompiglio in un un'unica formula.

No. In realtà Richie non faceva che pensare a quell'assurda conversazione della famosa notte dell'incubo. Bè, famosa per modo di dire.

 

«Te lo ricordi il giorno in cui me ne sono andato da Derry?»

 

No, dannazione, non se lo ricordava! Eppure doveva esserci un motivo se Eddie glielo aveva chiesto. Certo, lui sosteneva di non avere la minima idea di come si fossero svolte le cose; certo, poteva anche tranquillamente crederci, ma...

Perché era disperatamente convinto che, dietro quella domanda, si celasse qualcosa di importante?

Di sicuro, quella di ventisette o ventisei anni prima non doveva essere stata una giornata di quelle in cui ti svegli cinguettando. Sperò solamente di non aver dato spettacolo di sé, con qualche performance tutt'altro che dignitosa. Conoscendosi però, dopotutto, poteva essere andata davvero così: un giovane Richie Tozier fuori dalla grazia di Dio perché il ragazzo per il quale aveva una cotta se ne stava andando per sempre da Derry. In fondo aveva preso a pugni una pecora morta, sempre per lo stesso motivo.

Si passò una mano sul viso solo al pensiero di quell'ipotetica sceneggiata, le gambe penzoloni giù dal bancone della cucina e un'arancia che faceva saltare da una mano all'altra da una decina di minuti buoni.

Eddie era di spalle, ai fornelli, tutto preso a cucinare qualcosa per colazione. Sempre con quei dannati pantaloni addosso.

Ovviamente era anche bravo a cucinare, come avrebbe potuto essere altrimenti?

«Spaghetti, ne hai ancora per molto? Sto morendo di fame», gli chiese, sbilanciandosi appena per sbirciare: il profumo era delizioso, nemmeno gli aveva chiesto cosa avesse intenzione di preparare. Gli sarebbero andate bene anche delle sardine sott'olio.

«Roma non è stata costruita in un giorno.»

«Una bella scusa del cazzo per dire che mi toccherà morire di stenti», sollevò una gamba, sdraiandosi quasi sul bancone.

«Tranquillo, non morirai di stenti con le porcate che ti sei mangiato ieri sera. Ma se pensi di essere più veloce, vieni qui e fallo tu.»

«Perché diamine dovrei mettermi a cucinare quando qui attorno è pieno di ristoranti che non vedono l'ora di farlo per me?»

«Allora domattina scendi qui sotto e rendi felice un ristoratore.»

Eddie si era voltato, nella padella due crepes dall'aria gustosa, e sul viso un sorriso che si stava lentamente spegnendo per lasciar spazio all'indignazione: scoprirlo così, spalmato sul bancone, una cosa inaccettabile.

«Potevi almeno apparecchiare!»

«E perdermi lo spettacolo di te che spadelli come la più devota delle mogliettine?» di nuovo fece passare l'arancia da una mano all'altra, pigramente, con tutta l'intenzione di farlo innervosire di proposito. Adorava vederlo inalberarsi per un nonnulla.

«Ma almeno mi sarei risparmiato te, versione cadavere, sul tavolo del coroner», posò di nuovo la padella, alla ricerca di due piatti.

«Geisha, stavo facendo la geisha.»

«Te, versione geisha cadavere, sul tavolo del coroner. Dai, levati, cazzo... è anche poco igienico!»

«Il bancone della mia cucina?»

«No, tu sul bancone della cucina.»

«Oh, per piacere...», si rimise seduto, «è il mio bancone della cucina, nella mia casa. Ho disseminato pelle morta in ogni fottuto angolo di questo appartamento, per non parlare di capelli e peli pubi-»

«Cristo, che schifo!»

«Guarda che li perdi anche tu i capelli e non solo quelli, amico mio, ne sono sicuro...», lo aveva agguantato per il polso mentre stava portando al tavolo le posate. Se lo era trascinato vicino e circondandogli le spalle con un braccio aveva preso a scompigliargli i capelli, «oppure Eddie Spaghetti ha capelli fatti di fili di seta e pelle cosparsa di polvere di fata? Carino, carino come un mini pony! Sentilo come profuma, anche! Di zucchero filato e cacca di unicorno!»

«Ma che cazzo ti prende? Piantala!» lo sentì divincolarsi brutalmente e lo lasciò andare, ma non riuscì a trattenere una risata a come il viso gli si era congestionato.

«Tu sei pazzo», Eddie si picchettò una tempia con un dito, posando di malagrazia le posate sul tavolo.

«Pazzo di te, my love».

«No, pazzo e basta», lo sentì rispondere, mentre si sistemava alla bell'é meglio i capelli che gli aveva assolutamente sconvolto, rendendolo, se possibile, ancora più irresistibile ai suoi occhi. Richie si ritrovò a sbirciarlo, rendendosi conto che, sotto sotto, Eddie stava sorridendo. La cosa lo riempì di una malsana euforia, nonostante gli fosse ben chiaro quanto poteva considerare patetico conservare ancora tutta questa devozione nei confronti dell'amico. Ancora, dopo così tanti anni.

