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Autore: Hoel    06/02/2020    2 recensioni
[In collaborazione con Semperinfelix]
Raccolta assolutamente demenziale composta da riflessioni e rielaborazioni in chiave comica di eventi, aneddoti più o meno veri e burle ai danni di personaggi storici, necessaria panacea per le badilate di angst che scriviamo e leggiamo. Come disse il buon Erodoto: “Se un uomo vuole occuparsi incessantemente di cose serie e non abbandonarsi ogni tanto allo scherzo, senza accorgersene, diventa pazzo o idiota.”
Genere: Comico, Demenziale, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Non possiamo finire di ringraziare i gentilissimi recensori Alessandroago_94 e Ardesis, per aver recensito anche la seconda novella.

Ringraziamo l’immensa e immortale collaborazione dei magnifici messeri Da Ponte e Mozart, per averci fornito lo spunto.

Procediamo dunque con la terza e buona lettura,

Hoel e Semperinfelix

 

 

***

 

 

 

Nobil domino mio, il catalogo è questo …

 

Laddove si venne in discorso su come all’uomo di natura geloso sia sconsigliabile sposare una donna non soltanto vedova, ma più ricca e potente di lui e come nel matrimonio, talvolta, esigere totale sincerità possa rivelarsi controproducente.

 

 

 

 

Naimerio di Breganze irruppe nella stanza della moglie, madonna Cunizza da Romano, la quale neppure gli diede la soddisfazione di trasalire, anzi pure lo fissò scocciata mentre la sua dama di compagnia, Agnese di Monselice, le sistemava il velo di seta sulle ormai candide trecce adornate di nastri d’oro e perle.

Malgrado la collera montante, l’uomo non poté non vacillare dinanzi alla bellezza sensuale e ammaliante della moglie, dei suoi occhi grandi ed espressivi, del suo corpo ancora snello e il seno miracolosamente sodo ed eretto, pur avendo ormai quaranta e passa anni.

Forse per questo gli era salita una bile non verde, bensì nera alla scoperta di come ella avesse usato il pretesto dei giochi del Castello d'Amore, per “laudare et accarezzare” (così gli era stato riferito) dieci giovani nobili ospiti, ossia tre vicentini, due veronesi, due feltrini, due bellunesi e persino, massimo scorno, un veneziano.

Tutti -  aggiungevano maliziosi i suoi informatori-  ritornati presso le rispettive città mirabilmente soddisfatti dell’ospitalità dei da Romano.

“Che desiderate ancora?”

“Voglio spiegazioni! Con che coraggio osate mostrarvi così impunemente in pubblico e a corte e persino prendete la Santa Comunione, dopo aver compiuto un sì nero misfatto?”

“Quale misfatto?”, corrugò disorientata la fronte Cunizza. Poi, ricordandosi, esclamò scrollando incurante le spalle: “Oh, in quanto a quello, ebbi le mie ragioni. È vero, madonna Agnese?”

“È vero, e che ragioni forti!”, ridacchiò perfida la dama di compagnia.

Al che Naimerio vide rosso. “E quali sono, sentiamo, se non la vostra perfidia, la vostra leggerezza? Ma Iddio volle ch'io scoprissi le vostre iniquità, per far la Sua e la mia giusta vendetta!”

La sorella d’Ezzelino da Romano il Terribile, padrone assoluto di Belluno, Feltre, Padova, Verona e Vicenza e sorella di Alberico da Romano signore di Treviso, rise talmente forte da sconquassarsi il petto formoso e profumato.

“Ma sentitelo! Si crede il predicatore fra’ Domenico a Bologna!”

“Negate d’aver fornicato con quei dieci nobili?” e appurato come la moglie neanche si premurasse di smentire né di protestare la sua modestia, ruggì invasato: “Scellerata, fedifraga, gran meretrice! Vi ripudierò e vi farò frustare sulla pubblica piazza!”

“Eh via, consolatevi! Non siete voi, non foste e non sarete né il primo, né l'ultimo a condividere il tempo più giocondo con me.”

Naimerio di Breganze avvertì un doloroso crampo allo stomaco. Adesso che ci ripensava, quei sorrisetti divertiti il giorno delle sue nozze, i bisbigli, quell’insistente puntare le dita … “No”, ansimò fremente d’ira, “non è  vero, non può essere!”

“Se non credete alle mie parole, crederete a quanto v’esporrà la mia dolcissima e sincera amica. Avanti, madonna Agnese, raccontategli un poco!”

“Che debbo dirgli, domina?”

“Tutto!”

“Ma proprio tutto?”

“Esige sincerità? Che sia accontentato! Digli pur tutto e che poi vada con Dio così da lasciarmi finalmente in pace.”

