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Autore: Teo5Astor    19/02/2020    13 recensioni
Un mistero accomuna alcuni giovani della Prefettura di Kanagawa, anche se non tutti ne sono consapevoli e non tutti si conoscono tra loro. Non ancora, almeno.
Radish Son, diciassettenne di Fujisawa all'inizio del secondo anno del liceo, è uno di quelli che ne è consapevole. Ne porta i segni sulla pelle, sul petto per la precisione, e nell'anima. Considerato come un reietto a scuola a causa di strane voci sul suo conto, ha due amici, Vegeta Princely e Bulma Brief, e un fratello minore di cui si prende cura ormai da due anni, Goku.
La vita di Radish non è facile, divisa tra scuola e lavoro serale, ma lui l'affronta sempre col sorriso.
Tutto cambia in un giorno di maggio, quando, in biblioteca, compare all'improvviso davanti ai suoi occhi una bellissima ragazza bionda che indossa un provocante costume da coniglietta e che si aggira nel locale nell'indifferenza generale.
Lui la riconosce, è Lazuli Eighteen: un’attrice e modella famosa fin da bambina che si è presa una pausa dalle scene due anni prima e che frequenta il terzo anno nel suo stesso liceo.
Perché quel costume? E, soprattutto, perché nessuno, a parte lui, sembra vederla?
Riadattamento di Bunny Girl Senpai.
Genere: Mistero, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: 18, Bulma, Goku, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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53 – La vista dalla vetta
 
 
«Ichiran! Ichiran! Ichiran!»
Nel tunnel che dagli spogliatoi porta al campo da gioco rimbomba il coro dei tifosi dei nostri avversari. Risuona come un ossessivo mantra, scandito a ritmo di tamburi e battiti di mani perfettamente sincronizzati. Sapevo che il nostro tifo sarebbe stato in minoranza, ma non pensavo a tal punto. Del resto loro sono i campioni in carica, noi eravamo dei perfetti sconosciuti fino a qualche giorno fa. Osservo in lontananza la parte della tribuna occupata dai nostri sostenitori, in cui ci sono anche Lazuli e tutti gli altri. Li vedo sgolarsi e agitarsi, ma a noi non arriva che un ronzio di sottofondo vista la disparità numerica che devono affrontare rispetto ai tifosi avversari. Davide contro Golia, Ulisse contro Polifemo. Ancora una volta. Come nella finale del campionato provinciale. Già, il perfetto “Giant Killing”, come si suol dire. Bisogna farlo di nuovo. Bisogna abbattere nuovamente un gigante.
Mi volto verso Vegeta, che chiude alle mie spalle la fila indiana che abbiamo formato insieme agli altri titolari in attesa di entrare in campo. Alla nostra destra si è disposto anche l’Ichiran, e non posso fare a meno di scambiarmi un’occhiata di sfida con Shingo Narita, l’attaccante che dovrò marcare oggi e autore solo di un gol in meno di Vegeta in questo torneo. Osservo per un istante anche Inui, il loro fortissimo centrocampista offensivo. Un talento cristallino, il numero dieci. E il loro portiere, il gigantesco Tokorozawa, anche lui ancora imbattuto come Napa in questo campionato nazionale.
«Tsk! Che vadano tutti a fare in culo!» ringhia tra i denti Vegeta, strappandomi un sorriso.
«Hai visto quanto è grande il loro striscione?» gli chiedo, indicando col volto un immenso telo rosso quadrato che gli studenti dell’Ichiran hanno srotolato in tribuna sopra le proprie teste e che agitano colpendolo con le mani da sotto.
«”Pride on”» legge ad alta voce il mio amico in tono sprezzante. «L’orgoglio dei campioni… ma fottetevi».
«Guarda quello che hanno portato i nostri tifosi, invece» gli dico, spostando lo sguardo più a sinistra, dove gli studenti della nostra scuola hanno esposto sul muretto di quel settore della tribuna uno striscione rettangolare giallo di dimensioni decisamente più contenute. «È più piccolo, ma rappresenta tutto ciò che siamo».
«”Tempesta e Impeto”» legge Vegeta, inclinando leggermente il collo e accennando un sorriso sghembo. «Mi piace».