«Ora Richie alza il culo e dammi una mano ad apparecchiare o questa roba te la ritrovi per cena.»

«Sì, capitano, mio capitano», esalò, saltando giù dal bancone, facendo diligentemente ciò che gli veniva chiesto, «... ma a proposito di cena...».

Recuperò il succo d'arancia dal frigorifero, sistemandolo sul tavolo assieme alle altre cose.

Eddie sollevò un sopracciglio, sbirciandolo con sospetto.

«Cosa? Non ho ancora detto niente!»

«È una misura preventiva.»

Richie si mise seduto rumorosamente con un sospiro esasperato: «Povera donna quella Myra, le sono assolutamente solidale. Disgraziata creatura, dodici anni di matrimonio con una simile strega.»

Eddie fece finta di niente ma gli servì la colazione, mettendosi seduto a sua volta, riservandogli un rumorosissimo silenzio.

Si chiese se non stesse esagerando, ma non ci poteva fare niente se, ora che erano di nuovo insieme, l'adolescente che regnava sopito nel suo spirito era risorto più forte di prima. Semplicemente si era ricordato che significava passare del tempo con Eddie e come lo facesse sentire vivo potergli dedicare tutte quelle stupidissime attenzioni. In un certo senso sì, gli sembrava di essere ringiovanito di almeno vent'anni, come se il suo spirito lo costringesse a recuperare tutto il tempo in cui erano stati separati, e no, non gli importava nulla di come potesse venir percepito. Erano secoli che non si sentiva così bene e tanto bastava.

Il pensiero della famosa conversazione notturna tornò rapido a farsi strada nei suoi pensieri. Rimproverò di nuovo quella sua memoria a groviera che proprio nell'ora del bisogno si prendeva gioco di lui. Si costrinse a scacciare la riflessione per concentrarsi su un'altra questione che gli stava altrettanto a cuore.

«Dicevamo: cena», cominciò, sentendosi addosso ancora quel suo sguardo sospettoso, «sono stato invitato a un compleanno stasera, una festicciola con qualche amico intimo... non che ci tenga particolarmente ad andarci ma...»

«Oh, ti prego non farti scrupoli per me. Devi andarci», Eddie ovviamente non gli aveva nemmeno permesso di concludere la frase, «anzi, mi chiedevo se non fossi una specie di asociale che passa le sue giornate ad assistere gli scappati di casa.»

«No, Eddie, non...»

«Non voglio scuse, per favore, vacci... me la caverò per una sera, qui, da solo. Finalmente potrò guardare qualcosa su quel mega televisore che hai in sala, oppure...»

«Oppure potresti venire con me», riuscì miracolosamente a interromperlo.

Perché diamine non gli permetteva mai di finire un discorso?

Eddie gli rivolse uno sguardo disorientato come fosse la domanda più assurda che si fosse sentito rivolgere da anni e, per un attimo, fu certo che sarebbe arrivato un rifiuto.

«Pensavo potrebbe essere l'occasione giusta per uscire un po' di casa. Conoscere gente nuova, respirare anche... aria diversa che non siano le mie cellule morte.»

«Richie, io non lo so se...»

«Sono persone simpatiche», lo prevenne, «Okay, per lo più attori un po' presuntuosi, che non faranno che parlare delle loro carriere in decollo ma... mi farebbe piacere venissi. Davvero. Mi piacerebbe presentarti ai miei amici.»

Questa fu la frase che sembrò far breccia, più delle altre, nel cuore di Eddie; perché per un breve istante gli sembrò di vederlo arrossire. Se ancora si stesse chiedendo se Richie aveva intenzione di accoglierlo a tutto tondo nella sua vita, quella doveva essere stata la risposta.

«Non ho niente da mettere», disse, ma dal tono si intuiva che stava cedendo.

«Cosa... ?» scoppiò a ridere, «Ma se ti sei portato dietro la valigia di Mary Poppins?»

«Fino a ieri non hai fatto altro che prendermi in giro sul fatto che io possieda solo delle Polo!»

«Bè, una collezione di tutto rispetto non c'è che dire ma... nessuno si formalizzerà per questo. E poi al mio spettacolo indossavi una camicia.»

Ancora ce lo aveva stampato in mente, come un'istantanea, il modo in cui se lo era ritrovato davanti dopo tutti quei mesi, dietro le quinte del teatro: la barba di tre giorni, sapientemente coltivata per nascondere la cicatrice sul viso, una camicia verde, una giacca nera e un paio di jeans scuri. Non se lo sarebbe dimenticato tanto facilmente.

Così come invece si era scordato proprio come aveva reagito al suo cazzo di trasloco. Perché diamine il pensiero tornava puntualmente a mirare lì? Doveva liberarsene, non pensarci, e magari gli sarebbe arrivata, a sorpresa, un'illuminazione divina.

«Dovrei stirarla», le sue parole a strapparlo di nuovo dal recuperare quel ricordo perduto.

«Sai che problema», stronfiò, «certo, se ci metterai lo stesso tempo che ci hai impiegato per cucinare due crepes a colazione...»

«Vaffanculo, Richie», si era ritrovato a raccogliere un tovagliolo che gli era finito dritto in faccia.

