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Autore: Napee    02/02/2020    1 recensioni
[KageHina] [Tengu!AU]
***
Hai mai rinunciato a tutto per amore?
Hai mai rinunciato al tuo sogno per la persona che ami?
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5.      Piccolo corvo.







"Non dare di matto!” Gli aveva berciato Hinata contro. Sul viso una smorfia di preoccupazione e qualche lacrima a rigargli le guance. Lo sguardo gli cadde sulla porta spalancata.
Fuori non c’era nessuno quella mattina, ma qualcuno avrebbe potuto vederlo.
Vedere le piume.
Le sue ali.
Scattò in piedi facendo sussultare il moro. Una fitta di dolore all’ala ingiuriata lo fece gemere.
“C-cos..?!” Balbettò Kageyama sconvolto, sobbalzando indietro appena se lo vide venire incontro sparato come un treno.
Le ali corvine dalle lunghe piume guizzarono improvvise e una di queste gli sfiorò il braccio.
Quindi erano vere. Non se le stava immaginando!
Quelle erano ali?
Ali corvine?
Sbatté gli occhi due o tre volte. Le ali erano ancora al loro posto e le piume a terra pure.
Stava sognando, vero?
Non era possibile una cosa del genere…
Hinata corse a chiudere la porta lasciata aperta fino a quel momento, mentre Kageyama rabbrividì appena il compagno di squadra gli si accostò vicino.
Erano ali!
Ali vere!
Si spalmò contro il muro terrorizzato.
“Che cazzo…?!” Berciò spaventato.
La testa completamente nel panico e il cuore a corrergli nel petto.
Si aspettava di vederlo moribondo per la febbre, grondante muco da ogni poro o che ne sapeva! Ma sicuramente non avrebbe mai pensato a delle ali!
“Sono io, Shoyo Hinata…” provò il rosso con voce calma e melodiosa.
Ormai il danno era fatto, Kageyama aveva scoperto il suo segreto. Fingere non serviva a niente.
Almeno poteva provare a parlarci e cercare di farlo calmare.
Di questo passo, se avesse continuato ad urlare impazzito, sicuramente avrebbe attirato l’attenzione di quei pochi vicini che si ritrovava.
Gli si avvicinò leggermente, con piccoli passi e cercando di non spaventarlo ulteriormente.
“Stai tranquillo, non voglio farti del male se tu non ne farai a me.” Ripeteva continuamente, come una litania noiosa ma rassicurante.
Ed era vero. Non voleva e non poteva fargli del male. Era già ferito all’ala e ad ogni movimento inaspettato questa lo faceva sobbalzare dal dolore.
Kageyama però si schiacciò maggiormente contro al muro alzando le braccia come a volersi arrendere, continuando a farneticare in continuo cose senza senso.
“Guarda che non ti voglio sparare, cretino.” Lo canzonò Shoyo ridendo divertito. Non l’aveva mai visto così spaventato. Era estremamente divertente vedere il Re del campo contro il muro che lo pregava di non mangiarlo.
Kageyama lo guardò male per un secondo. In quel secondo Hinata riconobbe il solito Kageyama di sempre che amava prendere in giro.
Forse c’era una possibilità dopotutto.
“Ti manderei a fanculo se solo dopo tu non mi mangiassi il fegato!” Borbottò piano. Hinata lo sentì ugualmente e scoppiò a ridere di gusto, gemendo in seguito per via dei sussulti alle ali.
Dunque era così che avrebbero sistemato le cose e dissipato quel momento di tensione?
Si sarebbero presi in giro e avrebbero continuato i loro soliti battibecchi finché questi non li avrebbero trascinati nella normalità?
Perfetto! Hinata non chiedeva altro.
“Non ho intenzione di farti del male, Kageyama.” Lo rassicurò sorridendo amichevole.
“Anche perché la tua carnaccia marcia mi farebbe schifo!” E poi Lo canzonò con una pernacchia annessa. Il moro lo guardò storto e imbronciò le labbra come quando non sapeva come controbattere, ma non gli piaceva dover tacere.