«Queste due parole sono l’emblema del nostro calcio basato sulla corsa, sulla lotta fino all’ultimo, sulla grinta. Abbiamo corso fino a vomitare in allenamento per riuscire a correre più degli avversari in partita. Abbiamo dato l’anima per poter colmare quel gap che ci ha sempre separato dalle squadre più forti a livello tecnico e di esperienza. Abbiamo lavorato su quelle che potevano essere le nostre armi, anche se questo ci ha fatto sputare sangue in allenamento».
«E abbiamo fatto il culo a tutti giocando a modo nostro, Rad. Anche oggi gli apriamo il culo a ‘sti stronzi, hai visto come ci guardano?! Tsk!»
«Lasciali perdere, resta concentrato sul campo. È lì che dobbiamo aprirgli il culo in due ed è lì che lo faremo, Prince».
«Sì. Ce la faremo».
«Sai, “Tempesta e Impeto” non rappresentano solo il nostro stile di gioco. Ma sono due parole che indicano un’epoca di grandi sconvolgimenti» spiego a Vegeta, che mi osserva concentrato, mentre intorno a noi continua a rimbombare l’assordante tifo a favore dell’Ichiran. «Il sovrano è destinato a cadere, sconfitto dall’impeto di una nuova era che arriva all’improvviso come una tempesta. Il gigante verrà abbattuto».
«”Tempesta e Impeto”» ripete in un sussurro, ghignando follemente e sgranando gli occhi. «Oggi vinciamo. Cazzo, se vinciamo!»
L’arbitro si posiziona davanti alle due file che abbiamo creato col pallone tra le mani e comincia a camminare verso il campo di gioco. Noi lo seguiamo.
«Prince, quando hai cominciato a giocare a calcio ti sei mai chiesto come dev’essere la vista della vetta?»
«Qualche volta sì, ma non mi ci sono mai soffermato troppo. Ero sicuro che l’avrei raggiunta prima o poi».
«Già. Tu hai sempre avuto la mentalità da campione, cazzo».
«O forse sognavo troppo in grande. Anzi, più probabilmente mi illudevo come un coglione. Se tu non fossi rientrato in squadra non saremmo qui, Rad» mi dice, mentre la luce del freddo sole invernale che oggi illumina il Tokyo Stadium ci entra negl’occhi e ci scalda il cuore. Mi giro leggermente, e noto che il mio amico ha teso il suo pugno chiuso verso di me.
«Non dire così. Sono io che devo ringraziarti per aver insistito così tanto per farmi tornare. Senza i tuoi gol non saremmo qui, Prince» gli rispondo, battendo il mio pugno contro il suo. «Ah già, non lo farò segnare oggi. La classifica dei marcatori considerala già vinta» aggiungo, indicando Narita con un cenno del capo.
«Quello lo davo per scontato. Pensiamo a portare a casa il titolo, adesso» ghigna.
«Ovvio» confermo, sorridendo sghembo a mia volta, mentre i tacchetti affondano nell’erba fresca e il boato del pubblico sembra avvolgerci in una spirale di luci, suoni, colori ed emozioni difficili da controllare.
«Rad, tu invece ci hai pensato? Alla vista dalla vetta, intendo… per te com’è?»
Cerco con lo sguardo Lazuli in tribuna e la trovo, proprio nel momento in cui raggiungiamo il centro del campo. La vedo sorridere. Mi sembra di potermi perdere per un istante nei suoi occhi di ghiaccio anche da qui, da così lontano. Sento la sua voce. Il calore della sua mano, di un suo abbraccio. Il suo sapore, il suo profumo. La sento con me. Dentro di me.
È in quel momento che la vedo. Vedo la vetta del cielo, ma la luce è così abbagliante che mi impedisce quasi di percepire quello che mi appare in quell’istante. Ma mi restano addosso delle sensazioni che mi mettono i brividi per quanto sono belle, per quanto riempiono il cuore e l’anima fino a farli scoppiare. Per l’energia e l’entusiasmo che ti lasciano dentro. Per l’adrenalina che ti senti scorrere nella gambe, per il senso di appagamento. Per quella sensazione di aver fatto qualcosa di buono per te e per chi credeva in te. E anche per quella sensazione di rivalsa verso chi, al contrario, non aveva mai creduto in te. Ti senti un eroe, ti senti invincibile quando sei in vetta. Ti senti… giusto. E pensavo anche che mi sarei ritrovato da solo, magari. Che l’aria fosse rarefatta, che non avrei più avuto nessuno lì con me. Ma vedo che c’è Lazuli al mio fianco, e Vegeta con tutti i miei compagni di squadra. I miei amici e la mia famiglia. Sorrido, perché credo che sia questa la vista dalla vetta, almeno per me.