Lo sentì ridere e capì che era fatta. Sarebbero andati insieme a quella stupida festa.

 

***

 

La mano cominciava a fargli male davvero.

Richie fissò quel pezzo di carne che oscillava, affisso a quel gancio di ferro rugginoso e si chiese come doveva essere stata, da viva, quella povera pecora. Si fissò le nocche, rese viscide da quella sessione improvvisata di pugilato, sentendosene vagamente nauseato.

All'inizio credeva che lo facesse stare meglio, ma ora era più che altro disgustato dall'idea di aver preso a pugni il cadavere di un animale.

«Dovresti andare a parlargli, Richie...»

Si voltò, trovando Mike ancora lì, seduto su una cassa.

«Per dirgli cosa?», lo interrogò, ripulendosi vagamente la mano sui calzoni, «Buona vita Eds, divertiti con i tuoi nuovi amici, lontano da qui.»

«Se togli la seconda parte, potrebbe essere un buon inizio.»

Richie fece un verso incomprensibile e diede la schiena al suo punching ball, per raggiungere l'amico.

«Lo sai che non è stata una sua decisione».

Mike cercava sempre di farlo ragionare, era un atteggiamento che lo faceva andare fuori di testa! Eppure non riusciva a dargli contro, mai, non in modo convincente almeno.

«Certo. Però nemmeno si è opposto. Non si oppone mai alle decisioni di mammina.»

«Dai, Richie...» Mike scosse la testa, «hanno potuto fare qualcosa gli altri? Bev, Ben, Stan... e Bill? Nemmeno con Stan te la sei presa tanto.»

«Grazie tante, Stan non ce le ha le palle. Non lo sai che gliele tagliano da neonati? È ebreo.»

«Guarda che non si tagliano mica le palle...»

«Fa' lo stesso...»

«Dovresti almeno andare a salutarlo.»

Richie sbuffò qualcosa, fingendo di essere più scocciato che disperato. Perché era così che si sentiva da qualche settimana a quella parte: disperato. Forse una parola un tantino esagerata per un ragazzo di quattordici anni, ma non avrebbe saputo etichettarla in nessun'altra maniera quella sensazione di soffocamento all'altezza del petto ogni volta che pensava alla partenza di Eddie. Al fatto che non avrebbe più potuto vederlo ogni volta che gli fosse preso il pallino di farlo. Che non avrebbe più potuto parlarci, prenderlo in giro, presentarsi a casa sua pronto a far innervosire mamma Kappa, toccarlo per indispettirlo e... abbracciarlo come si era sempre preso la libertà di fare.

«Andrò a salutarlo quando sarà il momento», gli rispose, deciso a continuare con quella sua ostinata noncuranza.

«Allora dovresti sbrigarti: parte stasera.»

Richie si voltò come un fulmine in direzione di Mike.
«Che cosa?»

«Sì, stasera. Sono passato ieri a salutarlo, oggi sarebbe stato troppo preso con il trasloco.»

«Merda!», saltò su Richie, ripulendosi di nuovo la mano sui calzoni, «ma perché cazzo non me lo hai detto subito?»

«Non lo hai chiesto!»

«Oh dai, Studioacasa!» corse letteralmente verso la sua bicicletta, montandoci sopra ancora prima di essere uscito dal capannone.

Fu fuori in un lampo, a pedalare - come diceva sempre Bill - come avesse il diavolo alle calcagna.

Riuscì a malapena a sentire l'incoraggiamento di Mike dalle retrovie, troppo preso ad ascoltare le grida del suo io interiore che lo insultava per aver perso tutto quel tempo, per una stupida questione d'orgoglio.

 

***

 

«Non avevi detto che era una festa per pochi?»

Eddie non aveva tutti i torti a sembrare vagamente perplesso.

Il party 'per pochi intimi' sembrava essersi trasformato in un veglione di capodanno, con tanto di animazione. Avrebbe avuto modo di rimproverare Steve, il festeggiato, più tardi per quella trappola inspiegabile. Probabilmente l'uomo aveva solo cercato di indorargli la pillola per convincerlo, sapendo quanto poco ci tenesse a partecipare a uno stupido compleanno. Ma ora Richie si trovava a dover giustificare un simile equivoco a un amico già piuttosto provato psicologicamente.

«Mi dispiace. Se vuoi ce ne andiamo», fu tutto ciò che riuscì a proporre per evitare di prolungare ulteriormente il disagio.

«Ma figurati, Richie. Sono perfettamente in grado di sopravvivere a una festa.»

«Sicuro?»

«Piantala... o ti prendo a calci in culo.»

«Non mi conosci sotto questo aspetto» rispose con un mezzo sorriso, «potrebbe piacermi... oh, Anastasia!» si era allungato per salutare una delle tante visite a sorpresa della serata. Gente di cui gli importava poco e niente, in realtà, ma che gli era servita, in passato, a creare agganci interessanti per la sua carriera.

«Dio, Richard, sei uno splendore!» squittì la donna: capelli rossi acconciati in una stretta coda di cavallo e una massa di trucco un po' esagerata per una festa informale. Gli baciò entrambe le guance con un po' troppo impeto.

