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Autore: Ksyl    07/02/2020    2 recensioni
Dopo il week end negli Hamptons, Kate Beckett rimane incinta a sorpresa: la loro coppia recentemente formata riuscirà a superare lo sconvolgimento delle loro vite? Seguito di "Un colpo di testa"
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
Capitoli:
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Castle
Castle entrò nella stanza avvolta dall'oscurità. Si mosse a tentoni, andando a memoria e sperando di non inciampare in qualche spigolo, fino a che non trovò l'ampio letto posizionato al centro. Scostò cautamente le lenzuola. Sperò di non averla svegliata.

Avevano deciso di festeggiare negli Hamptons il compleanno di Kate. Era stato un suo preciso desiderio e, dal momento che non aveva mai preteso di mandarlo in giro di notte a cercare improbabili gusti di gelato, era stato più che felice di accontentarla, anche se – dal suo punto di vista - metà novembre non era la stagione più adatta per apprezzare quello che gli Hamptons avevano da offrire.
Lei aveva sostenuto che l'oceano in inverno aveva un certo fascino e lui aveva abbandonato agi e comodità urbane per passare un weekend tra nuvole basse e fredda aria salmastra.

Era passato a prenderla al distretto, la sera precedente. Si erano sentit entrambi straniti ed emozionati all'idea di rivivere le atmosfere dei loro primi momenti insieme.
Non riusciva a credere a tutto quello che era cambiato nel frattempo. Lei, soprattutto.
Alla ragguardevole cifra di venti e passa settimane, non aveva più bisogno di sporgersi per far notare la pancia, che era ben visibile al mondo intero.
Il bambino aveva cominciato a dare chiari e imperiosi segni della sua presenza. Castle temeva che avesse preso un po' dei tratti dispotici della madre, ma si guardava bene dal fare alcun commento a riguardo.

Aveva scoperto che, inaspettatamente e con sgomento, non ricordava niente della sua esperienza con Alexis, nonostante avesse proclamato ai quattro venti che lui era il Sussurratore di Neonati.
Per questo motivo, quando lei, durante una cena a un nuovo ristorante, solo qualche settimana prima, si era bloccata spaventata a metà di una frase, bisbigliando: "Castle, credo di averlo sentito. È stato una specie di battito", e l'aveva guardato in cerca di aiuto, lui non aveva capito di cosa stesse parlando. Pensava avesse avuto un'extrasistole. Stava già chiedendo il conto e trascinandola al pronto soccorso.
Gli era sembrato ancora troppo presto e, invece, i blog a tema maternità che aveva iniziato a seguire in incognito, per non farsi cogliere impreparato su cosa aspettarsi quando si aspetta - gli piaceva moltissimo usare questa citazione -, gli avevano confermato che era il periodo giusto perché il nuovo membro della famiglia cominciasse a dire la sua. E, infatti, non aveva più smesso.

Kate, spesso, non riusciva a dormire perché "il circense", come lo chiamava, aspettava che sua madre si placasse, prima di darsi al suo allenamento quotidiano. Di notte, preferibilmente. O quando mangiava qualcosa di dolce.
Ecco perché, una volta arrivati a destinazione, aveva ignorato le sue proteste e aveva preferito spedirla di sopra a recuperare il sonno perduto la notte precedente, soprattutto in vista delle giornate impegnative che avevano davanti. L'indomani sarebbero arrivati gli invitati, ovvero tutte le persone a cui volevano bene, riunite sotto lo stesso tetto. E senza nemmeno poter andare in spiaggia. Se fosse morto qualcuno avrebbero blindato la villa e sarebbe arrivato un investigatore belga con la testa a forma di uovo a interrogarli uno per uno. Sarebbe stato magnifico. Tranne per il morto, ovviamente.