«Una figata. Per me la vista dalla vetta sarà una figata, Prince».
 
Il quarto uomo solleva la lavagnetta luminosa e indica che dovremo giocare ancora cinque minuti di recupero oltre i novanta regolamentari. Novanta minuti in cui nessuna delle due squadre è riuscita a sbloccare il risultato. Questo campionato verrà deciso ai supplementari o, addirittura, ai calci di rigore?
Riprendo fiato dopo l’ennesimo scatto per bloccare Narita e penso che devo tenere duro, che non posso mollare anche se la partita dovesse protrarsi per un’altra mezz’ora. Guardo il mio avversario e mi rendo conto che non sono l’unico ad essere provato da questa battaglia. Anche lui è visivamente più stanco. Le sue accelerazioni sono meno incisive, i suoi salti mi sembrano andare meno verso l’alto rispetto a qualche minuto fa quando c’è da lottare per contendersi un pallone di testa. L’Ichiran è una squadra molto forte, nessuno diventa campione per caso. E Shingo Narita è un osso durissimo da affrontare, diverso per le sue caratteristiche rispetto agli altri grandi attaccanti che ho sconfitto finora. Non avrà la potenza e la stazza di Broly Berserk, la forza fisica e la tenacia di Mark Lenders o la tecnica e la leadership di Philip Callaghan, ma è di sicuro l’avversario più veloce e resistente che abbia mai affrontato, oltre al fatto che nei colpi di testa ha un’elevazione spaventosa. La velocità non è mai stata il mio forte, quindi è stata una partita davvero difficile per me. Ma me la sono cavata, sfruttando le mie armi e la mia capacità di marcare senza dare respiro, oltre che grazie al mio senso della posizione e alla concentrazione che ho sempre mentre gioco. Ce l’ho fatta in qualche modo a limitarlo, a non concedergli praticamente nulla, e forse chi sta vedendo la partita non si è nemmeno reso conto di quanto è stata dura riuscire a farlo per me. Ho dovuto lottare e sgomitare persino nei duelli aerei, che sono sempre stati il mio forte, perché lui salta probabilmente anche più in alto di me. Giocare contro di lui, che è uno del terzo anno come tutti i titolari dell’Ichiran, mi ha fatto capire che devo continuare a lavorare su me stesso se voglio migliorare. Devo correre di più in allenamento e diventare più veloce, ma devo anche imparare a guadagnare qualche altro centimetro in elevazione se voglio davvero diventare un professionista un giorno. Ma oggi, beh oggi sono riuscito a mascherare in qualche modo i miei difetti… forse addirittura a sembrare più forte di quello che sono in realtà. Sarà grazie al momento magico che sto vivendo a livello personale sul campo, con già due gol segnati in questo campionato nazionale oltre a quello della finale del provinciale, sarà grazie alla coesione che si è creata coi miei compagni di squadra che ci fa andare oltre i nostri limiti ogni volta che giochiamo, che fa diventare la nostra forza complessiva molto più grande della somma delle singole undici parti che la compongono. Sarà grazie alla presenza di Lazuli, soprattutto. Di mia mamma, di mio papà, di Goku. Di Bulma, Chichi, Lunch e tutti le altre persone che mi vogliono bene. Dei miei compagni di scuola, che mi odiavano fino a qualche mese fa e ora sono qui al mio fianco, così vicini che mi sembra di poterli portare tutti quanti sulle spalle mentre rincorro questa vittoria che sarebbe leggendaria per una scuola come la nostra.
Guardo Vegeta una cinquantina di metri avanti a me, che scatta a destra e a sinistra cambiando direzione per provare a liberarsi. Si sbraccia stizzito, in attesa del pallone giusto. Chiuso nella gabbia creata appositamente intorno a lui da Wakisaka, Bandai e Momose, il capitano dell’Ichiran, non ha saputo rendersi pericoloso praticamente mai quest’oggi.
Penso che sia stata una partita abbastanza brutta da vedere per uno spettatore neutrale, molto tattica e fisica, con poche occasioni da gol. Siamo due squadre arrivate fin qui senza aver subito nessun gol e alla fine le difese hanno prevalso sugli attacchi, pur potendo schiarare entrambe i due marcatori più prolifici del campionato. Ammetto che, da difensore, ci tenevo da matti a concludere il campionato nazionale riuscendo a mantenere imbattuta la porta di Napa. E so che ci teneva anche il nostro capitano, ovviamente. Ma non basta, sarà tutto inutile se non riusciamo a segnare un gol.