Madonna Agnese, sospirando, estrasse da un cassettone un pingue libro d’assai semplice aspetto. “Nobil domino mio, se mi concedete qualche istante, vorrei leggervi qualcosa. Non si tratta né di una Bibbia né di un Parzifal; né di un Erec ed Enide né di poesie d’amor cortese, sebbene sempre di “virili” imprese  e amor si narra.”

“Poche storie, vieni al dunque!”

Schiarendosi la gola, la nobildonna incominciò con enfasi: “Nobil domino mio, il catalogo è questo di tutti gli homeni amati dalla magnifica domina Cunizza, un catalogo modestamente da me curato da ch’ella aveva tredici anni. Ascoltate, anzi meglio ancora: sedete meco e leggete con me!”, lo incoraggiò, sistemando il libro sul leggio e al povero Naimerio, solamente alla vista della fittissima lista, venne un violento capogiro, costringendolo a sedersi.

“A Verona ne amò seicentoquaranta; a Vicenza, duecentotrentuno; cento a Padova e a Belluno novantuno ma a Treviso … eh, a Treviso siamo oltre milletré!”

Il nobiluomo vicentino vacillava ora tra la voglia di strangolare la moglie e strangolare se stesso, per esser stato tanto stolto nella sua ambizione d’aver fin troppo prontamente accettato la proposta di Ezzelino d’accasarsi con la vedova sorella.

“V’han fra questi contadini, cavalieri, cittadini …”

Naimerio maledì il giorno in cui aveva imparato a leggere, riconoscendo in quell’infernal lista i nomi dei suoi concittadini; dei membri delle Corporazioni assieme alla Cancelleria di Treviso al gran completo, capitanati da Enrico da Bonio – cor meum dilectissimus più volte cerchiato; gente che conosceva da una vita e perfino amici suoi carissimi e … e c’era pure suo fratello Raimondo?

“… v’han fra questi monaci, vescovi e trovatori …”

D’accordo, passasse per Sordello da Goito che si sapeva ormai da qua fino ad Ais de Provença, ma includere nei suoi spassi adulterini anche i religiosi?

Guarda, guarda te un po’ quello stramaledetto del suo confessore, che mentre gli predicava l’astinenza e gli ordinava penitenze, gli teneva caldo il letto trastullandosi con la mogliera!

Quasi, quasi abbracciava il catarismo assieme al cognato Ezzelino!

“… v’han fra questi conti, baroni, marchesi … ”

Rizzardo da San Bonifacio signore di Verona (comprensibile, l’era stato il marito) e per la par condicio ogni suo parente maschio, dai quattordici ai sessant’anni; conti, baroni e signori di Baone, Lendinara, Prata di Pordenone, Cavaso del Tomba, Egna; nobiluomini di Bassano, di Oderzo, di Feltre; amici dei parenti toscani di Mangona; patrizi veneziani giunti in veste di Podestà; un Visconti che passava di visita e pure il marchese Rinaldo d’Este, il marito di sua nipote Adelaide da Romano …  Cum eis iacebam …

“ … principi e re …”

Enzo di Hohenstaufen (cosa significava quel bis terque accanto al suo nome?) e … e Federico suo padre? Alla faccia del “vo ad uccellare con l’Imperatore!”

“… come avrete capito, v’è qui una gran varietà d’homeni d’ogni grado, d’ogni forma e d’ogni età!”

A onor del vero faceva uno strano effetto leggere il nome dell’Imperatore associato a rigo a capo ad un anonimo mugnaio trevigiano …

Incurante del crescente malessere di Naimerio, madonna Agnese proseguì imperterrita: “Al biondo, la mia domina è solita lodargli la nobiltà e la cortesia … Al bruno, la costanza e l’intraprendenza … Al rosso, l’arguzia e la passionalità …”

Naimerio conficcò le unghie sulle ginocchia mentre la moglie lo osservava compiaciuta, un sorriso sulfureo sulla bocca vermiglia e mai venne sottolineata abbastanza la somiglianza col crudele suo fratello Ezzelino, come in quel momento.

“D’inverno li preferisce robusti e muscolosi; d’estate invece agili e snelli. L’homo grande e grosso lo vuole per sentirsi protetta e vezzeggiata; quello più sottile e flessuoso per coccolarselo e insieme provar nuove cavalcature.”

Il nobiluomo vicentino si portò una mano alla bocca, sentendosi veramente male anche perché la sua mente lo beffava applicando i volti di parenti, amici e conoscenti a tutte quelle cosette amorose, che solo lui credeva condividere con madonna Cunizza nel segreto del talamo nuziale.