Le cose al distretto erano tornate gradualmente alla normalità, dopo la loro riappacificazione. Anche se Beckett non poteva più partecipare alla parte più dinamica del caso, chiedeva sempre il suo aiuto quando c'era qualche teoria da elaborare. Il problema era che, dopo aver ricostruito la struttura dell'omicidio, cosa che non mancava di far provare loro una sottile eccitazione, era a Ryan ed Esposito che toccava il compito di uscire ad arrestare il colpevole, mentre loro due rimanevano seduti alla scrivania, un po' dispiaciuti.
Avevano però scoperto che c'era una sorta di rilassante intimità nello stare da soli mentre gli altri erano fuori a fare quello che andava fatto, soddisfatti di aver risolto un altro caso grazie all'unione delle loro menti brillanti.
Se la prendevano con calma e si raccontavano, in sostanza, i fatti loro. Qualche volta, Montgomery aveva letteralmente dovuto toglier loro la sedia da sotto il sedere e spedirli a casa. Era la prima volta che gli capitava. Era convinto che, con il tempo, qualsiasi relazione si sarebbe spenta o che, quantomeno, sarebbero terminate le cose da dirsi. Al contrario, sembravano non riuscire a smettere di parlarsi.

Erano partiti in anticipo, non perché dovessero preparare la casa per l'arrivo degli ospiti, come avevano annunciato ufficialmente. A quello avevano già pensato elfi invisibili.
La verità era che aveva la sensazione di non averla mai abbastanza per sé, nonostante ormai Kate passasse molto tempo al loft e stessero spesso insieme durante il giorno. Oltre alle interruzioni dovute a incombenze lavorative, aveva iniziato a notare qualcosa accadere in lei con sempre maggiore frequenza, qualcosa che non riusciva a spiegarsi.
Improvvisamente sembrava assentarsi e perdersi in un mondo a lui precluso, trasformandosi sotto ai suoi occhi. Una luce sembrava trasfigurarle i lineamenti da dentro, sorrideva a se stessa con occhi dolci, abbassando lo sguardo, come se fosse impegnata in lunghe conversazioni silenziose nella sua testa. Sembrava imbambolata. E lontana.
Lui la richiamava, e lei si riscuoteva e ricominciava a parlare con lui come se non fosse mai andata via.
Le aveva chiesto più volte che cosa succedesse, a che cosa pensasse in quei momenti, voleva essere partecipe. Gli aveva risposto, con grande naturalezza, di avvertire una specie di legame, o sintonia, che le faceva percepire i pensieri del bambino, ai quali lei rispondeva. Non ci trovava niente di strano.
In effetti, era ovvio e scontato che la donna più concreta e scettica al mondo credesse nella comunicazione telepatica con qualcuno che non era ancora nato.
E di che cosa parlavano?, le aveva chiesto molte volte, facendo finta che tutto questo fosse normale.
Di niente, rispondeva vaga. Le venivano in mente filastrocche di quando era piccola, gli raccontava quello che stava facendo, qualche volta gli leggeva i titoli degli articoli di giornale, ma non doveva pensare che parlassero in senso stretto, quanto che si presentassero spontaneamente nella sua mente pensieri già formati, che non le sembrava provenissero da lei e che interpretava come una sorta di comunicazione ancestrale con il bambino, con cui del resto condivideva un corpo.
Come se questa, invece, fosse una spiegazione logica.

Fuori era già calata la notte, rendendo l'atmosfera molto diversa dalla loro prima volta lì, principalmente perché lei non era nella camera degli ospiti ma nel suo letto. Ufficialmente e in pianta stabile. E lui poteva entrare nel suddetto talamo quanto gli pareva, anche di giorno. Soprattutto di giorno.
Finalmente i suoi occhi si erano abituati alla luce quasi assente della stanza. Iniziava a riconoscere la sagoma degli oggetti e quella del corpo di lei, che era distesa immobile sul fianco sinistro.
Sperando di non disturbarla, l'avvolse in un abbraccio da dietro, facendo aderire i loro corpi e nascondendo il volto tra i suoi capelli, stesi a ventaglio sul cuscino.
Non esattamente il modo migliore per non infastidirla, ma, da quando si erano finalmente ritrovati - definitivamente, sperava -, non riusciva a smettere di toccarla. Temeva sempre di arrivare a un punto in cui avrebbe oltrepassato il limite della sua tolleranza e lei lo avrebbe minacciato con una mazza da golf, ma, al momento, sembrava invece apprezzare molto le sue assidue attenzioni che, anzi, ricercava.
A volte, quando credeva che lui dormisse, l'aveva sentita allungare una mano per accertarsi che fosse vicino a lei, un tocco lieve, quasi impercettibile. Non sapeva se fosse un gesto volontario o se le capitasse durante il dormiveglia. O dopo un brutto sogno.
Avevano trascorso un cauto periodo di riavvicinamento, da un lato emozionati come se stessero uscendo insieme per la prima volta, ma, al contempo, timorosi di fare un passo falso e di ferirsi, e farsi ferire, di nuovo.
Lui aveva cercato di evitare di partire con il suo solito entusiasmo che spianava le montagne e lei si era davvero impegnata a non chiudersi in se stessa, ma a farlo partecipe dei suoi sentimenti e stati d'animo. Vedeva ancora il dottor Burke. Erano più che altro chiacchierate "di mantenimento", come le chiamava lei.

