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Autore: ArtistaMaeda    16/02/2020    0 recensioni
Il mondo è in ginocchio per l'apparizione dei Titani, colossi biomeccanici di origine sconosciuta, prodotti di una tecnologia molto più avanzata di quella esistente. L'unica speranza è una versione speciale di velivoli militari, le Dragonfly, Libellule, con tecnologia all'avanguardia che permette di combattere questi mostri se non ad armi pari per lo meno con qualche chance di successo.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 3: Furfante



 

Il fumo di sigaretta si disperde rapidamente nella pungente aria mattutina che siede sul parcheggio assieme a vecchie berline e furgoni. Dei due federali che aspettano di fronte alla clinica, lei fuma incurante e lui cerca di evitare il suo fumo passivo con pazienza. 

Qualcuno emerge dall’ingresso e viene a girare il cartello “Chiuso” appeso all’interno in “Aperto” e si accorge con sorpresa dei due federali là fuori.

Lui ha già gli occhi puntati sulla giovane inserviente in camice celeste e i due si fissano. Il federale lancia una nervosa gomitata alla collega interrompendo il suo passatempo di fumo. Senza neanche bisogno di puntare a sua volta lo sguardo sull'inserviente, la federale lascia cadere la sigaretta mezza fumata a terra e la schiaccia con la punta lustrata della scarpa.

L’inserviente li fa cordialmente entrare e accomodare nella saletta di attesa mentre sparisce per informare chi di dovere. Lui si siede mentre lei assorbe i dettagli dei quadri, dei poster pro-salute, dei riconoscimenti accademici dei dottori che lavorano nella struttura. Quando appare la primaria in camice bianco e occhiali da vista entrambi i federali si girano a guardarla e rispondono alla stretta di mano che il dottore offre loro.

“Salve, sono la dottoressa Chang, come posso esservi utili, agenti...?”

La dottoressa alterna lo sguardo tra i due dopo aver stretto le loro mani e inarca il sopracciglio rimarcando l’intonazione interrogativa di quell’ultima parola scomoda che la rende già nervosa.

“Agente speciale Peter Fuller” si presenta sorridente e sereno lui mostrando il distintivo F.B.I..

“Agente speciale Marika Winston” si presenta seria e pensierosa lei, mostrando a sua volta il proprio distintivo.

L’agente Fuller prende iniziativa: “Siamo qua per i sopravvissuti all’inciden-” non fa in tempo a completare le introduzioni che la dottoressa, sfoggiando un sorriso scoraggiato, lo interrompe.

“I ragazzi dello schianto, sì…”

Infastidito dall’interruzione, Fuller stringe le labbra in una smorfia educata e la allarga in un sorriso cordiale per riprendere il controllo della conversazione.

“Abbiamo già visitato l’obitorio. Adesso dovremmo vedere i…” Fuller cerca nuovamente di nascondere una smorfia con il proprio sorriso da procedura.

“... ragazzi.”

La dottoressa passa lo sguardo alla silenziosa agente Winston che dal primo momento non le stacca occhi di dosso con quell’espressione apparentemente giudicante. La dottoressa prende fiato nervosamente e torna su Fuller.

“I pazienti non sono nelle condizioni di ricevere visite al…”

L’agente Winston la interrompe con fermezza nella voce.

“E’ imperativo parlare con i ragazzi il prima possibile. Siamo già al corrente delle loro condizioni. Se per cortesia ci mostrasse la strada…”

Winston lancia il mento in direzione del corridoio per rimarcare la propria deliberazione nel procedere. La dottoressa alterna nervosamente lo sguardo tra i due federali mentre riflette rapidamente sul dafarsi. Alla fine, con un grosso sospiro e chiudendo gli occhi, anticipa la propria sottomissione alle autorità maggiori.

 

L’elettrocardiogramma sta registrando un battito regolare con una pressione stabile entro i margini di pericolo. La flebo cola periodicamente gocce di una formula incolore che viene pompata per endovena nel braccio di un bambino sdraiato sul letto. Winston assimila l’arredamento accogliente e curato della stanza, dalle pareti colorate ai quadri con tema natura incontaminata e animali selvaggi. Una felce domina l’angolo opposto al letto e aiuta a conferire alla stanza un carattere caldo e vivo grazie anche ai raggi solari che entrano dal gran finestrone e illuminano più della luce artificiale della lampada a soffitto. 

“Un bel posticino…” bisbiglia Fuller mentre adocchia il bambino assopito.

La dottoressa chiude la porta, li sorpassa, e si affianca al letto per chinarsi sul bambino e controllare le sue condizioni con l’aiuto degli strumenti accanto al letto. I federali attendono.

Quando la dottoressa torna diritta sospira di nuovo e si gira ad alternare lo sguardo agli agenti.

“Dovrebbe svegliarsi a breve…”

Fuller sorride cordialmente. Winston sfoggia un sorriso finto e torna subito seria quando la dottoressa aggiunge un commento.

“Credo proprio che dovreste aspettare almeno che arrivi la psicologa…”

Fuller prende fiato per rispondere ma Winston lo precede.

