Capitolo decimo
Prendi la mano e rialzati
Tu puoi fidarti di me
Io sono uno qualunque
Uno dei tanti, uguale a te
Ma che splendore che sei
Nella tua fragilità
E ti ricordo che non siamo soli
A combattere questa realtà
Credo negli esseri umani
Credo negli esseri umani
Credo negli esseri umani che hanno coraggio
Coraggio di essere umani…
(“Esseri umani” –Marco Mengoni)
I giorni che vennero
furono più sereni. La minaccia rappresentata da Andrea Pazzi non esisteva più e
ognuno poteva tornare alla sua vita. Soprattutto, con grande sollievo di
Cosimo, Rinaldo poteva tornare al suo palazzo e smetterla di stargli sempre tra
i piedi con quello sguardo di aperta disapprovazione!
Anche Ormanno era
rientrato a Firenze dalla campagna con la moglie Beatrice e adesso anche loro
si sarebbero stabiliti a Palazzo Albizzi. Dopo tutto ciò che era successo,
Giovanni si risolse infine a passare sopra alla sua gelosia e al dolore che
provava quando Rinaldo andava a trovare sua figlia… e decise di tornare a
vivere con lui a Palazzo Albizzi.
A Palazzo Medici,
intanto, le cose andavano sempre meglio: Lorenzo aveva voluto fissare al più
presto le sue nozze con Ginevra Cavalcanti e la coppia si sarebbe sposata due
settimane dopo. Si stavano già organizzando i festeggiamenti, che sarebbero
stati sontuosi e pieni di allegria per dimenticare i periodi tristi e i
pericoli passati. Perfino la costruzione della Cupola stava procedendo bene e
velocemente, con grande soddisfazione di Cosimo. Rinaldo, al contrario,
continuava a non sopportare quella povera Cupola che non gli aveva fatto niente
e, anzi, era lieto di essere tornato al suo palazzo anche perché dalle sue
finestre non la vedeva e poteva illudersi che non esistesse!
Rimanevano un paio di
questioni che non permettevano a Cosimo di rilassarsi ed essere completamente
felice, tuttavia anch’esse erano destinate a risolversi felicemente in poco
tempo.
Le due questioni
riguardavano il figlio che Maddalena aspettava e l’avvelenamento di suo padre:
Cosimo ormai sapeva per certo che non era stato Lorenzo e nemmeno Rinaldo, però
dalla lettera di Pazzi non era saltata fuori alcuna novità che riguardasse quel
fatto e questo poteva solo significare che, purtroppo, non era possibile
addossare ad Andrea Pazzi anche quell’ennesimo delitto. Ma allora chi aveva
ucciso suo padre? Possibile che fosse stato davvero Marco Bello? Se fosse stato
lui lo avrebbe fatto a fin di bene, certo, per proteggere Cosimo e Lorenzo
dalle ingerenze di un padre troppo tirannico… ma lui sarebbe riuscito a perdonarlo
davvero e ad accettarlo di nuovo come membro della sua famiglia?
Quella sera, Cosimo
era nel salone insieme alla moglie Contessina e a suo fratello Lorenzo e
parlava con loro del prossimo matrimonio, di chi avrebbero dovuto invitare (Lorenzo
avrebbe tanto desiderato non trovarsi
Rinaldo Albizzi tra i piedi almeno per quel giorno, ma se non lo avessero
invitato si sarebbe creato nuovamente dell’attrito tra le famiglie e poi come
l’avrebbe presa Giovanni?), di come si sarebbe svolta la cerimonia… Cosimo
aveva pensato di chiedere a Sua Santità in persona di sposare Lorenzo e
Ginevra, per consacrare ancora di più il legame tra gli sposi e anche quello
tra il pontefice e la famiglia Medici!
Vabbè, Cosimo de’
Medici era sempre un filino opportunista…
“Ho capito che
sarebbe una scortesia non invitare Rinaldo Albizzi, ma non ti pare che anche
invitarlo creerebbe dei problemi non indifferenti?” obiettò Lorenzo, cercando
di convincere il fratello. “Se invitiamo lui, ovviamente verranno anche suo
figlio Ormanno e Beatrice, oltre a Giovanni, e questo va bene, ma come la
mettiamo con sua moglie e la piccola? In un’occasione come questa, Rinaldo
dovrebbe presentarsi con la sua legittima sposa… e allora come pensi che la
prenderebbe Giovanni?”
