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Autore: Manto    17/02/2020    0 recensioni
❤ Seconda classificata al contest "Il contest degli Haiku" indetto da Juriaka sul forum di EFP.
L'improvvisa lontananza da certe persone può coinvolgere più di quanto si mostri: far risuonare pezzi di sé che non trovano il proprio posto, creare solitudine e incompletezza.
A volte, però, è ancora più difficile se il ritorno altrettanto improvviso rischia di scatenare un nuovo caos, o se la distanza tra i cuori sembra essere divenuta troppa.
Può allora un passato comune riportare una qualche forma d'unione e dimostrare che non è mai troppo tardi per ritrovarsi?
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ryou Shimazaki, Toshiki Minegishi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III ~ Crepuscolo

 

Che ci sia la luna
Sul sentiero notturno
Di chi porta i fiori.

 

Takarai Kikaku

 

 

Nel quarto ritorno.

 

I due esper giunsero in città pochi istanti dopo aver lasciato il negozio.
Il mare li accolse infilandosi nel loro respiro e risvegliando tutti i ricordi che si legavano al luogo, ed entrambi volsero immediatamente l’attenzione a esso, quindi alle mura che li sovrastavano e osservavano tutto in silenzio.
Era ancora presto per incontrare i segreti custoditi là, lo compresero: prima era necessario riprendere il contatto con il posto e tra le proprie anime.
Le onde cantavano a poca distanza: se avessero voluto purificarsi, avrebbero dovuto farlo tra braccia rese fredde dall’autunno ma abbastanza amorevoli da accettare anche i peccati.
E loro ne avevano compiuti tanti.
«Ben ritornati a noi», mormorò Shimazaki mentre si lasciava scompigliare i capelli dalla carezza del vento; e Minegishi abbassò lo sguardo, pensoso.
Una parte di sé pensava di essere nel posto sbagliato perché, irritato ancora con l’amico, non era nell’animo adatto per affrontare la città; l’altra, invece, credeva fermamente che per recuperare un rapporto solamente quel luogo avrebbe potuto aiutare. Per vedere quale delle due avrebbe avuto ragione, doveva solamente mettere alla prova entrambe e attendere: non se ne sarebbe andato da lì senza una risposta, di certo.
«Scendiamo in spiaggia?»
Toshiki rialzò lo sguardo e lo fissò su Ryo con un’espressione indecifrabile nel volto; eppure riconobbe di non essere così tanto sorpreso da quella richiesta che rimandava ad anni lontanissimi, così calma e delicata da sembrare la più accorta delle preghiere.
Il moro amava il mare con tutto sé stesso, era una delle cose che il tempo non era mai riuscito a placare o cambiare: di conseguenza, non poté negarglielo. «Dovremmo riposare, però. È già sera inoltrata e domani entreremo di nuovo nelle mura…»
«E tu credi di poter dormire stanotte?»
«Avevi un piano diverso?»
«No, intendo: siamo qui dopo anni, come abbiamo sempre desiderato… non penso che riusciremo a riposare bene, visto quanti ricordi abbiamo.»
Toshiki annuì e respirò con forza. «Già… concordo.» Fece una pausa, cercando di trattenere le parole; non ci riuscì. «Temevo ti fossi dimenticato di questo posto.»
«Te l’ho detto che ci penso sempre.»
«Forse non abbastanza a ciò che ci siamo detti.»
Shimazaki non replicò più, mentre lui percepì un sentore amaro nella bocca e la sensazione di essere stato così insensibile da doversi vergognare.