“Dottoressa Chang…” 

Fuller ingoia quel che stava per dire e si gira ad ascoltare la serietà della collega assieme alla dottoressa.

“... Forse non ci siamo spiegati bene…” Winston prova un sorriso cordiale ma il resto del suo corpo e del volto rigidi stonano con le proprie intenzioni.

“... Dobbiamo parlare con il bambino, da soli.”

Lo sgomento della dottoressa la spinge a lasciare la stanza trascinando le scarpe per terra mentre riflette distrattamente alla validità della situazione. Sull’uscio si gira per chiudere la porta ma prima si raccomanda ai federali di avvertirla per qualsiasi evenienza.

“E sarò qua fuori ad aspettare…”

Fuller annuisce sorridente. Winston le regala di nuovo il suo sorriso forzato. Quindi la dottoressa li chiude dentro con un sospiro nervoso e resta lì fuori a fissare il vuoto e massaggiarsi il mento.

Lo sguardo nel vuoto trova finalmente appoggio sicuro quando il pesante bicchiere contenente whiskey e cubetti di ghiaccio viene trascinato sul bancone di fronte a lei, luccicante sotto la luce tiepida e ronzante delle lampadine penzolanti. L’atmosfera è cupa e impersonale nonostante il brusio. Un gruppo di uomini vestiti casual chiacchiera nell’angolo e il notiziario alla radio sta finendo di ragguagliare sui dettagli della distruzione di Eutokyo per poi passare alle previsioni meteo.

Rassicurata dalla presenza del suo drink, Marika Winston lancia un’occhiata all’entrata del bar e non riesce a capire a prima vista se è giorno o notte. Deve strizzare gli occhi per ignorare le luci del bancone e riconoscere le luci dei lampioni esterni che illuminano il marciapiede altrimenti nell’ombra. Spazientito dall’indifferenza della donna, che di donna sembra mostrar ben poco, il barista tatuato perde interesse e si defila a servire un altro cliente ordinario come gli altri anonimi.

Marika torna sul drink. Lo afferra. Lo solleva. Lo agita divertendosi a far tintinnare e roteare i cubetti nella minuscola piscina di alcol. Ritarda l’assaggio, annoiata persino dall’idea di ripetere quel rito così caro, per favorire invece i pensieri insistenti che la separano dalla realtà immediata, ignorando quindi un secondo cliente ordinario che si affianca a lei al bancone, deliberatamente riducendo la distanza con la donna ben al di là del limite non scritto dello spazio personale. 

Percependo la violazione di privacy, Marika gira gli occhi per acquisire la sagoma. La registra come invasore generico e prende fiato per parlare. La testa vuole scivolare dal collo e fa fatica a tenerla dritta. 

“Le dispiace?”

Già che deve far lavorare i muscoli del collo, decide di accompagnare il movimento e far girare la testa così da inquadrare bene l’invasore, il quale esordisce serio e deluso.

“Sei già ubriaca?”

Marika indietreggia il collo e quasi perde l’equilibrio di nuovo. Deve forzare la nuca di rimanere rigida e si spazientisce sbuffando.

“Pfff… Tu che ne sai?”

L’uomo la squadra dal basso, soffermandosi sulla camicia stropicciata e scollata che rivela nei e macchie cutanee coerenti con l’età matura della donna. 

“A che giro sei? Così ti raggiungo…”

Marika ridacchia maliziosamente e manda giù un generoso sorso di fuoco liquido che le sciacqua la bocca. Poi mostra il bicchiere all’uomo.

“Prova a indovinare…”

Il barista tatuato posa il grosso bicipite colorato sul bancone e punta il dito al nuovo arrivato, riconoscendolo con un’occhiata complice. Il cliente si distrae sorridendo da Marika per annuire al barista.

“Fammi quello che avuto lei, con interessi.”

Il barista sbuffa una smorfia divertita e si scosta dal bancone per girarsi a versare whiskey in un bicchiere pulito. Ci va pesante. Intanto il cliente torna su Marika.

“Giornataccia?”

Marika contrasta la gentilezza del compagno sbattendo il bicchiere sul bancone. La pausa di silenzio che segue innervosisce l’uomo e così Marika gli rivolge un sorriso alterato.

“Non lo sono tutte?”

“Almeno hai mangiato?”

“Fred!” 

Un altro uomo, che fino ad ora era parte del gruppetto nell’angolo, si avvicina a passi sgangherati al bancone accogliendo il compagni di Marika a braccia aperte e sorriso alcolizzato.

“Freeed!! Che fine avevi fatto? Non ti vedo da una vita!”

Marika strozza una risata in gola mentre posa lo sguardo sul bicchiere zeppo di whiskey che il barista posa sul bancone davanti a Fred, e poi si gira a guardarlo reagire imbarazzato all’amico ubriaco.

“Yo! Come butta?”

“Bene Fred… Bene!”