«Non credevo ti saresti fatto vedere, questi anniversari mondani li detesti. Deve essere un'occasione davvero speciale...» la vide allungare lo sguardo alle sue spalle e adocchiare Eddie. E poi indicarlo con aria sorpresa.

«Non mi dire che... ?»

«No», la prevenne, sapendo esattamente dove volesse andare a parare.

«Il tuo nuovo fidanzato?» Appunto.

«Chi, questo piccoletto?» diede un buffetto sulla testa a Eddie, lasciando che si scansasse infastidito, come da copione. «No. Non lo è», concluse, sapendo che sarebbe servito a ben poco per convincerla.

«Eddie, sono solo Eddie.»

«Piacere, Anastasia» la donna aveva avvicinato il presunto fidanzato di Richie e schioccato anche a lui un paio di rumorosi baci, «sei carino! Richard ha un debole per gli uomini carini. Piacere di conoscerti. Te la prenderesti molto se te lo rapissi per due minutini?»

Richie mandò a Eddie un terrorizzato segnale d'aiuto con lo sguardo ma l'uomo gli rivolse, di rimando, un sorriso che era tutto un programma. Una vendicativa punizione per quello stupido appellativo. Ma perché lo aveva chiamato piccoletto?

«Ci mancherebbe altro, Anastasia», disse, mettendoci persino la firma in calce, alla sua indignata condanna «è tutto tuo.»

«Bastardo...» gli mimò con le labbra Richie mentre veniva trascinato via, in una nuvola di profumo dolciastro.

 

***

 

Da quanto era crollato sul letto non aveva fatto altro che dare pugni al cuscino.

«Stupido Kaspbrak...» soffocò un grido, mordendo il copriletto; ma nemmeno insultarlo lo faceva sentire meglio, «Stupido Richie Tozier!» aggiunse allora, sapendo perfettamente che, darsi finalmente la colpa per essersi impedito di impiegare meglio gli ultimi giorni che avrebbe potuto passare assieme a Eddie, sarebbe stata l'unica espiazione possibile.

Tutti quei giorni a bighellonare in giro da solo come un povero stronzo, tutto quel tempo perso ad assillare Mike con le sue fesserie sugli amici traditori, quando invece avrebbe potuto tenersi stretto Eddie e conservare per sempre il ricordo dei loro ultimi giorni insieme. Solo lodo due. Insieme.

Diede un altro pugno al cuscino e rotolò sulla schiena, volto al soffitto. Chiuse gli occhi e andò con le dita a cercare sulle labbra ancora quella sensazione.

Quel sapore caldo e salato. Ci passò sopra la lingua, fece sparire il labbro inferiore fra i denti, succhiandolo come fosse una caramella, senza però riuscire a ritrovarla, non così limpida come quel pomeriggio.

Rilasciò gravemente il fiato, avvertendo un peso opprimente all'altezza del petto. Un disagio che non lo aveva abbandonato nemmeno per un istante, mentre pedalava verso casa.

«Stupido Eds...», mormorò, prima di lasciarsi sfuggire un singhiozzo non preventivato.

Realizzò improvvisamente che non c'era altro modo in cui avrebbe potuto esprimere tutta la tristezza che aveva in corpo quella sera, se non piangendo.

Così pianse. Pianse come un bambino. Pianse a lungo; tanto a lungo che le lacrime sembrava non finissero mai, come se le avesse trattenute per così tanto tempo che ora avevano deciso di uscire tutte insieme, in un'unica, travolgente ondata di dolore.

Lo avrebbe mai rivisto?

Certo. Certo che lo avrebbe rivisto... e quando sarebbe successo non avrebbe mai più permesso di trattenere tanto a lungo quello che provava. Gli avrebbe parlato, si sarebbe confessato. A qualsiasi costo.

Una promessa. Si era appena fatto una promessa che avrebbe dimenticato per anni.

 

***

 

«Richard, ma mi ascolti?»

«Come?» l'uomo si era voltato a fissare gli amici che gli avevano fatto capannello attorno. Non era sicuro di ricordare quando avesse perso interesse per l'argomento in questione, ma di certo ora sapeva di aver recuperato un ricordo.

Non esattamente quello che sperava, ma qualcosa sì. Una su tutte la sensazione di aver completamente mancato la partenza dell'amico, quel giorno di oltre vent'anni prima. E di essersene pentito così amaramente da aver perso tutta la notte a piangere sul suo perduto amore adolescenziale.

Il senso di colpa si insinuò potente nel suo stomaco, ritrovandosi persino nauseato dall'odore del drink che aveva nel bicchiere.

«Scusate, vi interrompo un secondo, è che devo andare a recuperare il mio...»

«Fidanzato?» di nuovo Anastasia all'attacco, «Eddie, vero? Credo di averlo visto chiacchierare con Michael prima.»

«Michael chi?»

Una risata soffocata: «Ma come Michael chi? Biondo, carino... te lo sei scopato per almeno tre mesi».

Richie sentì lo stomaco fare una capriola non preventivata.

«Michael è qui?»

«Sì, pensavo lo sapessi.»