Fantastico, complimenti davvero. Non è così che risolverai la situazione tra voi. «Forza, andiamo», mormorò dopo un attimo d’immobilità, «una passeggiata lungo la riva ci farà bene.»
Il mare parlò nuovamente, raggiungerlo fu così facile e rapido che quasi non ci credettero quando la schiuma delle onde li sfiorò; l’acqua si rivelò essere più calda di quanto ipotizzato ed entrambi furono svelti a togliersi le scarpe per incontrare il basso fondale. Tutto, in quel posto, sembrava essersi fermato a quando erano solo dei pulcini con strane abilità e ogni cosa era più semplice.
«Una calma simile dovremmo viverla sempre», sussurrò Shimazaki a un certo punto, rilassandosi maggiormente.
Minegishi fece lo stesso e alzò il capo. «E non siamo comunque soli, contando chi ci guarda dal cielo.»
«La luna o le stelle?»
«Le stelle. Sono un’infinità e così nitide, lontane dalle luci artificiali… anche questo è uno spettacolo che meriterebbe di essere visto di più.»
Le tenebre sembrarono vibrare quando Ryo sorrise, la scintilla di un ricordo a illuminargli il viso. «Ti ricordi cosa facevamo da bambini? Ci sedevamo in un posto solo nostro, che fosse un parco o su una terrazza, e io ti chiedevo di farmi vedere la notte… tu mi prendevi la mano e mi disegnavi le costellazioni sul palmo.»
«E ridevi così tanto che ero costretto a fermarmi dopo nemmeno un minuto. Temevo che prima o poi saresti morto.» Toshiki accennò un sorriso a sua volta, sincero e leggermente malinconico. «Mi pregavi di continuare e io ti promettevo che ti avrei abbandonato al primo urlo… eri così felice quando ti parlavo del cielo o ti leggevo qualcosa, così sereno. Trasformavi una notte come tante in qualcosa di nuovo, e ogni volta io mi chiedevo come riuscivi a farlo… erano bei momenti.» Perché eravamo completamente noi stessi.
Nessuna risposta spezzò la ninnananna che accompagnava le stelle nel loro vorticare: per il resto della notte entrambi non si scambiarono che qualche altra parola, attendendo l’alba sulla riva e nel dormiveglia.
Ryo aveva ragione: non avrebbero potuto riposare con l’anima e la mente che chiedevano altro, né davanti alla città che sapeva tutto di loro.
Quella era la svolta: o avrebbero compreso come affrontare il silenzio, o questo avrebbe congelato ciò che li teneva uniti e le mura sarebbero rimaste il sogno di un passato ormai perduto, insieme a tutto ciò che erano.

 

 

 

Al mattino, non affrontarono subito la cinta di pietra: prima si bagnarono nuovamente tra le onde, quindi la varcarono per visitare brevemente la città e si persero nelle vie sempre più piene di fiori e ancora fiancheggiate da bianche costruzioni, protette da un incantesimo che non permetteva al Tempo di raggiungerle; e si strinsero l’uno all’altro mentre riconoscevano i fantasmi dei bimbi che erano stati prendere vita e inseguirsi a vicenda nei giochi, tagliando loro la strada mentre venivano rincorsi da quel vento spensierato che non li toccava più.
Rimasero lì per tutto il tempo che sentirono come concesso; quindi, il sole sorse alto sulle mura e le ombre mutarono, rivelando il momento di partire.
«Andiamo», sussurrò allora Toshiki, «il nostro tesoro ci sta attendendo.»
Ryo annuì e gli mise una mano sulla spalla. «E noi non siamo così scortesi da farlo aspettare troppo.»
Passò un breve istante, quindi umide tenebre, freddo e anni di storia impattarono contro la pelle e li fecero indietreggiare un attimo, per poi permettere loro d’adattarsi. La pietra antica diede il benvenuto ai suoi due visitatori preferiti e non negò nessuno dei brividi che entrambi provarono.
«Siamo contenti anche noi di vedervi, non temete.»
Minegishi accennò un sorriso a quella battuta, quindi rivolse un’occhiata all’enorme borsa che Ryo portava. «Non ti preoccupare, lo sapranno presto», gli disse mentre se la faceva consegnare. Ne trasse giacche pesanti e la più grande delle torce che c’erano, accendendola subito.
La luce rivelò che l’ambiente in cui si erano conosciuti era davvero enorme e non la semplice impressione di un bambino, e girò su sé stesso per vedere bene l’altezza delle volte e i massicci pilastri che sostenevano la struttura.
Mentre la guardava, ricordò che Ryo aveva detto che in una certa direzione non avrebbero potuto proseguire perché una parete impediva il passaggio; probabilmente al di là di essa non c’era alcuno spazio libero, quindi, forse, quell’ambiente era stato ricavato apposta per chi poi l’avrebbe occupato.
Che tipo di tesoro doveva essere custodito in un simile spazio?
«Pronti?»
Toshiki attese un attimo prima di rispondere, osservando i percorsi che si estendevano da una parte e dall’altra; quindi annuì, provando sulla pelle una scossa d’eccitazione. «Pronti. Stammi vicino, la torcia non riesce a illuminare tutto.»
«Questo si chiama sfruttamento.»
Minegishi spalancò gli occhi, sorpreso, e prima che potesse replicare Shimazaki scoppiò a ridere e lo afferrò per un braccio, trascinandolo con sé. «Nessun problema, non me la prendo solo se fai andare avanti me. Voglio essere io il primo a scoprire ciò che ci attende!»
«E se poi non c’è alcun tesoro e rimani deluso?»
«Allora sarò costretto a darti battaglia, probabilmente in acqua. È da parecchio che non provo ad affogarti.»
«Non imparerai mai a combattere lealmente.»
«La dovresti pagare comunque, visto che tutto questo è partito da te.»
«Oh, ricordami, chi mi ha raccontato della leggenda? In questa storia siamo geni o stupidi in due.»
«Touché
Un refolo di corrente fredda distolse l’attenzione dalla piccola discussione per concentrarla nuovamente sulla loro strada; e impugnando la torcia, Minegishi strinse leggermente la spalla dell’amico per farlo avanzare.
«È come l’ultima volta», disse quest’ultimo dopo aver ascoltato un attimo cosa lo circondava e aveva innanzi, «c’è solamente silenzio. Ora che riesco a percepire i movimenti nel raggio di metri e metri, non sento nulla.»
«Stiamo comunque all’erta: non credo che i guardiani possano essersene andati, sono legati a questo posto. Inoltre, è scontato dire che ci riconosceranno e cercheranno di regolare i conti.»
Alla luce della torcia non era solamente la strada a prendere forma, ma anche il loro passato: a quello che avevano vissuto nel buio si poteva dare un nome, ogni pietra leggermente sconnessa aveva una storia e si mostrava a occhi attenti, l’avventura poteva essere descritta con chiarezza a mano a mano che si snodava in curve e sorprese.
«C’è qualcosa davanti a noi: ci sta sbarrando il cammino e non si muove.»

