Non
possiamo finire di ringraziare i
gentilissimi recensori Alessandroago_94 e Ardesis, per aver recensito
anche la seconda
novella.
Ringraziamo
l’immensa e immortale collaborazione
dei magnifici messeri Da Ponte e Mozart, per
averci fornito lo spunto.
Procediamo
dunque con la terza e buona
lettura,
Hoel e
Semperinfelix
***
Nobil
domino mio, il catalogo è questo …
Laddove si venne in discorso su come
all’uomo di natura geloso sia
sconsigliabile sposare una donna non soltanto vedova, ma più
ricca e potente di
lui e come nel matrimonio, talvolta, esigere totale sincerità
possa rivelarsi
controproducente.
Naimerio
di Breganze irruppe nella stanza
della moglie, madonna Cunizza da Romano, la quale neppure gli diede la
soddisfazione di trasalire, anzi pure lo fissò scocciata
mentre la sua dama di
compagnia, Agnese di Monselice, le sistemava il velo di seta sulle
ormai
candide trecce adornate di nastri d’oro e perle.
Malgrado
la collera montante, l’uomo non poté
non vacillare dinanzi alla bellezza sensuale e ammaliante della moglie,
dei
suoi occhi grandi ed espressivi, del suo corpo ancora snello e il seno
miracolosamente sodo ed eretto, pur avendo ormai quaranta e passa anni.
Forse per
questo gli era salita una bile non
verde, bensì nera alla scoperta di come ella avesse usato il
pretesto dei
giochi del Castello d'Amore, per “laudare et
accarezzare” (così gli era stato
riferito) dieci giovani nobili ospiti, ossia tre vicentini, due
veronesi, due
feltrini, due bellunesi e persino, massimo scorno, un veneziano.
Tutti - aggiungevano maliziosi i
suoi informatori- ritornati
presso le rispettive città mirabilmente
soddisfatti dell’ospitalità dei da Romano.
“Che
desiderate ancora?”
“Voglio
spiegazioni! Con che coraggio osate mostrarvi
così impunemente in pubblico e a corte e persino prendete la
Santa Comunione,
dopo aver compiuto un sì nero misfatto?”
“Quale
misfatto?”, corrugò disorientata la
fronte Cunizza. Poi, ricordandosi, esclamò scrollando
incurante le spalle: “Oh,
in quanto a quello, ebbi le mie ragioni. È vero, madonna
Agnese?”
“È
vero, e che ragioni forti!”, ridacchiò
perfida la dama di compagnia.
Al che
Naimerio vide rosso. “E quali sono, sentiamo,
se non la vostra perfidia, la vostra leggerezza? Ma Iddio volle ch'io
scoprissi
le vostre iniquità, per far la Sua e la mia giusta
vendetta!”
La
sorella d’Ezzelino da Romano il Terribile,
padrone assoluto di Belluno, Feltre, Padova, Verona e Vicenza e sorella
di
Alberico da Romano signore di Treviso, rise talmente forte da
sconquassarsi il
petto formoso e profumato.
“Ma
sentitelo! Si crede il predicatore fra’
Domenico a Bologna!”
“Negate
d’aver fornicato con quei dieci
nobili?” e appurato come la moglie neanche si premurasse di
smentire né di
protestare la sua modestia, ruggì invasato:
“Scellerata, fedifraga, gran meretrice!
Vi ripudierò e vi farò frustare sulla pubblica
piazza!”
“Eh
via, consolatevi! Non siete voi, non
foste e non sarete né il primo, né l'ultimo a
condividere il tempo più giocondo
con me.”
Naimerio
di Breganze avvertì un doloroso
crampo allo stomaco. Adesso che ci ripensava, quei sorrisetti divertiti
il
giorno delle sue nozze, i bisbigli, quell’insistente puntare
le dita … “No”, ansimò
fremente d’ira, “non è vero,
non può
essere!”
“Se
non credete alle mie parole, crederete a quanto
v’esporrà la mia dolcissima e sincera amica.
Avanti, madonna Agnese,
raccontategli un poco!”
“Che
debbo dirgli, domina?”
“Tutto!”
“Ma
proprio tutto?”
“Esige
sincerità? Che sia accontentato! Digli
pur tutto e che poi vada con Dio così da lasciarmi
finalmente in pace.”
Madonna
Agnese, sospirando, estrasse da un
cassettone un pingue libro d’assai semplice aspetto.
“Nobil domino mio, se mi
concedete qualche istante, vorrei leggervi qualcosa. Non si tratta
né di una
Bibbia né di un Parzifal; né di un Erec ed Enide
né di poesie d’amor cortese, sebbene
sempre di “virili” imprese e
amor si
narra.”
“Poche
storie, vieni al dunque!”
