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Autore: _ A r i a    01/02/2020    1 recensioni
A Caleb torna in mente quella volta in cui, diverso tempo prima, quando David si arrischiava ancora ad uscire di casa di tanto in tanto, loro due si erano attardati e nel mentre era scoppiato un temporale improvviso. Ovviamente nessuno dei due aveva portato con sé un ombrello, così Caleb gli aveva proposto di correre fino a casa. David aveva accettato, così si erano precipitati sotto il diluvio universale, vestiti fradici e piedi che affondavano nelle pozzanghere. A un certo punto, tuttavia, Caleb aveva smesso di sentire i passi di David alle sue spalle, così si era voltato e l’aveva trovato immobile sotto la pioggia, gli occhi chiusi e le braccia distese, come se stesse aspettando di essere cancellato da quel rovescio.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Caleb/Akio, David/Jiro
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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nėptune



Caleb non ricorda come sia cominciato.
Forse era successo per assecondare l’irrazionale bisogno del genere umano di non essere soli.
Per cosa, poi? Per non essere compatiti?
In David aveva trovato una solitudine simile alla sua. entrambi si usavano per salvarsi, ma la verità è che fingevano di essere l’uno la roccia dell’altro.
Certi dolori sono troppo profondi e viscerali per essere cancellati dalla sola presenza di qualcuno.
Caleb rientra a casa, in un grigio pomeriggio d’inverno. Fuori ci sono nuvole cariche di pioggia e il mondo continua a girare incurante di tutto e di tutti; dentro l’appartamento, invece, regna il silenzio più totale, accompagnato solo dal buio, fedele amico di sempre. I mobili sono sovrastati dal consueto strato di polvere, mentre oggetto è rimasto nella posizione in cui Caleb l’ha visto per l’ultima volta, quella mattina, prima di uscire. I libri sui loro scaffali, le stoviglie della colazione ancora da lavare posate nel lavello della cucina.
La porta si chiude alle sue spalle, e Caleb si lascia sfuggire un sospiro pesante, permettendo alla sua giacca di cadere sull’appendiabiti all’ingresso. Di rado gli era passato per la mente il pensiero che andare a vivere insieme fosse stata una cattiva idea, salvo poi scacciarlo via subito dopo, passandosi una mano davanti al volto come allontanando un insetto fastidioso. Certo, ai più la loro sarebbe potuta sembrare una relazione basata solo sul sesso, ma Caleb sapeva che c’era molto di più. All’inizio forse erano stati proprio loro a pensarla così – “nulla di impegnativo, niente di serio, sarà solo un gioco per divertirci un po’” –, ben presto tuttavia era stato evidente ad entrambi che non avrebbero mai potuto permettersi quella leggerezza che tanto agognavano.
Caleb attraversa il corridoio in silenzio, l’unico rumore che si rincorre lungo le pareti è l’eco dei suoi passi.
Trova ogni stanza vuota: la cucina, il soggiorno, perfino la loro camera da letto. È un appartamento piccolo e modesto, eppure ai loro occhi era sempre stato perfetto, arredato con lo stretto necessario: pochi mobili, tutti volti ad un’unica parola d’ordine, praticità. In effetti, in quel suo essere così strettamente essenziale, era ancor di più uno specchio delle loro personalità. Il divano di seconda mano, i libri acquistati al mercatino delle pulci, i piatti e i bicchieri tutti contraddistinti da almeno una sbeccatura. David diceva di amarli per questo, perché li rendeva unici – “sono come noi, hanno tutti un difetto” – e, per quanto Caleb potesse fare il duro e prenderlo in giro, in realtà sapeva che aveva perfettamente ragione – e David era al corrente anche di questo.
Erano una bella coppia, in fin dei conti: due ingranaggi che giravano in un modo tutto loro, ma che, alla fine, funzionavano bene.
Quando arriva al bagno Caleb per poco non entra, iniziando a sospettare che David sia uscito – ed è strano, perché ormai è abituato a vederlo restare sempre rinchiuso in casa. In realtà sarebbe felice di saperlo fuori, con l’aria fresca del mondo esterno a riempirgli i polmoni, solo che ne sarebbe sorpreso, considerate le condizioni in cui riversa ormai da lungo tempo, le stesse in cui l’ha lasciato prima di uscire, poche ore prima.
In bagno la luce del sole entra con violenza attraverso la piccola finestra, illuminando intensamente il modesto ambiente. Per un momento Caleb è costretto a portarsi una mano davanti agli occhi per proteggersi da quell’esposizione improvvisa, e, nel mentre che il suo sguardo s’abitua al nuovo ambiente ne approfitta per fissare in basso. È solo così che si accorge della figura distesa nella vasca.
Non c’è acqua. David è lì, rannicchiato su se stesso, gli occhi chiusi e i capelli turchini sparsi sulla superficie in ceramica candida. Ha ancora i vestiti indosso, e questo fa pensare a Caleb ancora di più che non fosse lì per farsi un bagno.
Caleb si siede a terra, in silenzio, premendo la schiena contro la vasca. L’unico rumore percettibile è il gocciolio costante del lavandino, e Caleb spera che quel silenzio basti a contenere la sofferenza di David.