Ecco, appunto. L’esper cieco non aveva finito di parlare che Minegishi aveva già puntato il fascio di luce davanti a sé e con la mano libera aveva chiamato i rinforzi, pronto a tutto. Si ritrovò deluso: innanzi a loro non c’era niente da temere, bensì strane pietre contorte disposte in modo disordinato per tutto il percorso, quasi fossero cadute dall’alto e lì rimaste.
I due si avvicinarono a esse per capire di cosa si trattasse, così la torcia prese a illuminare quelli che parevano i frammenti di tante statue spezzate: corpi privi di arti, zampe d’animale, orecchie e, alla fine, qualcosa di simile al muso di un leone. A quel punto e ripensando sia alle parole di Shimazaki sul silenzio udito prima, sia al fatto che era stato proprio lui a definire i guardiani come statue, nella mente di Toshiki si formò un’idea; però dovette attendere ancora qualche attimo per confermarla.
«Che cosa sono? Toshiki…?»
Chinandosi al suolo, l’esper delle piante prese in mano i brandelli di stoffa rossa che occupavano tutta la strada e se li fece passare tra le dita. «… Credo di aver trovato le tue scarpe, Ryo.»
La confusione tinse il volto del moro, e l’altro si sbrigò a spiegare. «Quelle che avevamo lasciato come punto di riferimento, la prima volta che entrammo qui… non le avevi più recuperate?»
«No… non sono mai tornato a riprenderle.»
Minegishi annuì e fissò nuovamente i resti scarlatti e le statue, per poi provare a comprendere che cosa fosse accaduto.
Dopo che la disperazione aveva risvegliato appieno i poteri di Ryo e questi era riuscito a teletrasportare entrambi via da lì, i guardiani dovevano averli cercati per tutte le mura, giungendo anche al punto da dove erano entrati; avevano trovato le scarpe e, dato che queste avevano lo stesso odore di una delle loro prede, si erano avventate contro di esse…
Ma poi perché finire in pezzi, ammesso che quei simulacri di belve feroci fossero stati veramente i fedeli custodi del luogo?