"Castle", mormorò con voce stanca e assonnata.
"Scusa. Ti ho svegliato?", le chiese a bassa sfiorandole la nuca con le labbra, vicino all'attaccatura dei capelli.
"Mmh".
"Era un sì o un no?".
"Era un no, perché non sono riuscita a dormire. Tuo figlio trapezista non ha smesso un attimo di muoversi".
"È quel momento... ?".
"Sì, è assolutamente quel momento. Dammi la mano. Forza", gli ordinò arrivata al limite della sopportazione.
Grazie all'aiuto delle sue nuove amiche dei blog, come le chiamava Beckett - via, un uomo in attesa in un forum di future madri come poteva non diventare la mascotte del gruppo?-, aveva scoperto che, qualche volta, le mani dei padri potevano far miracoli per calmare le evoluzioni dei piccoli saltatori. Lui per primo non ci aveva creduto. Dove era finito il buonsenso? Doveva essere una leggenda metropolitana.
Una sera, mentre si preparavano per andare a dormire, glielo aveva raccontato solo per mostrarle un nuovo caso di pazzia collettiva, ma figurati Beckett se questa cosa funziona, dove è finito il rigore scientifico, che differenza ci sarà tra la mia e la tua mano, e, al massimo è la mano della madre che calma il bambino, riconoscendola invero per una certa di continuità fisica, aveva blaterato con tono di superiorità, andando avanti per parecchio tempo. Cogliendolo impreparato, Miss Concretezza gli aveva afferrato la mano e se l'era messa sulla pancia. Con suo sbalordimento e grande soddisfazione di Beckett, aveva davvero funzionato. Il bambino si era calmato.
Da allora, nei momenti di crisi, quando arrivava allo stremo della stanchezza, richiedeva con insistenza i poteri miracolosi della sua mano, facendolo sentire più un dispensatore di sollievo che un uomo che, un tempo, era riuscito ad affascinarla per ben altre caratteristiche.
Anche questa volta seguirono lo stesso copione. Una volta appoggiata la mano sulla pancia, Beckett riuscì finalmente a rilassarsi. Avrebbe fatto un calco della sua mano e l'avrebbe donato alla nazione, casomai servisse ad allietare altre future madri.

Beckett
Si girò sulla schiena, sospirando quando i muscoli indolenziti si rilasciarono al contatto con il materasso.
C'era qualcosa di vagamente decadente nello starsene sdraiata a letto prima di cena, in un giorno settimanale. La vecchia Beckett non lo avrebbe certamente apprezzato, ma ormai le capitava così spesso di sentirsi stanca a metà giornata da considerare un vero lusso poter sonnecchiare insieme a Castle in un posto confortevole e privato dove nessuno li avrebbe disturbati. Era un tipo di vicinanza che aveva iniziato ad apprezzare, soprattutto da quando viveva in una casa piena di gente.
"È tutto pronto?" domandò oziosamente. Era felice di non doversi occupare di niente, per una volta.
"Sì, ho scaricato i bagagli, controllato le stanze, dato la cera, pulito le grondaie, scavato una galleria sotto all'oceano, trovato il petrolio ed è tutto sotto controllo. Inoltre, piove. Ho acceso il caminetto di sotto".
Si era sbagliata. Adesso era veramente perfetto.
"Che peccato. Volevo andare a fare una passeggiata sulla spiaggia", lo punzecchiò.
"A novembre?"
"Ti informo che i luoghi di villeggiatura estivi non smettono di esistere quando arriva l'autunno".
"Fa freddo, è umido e non si può fare il bagno".
"Hai una piscina riscaldata".
"Wow", le sorrise sorpreso, alzando un sopracciglio, ma molto ben disposto al cambio di programma. "Leggo tra le righe un certo invito di natura viziosa?"
Lei ridacchiò: "Non così tra le righe. Ho solo una pancia, non ho subito una lobotomia. Apprezzo ancora i piaceri della vita".
"Allora... più tardi... dopo che avremo raccolto le conchiglie...", la invitò con voce suadente, baciandola sul collo in modo tutt'altro che casto, allontanandole con le labbra lo scollo ampio della maglietta, che le era già scesa su una spalla.
"Io non raccolgo le conchiglie. Non ho cinque anni", ribadì Kate ridendo, mentre lui le aveva già chiuso le labbra in un lungo bacio, a cui lei rispose con entusiasmo. Forse Castle avrebbe capito che, tutto sommato, il mare d'inverno lontani dalla civiltà e senza nessun altro impegno che quello di far passare il tempo, non era così male.
In una casa deserta. E i cellulari al piano di sotto. E sul tetto si sentiva la pioggia cadere in modo regolare.