Il tempo continua a scorrere, inesorabile. È stata una partita equilibrata, sono orgoglioso dei progressi che abbiamo fatto come squadra dalla finale del campionato provinciale ad oggi. Quella volta vincemmo davvero grazie a un miracolo dopo un assedio durato novanta minuti condotto dai nostri avversari, ma oggi no, oggi siamo una squadra diversa, molto più sicura di sé e forte delle vittorie accumulate finora. Saremo anche inferiori a loro tecnicamente e a livello di esperienza ad alti livelli, ma tutto questo non si è visto sul campo oggi. Il Liceo Minegahara è una squadra vera, e lo stiamo dimostrando a tutto il Giappone quest’oggi. Penso che lo dovevamo a Napa e agli altri senpai del terzo anno, ma che lo dovevamo anche a noi stessi, per chiudere in bellezza il ciclo di questo gruppo e non dover avere rimpianti. Stiamo dando l’anima tutti, stiamo giocando al massimo e alla pari contro un avversario contro cui nessuno ci dava chance di vittoria. E, per di più, stiamo giocando praticamente in trasferta a causa del tifo che continua a sospingere l’Ichiran da prima della partita. Ma siamo ancora 0-0, quando ormai dovremmo essere entrati nell’ultimo minuto di recupero. Ho letto da qualche parte che c’è chi considera la partita di calcio perfetta proprio quella che finisce 0-0, perché è la partita in cui la difesa annulla l’attacco da entrambe le parti. Ma io non la penso così. Per me la partita perfetta è semplicemente quella in cui vince la mia squadra. E, da difensore, la partita super perfetta è quella in cui la mia squadra vince senza subire gol. Quindi manca qualcosa di fondamentale per rendere perfetta o super perfetta questa partita. Manca un nostro gol. Uno solo.
Lancio uno sguardo fugace e istintivo verso il settore occupato dai nostri sostenitori. Verso lo striscione. “Tempesta e Impeto”, già. I nostri tifosi sono stati encomiabili, non si sono risparmiati nemmeno loro. Si sono fatti sentire eccome, si sono fatti vedere e soprattutto valere nonostante la clamorosa inferiorità numerica. Sembrano i famosi trecento spartani alle Termopili contro l’intero esercito persiano, solo che oggi sono certo che il loro destino sarà ben diverso da quello che toccò a quel piccolo manipolo di eroi greci. Quella di oggi è la partita più importante che abbia mai giocato nella mia vita e c’è ancora tempo per renderla super perfetta. Per me, per i miei compagni e per tutte le persone che sono qui o davanti alla tv per noi.
Vedo Ogami, un centrocampista dell’Ichiran dotato di un tiro estremamente potente, recuperare palla sulla fascia sinistra all’altezza della propria area di rigore e alzare la testa. So che sta cercando con lo sguardo la posizione di Narita e che vuole servirlo con un lancio lungo in profondità per sfruttare la sua velocità. Capisco tutto con un attimo di anticipo e corro all’indietro per primo per colmare col senso della posizione il gap che devo pagare contro Narita in termini di pura accelerazione. Quando parte il lancio mi trovo così in una posizione migliore, pronto ad affrontare l’ennesima battaglia aerea di questa giornata alla ricerca del pallone. Riesco a saltare più in alto di lui facendo valere il mio fisico. Prendo la palla di testa, mentre lui mi colpisce con una gomitata al costato. Osservo il pallone uscire in fallo laterale e ricado sull’erba portandomi una mano sul fianco. Sento una fitta, appoggio un ginocchio sull’erba, ma non crollo a terra. L’arbitro fischia fallo a nostro favore, all’altezza della linea del centrocampo leggermente defilato sulla destra, dove è avvenuto il contatto tra me e il mio avversario che continua a lamentarsi sostenendo di non aver commesso nessuna infrazione. Mi rialzo a fatica e respiro a pieni polmoni, ignorando il dolore.
«Senpai! Tutto ok?!»
Mi volto verso Cabba, che corre a recuperare il pallone, stringendolo tra le mani per poi posizionarlo accanto a me. Già, Cabba… è cresciuto anche lui, continua a migliorare a vista d’occhio. È molto diverso dalla prima volta che abbiamo giocato insieme, è diventato più sicuro di sé soprattutto. È il più giovane in campo, eppure nessuno potrebbe dirlo a giudicare dalla partita e dal campionato che ha giocato al mio fianco al centro della difesa.