«No, che cazzo», la nausea cominciò a montare in rabbia, «se avessi saputo che veniva qui anche lui col cazzo che mi sarei presentato, ma che diavolo avete nel cervello?»

«Scusa tesoro, non sapevo che fosse finita tanto male.»

Male non era proprio la definizione giusta. Con Michael era finita perché si era rivelato un mezzo psicopatico vendicativo. Michael, che almeno un paio di volte, durante un amplesso, aveva erroneamente chiamato Eddie. Michael che aveva voluto spiegazioni, Michael che aveva scoperto che Richie era ancora innamorato di una chimera d'infanzia. Michael che... non l'aveva digerita affatto bene. E che gli aveva distrutto mezza casa, prima di andarsene, lasciandogli giusto delle bustine di valeriana.
Richie biascicò un insulto mal riuscito, allontanandosi senza nemmeno dare spiegazioni. Doveva trovare Eddie e levare le tende il più rapidamente possibile. Ma che diavolo gli era venuto in mente di accettare un invito del genere? Una festa, per far distrarre Eddie? Avrebbe potuto portarlo ovunque! Anche solo a passeggiare nel parco come si fa coi cani, come fanno gli anziani o i cacciatori di foliage. Perché a una cazzo di festa piena di gentaglia che insisteva a definire amica?

Lui che di veri amici ne aveva avuti solo a Derry. Gli unici che lo avevano sempre accolto, accettato, amato, senza chiedere niente in cambio.

Si fece largo fra la folla (c'era così tanta gente anche prima?), cercando Eddie con lo sguardo. Non era così difficile da individuare: piccolo, capelli scuri, nervoso e...

«Perso qualcosa, Richie?»

Si fermò all'istante, una mano a bloccargli il braccio. Viso delicato, capelli biondi, occhi malefici: Michael. L'impersonificazione dei suoi incubi odierni. Se IT fosse stata ancora vivo, sarebbe stata esattamente quella la forma che avrebbe scelto quella sera.

«Sì, la pazienza... che ci fai qui?»

«Io? Sono stato invitato, come tutti gli altri.»

«Va bene, non mi interessa, sto solo cercando...»

«Eddie?» sentir pronunciare all'uomo quel nome gli fece scivolare un brivido lungo la spina dorsale. Una sensazione alquanto sgradevole.

«Come fai a sapere che... ?»

«Perché ci ho parlato prima: simpatico. Almeno fino a quando non gli ho detto che in qualche modo già lo conoscevo.»

«Che vuoi dire? Che cazzo gli hai detto?» allargò le braccia, ben sapendo che nessuna delle mosse di Michael erano casuali. Men che meno lo era stata quella di fingere di conversare amabilmente con Eddie, per l'appunto.

«Dov'è adesso?»

«Credo se ne sia andato. Non sembrava molto contento di restare...»

«Sei uno stronzo. Uno stronzo psicopatico!»

«Carino. Tutto questo amore per cosa, esattamente? Gli ho solo raccontato la verità!»

«Piscopatico e isterico!» gli gridò dietro, prima di dirigersi verso la porta d'ingresso.

Non si preoccupò nemmeno di salutare il festeggiato... del quale aveva praticamente dimenticato l'esistenza. Si era precipitato giù per le scale e poi in strada. A guardarsi attorno come se sperasse di rintracciare la sagoma di Eddie ancora nei paraggi. Ma Eddie non era lì.

Eddie se n'era andato.

 

***

 

«Rich... io stasera me ne vado»

«Lo so. Me lo ha detto Mike.»

«Io non me ne voglio andare»

«Nemmeno io voglio che tu te ne vada.»

 

«Questi sono tutti tuoi, ricordati di me, mentre li leggi.»

«Sarebbe comunque impossibile dimenticare che sono tuoi, sembrano nuovi.»

 

Il cuore batteva rapido, rapidissimo.

E le labbra di Eddie erano sulle sue. Come in uno di quei sogni imbecilli che lo facevano svegliare con una sensazione di compiacimento e pace interiore.

Le sue labbra erano calde e salate.

Le sue labbra erano piccole, umide, calde e salate...

Nemmeno nelle sue fantasie era riuscito mai a immaginarle così piccole e umide. Gli sembrarono così perfette in quell'attimo che sembrò congelato nel tempo. Felicità cristallizzata in un solo istante.

E poi.

Eddie se n'era andato.

Eddie, quella sensazione perfetta che era sicuro di aver rincorso da sempre.

Andati.

 

***

 

Richie si sfiorò le labbra con le dita.

La percezione di quel bacio come fosse avvenuto solo un istante prima.

Così come si era materializzato il ricordo, la sensazione lo aveva travolto con una tale forza da freddarlo lì, sulla soglia di casa.

Gli ci volle qualche istante per riprendere le fila del discorso.

Per ricordarsi per quale motivo si fosse precipitato a casa innanzitutto. Eddie non rispondeva al telefono, non alle chiamate, non ai messaggi.

Quel pezzo di stronzo di Michael doveva averlo irritato a morte, o raccontato una quantità di palle tale da aver spinto Eddie a scappare come Clint Eastwood in Fuga da Alcatraz.