Perché hanno fallito.
Alzandosi lentamente, l’esper si avvicinò a Shimazaki e lo prese per un braccio, conducendolo poi nelle zone dove la strada era sgombra.
«Che cosa stai facendo?»
«Evito che tu calpesti ciò che resta dei guardiani. Anche se li hai battuti, meritano comunque rispetto.»
Ryo mostrò le orbite vuote in un’espressione di sorpresa, la voce tremò quando chiese: «… Come sarebbe a dire che li ho battuti?»
«Hanno fallito nel loro compito: non sono riusciti a catturare due estranei troppo curiosi, come il principe aveva ordinato, e hanno pagato al posto nostro. Questi frammenti sono ciò che rimane dei nostri nemici.»
«Siamo noi gli unici responsabili di questo silenzio, allora…»
«Proprio così.»
Il moro si blocco, non replicò subito. «… Ho portato distruzione anche qui. Anche da piccolo, non creavo altro che caos.»
Toshiki era andato qualche passo più avanti, ma si fermò e voltò a quell’affermazione. Il tono con cui l’aveva pronunciata gli fece inaspettatamente male e per un attimo non seppe come replicare; quindi ritornò vicino al compagno. «Non hai colpa di questo fatto, e lo sai: non potevamo sospettare che sarebbe andata così.»
Shimazaki non smise di fissare il vuoto davanti a sé. «Eppure, ci ha rimesso comunque qualcuno.»
«E in cambio di quel qualcuno hai salvato entrambi.»
Questa volta l’esper cieco abbassò il capo verso Minegishi, che prese un grande respiro e continuò. «La scelta di cercare questo tesoro non ha portato a esiti completamente felici, finora… ma tutto ciò non è stato fatto volontariamente; e due persone non sono morte.» Anche se, a giudicare da quello che avremmo fatto anni dopo, forse ce lo saremmo meritato. «Credi che valga poco?»
Silenzio. Di nuovo, Minegishi sentì una spina penetrare nel cuore e decise di prendere tra le proprie mani la situazione, con calma e riconoscendo tutto ciò che avevano sbagliato. «Ascolta… se non te la senti di proseguire, ci possiamo fermare. Rispetteremo il volere dei custodi e lasceremo in pace qualsiasi cosa custodissero; e d’altra parte tu volevi fare così fin dall’inizio, mentre io ho scelto di affrontarli. La colpa della loro disfatta è tutta mia.»
In quel momento, Ryo uscì dal silenzio e sorrise debolmente. «No, non credo. In questa storia siamo geni o stupidi in due, hai detto prima; e anch’io ho fatto la mia parte.»
«Ryo…»
«Ne accettiamo le conseguenze insieme. Salutiamo le mura per l’ultima volta e ritorniamo al mare: il tesoro merita di riposare insieme ai suoi protettori… noi non lo meritiamo.»
«Sì… è la cosa migliore che possiamo fare.»
Si voltarono entrambi; ma prima che potessero teletrasportarsi, una violenta scossa di terremoto turbò il suolo.
Nessuno dei due fu capace di reagire in fretta, così che entrambi persero l’equilibrio e caddero; il mondo iniziò a vorticare e provarono la sensazione di rotolare via via più velocemente in un buio fitto che non lasciava spazio neppure ai pensieri, e mentre le capacità di orientarsi e il senso del tempo si annullavano credettero di essere destinati a precipitare nelle tenebre per sempre — e almeno, tale sembrava dover essere la loro sorte fino a quando Minegishi non riuscì a trasmettere un ordine e decine di piante sbucarono per afferrarli e ancorarli saldamente a terra.
Entrambi rimasero nella parziale incoscienza per altri lunghi istanti, quindi Shimazaki fu il primo a riaversi e a prendersi la testa fra le mani. «Che male, credevo di essere sul punto di rompermela… Toshiki, tu stai bene?»
Questi mugugnò una risposta, tutto il corpo che doleva per le botte ricevute; sentiva inoltre l’odore del ferro nel naso, segno che stava sanguinando, e la stessa umidità a livello del gomito destro. Forse, però, il peggio si fermava lì e tutto sommato era andata anche bene.
Le piante lo liberarono e fecero lo stesso con Ryo, così che poterono mettersi a sedere e riprendere il contatto con la realtà.
«Non credo che tu sappia cosa sia successo, quindi evito di chiederlo», esclamò l’esper cieco, «so solo che siamo molto avanti rispetto al punto in cui eravamo prima.»
Barcollando leggermente, Toshiki si alzò e scoprì di poter stare in equilibrio; provò a riaccendere la torcia che non aveva mai mollato e riuscì nell’intento, così poté raggiungere l’amico. Anche lui sanguinava da un colpo sulla fronte, ma in misura ridotta e non preoccupante: potevano davvero considerarsi dei miracolati.
Un rapido sguardo intorno non gli permise di riconoscere alcunché che potesse servire, e questo lo agitò leggermente. «Ryo, riesci a teletrasportarci fuori da qui?»
Il moro scosse la testa. «Ci posso provare, ma non riesco a orientarmi… non vedo nemmeno nulla. Ho paura che mi sia successo qualcosa…»
«Hai preso un colpo alla testa, per questo non riesci a utilizzare i poteri. Stenditi un attimo, io provo a guardarmi in giro.»
«Vuoi procedere senza sapere dove andare?»
«Vedo se riesco a capire qualcosa, va bene? Non mi allontanerò di molto, credimi. Rimani tranquillo, ce ne andiamo presto.»
Minegishi fece per muoversi, tuttavia si ritrovò il fiato dell’amico a pochi passi; le piante lo aiutarono a reggerne il peso quando questi rischiò di schiantarsi al suolo di faccia, e a stento lui represse una sonora sgridata.
«Ti avevo detto di rimanere sdraiato e tranquillo», disse invece mentre si passava un braccio dell’esper intorno alle spalle e in qualche modo riusciva a sostenerlo almeno perché non cadesse.
«E invece io non ti faccio andare da solo e in queste condizioni.»
«Parla quello che invece si regge bene sulle gambe, eh. Nemmeno da ubriaco sei così instabile.»
«Ti mancano anche quei momenti, di’ la verità.»
«… Quella botta è stata davvero forte, mi sta preoccupando.»
«Ma se tu—»
«Fermo.»
Ryo si voltò senza nascondere la propria sorpresa, immobilizzato dal tono con il quale l’amico aveva parlato. «C’è qualcuno? Maledizione, proprio quando non sento nulla…»
«Non c’è nulla e nessuno da sentire.» Leggermente contrariato, Minegishi guardò che cosa la torcia stava illuminando a pochissima distanza da sé: una volta e sette scalini che conducevano a una camera posta più in basso rispetto al piano di calpestio, e il pavimento di questa — o meglio, la distesa d’acqua che lo ricopriva: il mare sembrava essersi aperto una via dentro le mura e aver deciso di confluire in quel vano, creando una sorta di piscina.

