Capitolo Uno
Rebecca irruppe
in camera del fratello senza bussare, esultante.
- Mi hanno dato
il foglio rosa! – esclamò, sventolandogli davanti agli occhi il suddetto pezzo
di carta.
- Santo cielo,
si salvi chi può! D’ora in poi mi barrico in casa, appena prendi in mano una
macchina, sappilo. – la prese in giro Claudio, distogliendo lo sguardo dal
computer. Rebecca gli lanciò un’occhiataccia, borbottando un insulto a mezza
voce, dopodiché si avvicinò alla scrivania, guardandolo con fare implorante.
- Che c’è? –
chiese Claudio, con un sospiro.
- Mi porti a
fare un giro? – propose quindi Rebecca, speranzosa, facendogli gli occhi dolci.
- Non posso, lo
sai. – rispose il fratello, scuotendo la testa.
- Ti prego! – lo
implorò Rebecca, giungendo le mani in segno di preghiera.
- No. Leggi bene
cosa c’è scritto dietro al foglio rosa. – negò nuovamente Claudio, che stava
iniziando a spazientirsi.
- Lo so cosa c’è
scritto. – sbottò Rebecca. – Però non intendevo certo che tu mi facessi fare un
giro sulla statale o in paese.
- E dove dovrei
farti guidare, sentiamo? – chiese il ragazzo esasperato. Proprio non capiva
dove la sorella volesse andare a parare.
- Nei boschi. –
rispose Rebecca, in tono ovvio.
- Tu sei pazza.
– la rimproverò Claudio, scuotendo la testa sconsolato.
- No, voglio
solo guidare. – ribatté la sorella.
- E allora
perché non chiedi a mamma o a papà, così magari guidi anche in strada? –
domandò Claudio, sbuffando.
- Perché adesso
non sono a casa, genio! E poi non mi porterebbero a fare un giro neanche se
piangessi in cinese! Lo sai che vogliono che prima faccia qualche guida con
l’istruttore. – spiegò Rebecca, roteando gli occhi.
- Io non sono
l’istruttore, infatti. – borbottò Claudio, sarcastico.
- Dettagli. –
commentò la ragazza, agitando una mano. – Allora mi porti a fare questo giro o
no?
Il ragazzo
acconsentì, arrendendosi. Quando Rebecca si metteva in testa una cosa,
dissuaderla dai suoi propositi era difficile, se non addirittura inutile ed
impossibile. Sperò almeno che Virginia, l’altra sorella minore, non sarebbe
stata tanto insistente quando avesse compiuto i diciotto, di lì a tre anni.
Qualche minuto
dopo, quindi, lui e la sorella si trovavano in macchina, diretti alla periferia
del paese, dove vi erano i boschi e la campagna. Virginia aveva gentilmente
declinato l’invito della sorella a venire con loro, poiché non voleva morire
giovane. Non appena aveva preso posto sul veicolo, seppure come passeggera,
Rebecca si era letteralmente illuminata, e sul suo viso si era dipinto un ampio
sorriso.
- Contenta, ora?
– le chiese Claudio, mentre imboccava una strada sterrata.
- Certo! –
rispose la sorella, trionfante.
Poco più in là,
Claudio si fermò e spense la macchina, dopodiché scese dal veicolo e sedette al
posto del passeggero, mentre Rebecca si metteva al posto di guida.
- E ora? – gli
chiese, titubante.
- Schiaccia la
frizione e gira la chiave. – le ordinò il fratello, pazientemente.
Rebecca eseguì
le indicazioni, sentendo che la macchina si metteva in moto.
- Perfetto. –
commentò Claudio. – Ora lascia andare lentamente
la frizione, mentre contemporaneamente premi leggermente sull’acceleratore.
La ragazza mollò
immediatamente la presa sul pedale, dopodiché il motore dell’auto si spense.
- Ecco perché ti
avevo detto di lasciarla andare lentamente. – la rimproverò bonariamente il
fratello. – Tranquilla, succedeva anche a me le prime volte. Ora rimetti in
moto, che riproviamo.
Dopo il quinto
tentativo, Rebecca riuscì a non far spegnere la macchina e a farla avanzare
addirittura di qualche metro. Entusiasta di ciò, aveva premuto un po’ più forte
il piede sull’acceleratore, dopodiché la macchina era scattata velocemente in
avanti.
- Rilascia il
pedale! – le ordinò Claudio, in preda al panico, mentre con la mano sinistra
afferrava il freno a mano, in modo da poterlo azionare in caso di necessità.