Entrò in casa di slancio e già solo le luci accese gli confermarono che doveva essere tornato prima di lui.

«Eddie... ?» lanciò le chiavi sul tavolino dell'ingresso e si richiuse la porta alle spalle, vagando per le stanze, cauto come si preparasse ad affrontare l'attacco di una belva.

«Eddie, mi spieghi perché te ne sei... ?»

Sentì il rumore di un rullio sommesso e poi Eddie comparire sulla soglia della sua stanza, portandosi dietro il grosso trolley che aveva con sé quando era arrivato a Philadelphia.

«Che stai facendo?»

«Me ne vado.»

«Perché? Che ti prende? Che è successo? Ti ho cercato alla festa, ti ho chiamato, non hai risposto, ti sembra il modo di fare?»

«Non ho tempo per indagare sulla mia mancanza di buone maniere ho un taxi che mi aspetta.»

«Cosa? Perché? Per andare dove, così all'improvviso? È per quello che ti ha detto Michael? Quello è uno psicopatico, dice un sacco di cazzate.»

«Cazzate tipo quali?»

«Bè... c-cazzate: dal convincerti dell'esistenza del 30 febbraio come quella di Babbo Natale!» non era certo pronto a chiedergli se Michael avesse avuto il cattivo gusto di rivelargli che era a Eddie che pensava, mentre facevano sesso.

«O cazzate tipo che mi inviti a una festa solo per farlo ingelosire per riconquistarlo, facendo credere a tutti che ero la tua nuova conquista?»

«Ma che cosa? No! Chi cazzo te lo ha detto questo?»
«Michael?»

«Ma no!» psicopatico del cazzo, «e tu gli hai creduto? Ma se nemmeno sapevo che sarebbe venuto? Quello mi ha mezzo distrutto casa quando ci siamo lasciati, uno che beve valeriana che sa di piedi e tu gli hai creduto?»

Eddie non fece altro che allargare le braccia.

«Andiamo, Eddie, mi conosci!»

«Non lo so, ti conosco? Sono ventisette anni che non ci frequentiamo.»

Richie sentì montargli dentro una rabbia nervosa e inarrestabile.

«Sì che mi conosci, solo che ti sei sentito umiliato dalle parole di quel deficiente perché pensavi che fossi lì solo per lui! Quando in cuor tuo speravi che io fossi lì solo per te.»

«Ma che cazzo stai dicendo?»

«Sto dicendo che me lo sono ricordato!»

Eddie indietreggiò di un passo: «Ricordato... cosa... ?»

«Ricordato il giorno in cui te ne sei andato da Derry.»

Richie lo osservò per captare la sua reazione che non tardò ad arrivare.

Anche Eddie lo ricordava, certo. Oh sì che se lo ricordava. Ne ebbe la certezza dall'improvviso panico che gli lesse negli occhi. Chi meglio di lui, Richie Tozier, il frocetto, come lo chiamava Bowers, che di segreti era un esperto, avrebbe potuto riconoscere quella precisa espressione di smarrimento e umiliazione?

Da quanto tempo Eddie si portava dietro quel segreto? Lo stesso segreto che Richie stesso si era portato dietro per... anni?

«Eddie, è tutto okay...»

«Non è tutto okay. Perché non è vero. Non te lo ricordi. Non puoi...» gli aveva puntato contro un dito, come a cercare di intimarlo a mantenere le distanze.

«Sì che me lo ricordo. Non ho fatto altro che pensarci in questi giorni e solo quando te ne sei andato via da quella festa del cazzo mi è tornato in mente.»

«D'accordo...» lo vide gonfiare il petto come a darsi un tono, «se te lo ricordi allora non avrai problemi a raccontarmelo».

«Eds...»

«Non chiamarmi Eds... lo sai che lo odio.»

Era davvero quello di cui aveva bisogno per sbloccarsi? Sentirgli raccontare per filo e per segno come si erano svolte le cose?

«Farò qualcosa di meglio che raccontartelo», disse, prendendo un'improvvisa, probabilmente stupida e istintiva decisione. Una di quelle in pieno stile Richard Tozier. Lo fissò dritto negli occhi e si avvicinò quel tanto che bastava per accendere il dubbio negli occhi di Eddie.

E nella sua testa il gesto gli era sembrato intelligente, sveglio, persino sexy sotto un certo aspetto.

Glielo avrebbe mostrato. Lo avrebbe baciato, così di sorpresa come lui aveva fatto il giorno della sua partenza. Magari mettendoci un po' più di entusiasmo.

Quando però fu a un passo dalle sue labbra, dopo essersi chinato su di lui senza alcun indugio, Eddie gli aveva puntato le mani sul petto.

«Woah, che cazzo stai facendo?!» la sua vocetta isterica a disintegrare quella fantasia perfetta e... al momento decisamente molto poco sexy.

«Ti stavo... mostrando?»

«No. No, no, no», Eddie lo aveva spintonato e dribblato su un lato, recuperando in corner il suo mega trolley.