Schiarendosi
la gola, la nobildonna incominciò
con enfasi: “Nobil domino mio, il catalogo è
questo di tutti gli homeni amati dalla
magnifica domina Cunizza, un catalogo modestamente da me curato da
ch’ella
aveva tredici anni. Ascoltate, anzi meglio ancora: sedete meco e
leggete con
me!”, lo incoraggiò, sistemando il libro sul
leggio e al povero Naimerio,
solamente alla vista della fittissima lista, venne un violento
capogiro,
costringendolo a sedersi.
“A
Verona ne amò seicentoquaranta; a Vicenza,
duecentotrentuno; cento a Padova e a Belluno novantuno ma a Treviso
… eh, a
Treviso siamo oltre milletré!”
Il
nobiluomo vicentino vacillava ora tra la
voglia di strangolare la moglie e strangolare se stesso, per esser
stato tanto
stolto nella sua ambizione d’aver fin troppo prontamente
accettato la proposta
di Ezzelino d’accasarsi con la vedova sorella.
“V’han
fra questi contadini, cavalieri,
cittadini …”
Naimerio
maledì il giorno in cui aveva
imparato a leggere, riconoscendo in quell’infernal lista i
nomi dei suoi
concittadini; dei membri delle Corporazioni assieme alla Cancelleria di
Treviso
al gran completo, capitanati da Enrico da Bonio – cor meum dilectissimus più
volte cerchiato; gente che conosceva da
una vita e perfino amici suoi carissimi e … e
c’era pure suo fratello Raimondo?
“…
v’han fra questi monaci, vescovi e trovatori
…”
D’accordo,
passasse per Sordello da Goito che
si sapeva ormai da qua fino ad Ais de
Provença, ma includere nei suoi spassi
adulterini anche i religiosi?
Guarda,
guarda te un po’ quello stramaledetto
del suo confessore, che mentre gli predicava l’astinenza e
gli ordinava
penitenze, gli teneva caldo il letto trastullandosi con la mogliera!
Quasi,
quasi abbracciava il catarismo assieme
al cognato Ezzelino!
“…
v’han fra questi conti, baroni, marchesi …
”
Rizzardo
da San Bonifacio signore di Verona
(comprensibile, l’era stato il marito) e per la par condicio
ogni suo parente
maschio, dai quattordici ai sessant’anni; conti, baroni e
signori di Baone,
Lendinara, Prata di Pordenone, Cavaso del Tomba, Egna; nobiluomini di
Bassano,
di Oderzo, di Feltre; amici dei parenti toscani di Mangona; patrizi
veneziani giunti
in veste di Podestà; un Visconti che passava di visita e
pure il marchese
Rinaldo d’Este, il marito di sua nipote Adelaide da Romano
… Cum eis
iacebam …
“
… principi e re …”
Enzo di
Hohenstaufen (cosa significava quel bis
terque accanto al suo nome?) e … e
Federico suo padre? Alla faccia del “vo ad uccellare con
l’Imperatore!”
“…
come avrete capito, v’è qui una gran
varietà
d’homeni d’ogni grado, d’ogni forma e
d’ogni età!”
A onor
del vero faceva uno strano effetto
leggere il nome dell’Imperatore associato a rigo a capo ad un
anonimo mugnaio
trevigiano …
Incurante
del crescente malessere di Naimerio,
madonna Agnese proseguì imperterrita: “Al biondo,
la mia domina è solita
lodargli la nobiltà e la cortesia … Al bruno, la
costanza e l’intraprendenza …
Al rosso, l’arguzia e la passionalità
…”
Naimerio
conficcò le unghie sulle ginocchia
mentre la moglie lo osservava compiaciuta, un sorriso sulfureo sulla
bocca
vermiglia e mai venne sottolineata abbastanza la somiglianza col
crudele suo fratello
Ezzelino, come in quel momento.
“D’inverno
li preferisce robusti e muscolosi;
d’estate invece agili e snelli. L’homo grande e
grosso lo vuole per sentirsi
protetta e vezzeggiata; quello più sottile e flessuoso per
coccolarselo e
insieme provar nuove cavalcature.”
Il
nobiluomo vicentino si portò una mano alla
bocca, sentendosi veramente male anche perché la sua mente
lo beffava
applicando i volti di parenti, amici e conoscenti a tutte quelle
cosette
amorose, che solo lui credeva condividere con madonna Cunizza nel
segreto del
talamo nuziale.
“Non
disdegna i vecchi, specie se ancora
gagliardi, ma questo più per sua personale soddisfazione
d’aggiungere anch’essi
in lista”, gli confidò la dama di compagnia, come
se al disperato Naimerio
facesse alcuna differenza. “Ma …” e qui
il sorriso di madonna Agnese assunse
una piega cospiratrice che non gli piacque affatto. “Ma la
passione
predominante della mia domina, è d’iniziar il
giovin cavaliere principiante!”