Rebecca, spaventata, fece quanto le era stato ordinato, così la macchina
riprese un’andatura regolare.
- Ora che
faccio? – chiese, non sapendo bene come muoversi.
- Vai avanti
finché riesci, voglio vedere come te la cavi. Basta che non pigi troppo
l’acceleratore, hai visto gli effetti. – le disse il fratello, osservando con
occhio vigile le sue azioni.
Rebecca annuì,
quindi chiese: - Quando posso passare da una marcia all’altra?
- Quello lo
facciamo la prossima volta, mi dispiace. Per ora accontentati di aver imparato
come mettere in moto una macchina, il resto lo fai con l’istruttore. Nemmeno io
voglio morire giovane. – le rispose Claudio, sperando di cavarsela, almeno per
quella sera. Sapeva che la sorella aveva fretta di imparare, ma preferiva che
lo facesse poco alla volta. E possibilmente non con lui, che aveva la patente
da soli nove mesi.
- Agli ordini. –
acconsentì scherzosamente Rebecca, prima di tornare a concentrarsi su ciò che
stava facendo. Avanzò ancora per qualche minuto, dopodiché premette il pedale
del freno, schiacciò la frizione e spense la macchina, visto che era arrivata
davanti ad un cancello.
- Direi che la
mia lezione finisce qui. – decretò, voltandosi verso il fratello, il cui
sguardo era però fisso sul cancello della villa davanti alla quale erano
giunti.
Era una villa
abbandonata, che in paese non godeva certo di una bella fama, anzi. Tutti la
conoscevano, per sentito dire. Circolavano strane leggende, sul suo conto,
ognuna diversa dall’altra: c’era chi la voleva infestata da spiriti maligni,
chi come teatro di un orribile omicidio e chi come casa delle streghe.
Pochi avevano
l’ardire di avventurarsi fin lì volontariamente. Claudio osservò il cancello
arrugginito, notando, sopra ad una sfasciata cassetta delle lettere, una
targhetta che recava il nome della villa: Primavera.
Non aveva idea
del perché di quel nome, onestamente. Di certo poteva solo stare ad indicare lo
splendore di un tempo, non quell’inquietante casa ricoperta di edera che ormai
si trovava di fronte.
Era la prima
volta che lui e Rebecca capitavano lì, fino a quel momento ne avevano soltanto
sentito parlare con timore dagli anziani del paese, compresi i loro nonni.
Claudio non
aveva mai creduto a quelle stupide leggende, ma da tre anni a quella parte si
era dovuto ricredere su tante cose, per cui non si sarebbe stupito di vedere
qualche spirito aleggiare nei dintorni della casa.
Così fu, infatti.
Vide una ragazza aggirarsi nel giardino pieno di erbacce, in lontananza.
Riconobbe subito la sua natura, ma non tanto per qualche segno particolare; i
morti, dopotutto, non erano poi così diversi dai vivi, l’unica differenza era
che nessuno poteva vederli e che acquisivano delle nuove capacità, come ad
esempio l’essere corporei od incorporei a loro piacimento o il poter scorgere
nel futuro, seppure non con precisione. A dispetto di tutto ciò, però, Claudio
semplicemente sentiva quando uno
spirito si trovava nelle vicinanze, e subito lo individuava.
- Andiamo. –
sancì immediatamente, rivolto alla sorella. Non voleva che quella ragazza si
accorgesse di loro, ma soprattutto che capisse che lui era in grado di vederla.
Purtroppo, era capace di occultare la sua capacità soltanto ai vivi, ma non ai
morti, che subito si rendevano conto con chi avevano a che fare. E Claudio non
voleva farsi scoprire.
Scese quindi
dalla macchina e si sedette nuovamente al posto di guida. Aspettò che la
sorella si sedesse di fianco a lui, dopodiché mise in moto la macchina e
ingranò la retromarcia per poi fare manovra, visto che voleva andarsene da quel
posto al più presto.
Dopo cena, Claudio
si diresse in camera propria, con l’intenzione di guardare un po’ di
televisione, prima di andare a dormire. Avrebbe potuto svagarsi, dato che non
aveva più nulla da studiare.
Da quando due
settimane prima aveva conseguito la maturità, infatti, si sentiva sollevato, ma
soprattutto più libero: finalmente poteva fare ciò che voleva, senza più avere
l’incubo della scuola. Sapeva che la pacchia però sarebbe durata poco, dato che
in autunno avrebbe iniziato l’università, ma voleva godersi almeno l’estate.