«Serve ben altro per mettere KO uno stronzo come me!» gli sorrido sghembo, raddrizzando del tutto la schiena.
«Allora vai su, senpai. Calcio io» ribatte, accennando un sorriso determinato e prendendo la rincorsa. Lancio uno sguardo verso Napa, che nel frattempo è uscito dalla sua area di rigore, e mi annuisce con il capo.
«Cerca la mia testa, Cabba. Dobbiamo vincere questo cazzo di campionato» sibilo, correndo verso l’area avversaria, seguito da Narita che mi rincorre imprecando. È sempre stato lui a marcarmi quando sono salito in attacco nel corso della partita e devo ammettere che non mi ha mai concesso nulla grazie alla sua elevazione e alla sua grinta. 
Mi posiziono in mezzo all’area leggermente spostato sulla sinistra, con Narita che mi sta addosso e mi trattiene la maglia. Anche Vegeta, controllato strettamente dal numero dieci Inui, e gli altri nostri compagni saliti in attacco devono subire marcature asfissianti. Tokorozawa in porta sembra un gigante insuperabile.
L’arbitro fischia e mi concentro con tutto me stesso sul pallone calciato da Cabba, mentre il pubblico sembra trattenere il respiro per quella che dovrebbe essere l’ultima azione dei tempi regolamentari. I tifosi dell’Ichiran hanno paura adesso. Lo sento distintamente per un istante l’odore della loro paura. Probabilmente è per questo che hanno smesso di cantare. Cerco con lo sguardo Lazuli e mi sembra di vederla in piedi, in lontananza. Sì. È Là, ne sono certo. Sorrido.
Guardo la palla dirigersi verso di me, ma mi rendo subito conto che il lancio di Cabba è lento e prevedibile, un boccone facile per la difesa. Ha calciato con una traiettoria molto alta e precisa, ma davvero troppo lenta per poter riuscire ad imprimere la giusta forza a un colpo di testa diretto a rete. Ma questo pallone devo farlo mio lo stesso, devo colpirlo io e provare a dirigerlo verso un mio compagno per far sì che possa calciare lui in porta. Devo fare la torre, come si suol dire. Salto più alto che posso, insieme a Narita, che non mi molla e urla per darsi la carica. Riesco ad anticiparlo, ma non posso fare altro che toccare appena il pallone di testa e prolungare la sua traiettoria verso la fascia sinistra. Non sono riuscito a fare la torre per servire un compagno in mezzo all’area, ma almeno ho potuto dare la possibilità a un altro mio compagno di essere lui a crossare in mezzo. Ma c’è davvero qualcuno dei nostri adesso sulla fascia sinistra?
Mi volto in quella direzione non appena ricado a terra, giusto in tempo per vedere Vegeta liberarsi dalla marcatura di Inui e scattare come un falco per agguantare la palla prima che esca in fallo laterale. Lo osservo caricare il sinistro a testa bassa, pronto a mettere il pallone in mezzo all’area. E in quel preciso istante che vedo il futuro. Quel tanto che basta. Vedo l’esatto punto in cui finirà tra un attimo il pallone calciato da Vegeta. Ripenso a quando un mio vecchio allenatore mi aveva fatto notare questa mia capacità, stupito dal numero di gol che ero in grado di segnare nonostante fossi un difensore. Diceva che non era tanto questione di tecnica o di velocità se segnavo, ma che il mio senso del gol derivava dal fatto che riuscivo a capire poco prima degli altri dove sarebbe finito il pallone e che a quel punto mi bastava solo buttarlo in rete. È vero. Aveva ragione.