Qualche tempo dopo, sentendosi decisamente rinvigorita, allungò una mano per accedere la lampada dal suo lato del letto. La luce calda illuminò la stanza. Lanciò un grido soffocato. Vicino alla porta c'era un enorme oggetto non meglio identificato.
"Cosa sarebbe quella mostruosità?!", gli domandò con il tono autoritario che usava negli interrogatori.
Castle si voltò a controllare che cosa avesse attratto la sua attenzione.
"Ah, quello. È il tuo regalo di compleanno".
"Mi hai regalato un serpente? È un'altra delle idee che ti hanno consigliato le tue amiche del forum?"
"In effetti... sì", ammise imbarazzato sotto il suo sguardo implacabile.
"Ok, non voglio sapere altro. La gente, e tu soprattutto, non avete una vita. Dimmi cosa ci fa nella nostra camera quell'animale orrendo, che farà riferimento sicuramente a qualcosa che trovi molto divertente, ma che io non capirò e sono già stanca adesso di tutta la faccenda", concluse con un gemito di frustrazione.
"È un cuscino", le spiegò quando si fu finalmente zittita.
"Il serpente è un cuscino?". Aprì un solo occhio a guardarlo.
"Non è un serpente! Ok, ricominciamo. È un cuscino per dormire molto utile, dicono, in gravidanza. Non sto scherzando, vai a leggere le recensioni su Amazon, se non ti fidi".
Lei si tirò su, incerta. Castle era andato a recuperare il serpente e lo aveva appoggiato in mezzo a loro. Era perfino più ingombrante di quello che aveva immaginato.
"E a che cosa dovrebbe servire?"
"Adesso è ancora presto, ma, a quanto pare, andando avanti con le settimane, la pancia comincerà a pesare e tu potresti avere mal di schiena".
"Ho già mal di schiena", gli ricordò.
"Ecco, in sintesi questo cuscino ti aiuterà a trovare la posizione adatta per sostenere la schiena, la pancia e tutto il resto. Contenta? Nella scatola ci sono le istruzioni".
Lei non era ancora del tutto convinta, ma poi fece qualche prova e si accorse che non era una una delle solite stramberie di Castle. Al contrario, era qualcosa di realmente funzionante nel mondo delle persone dotate di senno.
"Grazie. Sei stato molto dolce", mormorò ammorbidendo il tono. "Ma mi auguro che non sia il regalo per il mio compleanno".
"Non è ancora il tuo compleanno", precisò lui. "Ti ricordo però che hai insistito perché non ti facessi nessun regalo, perché eri contenta di quello che avevi, il sole, il mare, le stelle sopra di noi, e l'imperativo morale dentro di noi, eccetera. Ti sto citando".
"Sai, Castle? Comincio a capire perché tu abbia divorziato due volte".
Ricevette in cambio una smorfia che la fece scoppiare a ridere.