Si sdraiò sul
letto, dopodiché prese il telecomando dal comodino. Fece per accendere il
televisore, quando vide apparire sua nonna, all’improvviso. Sussultò, facendo
sì che il telecomando gli scivolasse di mano e cadesse sul pavimento con un
tonfo sordo.
- Quante volte
devo dirti di avvisare, quando arrivi? Mi hai fatto prendere un colpo! – si
lamentò, mentre con una mano cercava a tastoni il telecomando. Non si era
ancora abituato a quelle improvvise apparizioni, infatti. Preferiva di gran
lunga entrare in una stanza e trovare dentro uno spirito.
- Dovresti
esserci abituato, ormai. – ribatté Agnese, sorridendo bonariamente.
- Sì, ma questa
volta non me l’aspettavo. – ribatté Claudio, con un’alzata di spalle.
Agnese gli
sorrise teneramente, soffermandosi un momento ad osservare il nipote: ogni
volta si stupiva di quanto crescesse e assumesse man mano le fattezze di un
adulto perdendo quelle fanciullesche dell’adolescenza.
Claudio era un
ragazzo alto, dal fisico asciutto. I ricciuti capelli biondo cenere gli
ricadevano disordinati sulla fronte, nonostante li tenesse abbastanza corti,
mentre gli occhi erano neri, proprio come quelli di Agnese. Il nipote,
dopotutto, le somigliava molto, più di ogni altra cosa caratterialmente. Non
era certo un caso, quindi, se come lei possedeva la capacità di vedere i morti.
Non avrebbe mai augurato a nessuno di possedere un dono del genere, tantomeno a
suo nipote, per cui era rimasta sorpresa quando tre anni prima si era accorta
che il ragazzo era in grado di vederla e aveva quindi deciso di aiutarlo con
ogni mezzo.
- Sono qui per
avvertirti. – esordì la donna, con un sospiro.
- Dovevo
immaginarlo. – borbottò Claudio. Raramente sua nonna gli rivolgeva visite di
piacere: il più delle volte, infatti, andava ad avvertirlo di stare alla larga
da certi spiriti o di fare attenzione a qualcosa che aveva visto sarebbe
accaduto.
- Presto avrai a
che fare con lo spirito della ragazza che hai visto oggi a Primavera. Sta’
attento. – gli spiegò Agnese, restando sul vago. D’altronde nemmeno lei sapeva
come si sarebbero svolti esattamente i fatti, in futuro. Vedeva soltanto degli
elementi, e da essi desumeva tutto.
- Perché? –
chiese Claudio, inarcando un sopracciglio. – Mi sembrava innocua.
- Non lo so con
certezza. – rispose Agnese, sinceramente. – Però vedo che se entrerai in
contatto con lei, non ne trarrai certo un vantaggio, anzi. Ti farà del male.
Claudio era
sempre più confuso: perché mai lo spirito di quella ragazza avrebbe dovuto
fargli del male? Non ne vedeva alcun motivo, se doveva essere sincero. Di primo
acchito, gli era sembrata uno spirito come tanti altri, innocuo, probabilmente
ancora legato alla vita terrena, visto che si aggirava nel giardino di quella
casa abbandonata da anni. Non gli era sembrata uno spirito maligno come quelli
con cui sua nonna gli aveva detto di aver avuto a che fare, nel corso della sua
vita. Claudio non ne aveva ancora incontrati di quel genere, fortunatamente.
C’è
sempre una prima volta, però, pensò, dubbioso. Scosse la testa,
preferendo evitare di farsi troppe domande a cui non avrebbe saputo dare una
risposta. Avrebbe ascoltato sua nonna, come sempre.
- Le starò alla
larga, allora. – disse docilmente. – Grazie dell’avvertimento.
- Di nulla,
tesoro. A presto. – si congedò Agnese, sorridendo, prima di sparire.
Claudio accese
la televisione, sospirando: non si sarebbe mai abituato a tutte quelle stranezze,
nonostante fossero passati già tre anni.
Non pensava che
l’avrebbe rivista così presto. Sussultò, non appena la scorse in giardino: di
certo non pensava che l’avrebbe seguito. Fece finta di nulla, quindi si diresse
verso il cancello per deporre il sacchetto della spazzatura al di fuori di
esso, come i genitori gli avevano ordinato, dato che l’indomani mattina sarebbe
passato il netturbino. Stava per rientrare in casa, quando lei parlò.