L’amico ubriaco abbraccia Fred a forza e ci si accascia contro. Gli sbatte palmo sulla scapola più volte e grugnisce di gioia con il mento sulla sua spalla. Poi si scansa spingendolo via da sé e cerca immediatamente appiglio per evitare di cadere all’indietro. Sia Marika che Fred lo acchiappano per le spalle suscitando una risata collettiva dal gruppetto di amici nell’angolo. Anche l’ubriaco ride di gusto.

“Mike. Mi sa che ti devi sedere, sai?”

Gli dice scherzosamente Fred e lo accompagna, con la mano ancora sulla spalla, a sedersi sullo sgabello accanto.

“Ha…. il trio di ubriaconi…” commenta scherzosamente Marika, tornando a sorseggiare il drink.

“Non siamo ubriaconi, Mary…”

Non appena Marika sente Mike pronunciare quel nome perde il sorriso e si incupisce.

“...Siamo piedipiatti in servizio, qua!”

La risposta suscita una seconda risata sgangherata dal gruppetto di amici.

“Mike! Torna qui che il tuo drink si raffredda!” gli grida uno di loro, mentre agita un bicchiere con un dito di alcol e cubetti mezzi squagliati ad altezza volto.

Fred nota che l’amico si irrigidisce per alzarsi e lo aiuta a non cadere, indirizzandolo poi verso il gruppetto. Lo osserva barcollare ma riuscire autonomamente a non cadere e raggiungere gli amici.

Sospira.

“Non cambia mai niente da queste parti”

Marika intercetta lo sguardo sorridente e nostalgico di Fred e i due si scannerizzano i pensieri a vicenda a lungo, fino a distendere entrambe le loro facce in espressioni rilassate e malinconiche.

Marika è la prima a cedere e torna a immergersi nel malumore guardando a schiena china nel bicchiere.

“Allora?” chiede lei.

“Com’è andata?”

Fred studia il profilo del volto di Marika a lungo, incurante della domanda incombente. Deglutisce a fatica e decide di idratarsi con lo whiskey. Dimezzato il contenuto del drink liscio, lo posa ed esala fiato caldo e stress.

“Sei sicura che ne vuoi parlare?”

Marika sorride sarcasticamente e gira lentamente la testa verso di lui, con un leggero dondolio come se fosse un meccanismo idraulico e non muscoli del collo a tenerla insieme.

“E di che cazzo altro vorresti parlare? Dei Lakers?”

Fred ammicca un sorriso e soffoca una risata nello whiskey. Posa poi il bicchiere e si distrae ad ascoltare il dibattito alla radio sulle decisioni militari riguardo l’evacuazione delle città vicine all’epicentro.

Sospira.

“Okay....”

Marika sbatte ripetutamente le palpebre nel difficile tentativo di riacquistare lucidità e raddrizza la postura sullo sgabello. Tiene il bicchiere a mezz’aria con una vaga intenzione di continuare a bere che non arriva a compimento. La sua attenzione viene stregata dal nervosismo di Fred.

“Il ragazzo è vivo.”

Gli occhi di Marika s’illuminano di energia e si alternano a quelli di lui.

“Lo hanno trasferito all’accademia assieme agli altri candidati.”

Marika perde improvvisamente interesse girandosi al bancone con uno sbuffo di risata sarcastica. Fred insiste con il tono serio.

“Gli hanno assegnato Reed come mentore.”

Marika ferma il bicchiere a pochi centimetri dalle labbra e lancia un’occhiata da sotto la frangia unta di sudore a Fred. Si guardano a lungo senza dir niente, assimilando il brusio ed il dibattito alla radio sull’efficacia o meno dei tentativi del progetto Infinity e delle perdite di Libellule.

“Pensavo li avessero decommissionati…”

“Marika…” Fred ridacchia sarcasticamente.

“Non dar retta ai notiziari…”

Marika agita il bicchiere e la testa mentre si innervosisce.

“Veramente l’ho sentito dire…”

Fred ridacchia imbarazzato scuotendo la testa. Segue un’altra pausa tra i due, e Fred trova il tempo di scannerizzare di nuovo i pensieri di Marika tramite i suoi occhi da tundra innevata.

“Lascia stare, Marika… non ne vale la pena.”

Marika si innervosisce sempre di più e sbatte il bicchiere sul bancone, per poi girarsi completamente verso Fred, ritrovando lucidità per effetto dell’adrenalina. Fred prova la via diplomatica.

“Sono più di vent’anni che ti esasperi con questo caso. Ci hai rimesso la carriera. Vuoi rimetterci anche la salute?” 

Fred punta lo sguardo sul drink di Marika, rimasto a un dito di whiskey e ghiaccioli sciolti. Marika inclina la testa mentre studia il volto di Fred, impassibile, fino a spazientirlo.

“D’accordo. Fai come credi… Io sono dalla tua parte, sai?”

“Se sei dalla mia parte, allora fammi entrare a Fort Auston”

Fred rimane senza parole e decide di riempire la bocca con lo whiskey, invece. Lo manda giù a forza e trova conforto nel soffocare i pensieri.

 
   
 
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