«Eddie!», cercò di rincorrerlo per fermarlo, ma l'uomo si volse nella sua direzione con un tale impeto e una tale furia che non ebbe coraggio di portare a termine il suo intento. Il suo sguardo di fuoco lo raggelò all'istante.

«Non ti avvicinare.»

«Non volevo spaventarti, io volevo solo...»

«Perché cazzo devi sempre rovinare le cose, Tozier?»

«Perché ce l'ho nel DNA?», suppose, senza riuscire a razionalizzare del tutto la reazione di Eddie, «senti, mi dispiace, pensavo andasse bene, insomma... l'ultima volta lo hai fatto tu per primo.»

«L'ultima volta avevo tredici anni!»

E questo che cazzo voleva dire? Che era venuto a cercarlo, lo aveva spinto a ricordare proprio quel particolare episodio per assicurargli che si era trattata solo di una specie di esplorazione adolescenziale, senza ripercussioni? Che avesse davvero frainteso quel terrore che gli aveva acceso lo sguardo solo qualche istante prima?

No, non aveva frainteso. Ci si era riflesso, dentro quella paura, per troppo tempo, per poter fraintendere. Solo, forse... aveva accelerato le cose. Questo poteva concederglielo.

«Eddie... mi dispiace. Davvero.»

«Lascia perdere». Vide Eddie riprendere in mano il trolley e trascinarselo sul pianerottolo, fuori dal suo appartamento. La porta si chiuse con fragore l'istante successivo.

Il primo istinto fu quello di corrergli dietro, di nuovo, di scusarsi, una volta ancora. Ma sapeva che a questo giro non se la sarebbe cavata con un paio di battute. Richie era stato un emerito coglione, niente di più, niente di meno. Era stato così entusiasta dall'aver recuperato un ricordo che confermava, in qualche modo, che anche Eddie provava qualcosa per lui, che aveva perso la bussola. E aveva esagerato. Come al solito.

Perciò se ne rimase lì, a fissare la porta chiusa, senza sapere cosa fare.

E poi, dopo un tempo che non riuscì a quantificare... capì che cosa doveva fare.

Recuperò il telefono.

Se era di tempo ciò di cui Eddie aveva bisogno, allora gliene avrebbe dato. Non lo avrebbe chiamato, non tempestato di messaggi per giustificare il suo gesto.

Un messaggio vocale. Avrebbe potuto ascoltarlo subito, fra due settimane, un mese, ma gli avrebbe spiegato quello che sentiva, dandogli tutto il tempo del mondo per assimilarlo. L'unica buona idea che sembrò avere da decenni.

Pigiò il tasto e cominciò la registrazione.

«Eds... Eddie...», il telefono alla mano, faccia alla porta chiusa, «ti chiedo ancora scusa. Per quello che ho fatto. Per averti messo... fretta. Ma converrai con me quanto recuperare un ricordo del genere possa essere stato... inaspettato. Insomma... Eddie Kaspbrak che bacia Richie Tozier senza nemmeno chiedersi se si fosse lavato i denti, prima. Pazzesco, eh?»

«Quello che volevo dire è che: lo so. Lo so quanto la cosa possa averti spaventato. Ha spaventato me... per più di trent'anni. Scoprirlo poi quando sei un uomo fatto e finito deve essere un bello shock. Già... lo sto realizzando proprio mentre te lo sto dicendo, quanto deve essere stato tosto. Mentre io non ho fatto altro che pensare a me stesso e lasciarmi prendere dall'entusiasmo senza pensare, una sola volta, alle conseguenze di questa stronzata. Non smetterò mai di chiederti scusa, per essere stato, così... me? Troppo impulsivo. Troppo entusiasta. Il fatto è che... quando scopri che la persona per cui avevi una cotta da ragazzino, provava le stesse cose per te, qualcosa dentro scatta per forza. Sopratutto quando sei un adulto ancora più coglione e sai che quella persona non ha mai smesso di piacerti. Nemmeno per un secondo. Quella stessa persona che quasi rischiavi di perdere per sempre, per colpa di un clown di merda... e alla quale hai rischiato di non dire mai quello che provavi per lui.»

«Perciò... insomma... prenditi tutto il tempo che vuoi per elaborare questa cosa, ma non... non sparire per sempre. Torna, parliamone; parliamone anche dieci, cento, mille volte: giuro che non cercherò più di baciarti a tradimento, pensando sia una cosa sexy da fare. Non è stato sexy per niente. Cioè, nella mia testa lo era, ma è uscita fuori un'altra di quelle cose grottesche che solo Richie Tozier riesce a fare.»
«Prenditi tutto il tempo che vuoi... ma torna. Io ti aspetterò qui. Come amico, prima di tutto. Sempre, per prima cosa, come tuo amico. Dopotutto... sono o non sono la tua bolla?» concluse con un mesto sospiro, prima di spedire il messaggio così come lo aveva registrato, senza nemmeno riascoltarlo; ben consapevole che, se lo avesse fatto, lo avrebbe cancellato seduta stante.

Restò a fissare le spunte del messaggio che da una diventavano due. Aspettandosi quasi che gli arrivasse la notifica di lettura immediata. Ma non fu quello che accadde.

Al contrario.