- Lo so che mi
vedi. – gli disse, decisa.
Claudio si fermò,
indeciso sul da farsi. La nonna lo aveva avvertito, non poteva certo darle
torto e ignorare bellamente il suo consiglio. Se quella ragazza gli avrebbe
fatto del male, era meglio starle alla larga. Continuando a far finta di
niente, rientrò in casa, diretto in camera propria. Vi entrò, e per poco non
cacciò un urlo, ma non si sorprese più di tanto, avendoci ormai fatto il callo:
lei era seduta sul letto, a gambe incrociate, ad aspettarlo.
Si chiuse la
porta alle spalle, attendendo che il respiro tornasse regolare, dopodiché si
voltò verso la ragazza, che ormai non aveva più dubbi sul fatto che lui la
potesse vedere.
La osservò
attentamente. Ad occhio e croce, doveva avere più o meno la sua età, quando era
morta. Era giovane, il viso disteso e privo di rughe lo dimostrava chiaramente.
Gli occhi castani erano velati di malinconia, per quanto cercasse di non darlo
a vedere e di mostrarsi in pace e rilassata. Se però lo fosse stata realmente,
non si sarebbe più trovata nel mondo dei vivi.
- Sì, ti vedo. –
ammise perciò Claudio, rassegnato. Ormai non gli restava altra scelta che
ascoltare quel che aveva da dirgli, dopodiché avrebbe escogitato un piano per
starle alla larga. – Che vuoi? – le chiese quindi. Di solito gli spiriti volevano
da lui qualche aiuto, o anche solo una parola di conforto prima di poter
passare oltre, visto che la loro permanenza nel mondo dei vivi non era eterna.
- Ti aspettavo.
– esordì la ragazza, con un sorriso.
- Eh? – esclamò
Claudio, sorpreso. Quella ragazza era davvero strana! Non capiva perché la
nonna gli avesse intimato di non darle corda. Onestamente, di primo acchito,
non la riteneva uno spirito maligno, anzi.
- Sì, ti
aspettavo. – ripeté la ragazza. – Da un po’, a dirla tutta.
- E perché, di
grazia? – chiese Claudio, che iniziava a capirci sempre meno, in quella
situazione. Tra tutto ciò che gli era capitato in tre anni, non aveva mai
assistito a nulla di simile. Mai.
- Ti ho visto. – rispose la ragazza, con
un’alzata di spalle.
A quel punto,
Claudio si chiarì le idee. Di poco, ma era pur sempre un passo avanti.
Evidentemente quella ragazza doveva averlo visto nel suo futuro, per cui non vi
era nulla di strano. Restava solo a capire perché
l’avesse visto, ma questo probabilmente non lo sapeva nemmeno lei. Era perciò inutile
porle domande a riguardo.
- Ho capito. –
commentò quindi, sedendosi alla sedia della scrivania. – Posso almeno sapere
come ti chiami?
- Beatrice. –
rispose lei, sorridendo di nuovo. – Tu sei Claudio, lo so già. – aggiunse
quindi, non appena vide che lui stava per proferire parola.
- E questo come
fai a saperlo? – chiese il ragazzo, sospettoso, inarcando un sopracciglio.
- È scritto lì.
– ridacchiò Beatrice, indicando una targhetta che si trovava proprio sopra al
letto e su cui era inciso a chiare lettere il nome del ragazzo.
Claudio arrossì,
imbarazzato. – Beh, poteva anche non essere il mio nome, quello. – borbottò,
giustificandosi.
Beatrice
ridacchiò nuovamente, prima di alzarsi dal letto.
- Ora devo
andare. – annunciò. – Dovrai dormire, è tardi.
- Beh, non
troppo. – protestò Claudio, dando un’occhiata all’orologio: erano soltanto le
dieci, e lui non era più un bambino da un pezzo, ormai.
- Fa niente. –
proclamò la ragazza, con un’alzata di spalle. – Vieni a trovarmi domani, a
Primavera. – gli ordinò, prima di dargli le spalle.
Claudio non ebbe
nemmeno il tempo di chiedere spiegazioni, che Beatrice era già sparita. Era
confuso, indubbiamente. Non sapeva sa dare retta alla nonna, o se doveva
fidarsi della ragazza.
Istintivamente,
però, era più propenso verso la seconda opzione.