Erano rimasti insieme perché erano due anime sole.
All’inizio tutto sembrava andare per il verso giusto: il sesso non era mai abbastanza, nessuno dei due riusciva a saziarsi delle labbra dell’altro, del corpo dell’altro. Caleb era solito lasciare segni sul corpo di David, morsi sul collo, il solco delle dita sui fianchi stretti in una morsa ferrea. Voleva che tutti sapessero che era suo, che il suo odore gli rimanesse sempre addosso. Anche lontano dal letto tutto procedeva perfettamente: Caleb passava la maggior parte del giorno fuori casa, alla ricerca di un lavoro che potesse sostentare entrambi e, quando la sera rientrava esausto, trovava David ai fornelli, intento a preparare la cena. Caleb lo abbracciava da dietro, posandogli un bacio sul collo. ogni volta David si lamentava, perché diceva che lo distraeva, e proprio per questo Caleb continuava a farlo, perché quei suoi borbottii lo divertivano troppo. Poi, dopo cena, si accoccolavano sul divano per guardare un film, una coperta avvolta attorno alle spalle – salvo poi, spesso e volentieri, addormentarsi lì.
Presto, furono proprio quei momenti a diventare i loro preferiti e a far capire loro che la loro relazione stava cambiando, maturando sempre di più.
Fu allora che le cose cominciarono ad andare male.
A volte David s’incupiva, all’apparenza senza alcun motivo. Le prime volte Caleb aveva cercato di attirare la sua attenzione, tuttavia ben presto aveva compreso che, in quei momenti, la sua voce non aveva alcun effetto su di lui. L’unica soluzione era aspettare: dopo qualche minuto, infatti, quel blocco sembrava svanire nel nulla, con la stessa rapidità con cui era apparso. Gli occhi di David smettevano di essere lucidi, il sorriso ricompariva sulle sue labbra e lui tornava a dedicarsi a qualsiasi cosa stesse facendo prima di fermarsi.
I primi tempi Caleb non ci aveva dato troppo peso. Aveva pensato che fosse una stranezza qualsiasi – peculiare, certo, però non sembrava avere particolari ripercussioni su David, come un pensiero che per un poco interrompeva il normale flusso d’idee. poi però quei momenti avevano cominciato ad essere sempre più frequenti, David aveva smesso progressivamente di uscire di casa e a rimanere in silenzio, senza rivolgere parola ad anima viva.
A Caleb torna in mente quella volta in cui, diverso tempo prima, quando David si arrischiava ancora ad uscire di casa di tanto in tanto, loro due si erano attardati e nel mentre era scoppiato un temporale improvviso. Ovviamente nessuno dei due aveva portato con sé un ombrello, così Caleb gli aveva proposto di correre fino a casa. David aveva accettato, così si erano precipitati sotto il diluvio universale, vestiti fradici e piedi che affondavano nelle pozzanghere. A un certo punto, tuttavia, Caleb aveva smesso di sentire i passi di David alle sue spalle, così si era voltato e l’aveva trovato immobile sotto la pioggia, gli occhi chiusi e le braccia distese, come se stesse aspettando di essere cancellato da quel rovescio.
Caleb avrebbe voluto sapere dove se ne andava David con la mente, in quei momenti. Una volta avevano vagato per la città per tutta la notte, salvo poi sedersi su una panchina metallica, in un vecchio parco abbandonato, poco prima dell’alba, con l’aria gelida della notte che ancora martellava loro le ossa. Sorprendentemente, da lì il cielo si vedeva così bene, complice forse la lontananza delle luci dei grattacieli e quell’unico lampione dalla luce fioca che rischiarava a malapena il viottolo in cui si erano fermati, così David ne aveva approfittato per sfoggiare le sue conoscenze di astronomia. Caleb non aveva neppure idea che ne fosse appassionato, tuttavia la luce che David aveva negli occhi mentre parlava di pianeti e costellazioni era troppo affascinante per non permetterle di conquistarlo, così Caleb era rimasto ad ascoltarlo, le lattine con le bibite gassate dimenticate in un angolo. Tra le altre cose di cui gli aveva parlato, ricordava ancora ciò che gli aveva detto riguardo al pianeta Nettuno: il colore bluastro che lo caratterizzava, le sue temperature gelide e i venti che lo funestavano continuamente.
Col tempo, per Caleb era diventato impossibile non pensare che David, in quei momenti d’assenza, non si trovasse proprio su Nettuno.
In fondo, andava bene così. Finché David fosse stato bene, quei momenti avrebbero potuto continuare a presentarsi.
Quel silenzio era così grande da contenere la solitudine di entrambi, forse.
Caleb avrebbe voluto amarlo quanto lo amava David.
Caleb avrebbe voluto che David si amasse quanto lo amava lui.
Una mano si sporge oltre il bordo della vasca, accarezzando una chioma di capelli turchini.