Abbassò le braccia, ma non si mosse dal muro di mezzo millimetro. Mantenne comunque una sorta di distanza fra loro e non oso neppure per sbaglio guardare le ali.
Santi numi del cielo, gli facevano venire la pelle d’oca!
“Come posso esserne sicuro?” Chiese scettico, guardandolo storto come se stesse cercando di studiarlo.
E in effetti era proprio così. Quella cosa somigliava in tutto e per tutto a Hinata, ma con le ali!
Come poteva essere certo che non lo avrebbe mangiato vivo?
Cos’era poi?
Un demone?
Un mostro?
Di quante persone si nutriva al giorno?
Come era arrivato a Sendai?
Hinata gonfiò le guance stufo e incrociò le braccia al petto.
“Tanto ormai sai il mio segreto, che senso avrebbe farti del male adesso?”
“Per impedirmi di parlare, ovvio!”
“Ma guardati! Sei due volte me e in più ho ancora l’ala malandata per colpa tua, come potrei farti del male?” Sbottò stanco incamminandosi verso il piccolo e scarno salotto.
Kageyama lo seguì con lo sguardo finché non lo vide girare e cambiare stanza.
“Quando avrai finito di fare lo scemo attaccato al muro, ti preparo un the così parliamo.”  La voce di Hinata un po’ scocciato lo raggiunse dall’altra stanza.
Kageyama bofonchiò qualcosa contrariato. Non gli piaceva essere trattato così, tantomeno da Hinata!
Però era indubbio che questo loro modo di stuzzicarsi e deridersi a vicenda, lo aveva aiutato a sentirsi piano piano sempre più a suo agio.
Da lì a dire che stava bene ce ne sarebbe voluto! Ma almeno era un gradino sotto alla crisi di panico di poco prima.
Ci vollero diversi minuti prima che Kageyama si convincesse che Hinata fosse realmente inoffensivo.
In tutto e per tutto era il suo insopportabile compagno di squadra con l’aggiunta in più delle ali, ma c’era comunque voluta un’osservazione intensiva in cui lo aveva seguito e tenuto d’occhio per un sacco di tempo, sobbalzando ogni volta che si voltava.
Ufficialmente si era persino quasi convinto che non fosse un demone divoratore di persone.
Piano piano aveva disteso i nervi e si era convinto a cercare un dialogo con Hinata.
Così, dopo quasi un’ora di tentennamenti vari, Kageyama si era lasciato convincere e si era seduto al piccolo tavolo tradizionale che svettava in soggiorno.
Aveva osservato Hinata con attenzione mentre gli versava il the e non era riuscito a staccare gli occhi dalle sue ali scure nemmeno per un momento.
Aveva le piume lunghe e lucide, di un nero talmente intenso che a momenti sembrava cangiante sul blu.
Le ali non erano molto grandi però, a stento gli rivavano fino alla vita e il piumaggio copriva solo le scapole e un pochino le spalle.
Una aveva del sangue raffermo in mezzo alle piume scure, proprio sulla sommità dove l’ala si piegava.
Gli tornarono in mente le parole di Hinata in cui lo accusava di averlo ferito. Si sentì in colpa.
Non ricordava neppure come fosse successo… forse aprendo la porta con così tanta enfasi lo aveva spinto a terra e lo aveva ferito in quel modo.
O forse quando lo aveva spintonato al muro qualche giorno prima, quando lui invece si era premurato di accompagnarlo in infermeria.
Avrebbe dovuto scusarsi. Si erano feriti a vicenda, però Hinata si era preoccupato per lui almeno. Quantomeno aveva avuto la decenza di interessarsi alla sua lesione.
Lo guardò mentre prendeva posto dinanzi a lui. Con il tavolo a dividerli si sentiva più sicuro.
Almeno le ali erano lontane da lui il più possibile! Anche vederle lo faceva rabbrividire!
Non doveva essere stato difficile per lui nasconderle per tutto quel tempo.