La solita fortuna, pensò mentre scendeva gli scalini e si guardava intorno.
«Allora perché mi hai fermato?»
«Per evitarti una caduta e un bagno fenomenale, e—» In quello stesso istante la voce si bloccò e gli occhi si spalancarono davanti alle ultime immagini di quella che, Toshiki ne era certo, non era stata una semplice illusione: mentre faceva scorrere la luce sul pelo dell’acqua, una scarica dorata si era fatta largo fino a scomparire quando li aveva quasi raggiunti,  come un fantastico, rapido serpente che improvvisamente avesse fiutato un pericolo sulla propria strada e fosse preventivamente fuggito. Quest’immagine, sorta in parte dalle fantasie della sua infanzia, gli diede i brividi e lo spinse a far vagare intorno la torcia, nel tentativo di rintracciarla e inseguirla; ma non portò a nulla, men che meno al suo obiettivo.
«Bagno fenomenale?»
«Sì, sembra che il mare intero si sia riversato qui… e tu non fare quel sorriso, non ti vorrai buttare!»
Dividendo l’attenzione tra quello che aveva appena visto e frenare l’idea folle che aveva percorso la mente del moro, l’esper si sporse in avanti. Illuminò nuovamente l’acqua guardando ovunque, e dopo pochi attimi il guizzo misterioso riapparve.
«Là!»
Le piante scattarono, ma non sfiorarono nulla: eppure la presenza non era più molto distante da lui né quelle erano state lente… quale pesce o altra creatura poteva essere tanto veloce? Inoltre, era una sua impressione o qualunque cosa fosse si fermava sempre prima di un certo punto, come se ci fosse una qualche barriera a trattenerlo e non si potesse spostare liberamente?
«Ryo, riesci a sentire qualcosa ora?»
«No.»
«E va bene. Credi di poter stare seduto qui per qualche minuto? Per favore.»
«Sì… ci provo.»
«Mi basta.»
Libero dal corpo dell’amico, Minegishi scese l’ultimo scalino ben deciso a risolvere il mistero e accettando anche di bagnarsi fino al midollo per questo. Per fortuna, quando entrò in acqua scoprì che il suo livello arrivava a malapena ai fianchi.
«Hey, ma tu sei lì a sguazzare!»
«Sì, ma non essere idiota come me, intesi? Stai immobile.» Puntò la torcia dritta ai suoi piedi, ma niente accadde; invece, quando il fascio si sparse intorno, l’arcano iniziò a svelarsi.
«Ma cosa…»
Per la seconda volta, la voce si spense: per qualche istante ci fu il silenzio assoluto, quindi, appena la consapevolezza ricompose tutti i pezzi e infine rivelò l’incastro perfetto, il giovane scoppiò in una risata.
Shimazaki sorrise spontaneamente nell’udirla, in quanto era raro sentire Minegishi ridere così forte; poi attese, senza nascondere la sua impazienza, che il compagno rivelasse ciò che lui non poteva vedere. «Quindi? Che cosa sta succedendo?», chiese quando sentì l’altro calmarsi lentamente.
«Sta succedendo… che abbiamo trovato il nostro tesoro.»
A quelle parole il moro spalancò la bocca senza emettere un suono, la richiuse e la riaprì di nuovo nello stupore. «Davvero?»
«Sì, ed è sempre stato qui: era qui quando siamo venuti la prima volta, e anche quando abbiamo stretto la nostra promessa. Ora mi sta guardando.»
«Cos’è, qualcosa d’oro? … Aspetta, cosa vuol dire che ti sta guardando
«Oro, sì, e zaffiri e rubini. Il nostro principe non si è affatto risparmiato sui colori, ha usato solamente i migliori.»
Senza più riuscire a trattenersi, Ryo si alzò ed entrò in acqua a sua volta, raggiungendo l’amico e stringendogli forte le spalle per l’eccitazione. «Cos’è, cos’è?»