Qualcuno bussò improvvisamente alla porta.

Con una forza tale - o così parve a Richie - che per poco non gli scappò il telefono di mano dalla sorpresa.

E adesso chi cazzo era?

Per un istante fu quasi tentato di non rispondere nemmeno, poi decise che magari riusciva a scapparci uno sfogo con il rompicoglioni di turno.

Perciò, quando spalancò la porta, gli venne quasi un colpo a ritrovarsi proprio Eddie di fronte.

La causa delle sue gioie e suoi dolori.

«Ma non te ne eri andato?» chiese vagamente intontito, sicuro di aver dipinta in volto un'espressione orribile.

«Ero, ma sono tornato», nemmeno Eddie sembrava il ritratto della serenità.

«Ti ho... appena mandato un messaggio...»

«Lo so. Ho sentito.»

«Sentito? Ma non hai...»

«No, non dal cellulare... dalla porta.»

Dalla porta? Richie si trovò a fissare il pianerottolo come se non riuscisse a comprenderne le dinamiche, poi capì che Eddie non doveva aver fatto molta strada una volta uscito.

«Stavo per andarmene quando mi sono reso conto di aver scordato la borsa con tutte le mie medicine, e poi, mentre stavo per bussare, ti ho sentito... parlare.»

Ed era rimasto ad ascoltare. Il quadro generale adesso era molto più chiaro.

Richie non sapeva cosa dire, imbarazzato come non credeva possibile. Indeciso se insistere con la stessa lunga, tediosa tiritera del messaggio per convincerlo a restare, oppure non fare assolutamente niente e lasciare a Eddie la mossa successiva.

«Quindi sei tornato per il beauty case?»

Eddie avanzò nell'ingresso, trascinando dentro anche la valigia. Richiudendosi la porta alle spalle.

«No... non lo voglio il beauty case», biascicò, mollando quel trolley in un angolo, una volta per tutte.

Richie sentì il sollievo irradiargli il petto, lo stomaco e tutto il resto. Non era mai stato più felice di aver fatto una colossale figura di merda.

«Mi dispiace.»

«Piantala di dire: mi dispiace o me ne vado di nuovo.»

«D'accordo, allora: non mi dispiace.»

«Coglione», Eddie gli elargì un sorriso appena accennato, ma pur sempre un sorriso dopotutto «ci riesci a smettere di dire cazzate per due fottutissimi minuti?»

«No. Cioè sì, posso.»

«Davvero?» Eddie gli si era avvicinato e lo stava guardando in modo strano, dal basso verso l'altro. E poi aveva solo avvicinato le mani al suo viso e afferrato le astine dei suoi occhiali, prima di sfilarglieli.

«Gli occhiali non sono il superpotere per le mie cazzate, Spaghetti...»

«Zitto, ho detto. Ci riesci a stare assolutamente zitto per due minuti?»

Richie si costrinse ad annuire e mimare di cucirsi le labbra. Poco a suo agio, perché ora non riusciva nemmeno a vederlo in modo nitido.

Si sentiva nudo, senza i suoi occhiali. Non permetteva mai a nessuno di sfilarglieli, di certo non si aspettava fosse Eddie a farlo. Sì, perché se le ricordava ancora le volte in cui, da ragazzini, Eddie lo rimproverava per lo stato assolutamente pietoso delle sue lenti. Lo costringeva a toglierli, senza toccarli mai, se non dalle sue mani, come se riconoscesse la sacrale importanza di quell'oggetto per Richie, e glieli lucidava meticolosamente con qualche prodotto che teneva nascosto nel suo marsupio. E quando glieli restituiva, Richie riusciva a vedere, di nuovo.

Perciò nemmeno fu troppo sorpreso, dopo un gesto tanto ardito, che Eddie ora li avesse chiusi e riposti sul tavolino dell'ingresso, accanto alle chiavi di casa.

Avrebbe voluto chiedergli se non fosse stata una premura prima di prepararsi a schiaffeggiarlo, per pareggiare i conti senza distruggergli le lenti, ma qualcosa, dentro di lui, aveva preso molto sul serio la richiesta di silenzio dell'amico. E lo lasciò fare.

Sentì le sue mani sul viso, di nuovo, le dita che saggiavano delicatamente le linee dei suoi zigomi, della mascella.

Il silenzio tutt'intorno, la sua delicatezza e la vista annebbiata, gli fecero dubitare che stesse succedendo davvero.

Però riuscì a immaginarlo, Eddie, issarsi sulle punte dei piedi per poterlo raggiungere.

Gli avrebbe facilitato il compito se solo avesse immaginato quello che sarebbe venuto dopo.

E se anche Richie, più avanti, avrebbe giurato di aver capito all'istante quello che Eddie stava per fare, nel momento in cui accadde davvero, non riuscì a concentrarsi su null'altro che il tumulto accelerato del suo battito cardiaco, il brivido inaspettato lungo la schiena, la bolla di calore in fondo allo stomaco, il singhiozzo carico di sorpresa che gli era scaturito dalla gola e quelle due piccole e umide labbra che richiedevano, improvvisamente, tutta la sua attenzione.

 

 

Continua...

  
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