Bastava una maglia un po’ più larga e magari un po’ di attenzione e il gioco era fatto.
Infatti, proprio a pensarci bene, Kageyama poteva giurare di non averlo mai visto con dei vestiti aderenti o della taglia giusta per lui. Anche la divisa della squadra l’aveva chiesta più grande. Ricordava che si era giustificato tirando in ballo la questione della comodità e della libertà nei movimenti.
Lui invece lo aveva preso in giro dicendogli che in realtà fosse nella vana speranza di crescere un po’ di più.
Ovviamente dopo si erano picchiati e Daichi li aveva puniti facendogli pulire la palestra e riordinare i palloni.
Ma a pensarci bene, non aveva mai pensato che Hinata potesse nascondere qualcosa sulla schiena.
Non ci aveva fatto caso sicuramente, non era mica che si mettesse a guardare la schiena dei suoi compagni in campo! Aveva altro a cui pensare come per esempio alzare la palla.
Forse proprio per questo nessuno si era accorto di niente…
Nessuno aveva mai messo in dubbio la non umanità di Hinata.
Perché farlo dopotutto?
Chi mai avrebbe immaginato che possedesse in realtà delle ali nere come quelle di un corvo!
Hinata gli si sedette di fronte e sorseggiò il suo the soffiandoci prima sopra.
Kageyama lo imitò senza staccare gli occhi da lui.
Visto frontalmente, da quella posizione, neppure riusciva a scorgere le ali. Era come chiacchiere con il suo compagno di squadra.
Almeno era quello di cui volle convincersi.
“Chiedimi quello che vuoi.” Aveva esordito infine il rosso, sorridendogli sincero e con affetto.
Kageyama si sentì un verme. Aveva pensato che fosse un mostro orribile, invece era il solito Hinata di sempre.
“Mi dispiace di averti ferito…” iniziò incassando la testa fra le spalle e sviando lo sguardo subito dopo.
Hinata gli sorrise grato.
“Anche a me dispiace di averti fatto male. A proposito, come sta il polso?”
“Devo tenerlo a riposo, quindi niente club.” Rispose guardandosi l’arto fasciato in causa.
Aveva così tante domande in testa, ma la voce pareva non volergli uscire fuori.
“E la tua ala invece?” Osò chiedere sbirciandolo furtivamente.
Hinata si rattristì ed abbassò lo sguardo.
“È rotta… ho bisogno di un po’ di tempo per guarire, quindi non tornerò a scuola tanto presto.” Confessò infine e Kageyama non poté che sentirsi ancora di più un verme.
“I-io…” non lo sapevo
Mi dispiace
Posso fare qualcosa?
“Tranquillo, so che non l’hai fatto di proposito.” Gli sorrise e Kageyama sentì il petto leggero.
Hinata era così dolce con lui che nemmeno se lo meritava quel trattamento.
Si sentì un verme ancora di più.
Annuì serio e sorseggiò ancora il suo the.
“Vuoi sapere delle ali?” Lo imboccò Hinata, conscio del fatto che Tobio non l’avrebbe chiesto mai da solo.
Un po’ riusciva a capirlo dopotutto. Non doveva essere facile scoprire delle ali sulla schiena di una persona che si frequenta ogni giorno in amicizia.
Si sentiva un po’ in colpa. Da un certo punto di vista, non era stato poi così sincero con Kageyama nonostante l’amichevole rivalità che intercorreva tra loro.
Non sapeva se Kageyama gli avesse o meno nascosto qualcosa sul suo conto, ma sicuramente non si trattava di qualcosa di sconvolgente come un paio di ali.
“Va bene.” Annuì ancora il moro e poggiò la tazza di the sul tavolo pronto per ascoltare. Una strana impazienza gli contorse le viscere.
Era curioso. Era spaventato. Ma anche attratto.
Non sapeva nemmeno lui cosa stesse provando in quel momento, ma certamente la paura di poco prima era dissipata.
“Non sono umano, come avrai capito…” iniziò Hinata guardandolo di sottecchi.