▬ note
lo so, è difficile immaginarsi questi due come una coppia. la verità è che all’inizio non avevo neppure idea sul fandom da scegliere per questa storia, ed ero molto confusa anche sulla storia stessa. avevo dei flash in mente, ma non riuscivo a collegarli tra di loro. solo adesso mi rendo conto che questo sia successo perché al posto di caleb e david ci sarebbe potuto essere letteralmente chiunque.
quello di david potrebbe assomigliare a un disturbo realmente esistente denominato fuga dissociativa. non me la sono sentita di scriverlo a chiare lettere, perché non credo neppure di essere informata fino in fondo sull’argomento, e sono convinta che non si possa trattare di argomenti seri in maniera superficiale, sarebbe una totale mancanza di rispetto verso chi magari soffre di determinate malattie o disturbi. potrebbe trattarsi di semplice malinconia, oppure di depressione – sfortunatamente, in questo campo sono più ferrata. preferisco comunque restare sul vago, credo che la scelta migliore sia lasciare libera interpretazione al lettore.
tornando a noi, la storia mi è venuta letteralmente in mente sotto forma di flash. sapevo che dovevo collegare un ragazzo immerso in una vasca da bagno – anche se in principio doveva essere piena, ma si sa, alla fine quando si scrive la penna fa un po’ quello che vuole –, una profonda sofferenza e l’accenno al pianeta nettuno. da qui è nata questa cosa, in parte diversa dal progetto iniziale che avevo in mente, sebbene non fosse del tutto chiaro nemmeno a me. perfino la frase più importante della storia doveva esserla diversa, ma adesso non riesco più a modificarla, vuoi per pigrizia, vuoi perché alla fine non è poi terribile neanche così.
ma non importa. ho deciso di affrontare una fase di sperimentazione. voglio uscire dalla mia comfort zone, provare cose nuovi, sia nei generi che nelle coppie. la scrittura, in fin dei conti, è anche evoluzione.
non ricordo la metà delle cose che dovevo dire, ma non credo sia importante. sarà già tanto se qualcuno deciderà di aprire questa storia, non mi aspetto che arrivi fino a qui. spero che questo mio desiderio di voler variare non venga mal giudicato, è solo che la monotonia, a lungo andare, stanca.
prossimo progetto? probabilmente una fudofuyu ambientata in epoca del proibizionismo, ma questo solo il tempo potrà dircelo.
grazie per la lettura

aria
   
 
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