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Autore: Hoel    28/01/2020    2 recensioni
[In collaborazione con Semperinfelix]
Raccolta assolutamente demenziale composta da riflessioni e rielaborazioni in chiave comica di eventi, aneddoti più o meno veri e burle ai danni di personaggi storici, necessaria panacea per le badilate di angst che scriviamo e leggiamo. Come disse il buon Erodoto: “Se un uomo vuole occuparsi incessantemente di cose serie e non abbandonarsi ogni tanto allo scherzo, senza accorgersene, diventa pazzo o idiota.”
Genere: Comico, Demenziale, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Cogliamo l’occasione per ringraziare i gentilissimi recensori Alessandroago_94 e Ardesis, per aver recensito la prima novella.

Procediamo dunque con la seconda e buona lettura,

 

 

***

 

 

Il Colloquio di Lavoro

 

Laddove anche il più grande genio rinascimentale sperimentando le delizie della disoccupazione e non esistendo all’epoca la cassa integrazione, per scampare a fame e creditori dovette affrontare l’orrido supplizio del colloquio di lavoro.

Noi ci s’immagina dunque come Leonardo da Vinci riuscì a strappare a Ludovico il Moro un contratto a tempo indeterminato, ché alla fine, non contano solo i meriti bensì dire la cosa giusta al momento giusto.

 

 

 

“Avanti il prossimo!”


Leonardo da Vinci s'alzò trepidante dall'ottomana su cui era stato lasciato ad attendere in corridoio e stringendo sotto il braccio il suo taccuino pieno di scarabocchi s'inoltrò nello studio del duca, pronto al debutto.


Il Moro stava seduto dietro la solida scrivania di mogano al centro della stanza; alla sua destra il segretario, Bartolomeo Calco, scorreva rapido la penna sulla carta, appuntando la sua entrata. “Nome”, gli chiese secco.


“Lionardo di messer Piero da Vinci”, gli rispose quello, sollevandosi sulle punte.


“Ah, Fiorenzino! Benissimo, messere!” esclamò ilare il Moro, non nascondendo un sorrisetto malizioso. I fiorentini, è risaputo, sono tutti sodomiti, e i loro figlioli tutti figli dei senesi e dei pisani, perciò non avrebbe dovuto temere che potesse insidiargli le amanti.  “Ditemi, che sapete fare?”


“Ho appreso l'arte della musica, so suonare la lira e molti altri portentosi instrumenti. Saprò allietare cene e banchetti meglio di qualunque delle vostre amiche affettuose, signor duca”.


Ludovico picchiettò con due dita sul mento.  “Soltanto?”


“Conosco etianche l'arte della guerra, potrò costruirvi macchine strepitose, mai viste da uomo! Capaci di sputare più foco sugli inimici che il drago di San Zorzo, altre che lanceranno sassi e pietre a mille mila miglia di distanza, cascando in testa ai turchi infedeli, etiam navi capaci di navigare senz'acqua, carri che nessuna bombarda potrà distruggere ed altri che si libreranno in volo sugli inimici come leggiadri piccioni, bersagliandoli a piacimento. Comprendo il linguaggio di cavalli e di ogni bestiola, di modo che potrete conoscere i piani del nemico ancor prima che vi si appressi. So prosciugare i mari, invertire il corso di fiumi e torrenti, spostare colli e montagne o anche aprire valichi alpini, e all'occorrenza spegnere e accendere il sole. Inoltre, se lo vorrete, scaverò gallerie sotterrane sì lunghe da sbucare nello ninferno, onde potrete essere il primo uomo a indire una crociata contro Satan medesmo, ingraziandovi il Papa”.


Questo è scoppiato, fu il primo pensiero del duca, ma disse piuttosto “Mmmh, nient'altro?”


“Sono anche artista eccellentissimo, so dipingere e scolpire in ogni modo e manera, ancora si potrà dare compimento alla statua equestre del gloriosissimo duca Francesco Sforza, vostro defunto padre, ad eterno onore della sua felice memoria e del nome dell'inclita casa Sforzesca”.


“Va bene, signor da Vincio”, Ludovico congiunse le mani, perforandolo con lo sguardo, “le faremo sapere”.


Leonardo salutò mortificato e col morale alle stalle si diresse alla porta, ormai convinto che non l'avrebbe mai assunto e che sarebbe dovuto tornare a Firenze dal Medici, a morire di fame nella speranza che gli desse una commissione. Aveva già la mano posata sulla maniglia, quando improvvisamente ricordò che solo una cosa il Moro amava più dei cefali e della potta: la sua vigna.


Si rigirò verso lor signorie e sorridendo esclamò “O duca, vi annaffio l'orticello!”


Ludovico s'alzò di botto dalla scranna, per modo che la scrivania volò avanti di tre metri, sfondando la parete, mentre il povero Calco, rimasto con la penna a mezz'aria, ebbe la pellanda nuova di sartoria macchiata dall'inchiostro che gli gocciolava addosso.

“Messer da Vincio!” gli gridò il duca, puntandogli il grosso indice contro, “siete assunto!”

 

 

 

 

***

 

 

 

Curiosità: il colloquio ovviamente è di fantasia! Però la disperazione di Da Vinci per ottenere un ingaggio dopo due anni d’inattività  e pure una querela per un dipinto fatto “male”, quella no, purtroppo essa era assai veritiera …

Anche la passione del Moro per il pesce (cefalo), le belle donne (potta) e l’orticoltura corrispondono al vero. Leonardo sul serio si ritrovò ad annaffiare la Sforzesca a Vigevano, rendendo fertili quelle terre aride, e Ludovico lo ricompensò regalandogli una sua vigna personale.  

  
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