Kageyama alzò le sopracciglia in attesa e si rigirò fra le mani la tazzina di the.
“Cosa sei?” Chiese il moro con una certa ansia. Forse apprensione. Curiosità.
“Appartengo ad una specie diversa. Siamo pochi rispetto a voi umani, ma esistiamo da altrettanto tempo.
Qui in Giappone ci chiamate Tengu, ma in altri paesi siamo conosciuti con altri nomi. Nell’antichità ci avete scambiato per Dei o demoni e ci avete persino combattuto per alcuni anni.” Spiegò Hinata cercando di essere più chiaro possibile.
Sorseggiò ancora la sua bevanda e infine poggiò la tazza vuota sul tavolo.
“L’esistenza della mia specie è un segreto e dovrebbe restare tale… non so se mi spiego…” Azzardò infine, schiarendosi la voce.
Kageyama annuì cercando di assimilare quelle parole, mentre altre domande si affacciavano alla sua mente.
“Perché è un segreto?” Chiese ancora.
Hinata abbassò lo sguardo sul legno ruvido, seguì una venatura più marcata delle altre con le dita e sospirò un po’ a disagio nell’affrontare quell’argomento così complicato per lui.
Kageyama se ne accorse, ma non ritirò la domanda.
“È il nostro meccanismo di difesa: se gli umani non pensano che esistiamo, non ci danno la caccia.” Spiegò brevemente un po’ troppo frettoloso, ma Kageyama si accontentò di quella risposta.
“Ma vivete in mezzo a noi? Qui a Sendai?” Chiese ancora e Hinata negò con la testa.
“Dopo le ultime guerre, i capi tribù hanno stabilito regole ferree che vietano severamente ogni contatto con gli umani.”
“Perché sei qui allora?”
Gli occhi di Hinata si illuminarono di luce propria ed un sorriso sfavillante gli disegnò le labbra.
“Per la pallavolo.” Confessò arrossendo leggermente.
“Sono sempre stato curioso delle cose del vostro mondo e quando ho conosciuto questo sport, me ne sono innamorato al punto che ho chiesto di poter studiare alla Karasuno e imparare a giocare.”
“Perché proprio qui a Sendai?” Chiese ancora, ma Hinata sobbalzò come punto sul vivo.
“È complicato da spiegare…” sviò il discorso e si versò un altro sorso di the lasciando cadere l’argomento.
Kageyama lo imitò ancora una volta e rimase in silenzio in attesa che il rosso continuasse.
“Puoi chiedermi altro se vuoi.” Propose tornando a sorridergli sereno. Kageyama ghignò divertito.
“Di cosa vi cibate?” Chiese a bruciapelo, ma Hinata percepì la presa in giro ad un chilometro di distanza.
“Non di carne umana se è quello che ti preoccupa!”
“Non mi preoccupo! Mi sarei difeso a dovere e ti avrei messo in fuga!”
“Sì certo, come no!”
La tensione si sciolse pian piano, parola dopo parola, presa in giro dopo presa in giro.
Kageyama riconobbe finalmente Hinata, le sue idiozie e il suo modo di fare e questo lo aiutò a lasciarsi andare.
“La scuola invece?” Chiese Kageyama ancora, incentivando il rosso a parlargli delle sue origini con mille e più domande.
Pendeva letteralmente dalle labbra sorridenti di Hinata che pareva ben contento di metterlo al corrente di quella sua parte di vita.
“La scuola è come la vostra, più o meno.” Ci pensò su il rosso, portandosi un dito sul mento completamente assorto.
“Non abbiamo molte classi perché ci sono pochi bambini e delle volte gli studenti più grandi tengono delle lezioni ai più piccoli. I capi pensano che sia più facile conoscersi e fare amicizia con i membri della propria tribù, ma è solo più imbarazzante.” Spiegò ridendo leggermente e Kageyama si riempì lo sguardo di quel sorriso sereno e felice che gli era mancato da morire.
Non lo avrebbe ammesso mai ad alta voce, ma se era lì quel giorno, se si era trascinato in quella campagna sperduta anche il giorno prima, era solo per Hinata e quanto gli mancasse passare il tempo con lui.