Colpisco Narita con una spinta e mi libero della sua morsa, guadagno quel metro che so che mi basterà e mi getto nel punto dove ho visto distintamente che arriverà il pallone nella mia premonizione. E me lo ritrovo lì davvero, quasi senza nemmeno rendermene conto, sul mio piede destro. Lo stoppo a fatica, quasi incespicando, visto che Vegeta ha tirato una vera sassata rasoterra difficile da controllare e io arrivavo in corsa e sbilanciato dal contatto col mio marcatore. Ma riesco a stoppare comunque la palla, che mi resta praticamente incastrata sotto il piede, mentre con il corpo sono già troppo avanti per riuscire a calciare. Ma non c’è tempo, non posso raddrizzarmi per tirare bene. Mi sarebbero tutti addosso in un istante. Mi trovo a tre metri dalla porta, da solo, all’altezza del palo alla mia sinistra. Alle mie spalle e ai miei lati vedo figure indistinte che corrono verso di me, ma in questo momento mi sembra che tutto stia andando al rallentatore. Guardo Tokorazawa, l’unico davanti a me, correre in mia direzione e gettarsi a peso morto con le braccia spalancate verso il pallone, ancora ancorato sotto al mio piede. La porta alle sue spalle mi sembra improvvisamente minuscola. La rete molto più lontana. Carico il tiro nonostante la palla mi si sia quasi piantonata tra le gambe proprio mentre qualcuno mi mette una mano sulla schiena e mi spinge, sbilanciandomi ancora di più. Colpisco il pallone malissimo, calciando goffamente in modo lento, a mezz’altezza e dritto per dritto. Crollo a terra in avanti insieme all’avversario che mi ha spinto. Non so se sia Narita o un altro, quello che conta è che vedo con orrore il pallone sbattere sul petto di Tokorozawa e ricadere in avanti a metà strada tra noi. La palla, attutita dal corpo del portiere dopo il mio già debolissimo tiro, ricade inerme sull’erba e lì si ferma, immobile. Immobile, ma soprattutto invitante. Carica di speranza. Il pallone mi sta dando un’altra possibilità di segnare. Il pallone è sempre stato mio amico. Non mi ha mai tradito, anche quando sono stato io ad allontanarmi da lui. Il pallone mi sta dando una seconda possibilità dopo il gol che ho appena sbagliato, un po’ come la vita mi ha dato una seconda possibilità per essere felice con le persone che amo dopo tutto quello che ho dovuto soffrire.
Nello stadio il silenzio è irreale. I giocatori intorno a me sembrano pietrificati, o forse è solo una mia impressione. Guardo il pallone a un metro da me e grido con tutto il fiato che mi resta, mentre mi avvento su di lui in scivolata con la gamba sinistra protesa con uno sforzo sovrumano. Grido come a volermi dare la forza necessaria ad anticipare Tokorozawa, che si è gettato col braccio allungato per far sua la palla. E grido contro l’avversario che avevo addosso, che si è lanciato anche lui come me in scivolata. Mi rendo conto che è Narita, ancora lui.
Vedo la punta del mio piede sinistro arrivare un centesimo di secondo prima degli altri sul pallone e colpirlo quel tanto che basta per spostarlo. Osservo la palla rotolare lentamente e in diagonale verso la porta ormai vuota, mentre vengo schiacciato e travolto da Tokorozawa e Narita. Non perdo il contatto visivo col pallone però, come a volerlo sospingere verso la porta sguarnita. Non c’è nessuno, non c’è più nessuno davanti alla linea di porta. Non c’è più nessuno davanti al nostro sogno. La vetta del cielo è lì, a pochi centimetri, oltre quella linea bianca dipinta sull’erba tra i due pali che formano la porta. Ma la palla che ho toccato appena è lentissima, sembra non arrivare mai a destinazione. Sgrano gli occhi, sia perché ho paura che possa fermarsi prima della linea di porta, sia, soprattutto, perché mi rendo conto che potrebbe anche uscire, vista la traiettoria diagonale che ha assunto.
Smetto di respirare, forse mi si blocca anche il cuore per qualche battito. Nel silenzio glaciale dello stadio si sente solo un rintocco. Il rumore sordo prodotto dal pallone che colpisce la parte interna del palo, alla sua base. Che lo accarezza, che si ferma lì, sulla linea, contro quel cazzo di palo che sembra stia baciando. Mi sento male per una frazione di secondo. Ma è un attimo, perché, spinto come da una forza divina o magari da un soffio di vento, il pallone supera la linea bianca quel tanto che basta, prima di fermarsi del tutto. Lo vedo nitidamente. Immobile, ma dentro la porta. Dentro la porta dell’Ichiran.
Il silenzio intorno a noi è irreale, lo è sul serio. Sembra di essere in uno di quei film post apocalittici tipo Resident Evil, quando la protagonista si risveglia e la città intorno a lei e assurdamente e spaventosamente deserta. E sono io a squarciare quel silenzio. Sono io il primo a capire quello che è successo, stavolta. Il primo a rendersene conto.