In effetti il
problema esisteva e Lorenzo non aveva tutti i torti.
Cosimo rifletté
qualche istante prima di rispondere.
“Sua moglie
Alessandra ha avuto la bambina da pochi mesi e sta ancora riprendendosi dal
parto. Nessuno avrà da ridire se non si presenterà ad una festa durante la
quale rischierebbe di affaticarsi” replicò, salvando capra e cavoli come era
solito fare!
Sembrava che la
questione fosse risolta, ma l’accenno a parti e neonati fece calare una cappa
di disagio tra i tre. Tuttavia, inaspettatamente, la prima a riprendersi fu proprio
Contessina.
“Cosimo, in questi
giorni ho pensato molto al bambino che Maddalena avrà tra qualche mese” disse.
“So cosa avevo detto tempo fa, ma quello che è accaduto, la paura di perdere
Lorenzo e tutta la nostra famiglia, mi ha fatto capire che non sarebbe stato
giusto. Quel bambino è tuo figlio e dovrai occupartene e crescerlo come tale.”
“Contessina, io…”
mormorò Cosimo, per la prima volta sopraffatto dall’emozione. La moglie gli
prese la mano e gli sorrise.
“Tutti possiamo
commettere degli errori e anch’io ne ho commessi. La nascita di un bambino,
però, è un avvenimento lieto e sono certa che porterà fortuna e felicità alla
nostra famiglia” affermò convinta, con un dolce sorriso.
In quel momento si
udì bussare alla porta, che era accostata. Sulla soglia stavano Marco Bello e
Maddalena, che si tenevano per mano e apparivano piuttosto turbati.
“Messeri, Madonna, vi
chiedo perdono se, non volendo, ho ascoltato la vostra conversazione” disse
l’uomo, con un’aria imbarazzata che di certo non era da lui! “La mia intenzione
era chiedere il vostro permesso per… beh, ecco… volevo… insomma, io e Maddalena
vorremmo sposarci! Non mi importa se il bambino non è figlio mio, io gli vorrò
bene come se lo fosse e voi, Messer Cosimo, potrete educarlo e crescerlo come meglio
crederete. Voglio solo… sposare Maddalena e restare accanto a lei per il resto
della mia vita.”
Eh sì, anche lui in
quei giorni aveva rischiato la pellaccia e aveva rivisto le priorità della sua
esistenza!
Cosimo restò allibito
e dovette riflettere un po’ per rispondere alla domanda di Marco. Sapeva bene
che l’uomo aveva manifestato da tempo un interesse particolare per la bella
serva e che lei iniziava a ricambiarlo e, del resto, lui non nutriva più alcun
interesse per lei, da tempo ormai non visitava più il suo letto. No, non era
quello il problema. Semmai l’unico tarlo che lo rodeva era il solito: non era
sicuro al cento per cento che non fosse stato Marco Bello a avvelenare suo
padre. Adesso che era stato chiarito che non era stato nemmeno Pazzi a farlo
uccidere, chi restava? Di certo il Medici senior
non si era suicidato!
“Hai il mio permesso,
Marco” disse alla fine, decidendo di dare fiducia ancora una volta all’uomo che
aveva salvato più volte la sua vita e quella della sua famiglia. No, Marco Bello
non poteva essere un assassino.
Felici e sollevati,
Marco e Maddalena si scambiarono un sorriso e, dopo aver salutato e
ringraziato, uscirono dalla stanza. Lorenzo, però, aveva notato l’esitazione
del fratello e poco dopo, quando anche Contessina se ne andò, gli pose una
domanda ben precisa.
“Cosimo, ho notato
che non hai risposto subito alla richiesta di Marco Bello” disse. “Credo che
dovresti essere onesto e sincero con Contessina: provi ancora qualcosa per
Maddalena? Oppure è il fatto che aspetti un figlio tuo a farti esitare?”
L’uomo sembrò molto
sorpreso da quella domanda e sembrò cadere dalle nuvole.