«È il soffitto sopra di noi. Ryo, se solo tu potessi vederlo… è bellissimo.
Non me ne sono accorto prima perché continuavo a guardare il suolo e la torcia è troppo debole per illuminare un grande spazio, ma quando la luce sfiorava sia la volta che l’acqua, questa lo rifletteva.
E ti ricordi che cosa mi hai detto la prima volta che siamo stati qui?»
«Ti ho detto un sacco di cose allora: che mi avevi salvato, che avevi mille braccia, e anche che profumavi di fiori… ma non so come possano rientrare nel discorso di adesso.»
«La leggenda: il principe straniero dalle mani ricoperte di polvere dorata, che rifiutava il contatto con la gente e preferiva rimanersene chiuso nelle mura con il suo tesoro… e noi siamo in una camera dipinta d’oro e di mille altri colori, sul percorso che i guardiani proteggevano.
Forse si era ricavato tutto questo spazio perché aveva intenzione di decorarlo tutto, ma qualcosa deve averlo interrotto. Comunque sia, la leggenda è allora…»
«… Una storia vera.»
Minegishi annuì, continuando a lasciar vagare lo sguardo sulla meraviglia che avevano sopra di loro: non un vero e proprio disegno, ma tanti vortici di colori brillanti, caldi e freddi che partivano da ogni angolo della volta e la riempivano totalmente fino a unirsi al centro, dove potevano dare vita a un cielo notturno trapuntato da milioni di astri e percorso da un’aurora boreale, oppure alle profondità marine con il grembo carico di fiori e perle.
Alle pareti i toni andavano lentamente sfumando in un bianco latteo che rimandava all’infinità, la quale riniziava là dove cominciava l’acqua e di nuovo si tuffava nel tripudio dell’immaginazione e della bellezza.
Dentro di sé, lui si rese conto di trovare quella scoperta più importante di qualsiasi gioiello perché era parte del mondo di chi l’aveva creato e conservava tutto ciò che la morte non aveva rapito con sé: visioni della propria terra, emozioni, il modo di concepire l’armonia e di esprimerla.
Il vero tesoro allora non era la decorazione, ma l’anima da cui era nato: e questo non poteva avere paragoni.
«Credo che qui qualcuno sia rimasto senza parole…»
Minegishi non riuscì a rimanere impassibile al suono flautato della voce di Shimazaki. «È un peccato che non possa vederlo anche tu, è…»
«Oh, ma me lo puoi descrivere. Ti ascolto.» Senza attendere altro o lamentarsi del freddo, il moro si sedette nell’acqua e si mise in attesa con l’espressione più pacifica mai vista prima.
«Ma… ora? Così?»
«Ovviamente. O forse devi andare da qualche parte?»
Toshiki alzò la testa e sospirò, riconoscendosi battuto e non riuscendo a trattenere un sorriso. La normalità è una strada battuta: facile da percorrere, ma dove non crescono fiori[1]. E tu sai benissimo dove andare a trovare i più belli. «Hai ragione», mormorò prima di sedersi a sua volta, «è il nostro tesoro, quindi è giusto che entrambi lo conosciamo.»
«Dimmi: luna o stelle?»
«Entrambe, e sempre al massimo della loro luce. La notte non sarebbe mai più oscura se fossero vere.»
«Possono esserlo per noi, però.»
Un altro sorriso. «… Riformulo quello che ho detto poco fa: credo che quel colpo in testa ti abbia fatto anche bene.»
E la città, lui non la poté vedere ma lo fece, per un attimo brillò di più davanti ai nuovi guardiani dei suoi segreti.