Che ho segnato. Che abbiamo segnato.
Che abbiamo vinto, cazzo, perché non c’è più tempo.
Che ce l’abbiamo fatta sul serio, che non è un sogno.
«Gooooolll!» caccio un urlo liberatorio mentre mi sollevo da terra con un balzo, spingendo via i corpi pietrificati di Tokorozawa e Narita. La voce che squarcia quel silenzio assurdo non sembra neanche la mia, da quanto è roca e aspra. Sento la gola raschiarmi mentre sbraito fino a svuotarmi totalmente i polmoni. Ed è mentre riprendo fiato che sento all’improvviso esplodere lo stadio intorno a me. Corro con gli occhi sgranati, ma non vedo nulla. Sbraito di nuovo con tutte le mie forze, impreco. Sento i nostri tifosi fare lo stesso. Forse lo stadio non trema come durante i cori per l’Ichiran, ma le grida di chi è venuto qui per noi le sento e mi arrivano al cuore, dove so che le terrò per sempre anche se in questo momento non capisco nulla. Mi ritrovo davanti la faccia di Vegeta e mi rendo di aver corso quasi inconsciamente verso di lui. Ha gli occhi spiritati, urla, mi afferra la faccia con le mani. Non capisco cosa cazzo mi stia dicendo perché io grido più forte di lui, mentre mi stringe le spalle e mi trascina a terra con lui, abbracciandomi forte senza smettere di sbraitare. Continuo a urlare con la faccia contro l’erba e mi sembra di buttare fuori tutta la merda che ho accumulato dentro di me negli ultimi tre anni. Tutto il dolore. Tutte le preoccupazioni.
Sento i miei compagni saltarci addosso uno dopo l’altro. Li sento urlare, mentre mi afferrano la maglia, le spalle e i capelli. Alcuni li sento piangere, altri imprecare, altri ancora dire parole sconnesse che non riesco a capire. Per un attimo non riesco neanche più a respirare, schiacciato come sono da non so nemmeno io quante persone. Mi ritrovo nelle tenebre più totali, sotto il peso di tutta la mia squadra, ma è bello così. È bello anche se non riesco più a respirare perché siamo diventati un vero gruppo e siamo arrivati fin qui tutti insieme, io sono solo stato lo stronzo che ha avuto il culo e il privilegio di poter buttar dentro l’ultimo cazzo di pallone, quello decisivo.
Torno a vedere gradualmente la luce del sole e a sentire le urla del pubblico meno ovattate man mano che i miei compagni scendono dalla montagna umana che hanno creato sopra me e Vegeta. Riprendo una lunga boccata d’aria quando l’ultimo compagno si sposta dalla mia schiena e guardo stordito negli occhi Vegeta, ancora sdraiato pancia a terra accanto a me. La sua mano è ancora stretta ai miei capelli sulla nuca, la sua faccia è quella di un pazzo posseduto dal demonio.
«Sììì!» sbraita a denti stretti, colpendomi con due pugni sulla nuca talmente forti che rischio quasi di perdere i sensi, prima di sollevarmi di peso e abbracciarmi di nuovo.
«Cazzooo!» grido a mia volta, in piedi e barcollante davanti a lui. Non so chi dei due sia più in trance agonistica, ma questa è una gioia troppo grande e troppo diversa dalle altre per poter essere descritta razionalmente.
«Senpaiii!» mi volto e mi ritrovo abbracciato a Cabba, che sta piangendo. Arriva anche Napa. Persino lui ha le guance rigate di lacrime. Mi stringe fortissimo a sé, stritolando Cabba, che si ritrova in mezzo a noi. Mi volto dall’altra parte e trovo in campo addirittura il Mister, che ha attraversato il campo di corsa per venirci ad abbracciare. Alle sue spalle vedo Kale, che piange lacrime di disperata gioia, e Caulifla, che si stringe a Cabba e poi guarda con aria di sfida il settore più caldo dei tifosi dell’Ichiran, ancora ammutoliti.
Io mi libero dall’abbraccio dei miei compagni e corro stravolto verso il settore occupato dai nostri tifosi. Corro verso Lazuli, urlando di nuovo con tutto il fiato che mi resta. La vedo, finalmente la vedo. In piedi dietro la balaustra dove c’è appeso lo striscione “Tempesta e Impeto”. Non ha più il cappello in testa, e mi sembra di poter vedere il ghiaccio nei suoi occhi sciogliersi in lacrime di gioia che le illuminano il volto e fanno battere ancora più forte il mio cuore. I nostri sguardi si incrociano e sento distintamente la sua voce per un istante che non potrò mai dimenticare.