“E’ questo che pensi,
Lorenzo? Non potresti essere più lontano dalla verità” replicò, davvero stupito
che il fratello potesse credere una cosa simile. “No, l’unica cosa che mi ha
frenato è che… beh, noi non sappiamo ancora chi ha davvero avvelenato nostro
padre. La lettera di Pazzi non dice niente al riguardo e io… per un momento ho
pensato che Marco Bello non era stato ancora scagionato. Però no, non posso
credere che sia stato lui, ti ha salvato la vita, mettendo a rischio la sua e
dopo che era stato cacciato dalla nostra casa. No, voglio fidarmi di lui, come
prima. Eppure temo che quest’ombra resterà sempre…”
Lorenzo, un tempo il
primo ad avversare Marco Bello, questa volta fu invece il primo a difenderlo.
“La lettera di Pazzi
non prova niente, l’omicidio di nostro padre risale ormai a qualche anno fa e
Pazzi potrebbe benissimo essere colpevole e non avere motivo di raccontarlo al
Duca Visconti, non è qualcosa che lo riguardi. Per parte mia, io sono certo che
è stato Andrea Pazzi, anche se non ne avremo mai le prove. Ha fatto uccidere
Mastro Bredani, ha organizzato l’imboscata contro gli Albizzi e ha tentato di
far uccidere anche me, non credo che si sarebbe fatto scrupoli a far avvelenare
nostro padre.”
“Sì, forse hai
ragione tu” mormorò Cosimo, ma si capiva che avrebbe voluto avere la certezza
dell’innocenza di Marco Bello.
In quel momento
un’altra persona si presentò discretamente alla porta: era Ugo, il vecchio
contabile della famiglia Medici. Teneva lo sguardo basso e appariva molto
turbato.
“Messer Cosimo,
Messer Lorenzo, vi chiedo perdono se, non volendo, ho udito la vostra
conversazione e… e credo sia giunto il momento di essere totalmente sincero con
voi. Troppe persone in questa casa hanno sofferto e sia voi sia Marco Bello sia
Maddalena meritate di vivere felici e in pace” disse.
Così, sempre tenendo
il capo chino e con occhi pieni di lacrime e voce tremante, l’anziano contabile
raccontò tutto: spiegò che il Medici senior,
da vero padrino, gli aveva fatto
un’offerta che non poteva rifiutare, ossia liberarsi di Rosa, l’innamorata di
Lorenzo, e del bambino che aspettava. Lui aveva accompagnato la ragazza in un
convento, ma in quel posto era stata trattata in modo orribile, subendo
percosse e privazioni e, alla fine, era morta dando alla luce il bambino di
Lorenzo, anche lui morto. Ugo, che aveva sempre cercato di aiutarla, ne era
rimasto sconvolto e aveva affrontato il suo padrone, rimproverandolo di essere
stato un bastardo dentro (non con queste
parole, ma il senso era quello).
“Credetemi, se Messer
Medici si fosse mostrato dispiaciuto o, perlomeno, avesse detto qualche parola
di compassione per quella povera giovane e suo figlio… ma lui… lui fece un
sorriso compiaciuto e rispose che, per lui, gente come Rosa era poco più che
una bestia e che non avrebbe mai dovuto osare avvicinarsi alla famiglia Medici”
raccontò Ugo, ancora sconvolto al ricordo. “Fu per quello… non avevo potuto
salvare quei due poveri innocenti, ma potevo vendicarli, così fui io a compare
la cicuta e a metterla sull’uva che vostro padre avrebbe assaggiato il giorno
dopo.”
Cosimo e Lorenzo si
scambiarono uno sguardo, entrambi molto turbati. Adesso sapevano chi aveva
assassinato il loro padre, ma potevano veramente condannarlo per ciò che aveva
fatto?
“Quando avete
accusato Marco Bello ho creduto di essere salvo, ma adesso le cose sono
cambiate, lui vuole sposare Maddalena e lei aspetta il figlio di Messer Cosimo…
ho pensato che fosse una seconda occasione per salvare la famiglia Medici dal
peccato di ciò che era stato fatto a Rosa” continuò, sempre più convinto. “Se
adesso vorrete cacciare me da questa casa, lo capirò. Sono colpevole, non solo
per l’avvelenamento di Messer Medici, ma anche per non aver protetto Rosa e il
bambino e per aver lasciato condannare un innocente al mio posto. Non merito
alcun riguardo.”
Fu Lorenzo il primo a
ritrovare la parola.
“Io non ti condanno”
dichiarò con voce spezzata. “Non sapevi cosa sarebbe successo a Rosa e a… a mio
figlio e, quando lo hai scoperto, hai fatto ciò che ritenevi giusto. Nostro
padre ha commesso tanti errori, non giustifico il suo omicidio ma credo che,
alla fine, abbia ottenuto quello che si è cercato con la sua condotta. Per
quanto mi riguarda, io continuerò a credere che sia stato eliminato da Andrea
Pazzi.”