 

 

 

C’è una meta
Per il vento dell’inverno:
Il rumore del mare.
[2] 
Quando lasciarono le mura era quasi giunta la sera.
Ormai nemmeno un’ora rimaneva prima del buio completo, ed era un fatto condiviso da entrambi che andasse spesa vicino al mare — come la notte precedente, eppure con animo completamente diverso.
Il loro viaggio nel buio aveva dato frutti che nessuno dei due si sarebbe immaginato, e solamente una tappa mancava all’arrivo: la più complessa, la più personale e completamente loro.
«Sei fortunato: anche se non ho potuto vedere il tesoro nel senso comune del termine, non mi ha comunque deluso. Per questa volta ti risparmio.»
«Troppe sorprese per oggi; continua così e finisco per viziarmi.»
Shimazaki sorrise, quindi si distese sulla sabbia. Anche quando Minegishi ebbe fatto lo stesso rimase in silenzio, riempiendosi di tutte le sensazioni che il mondo gli dava e liberando le parole solamente quando sentì che era il momento giusto per farlo. «Ti devo ringraziare sinceramente: una giornata simile non la vivevo da tantissimo tempo… anche se ciò che mi mancava davvero era la compagnia di qualcuno come te — togli pure quel qualcuno e tieni il te. E sto dicendo sul serio, per una volta.»
L’esper delle piante inspirò a pieni polmoni. Era da qualche ora che si sentiva turbato, e non solamente dalla vista della camera decorata; no… si scendeva molto più nel profondo, questa volta.
Il capolinea era ormai vicino, e lui era stanco di restare in silenzio. Un giorno era bastato per scoprire la verità su tante cose, e per lui era sufficiente per iniziare a riprendersi quanto gli spettava. «Qualcosa di buono lo so fare anch’io, allora.»
«Più che qualcosa: tu…»
«Tu sei un maledetto orgoglioso, ecco cosa dovresti dirmi. Ed è vero, lo sono fino al midollo.»
«Toshiki.» Silenzio. «Toshiki, per tutti questi anni non siamo stati altro che arroganza e falsità, annebbiati dai nostri stessi poteri; niente potrà cambiare questo fatto. Però guardati ora: hai un lavoro, ti relazioni con la gente, fai del tuo meglio per crescere e migliorare… io, invece? Io ho saputo solamente scappare e lasciare tutti i problemi a te e agli altri, e non ho fatto nulla di diverso da allora.
Entrambi abbiamo provato una grande paura: ma tu sei stato il più intelligente tra i due e hai reagito di conseguenza.»
Tacquero entrambi, razionalizzando quanto si erano appena detti; poi Toshiki riprese. «Siamo cambiati tutti da quel momento — anche tu, a quanto ho potuto vedere; ma la sera in cui sei ricomparso, ero talmente arrabbiato da leggere in ogni tua parola una menzogna, e ho sbagliato: ho sbagliato ancora pensando di essere l’unico a parlare con giustizia. E se per metà è vero, non…» Un sospiro. «Ti ho giudicato senza nemmeno sapere cos’hai passato veramente in quei mesi, ancora una volta mi sono creduto migliore di un altro. Pensi davvero che possa essere un atteggiamento da persona intelligente?»
«Eri furioso, posso capire.»
«Davvero, Ryo? … Mi perdoneresti, quindi?»
Il moro si alzò sui gomiti e sollevò le palpebre; per qualche istante le prime stelle sembrarono riflettersi nel buio che portava dentro sé. «Solamente se prima lo fai con te stesso. E tu, Toshiki, perdoneresti me per tutto il silenzio che ti ho fatto vivere? Hai detto che ritornare in questa città non sarebbe bastato per risolvere la situazione tra noi, e ti credo; ma con il tempo saresti in grado di rivedere in me un amico?»
«… Tu non hai mai smesso di esserlo; certo, se tu non sparissi più riprenderesti punti, e se smettessi di considerarti solamente caos faresti meglio anche a me. Pure la città ci ha riconosciuti degni di conoscere le sue ricchezze, qualcosa dovremo pur valere.»
Un nuovo silenzio, una connessione nel vento che spirava da oltre quella sponda, e Toshiki si accorse di provare qualcosa nel petto: il vuoto suo compagno stava vacillando a mano a mano che si faceva più modesto per incontrare e ritrovare l’altro, e con lui anche sé stesso. L’incognita stava formulando la sua risposta, e inoltre, nella parte in cui si era sbagliato, Ryo aveva ragione: poteva essere ancora orgoglioso, ma non tanto da non saper chiedere scusa. Lo avrebbe creduto possibile nemmeno un anno fa?