Tenne tra le braccia il cuscino, riflettendo in silenzio. "È il primo oggetto che compri che abbia per tema la mia gravidanza. Lo so che finora ti sei sempre trattenuto, andando contro la tua natura".
"Certo, mi hai vietato di fare qualsiasi cosa. Questo bambino verrà al mondo in una mangiatoia e non avremo nemmeno di che vestirlo".
Sorrise, ma rimase saggiamente in silenzio. Le lanciò un'occhiata severa.
"Che cosa mi stai nascondendo, Beckett? Hai svaligiato i negozi dimenticandoti di avvisarmi? Ti giuro che se è così vado in città e compro tutto quello che ho sulla mia lista. Ora".
"Tu hai una lista?", si incuriosì.
"Certo. Sono un uomo ordinato e previdente. E poi ci sono aggeggi elettronici che non vedo l'ora di provare. Hanno inventato cose meravigliose per neonati, mi sono documentato", si infervorò.
"Ok, non voglio sapere niente". Lo fermò prima che partisse in quarta. "E no, non ho comprato niente nemmeno io. Ho solo...", si fermò, titubante.
"Solo?"
"Niente di importante. Un vestitino di quando ero piccola. Il primo che ho indossato. Me lo ha dato mio padre quando sono passata a trovarlo per... informarlo", concluse un po' imbarazzata.
Le strinse una mano. "È una cosa bellissima! Glielo metteremo quando lo porteremo a casa dall'ospedale. Gli faremo un sacco di foto. Un poster, anzi. Metteremo te neonata insieme a lui, vestiti allo stesso modo. Sei d'accordo per una gigantografia?".
No, non esagerava proprio mai.
"Castle, è tutto rosa".
"Quindi?"
"Avremo un maschio".
"Beckett, non credevo che proprio tu facessi discriminazioni di genere", si finse indignato.
"Certo che no", replicò offesa. "Vuoi davvero vestirlo di rosa?". Non sapeva mai quando scherzava e quando no. Anzi, il rischio con lui era proprio che non scherzasse ma che andasse fino in fondo alle sue teorie più folli.
"Lo vestiremo di rosa. Daremo un segnale forte alla società. Saremo i fautori del cambiamento", declamò ispirato.
Doveva fermarlo prima che iniziasse a mettere i manifesti.

...

Come aveva sempre sostenuto, contro ogni logica, ma intimamente sicura della sua idea, il bambino era un maschio. Ne avevano avuto la certezza da poco e lei ancora provava l'impulso di fuggire nel ricordare tutta la vicenda.
Tutto era iniziato tutto quando, a una visita di controllo, Castle si era fatto dare il cellulare del suo ginecologo. A quanto pareva, il giovane medico era riuscito a conquistare la sua fiducia, nel tempo. Erano diventati grandi amici, così sosteneva Castle, ma lei non conosceva l'opinione del ginecologo a riguardo. Lo aveva tempestato di messaggi con il preciso intento di cogliere l'istante esatto in cui il sesso del nascituro sarebbe stato visibile. Non che avesse preferenze, sosteneva. Purché fosse sano, eccetera. Però voleva saperlo e il prima possibile.

Quando Kate aveva iniziato a notare gruppetti di persone che quotidianamente al distretto, con aria distratta, si fermavano a studiarle la forma della pancia o le facevano domande un po' troppo mirate, aveva deciso di averne abbastanza. L'aveva trascinato in un angolo e gli aveva intimato di non inventarsi nessun giro di scommesse, perché non era un atteggiamento serio, la gente le stava dando sui nervi e lei -anzi tutti - erano lì per lavorare. Ed era maschio, glielo aveva ripetuto all'infinito, perché non si fidava di lei?
Lui aveva annuito con aria molto compunta, le aveva risposto che non aveva alcun motivo di preoccuparsi per le scommesse, lui non ci aveva assolutamente pensato, sarebbe stato decisamente scorretto. Scommettere sul sesso del loro bambino? Anzi, del bambino che l'intero distretto considerava un po' come il proprio, avendo visto nascere il loro amore tra una scrivania e l'altra?
Lei aveva grugnito e l'aveva mollato a blaterare ispirato di grandi storie d'amore che nascono in posti impervi, così come la ginestra fa tra i sassi, e se ne era andata a finire di fare il suo lavoro.
Era assolutamente certa che fossero andati avanti a scommettere sotto al suo naso, ma erano stati molto discreti. Lei non era mai riuscita a coglierli sul fatto.

Il giorno dell'appuntamento, deciso di concerto tra lui e il medico - probabilmente in base a qualche forma di divinazione sciamanica sulle fasi lunari -, era arrivata alla porta dello studio già stremata da un Castle in evidente surplus di zuccheri, che non la smetteva un attimo di parlare. In sala d'attesa gli aveva messo una mano sulla bocca, minacciandolo di legarlo, imbavagliarlo e richiuderlo nello sgabuzzino, se non si fosse dato una calmata. Ovviamente, non era servito.