Beh, tanto Pazzi ne
aveva ammazzati, o cercato di ammazzare, così tanti che uno in più non avrebbe
fatto differenza!
Cosimo sembrava meno
convinto. Ugo gli aveva mentito per anni e lui si era torturato la mente
domandandosi chi avesse ucciso suo padre. Aveva accusato Rinaldo, aveva
addirittura punito Lorenzo, credendolo colpevole, e aveva cacciato di casa
Marco Bello. Cosa doveva fare, ora?
In realtà la risposta
era più semplice di ciò che pensava: doveva fare l’esatto contrario di ciò che
avrebbe fatto suo padre, ossia perdonare.
Il padre era stato un uomo duro, severo, ambizioso e senza scrupoli, che non
aveva concesso mai una seconda possibilità a nessuno, nemmeno ai suoi figli. Rosa
e il suo bambino erano morti per la sua freddezza e crudeltà. Lui voleva
davvero essere come il padre?
Assolutamente no.
“Non dovrai lasciare
questa casa, Ugo. Non posso davvero perdonarti per aver ucciso nostro padre, ma
posso comprendere perché tu lo abbia fatto e io non voglio mostrarmi spietato
come lui” disse. “Questo sarà un nuovo inizio per la famiglia Medici, senza più
segreti, rancori o vendette. Siamo una famiglia, abbiamo affrontato tanto
dolore insieme e adesso meritiamo tutti di vivere un periodo di pace e gioia,
con i matrimoni che si celebreranno presto e i figli che nasceranno. Anch’io
scelgo di credere che sia stato Andrea Pazzi ad avvelenare nostro padre e lui
sta già scontando la sua giusta pena, privato del seggio alla Signoria, dei
suoi beni e di tutto il suo potere. La cosa finisce qui e non ne parleremo mai
più.”
Ugo era talmente
commosso da non riuscire nemmeno a trovare le parole per ringraziare; ma anche
Lorenzo era favorevolmente stupito: quel nuovo Cosimo, più disponibile,
generoso, desideroso di dimostrare il suo affetto alla famiglia gli piaceva
molto. Ora capiva che, in tutti quegli anni, suo fratello aveva sofferto e
aveva represso i suoi veri sentimenti per recitare la parte che il padre gli
aveva imposto. Adesso anche Cosimo era libero.
Cominciava una nuova
era per la famiglia Medici.
E a Palazzo Albizzi
come andavano le cose, vi chiederete (almeno spero!)?
Ormanno e Beatrice
erano stati felicissimi di rientrare a Firenze e di sapere che il vero
colpevole di tutto, Andrea Pazzi, avrebbe pagato. Beatrice era contenta che suo
fratello vivesse a palazzo con lei, anche se non aveva ben capito quale
rapporto lo legasse a Rinaldo Albizzi… ma, a dirla tutta, ancora non lo aveva
capito nemmeno Giovanni! Comunque, in qualche modo tutto particolare, anche
quella adesso era una famiglia, una famiglia
allargata con molto anticipo sui tempi!
Quella sera,
tuttavia, Giovanni appariva nervoso e turbato. Il giorno seguente ci sarebbe
stata una riunione della Signoria, la prima alla quale lui avrebbe partecipato
come membro effettivo, e la cosa lo metteva in crisi.
“Giovanni, cosa c’è
che ti angoscia tanto?” gli domandò Rinaldo quando furono soli nella stanza
dell’uomo. “Sei stato silenzioso tutta la sera, in genere questo significa che
non stai bene!”
Il ragazzo esitava. A
dire il vero, non si era mai confidato con Rinaldo, non aveva mai parlato
apertamente con lui. Si erano scontrati, si erano cercati, amati, lasciati e
ripresi, ma non gli era mai venuto spontaneo confidarsi con quell’uomo: se
aveva un problema, solitamente ne parlava con Cosimo o Lorenzo… Però quella
sera tutto sembrava diverso e, quasi senza accorgersene, Giovanni cominciò a
spiegare il suo malessere.
“Io… credo di non
sentirmi degno di essere un membro della Signoria!” ammise.
Rinaldo rimase
stupefatto.