“Che
cos --?” , ululò l’uomo, spalancando
incredulo la bocca e cascando quasi dalla sedia.
Tutti i
figli cadetti che gli inviavano le
famiglie onde ricevere l’investitura … tutti quei
giovani anche fin
troppo entusiasti di servire e combattere
per la causa dei da Romano … A chi, in ginocchio, avevano
veramente prestato fedeltà?
“La
mia domina non si cura se i suoi homeni
siano nobili o plebei; se siano giovani o vecchi; se siano brutti o
belli, purché
non siano … ”, e chiuse teatralmente il libro
sotto il naso dello sbigottito
Naimerio “… i suoi fratelli.”
Cunizza
da Romano batté divertita le mani e
la nobildonna s’inchinò.
“Ora
che sapete ciò che faccio”, si alzò poi
la tremenda, anguillando flessuosa verso il marito. “Mettevi
il cuore in pace e
non molestatemi più con le vostre gelosie e vedrete che
vivremo contenti.
Inoltre”, aggiunse, gli occhi due pozzi neri di pura bragia
che avrebbero
spaventato l’istesso demonio, “chiamatemi ancora
meretrice o minacciatemi con
la pubblica gogna o il ripudio e v’assicuro che mio fratello
vi farà sentir le
sue” e detto questo, gli diede la mano ché era
giunta l’ora di scendere a
presenziare ai Vespri.
Naimerio
di Breganze, livido e sconfitto, non
contemplò altra soluzione se non d’accettare e
fingere: d’altronde, meglio vivo
e cornuto che vivo sì, ma senza naso, orecchie, lingua,
occhi, mani e viril
orgoglio come soleva punire Ezzelino i suoi nemici e chiunque osasse
mostrar la
benché minima forma di scortesia nei confronti della sua
dolcissima, bellissima
e virtuosissima (in letto) sorellina.
Amen.
***
Curiosita’: ovviamente questa è tutta
un’esagerazione,
per la gioia di Naimerio (Semperinfelix si è doluta un
po’ per lui, mi sa). La teoria qua è che le vedove la sappiano troppo lunga per lasciarsi dominare così facilmente, anzi, pretendono il doppio!
Cunizza
da Romano – altresì nota come la
figlia di Venere – però aveva sul serio tra i
trovatori e in tutto il Veneto questa
gran fama di donna indipendente e libertina, collezionando ben tre
mariti,
numerosi amanti (Federico II ed Enzo è
un’invenzione nostra, sebbene … forse …
magari … )e scandalizzando i contemporanei con la sua fuga
dal marito Rizzardo
di San Bonifacio col trovatore Sordello da Goito e soprattutto per aver
convissuto per quindici anni con Enrico da Bonio, uomo più
giovane di lei, già
sposato e con prole!
Certo,
Cunizza se la godette assai ma molto
su di lei è stato anche gonfiato, colpa della propaganda
guelfa e di quella
vecchia pettegola di Salimbene di Adam, che la dipinsero alla stregua
di una
lupa mangia-uomini.
Dante,
invece, la collocò nel Paradiso e
questo perché, secondo un ragionamento tra noi due, la
Cunizza conosciuta dal
Sommo oramai era una signora anziana dedita ad opere di
carità, pentita e
redenta dal suo passato … pittoresco. Inoltre, caduti e
trucidati i da Romano e
costretta all’esilio, ella deve aver suscitato nel Dante
esule (molti anni più
avanti) un sentimento d’affinità nella disgrazia,
specie quando nel suo lungo
girovagare Dante passò anche per Treviso e Verona
là dove Cunizza era vissuta.
Ultima
cosa, vi consigliamo di ascoltare
l’aria “Madamina il catalogo e’
questo”, dal “Don Giovanni” di Mozart e
libretto di Da Ponte, fonte di ispirazione su cui abbiamo impostato la
novellina. Semperinfelix avrebbe preferito applicarlo a Francesco
Sforza –
effettivamente è la storia della sua vita – ma
siccome Hoel è bastian
contrario, ha preferito rigirarlo in chiave femminile così
anche per far sentire
in colpa il lettore, se ha pensato commenti non molto galanti su
Cunizza.
Perché
se un uomo va con tante, è virile. Se lo
fa una donna, cos’è? (Una vacca, rispose Semperinfelix di conseguenza / Sia isso che issa son vacche, ribatte Hoel)
Un po’ di latinus maccheronicus:
cor meum dilectissimus = cuor mio dilettissimo.
Cum eis iacebam = con loro giacqui.
bis terque =
ripetutamente.