Non che fossero grandi amici o cose così. Anzi, i primi tempi si odiavano proprio e non ne facevano mistero.
Con il tempo, grazie alla pallavolo, si era creata una carta intesa fra loro che poi era sfociata in una sorta di pacifica convivenza.
Stavano bene insieme. Riuscivano a trovare il tempo di allenarsi il più possibile anche da soli e questo, più che un dovere, era scoperto essere un piacevole modo per impiegare il tempo.
Non parlavano mai della loro vita privata, delle loro famiglie o questioni più serie. Le loro conversazioni vertevano sempre intorno allo sport, alla pallavolo e alla squadra, donandogli la leggerezza e la spensieratezza di cui avevano entrambi bisogno.
Il loro era un rapporto che era mutato velocemente con il tempo senza che nemmeno se ne accorgessero.
Si erano trovati bene l’uno con l’altro e quando Hinata era sparito, Kageyama aveva compreso quanto importante per lui fosse quel rapporto.
Quanto gli riempisse la giornata e la mente, svuotandola da altre questioni più ostiche.
“È un po’ come se i senpai del club ci facessero lezione. Ce li vedresti?” Rise Hinata, stavolta.
Kageyama si unì a lui con un sorriso.
No, in effetti non ce li vedeva proprio quelli del terzo anno a fare lezione ai primini. Immaginò per un secondo i senpai Tanaka e Nishinoya tenere una qualsiasi lezione… in effetti sarebbe stata un vero delirio!
Concordava con lui, sarebbe stato solo molto imbarazzante. E spaventoso. Non osava immaginare Daichi a tenere buona una classe scalmanata.
 “Non avete qualche sport? Una specie di pallavolo volante o che so io?” Chiese più per cambiare argomento.
Hinata gli sorrise un po’ a disagio e Kageyama notò subito quella sua espressione strana sul viso e non riusciva a capirne il motivo.
“No, non ne abbiamo… o meglio, è complicato anche questo da spiegare.” Si arrovellò intorno alle parole grattandosi la testa come a volersi concentrare.
Il fatto era che voleva davvero condividere la sua cultura con Kageyama, ma c’erano cose difficili da spiegare per qualcuno che non era della sua gente.
Tante tradizioni arcaiche, tante regole e tanti doveri da rispettare che per un umano possono non avere molto senso.
Il problema però era che si sentiva tremendamente esposto.
Stava letteralmente condividendo con lui la parte più intima di sé stesso: le sue origini. Un segreto che stava custodendo da talmente tanto tempo che ormai era diventato parte di sé.
E neppure era certo che Kageyama stesse realmente comprendendo la profondità di quel momento.
Forse non si era neppure accorto di quanto bene gli stesse facendo lasciandolo parlare di sé. Poter finalmente parlare chiaro a qualcuno, non doversi più nascondere piegando le ali sulla schiena per farle più piatte in modo che non si vedessero dalla maglietta.
Era così bello, così liberatorio poter finalmente essere il vero sé stesso che a stento riusciva a nascondere quel sorriso raggiante sulle labbra.
“Perché?” Chiese Kageyama curioso, accomodandosi meglio con la testa sul tavolo.
“Ecco… ci sono solo le gare di volo che possono essere considerate uno sport, ma in realtà non lo sono veramente… è complicato da spiegare, lascia perdere!” Sbottò infine Hinata alzando le mani come per arrendersi.
Non poteva affrontare quell’argomento con così tanta leggerezza. Quello stesso argomento che lo aveva portato lontano da casa sua.
Quello stesso argomento che aveva portato suo fratello a fuggire dal monte sacro.
Era complicato. Davvero.
Amava la sua gente e amava il villaggio, ma c’erano cose difficili da digerire. La società arcaica, retrograda e bigotta che opprimeva i giovani corvi per esempio.
Molti di loro erano stati costretti alla fuga. Altri avevano preferito chinare la testa e lasciarsi soggiogare.