Il tuo viaggio non è ancora finito, ma stai procedendo senza fermarti.
E da qui in poi non sarai più solo.

Da parte sua, Shimazaki sorrise di nuovo. «Se è così, a parer mio ritenerti migliore non è superbia ma realtà… chi veglia sugli altri ha sempre qualcosa in più.»
«Veglia… un attimo, a che cosa ti riferisci?»

«Siamo onesti: dei Super 5 sei stato e sempre sarai il più intuitivo e sveglio, e per quanto tutto il mondo sappia che non ami il contatto fisico e tendi a non esprimere le emozioni, hai sempre tenuto a noi. Aspetta, quindi ti dovrei chiamare mamma
«Ti prego, non dipingermi come il puro della situazione: quello è Serizawa.»
Sorrisero entrambi e dopo qualche istante finirono per ridere, chi più apertamente chi meno.
«Dovresti ridere più spesso, te l’ho sempre detto.»
«E tu fare meno l’idiota: ma nessuno dei due ascolta mai l’altro.»
Shimazaki alzò le spalle come qualcuno che si è ormai rassegnato davanti all’evidenza, quindi fece uno dei suoi soliti ghigni. «Tu non hai sentito nulla di tutto ciò, comunque; e so dove abiti, quindi stai pur sicuro che se apri bocca te ne pentirai. Nessuno deve sapere che anch’io un cuore come te, dolce Toshi-chan
«Ti avverto: non farmi pentire di averti ritrovato, o giuro che sarò io a fuggire il più possibile lontano.»
«È un po’ difficile starmi distante, Minegishi Toshiki: la luna non resiste tanto tempo senza il suo sole. Oh, ho appena deciso come posso chiamarti!»
Minegishi si prese la testa tra le mani e si rifiutò di commentare, ma tutto il suo animo rideva e la natura intorno a loro lo manifestava.
Erano ancora all’inizio, ma potevano farcela. La speranza era dalla loro parte, non li avrebbe lasciati di nuovo; avevano vinto sul silenzio.

Il tempo mette ognuno al proprio posto: ogni regina sul suo trono, ogni pagliaccio nel proprio circo.
Per alcune persone vale la pena anche la peggiore delle prigioni, purché insieme; e se sono qui perché ti merito, allora sì, che sia tu il mio posto.

 

 

 

 

 

NOTE

 

 

 

[1] Citazione di Van Gogh.

 

[2] Haiku di Ikenishi Gunsui.

 

 

 

 

 

ANGOLO DI MANTO

 

Mi rendo conto solo ora che ho riempito la fic delle citazioni più disparate; ma anche questo ha il suo senso, dato che Minegishi è un bookworm di prima categoria.
Ora, io spero davvero di aver dato a questi due personaggi per me importantissimi tutta la profondità che meritano e di averli resi compatibili al canon, considerando però anche le modifiche comportamentali dopo i traumatici eventi vissuti e al fatto che ho dato una relazione di lunga data, quindi certi discorsi solamente tra loro potrebbero accadere; e soprattutto di aver mostrato come – per Minegishi è palese perché lo si vede nell’opera stessa, per Shimazaki meno ma ci sono dei momenti che lo fanno pensare (per esempio, ci sono due occasioni in cui difende o mostra empatia per Serizawa) – non siano affatto dei mostri di cattiveria, anzi.
Non ho dato nome alla città marina non perché non sapessi come chiamarla, ma perché ognuno se la possa immaginare come preferisca, senza che corrisponda forzatamente a un luogo reale. Pensatela come un posto che condensi in sé tutta la magica, sirenica bellezza degli ambienti a contatto con mare od oceano, e il vostro nome verrà.
Da ultimo, ma non meno importante: la storia è un omaggio a una delle scoperte più avvincenti del mondo dell’archeologia, ovvero le pitture paleolitiche della Grotta di Lascaux, rinvenute nel 1940.
Di casi del genere ce ne sono tanti, ma siccome qualche giorno fa è morto l’ultimo dei giovani esploratori che le videro per primi, la parte nelle mura è tutta dedicata a lui e ai suoi compagni. In questo caso, però, a essere davvero importante non è la scoperta della camera decorata, ma la ripresa di una relazione: letteralmente, la trasposizione del detto “chi trova un amico trova un tesoro”.
E direi che questa coppia di bros – o qualcosa di più? A voi la sentenza – possano considerarsi davvero fortunati sia in un senso che nell’altro.

 

Manto

   
 
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