Una volta dentro, era riuscito a creare la solita confusione, mentre lei cercava a fatica di seguire il discorso.
Stesa sul lettino, mentre lui faceva cadere inavvertitamente lo sgabello di metallo, aveva passato il tempo a escogitare mille modi di uccidere una persona tra atroci sofferenze. Aveva deciso di soffocarlo ficcandogli un sacchetto di plastica in gola. Questo avrebbe avuto il non trascurabile vantaggio di fargli chiudere il becco una volta per tutte.
Per fortuna il bambino era stato ben disposto a mostrarsi e fu presto chiaro dal monitor, senza alcun dubbio per i presenti, che era proprio un maschio. Lei era ammutolita, turbata all'idea di averlo sempre saputo e di averne solo ora la prova concreta. Si era girata verso Castle, per condividere con lui il momento che aveva atteso con ansia. Invece di trovare un uomo entusiasta pronto ai fuochi d'artificio, lo aveva visto immobile e zitto. Lei e il medico si erano guardati, interrogativi. Le era perfino venuto l'orribile sospetto che lui, in fondo, desiderasse avere un'altra figlia.
"Castle, stai bene?"
Sentendo la sua voce, era sembrato risvegliarsi dal coma. Aveva indicato lo schermo.
"Con le parole se ti è possibile".
"È maschio!", era riuscito a sputar fuori con difficoltà. "È il suo... cioè, lo vedo... guardate lì".
"Sì, è chiaro a tutti in questa stanza che è proprio maschio, non c'è bisogno di specificare". Lui non aveva nemmeno colto il tono sarcastico, imbambolato a fissare l'immagine.
"È un problema?", gli aveva chiesto con cautela.
"No, certo che no", aveva risposto strattonandole un braccio, in preda all'esultanza. "È maschio-maschio!".
E da lì la situazione era degenerata. Prima l'aveva detto a tutte le persone nello studio, poi, al ritorno al distretto aveva dato il meglio di sé: aveva fatto la sua entrata trionfale da rockstar, appoggiandosi allo stipite della porta, impettito come un gallo e aveva tenuto a dire a chiunque passasse di lì che lui, Richard Castle in persona, avrebbe avuto un maschio. Volevano guardare? Tirava fuori l'ecografia e illustrava con dovizia di particolari a un pubblico tra il costernato e l'interessato tutta la mascolinità di suo figlio, al punto che lei si sentiva relegata al mero ruolo di regina consorte procreatrice di eredi al trono.
Aveva lasciato che tenesse udienze nella stanza del caffè, che si godesse il momento, e aveva unicamente rifiutato la sua offerta di incorniciare il sacro reperto, con un cerchio a indicare al prossimo l'esatta appartenenza biologica del loro bambino. Non voleva averlo davanti agli occhi in modo così evidente per tutto il tempo, grazie. E niente foto sui social network.

Era comunque rimasta un po' perplessa all'idea che Castle tenesse tanto ad avere un maschio. Forse aveva a che fare con l'essere cresciuto senza un padre. Non avevano potuto dibattere la questione in modo appropriato perché da subito era sorta la controversa questione di chi avrebbe assistito al parto. Nessuno, aveva affermato decisa. Lui non l'aveva presa bene. L'aveva ferito senza volerlo, lei aveva solo considerato il proprio bisogno di concentrarsi senza distrazioni. Castle avrebbe messo a soqquadro l'intera sala parto, ne era sicura. Non erano ancora arrivati a una conclusione soddisfacente. Ne era dispiaciuta.

...

Dopo il sonnellino pomeridiano erano finalmente riusciti a scendere al piano di sotto per una cena veloce, che lui si era offerto di preparare, come sempre. Era seduta sul divano, con le gambe stese sul tavolino di fronte al camino, persa nella contemplazione delle fiamme. Castle arrivò alle sue spalle portandole una tazza di un intruglio bollente di cui aveva letto da qualche parte le magnifiche proprietà e che lei beveva sentendosi molto assennata, e insieme schifata, mentre lui sorseggiava un bicchiere di vino, con molta soddisfazione personale e invidia da parte sua.
Prima o poi sarebbe tornata in possesso del suo corpo.
Si sentiva calma, rilassata e in pace con il mondo come le capitava molto spesso, se non si considerava l'orribile tisana dall'olezzo indescrivibile che era costretta a trangugiare.