“Prova a spiegare!” Insistette Kageyama confuso. Fino a poco fa Hinata non faceva altro che parlare e parlare della sua casa, della sua vita e della sua gente. Perché quello sport era divenuto improvvisamente un tabù?
“Non capiresti!” Si arrabbiò. Forse si offese. Forse semplicemente si sentiva soffocare e aveva bisogno di non essere messo alla gogna e pressato.
Si alzò di scatto prendendo dal tavolo le tazze ormai vuote e la teiera.
Si diresse a grandi falcate in cucina e mollò il tutto nell’acquaio.
Ma che stava facendo?
Non doveva aprirsi con lui?
“Stai dicendo che sono stupido?” La voce di Kageyama lo raggiunse alle spalle. Hinata si voltò di scatto.
Sembrava arrabbiato. Forse offeso.
“Sei molto stupido.” Lo offese. Non sapeva nemmeno perché, ma aveva bisogno di tenerlo lontano da quella parte difficile della sua vita.
Kageyama ghignò strafottente e si poggiò con la schiena al muro incrociando le braccia al petto.
“Abbiamo gli stessi voti, quindi sei stupido quanto me.” Gli bisbigliò in risposta, con le labbra imbronciate.
Hinata sbuffò una risatina in risposta e lo guardò divertito.
Le guance un po’ rosse che facevano concorrenza ai suoi capelli spettinati.
Un tuono scosse le mura della casa, facendola vibrare dall’interno.
I due si guardarono preoccupati.
“Sta per venire un temporale.” Notò Hinata e Kageyama concordò.
Si avvicinò alla finestra e guardò fuori. Le nuvole scure non lasciavano buon presagire.
“Meglio che vada.” Dichiarò il moro infine, tornando in salotto per prendere le sue cose.
Il silenzio e la tensione fra loro si tagliava con il coltello.
Nemmeno i primi giorni di scuola, quando si odiavano e non ne facevano mistero, c’era stata quella tensione. 
“Hai saltato la scuola?” Chiese poi Hinata d’un tratto cambiando discorso. Kageyama annuì serio sospirando.
Con una sola domanda, Hinata aveva scombussolato il suo animo quasi sereno.
Aveva totalmente accantonato la storia dei suoi genitori e tutta la rabbia che si portava appresso quella mattina.
La notizia delle ali di Hinata era stata una piacevole e divertente distrazione.
“Non so se riuscirai a tornare a casa in tempo prima che piova.” Cambiò discorso Hinata, conscio di aver appena toccato un tasto sconveniente.
Non l’aveva mai visto così serio. Pareva quasi sofferente.
Gli dispiacque per lui. Non sapeva cosa era accaduto, ma non voleva che Kageyama stesse così male.
“Se vuoi, puoi restare qui, prometto di non divorarti!” Propose il rosso prendendolo in giro bonariamente e Kageyama gli restituì un ghigno in risposta.
“Grazie, ma non posso. Sono in punizione e appena mia mamma saprà che ho marinato la scuola, chissà per quanto ancora lo sarò.” Si lamentò il moro recuperando lo zaino inutilizzato dal pavimento.
Hinata gli porse un’ombrello che se ne stava abbandonato nell’angolo dell’ingresso.
“Evita di prenderti un raffreddore, saresti così scemo da farlo.” Lo canzonò salutandolo con la mano mentre il moro usciva dal portone mostrandogli il dito medio.
“Ti scrivo stasera, vedi di leggerlo stavolta il messaggio, idiota.” Aggiunse infine, poco prima che la porta di Hinata si richiudesse.
Fece in tempo a vedere il suo sorriso divertito fare capolino poco prima che venisse oscurato dal legno dell’infisso chiuso.
Aprì l’ombrello e s’incamminò verso casa. Aveva appena iniziato a piovere, ma prometteva pioggia per tutto il giorno.
Kageyama allungò il passo. Si sentiva leggero.
Si sentiva bene.
Ripensando al sorriso di Hinata, osava quasi definirsi felice.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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