“Non disdegna i vecchi, specie se ancora gagliardi, ma questo più per sua personale soddisfazione d’aggiungere anch’essi in lista”, gli confidò la dama di compagnia, come se al disperato Naimerio facesse alcuna differenza. “Ma …” e qui il sorriso di madonna Agnese assunse una piega cospiratrice che non gli piacque affatto. “Ma la passione predominante della mia domina, è d’iniziar il giovin cavaliere principiante!”

“Che cos --?” , ululò l’uomo, spalancando incredulo la bocca e cascando quasi dalla sedia.

Tutti i figli cadetti che gli inviavano le famiglie onde ricevere l’investitura … tutti quei giovani  anche fin troppo entusiasti di servire e combattere per la causa dei da Romano … A chi, in ginocchio, avevano veramente prestato fedeltà?

“La mia domina non si cura se i suoi homeni siano nobili o plebei; se siano giovani o vecchi; se siano brutti o belli, purché non siano … ”, e chiuse teatralmente il libro sotto il naso dello sbigottito Naimerio “… i suoi fratelli.”

Cunizza da Romano batté divertita le mani e la nobildonna s’inchinò.

“Ora che sapete ciò che faccio”, si alzò poi la tremenda, anguillando flessuosa verso il marito. “Mettevi il cuore in pace e non molestatemi più con le vostre gelosie e vedrete che vivremo contenti. Inoltre”, aggiunse, gli occhi due pozzi neri di pura bragia che avrebbero spaventato l’istesso demonio, “chiamatemi ancora meretrice o minacciatemi con la pubblica gogna o il ripudio e v’assicuro che mio fratello vi farà sentir le sue” e detto questo, gli diede la mano ché era giunta l’ora di scendere a presenziare ai Vespri.

Naimerio di Breganze, livido e sconfitto, non contemplò altra soluzione se non d’accettare e fingere: d’altronde, meglio vivo e cornuto che vivo sì, ma senza naso, orecchie, lingua, occhi, mani e viril orgoglio come soleva punire Ezzelino i suoi nemici e chiunque osasse mostrar la benché minima forma di scortesia nei confronti della sua dolcissima, bellissima e virtuosissima (in letto) sorellina.

Amen.

 

 

 

 

***

 

 

Curiosita’: ovviamente questa è tutta un’esagerazione, per la gioia di Naimerio (Semperinfelix si è doluta un po’ per lui, mi sa). La teoria qua è che le vedove la sappiano troppo lunga per lasciarsi dominare così facilmente, anzi, pretendono il doppio!

Cunizza da Romano – altresì nota come la figlia di Venere – però aveva sul serio tra i trovatori e in tutto il Veneto questa gran fama di donna indipendente e libertina, collezionando ben tre mariti, numerosi amanti (Federico II ed Enzo è un’invenzione nostra, sebbene … forse … magari … )e scandalizzando i contemporanei con la sua fuga dal marito Rizzardo di San Bonifacio col trovatore Sordello da Goito e soprattutto per aver convissuto per quindici anni con Enrico da Bonio, uomo più giovane di lei, già sposato e con prole!

Certo, Cunizza se la godette assai ma molto su di lei è stato anche gonfiato, colpa della propaganda guelfa e di quella vecchia pettegola di Salimbene di Adam, che la dipinsero alla stregua di una lupa mangia-uomini.

Dante, invece, la collocò nel Paradiso e questo perché, secondo un ragionamento tra noi due, la Cunizza conosciuta dal Sommo oramai era una signora anziana dedita ad opere di carità, pentita e redenta dal suo passato … pittoresco. Inoltre, caduti e trucidati i da Romano e costretta all’esilio, ella deve aver suscitato nel Dante esule (molti anni più avanti) un sentimento d’affinità nella disgrazia, specie quando nel suo lungo girovagare Dante passò anche per Treviso e Verona là dove Cunizza era vissuta.

Ultima cosa, vi consigliamo di ascoltare l’aria “Madamina il catalogo e’ questo”, dal “Don Giovanni” di Mozart e libretto di Da Ponte, fonte di ispirazione su cui abbiamo impostato la novellina. Semperinfelix avrebbe preferito applicarlo a Francesco Sforza – effettivamente è la storia della sua vita – ma siccome Hoel è bastian contrario, ha preferito rigirarlo in chiave femminile così anche per far sentire in colpa il lettore, se ha pensato commenti non molto galanti su Cunizza.

Perché se un uomo va con tante, è virile. Se lo fa una donna, cos’è? (Una vacca, rispose Semperinfelix di conseguenza / Sia isso che issa son vacche, ribatte Hoel)

 

Un po’ di latinus maccheronicus:

 

cor meum dilectissimus = cuor mio dilettissimo.

Cum eis iacebam = con loro giacqui.

bis terque = ripetutamente.



  
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