Castle appoggiò il bicchiere di vino, si sporse verso il basso e riemerse facendole cadere in grembo qualcosa di molto appariscente, chiuso da un fiocco sgargiante. La discrezione secondo Richard Castle.
"Questo è il tuo regalo", le annunciò.
"Come posso continuare a non accorgermi che lasci in giro per casa oggetti voluminosi?", si stupì, deviando la conversazione dalla cosa che contava davvero, cioè il regalo stesso. Non era brava in queste cose. Ricevere doni, essere amata, felice.
"Me lo sto chiedendo anche io, Beckett. Dove è finito il tuo spirito di osservazione?".

Le indicò il pacco.
"Aprilo. Stracciando la carta. So che tu sei una di quelle persone che apre i pacchetti meticolosamente".
Lei valutò se tirargli un cuscino, ma preferì dedicarsi a cosa più importanti. Tentò di sollevare la carta con cura, ma si arrese in fretta e la fece in brandelli con grande soddisfazione. C'era davvero qualcosa di liberatorio nel cedere alla curiosità e distruggere le cose con furia.
Si trovò tra le mani una scatola. Era di medie dimensioni, di legno scuro con qualche venatura più chiara.
Il regalo era la scatola o era solo un contenitore? Le sfuggiva qualche strano significato simbolico che lui aveva notato e che si aspettava che lei ricordasse? Perché se era così, temeva di doverlo deludere.
La aprì. Era vuota. Quindi il regalo era la scatola. Anzi, era una specie di baule. Ottimo, non aveva la più pallida idea di quello che significasse.
"È la Nostra Scatola Magica. Maiuscolo, come Bambino", le spiegò Castle.
"Quindi adesso salta fuori un coniglio?", non resistette a chiedere, vedendolo così serio.
"No, perché quelli escono dal cilindro, non dalle scatole. Vuoi sapere che cosa significa, o dobbiamo giocare a chi è più cinico?"
"Ok, ok. Scusa. Vai".
"Questa è la scatola della nostra famiglia. Perché siamo una famiglia, già solo io e te. E so che questi discorsi ti spaventano e non li vuoi sentire, ma adesso li ascolterai fino alla fine. Qui metteremo le cose importanti per noi, i nostri ricordi, oggetti che vogliamo conservare, le conchiglie che so che vuoi raccogliere per farne poi un quadretto, frasi che ci sono piaciute, esperienze, avventure, insomma, tutto quello che ci ha fatto stare bene e che farà parte della nostra storia. Qualcosa che dica che siamo noi. E così costruiremo un serbatoio di cose belle, e nostre, che potremo aprire nei momenti difficili, per ricordarci da dove siamo partiti, e cosa abbiamo costruito, insieme. Per ritrovare la magia e viverla ogni giorno", concluse il suo discorso con un po' di emozione nella voce, attirando la sua attenzione sull'interno del coperchio, dove erano incise una parola "Always" e una data "9 Marzo 2009".
"È quando ci siamo incontrati. L'inizio di tutto".
Kate, che aveva già gli occhi lucidi alla parola "Famiglia" e aveva cercato di trattenersi per tutto il tempo del monologo di Castle, sentì scorrere le lacrime sulle guance e prese a fare dei respiri profondi per calmarsi.
"Beckett, non fai altro che piangere da qualche tempo. Dove è finita la donna tutta d'un pezzo che ho incontrato?", la prese in giro, facendola ridere mentre piangeva.
"Sono gli ormoni, Castle! Lo sai", piagnucolò esprimendosi in modo incomprensibile.
"Mi spiace, non capisco il piantese. Sei tu quella esperta", continuò a scherzare Castle, rendendole in qualche modo possibile recuperare il controllo di sé.
"Ok. Sono calma". Chiuse il coperchio della scatola, fece qualche respiro profondo e si girò verso di lui. "Grazie. Davvero. È un pensiero bellissimo. La terrò, la terremo, con molta cura". Avrebbe voluto dire tante cose, ma rischiava di farsi prendere di nuovo dall'emozione e sperò che lui avesse compreso quello che significava per lei, senza doverlo spiegare a parole. Lui era bravo a farlo, lei no.

   
 
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