“Cosa? Proprio tu
vieni a dire questo? Ma se hai parlato davanti a tutta la Signoria ogni volta
che ne hai avuta l’occasione e ti sei messo contro chiunque fin dal primo
giorno in cui ci siamo conosciuti! Ora mi diventi timido?” esclamò.
“Ma è proprio per
questo!” protestò Giovanni. “Finora io mi sentivo libero di dire quello che mi
pareva, tanto non contavo niente per il Gonfaloniere e gli altri membri e poi
interveniva Messer Cosimo e salvava la situazione. Ora… ora sono io che devo
prendermi queste responsabilità e non credo… non ne sono all’altezza.”
Rinaldo non aveva mai
visto questo lato più insicuro e dolce di Giovanni e la cosa lo intenerì e lo
eccitò enormemente. Adesso capiva molte cose, anche le sue reazioni violente di
gelosia: in fondo al cuore, il giovane Uberti era insicuro e pensava di non meritare
la sua attenzione, così come pensava di non meritare il seggio alla Signoria.
Si mostrava
aggressivo e impertinente per nascondere le sue paure!
L’uomo si sedette sul
letto accanto a Giovanni e lo strinse a sé.
“Sei un Uberti,
ragazzino, certo che sarai all’altezza” gli disse, con un tono tenero che usava
molto raramente.
“Io temo… di non
essere all’altezza della mia famiglia e del mio nome, ho paura di disonorarli
ancora, io non sono il grande Farinata” mormorò il ragazzo, sperduto tra le
braccia di Rinaldo.
“Certo che non sei
lui, ma sarai capace di renderlo fiero di te, ne sono sicuro” affermò l’uomo,
convinto. “Lo hai dimostrato in più di un’occasione e saprai farlo ancora. E
anch’io sono e sarò sempre fiero di te.”
Gli prese la mano e
gli mise all’anulare sinistro un anello piccolo, ma elegante, con una pietra
azzurra.
“Ti avevo detto che
avrei fatto benedire dal Papa gli anelli nuziali dei miei genitori e che poi
avrei messo quello di mio padre e dato a te quello di mia madre” gli ricordò.
“Ecco, adesso è come se fossimo sposati, certo non agli occhi del mondo, ma noi
lo sapremo ed è questo che conta. Ora sei veramente mio, quindi sei un Albizzi oltre che un
Uberti: dovrai sicuramente farti onore davanti alla Signoria.”
Giovanni era commosso
e emozionato e, come al solito, cercò di stemperare il tutto con una battuta.
“Oh, beh, per fare onore
alla famiglia Albizzi non ci vorrà poi tanto, mi basterà evitare di fare tutto quello che avete fatto voi!”
commentò, con un sorrisetto ironico.
“Ah, è così che mi ringrazi, ragazzino impertinente?”
replicò Rinaldo, buttandolo sul letto e saltandogli addosso, ma si capiva che
era ormai un gioco tra loro e che non era davvero offeso. L’uomo bloccò
Giovanni con il peso del suo corpo e iniziò a baciarlo profondamente, fino a
unire e confondere i loro respiri e il loro sapore. Fu su di lui e continuò a
divorarlo con i suoi baci,
dapprima con lentezza e poi con sempre maggior intensità. Voleva perdersi
completamente in quel ragazzino, prolungare al massimo il piacere e godere di
ogni singolo istante, mentre Giovanni, smarrito, dimenticava ogni
preoccupazione nell’abbraccio avvolgente di Rinaldo e lo accoglieva con amore e
spontaneità. Per molto tempo ogni altra cosa scomparve, spazio e tempo si
confusero in un crescendo di passione e estasi, mentre il cielo intero li
inondava di stelle.
Alla
fine, appagati e sazi l’uno dell’altro, i due poterono stringersi in un
abbraccio caldo e confortevole e lasciarsi vincere dalla dolcezza del sonno. Perché
solo stretti l’uno all’altro, nel calore e nella tenerezza del ritrovarsi
ancora una volta, Rinaldo e Giovanni potevano riavere la pace e la serenità
perdute e riposare, finalmente liberi da ostacoli, turbamenti e brutti
pensieri. Non lo avevano ancora compreso fino in fondo, ma stavano lentamente
imparando che erano nati l’uno per l’altro e che soltanto insieme potevano
completarsi ed essere felici.
Fine capitolo
decimo