«Raaaddd!» grida con tutte le forze la mia ragazza, e io mi rendo conto che stiamo guardando insieme ciò che si può ammirare solo dalla vetta del cielo.
«Lààààà!» sbraito fino a che la voce non mi si mozza per conto suo, mentre Bulma la abbraccia senza smettere di filmare col telefonino.
Vedo tutti. Tutti.
Mia madre che piange, abbracciata a mio papà. Chichi, in lacrime anche lei, arrampicata sulla balaustra insieme a Goku, che invece continua a dimenarsi come un pazzo. All’altra estremità dello striscione c’è Lunch, che non smette di saltare e si inerpica anche lei sulla balaustra. Piange e urla, come Mai alle sua spalle che cerca di tenerla per la giacca per non farla volare giù. Intravedo Lapis e Trunks che esultano, le compagne di classe di Lunch che agitano il mio striscione personale. Marion che salta e balla con le sue amiche. I componenti dei vari club sportivi della nostra scuola in piedi che urlano. Gajeel, le Sweet Bullet e Piiza-san che sembrano impazziti, come il resto degli studenti, i professori e i genitori dei miei compagni.
Nella folla mi sembra di scorgere all’improvviso due codini neri. Un sorriso e due occhi blu che conosco bene. Accenno un sorriso anch’io e mi sento felice che sia qui anche lei. Persino lei. E che esista davvero.
Vedo Videl per un solo istante, prima che mi dia le spalle accennando un saluto con la mano e sparisca, inghiottita dalla folla. Sta lasciando lo stadio. Togliendo il disturbo, come direbbe lei. Sa che abbiamo vinto, anche se l’arbitro non ha ancora fischiato la fine.
Mi volto di nuovo di scatto verso Lazuli e riprendo a correre lentamente. Afferro lo stemma della nostra squadra cucito sulla maglia all’altezza del cuore e lo stringo, mostrandolo con orgoglio a nostri tifosi che rispondono con un boato ancora più forte.
Guardo Là e mi perdo per un attimo nei suoi occhi, prima di chiudere il pugno destro lasciando libero solo il dito indice. Lo bacio e tendo il braccio, indicandola senza smettere di correre per recuperare la mia posizione in campo. Vedo Bulma e Chichi che la abbracciano, persino Lunch, addirittura Mai e poi Marion.
Ma non facciamo nemmeno in tempo a disporci in campo per riprendere a giocare gli ultimi secondi che mancano, perché l’arbitro guarda l’orologio e mette in bocca il fischietto.
Il triplice fischio finale risuona più forte delle grida che ci circondano.
Il triplice fischio, il suono più bello del mondo quando stai vincendo.
E noi abbiamo vinto, cazzo se abbiamo vinto!
Urlo di nuovo verso il cielo e riprendo a correre verso Lazuli.
Tutti i mie compagni corrono e si abbracciano di nuovo. Intravedo Napa inginocchiato sull’erba con la faccia rivolta al cielo. Cabba che crolla a terra e sbraita. Il Mister, le nostre manager e le riserve che corrono con le braccia levate verso l’alto.
Anche Vegeta corre al mio fianco e grida con tutte le sue forze.
Siamo i campioni. In Giappone nessuna squadra è più forte di noi oggi.
Guardo Lazuli negli occhi e in quel lungo istante ci diciamo tante di quelle cose solo attraverso i nostri sguardi che non basterebbe un libro ad elencarle.
Ce l’abbiamo fatta. È tutto vero.
Siamo i campioni nazionali.
È incredibile fin dove può portarti la forza di un sogno.
E la vista dalla vetta… beh, la vista dalla vetta è una figata.
 
 
 
 
Note: è una figata davvero la vista dalla vetta, e alla fine il Liceo Minegahara ce l’ha fatta a diventare campione nazionale a livello liceale! Spero con tutto me stesso che questo capitolo vi abbia emozionato tanto quanto ha fatto con me mentre lo scrivevo e lo rileggevo. C’è tanto di me qui dentro, proprio come era stato per il gol che aveva segnato l’altra volta Rad contro la squadra di Broly. Infatti, anche in questo caso, ho voluto descrivere un mio gol realizzato tanti anni fa sempre nel derby della mia città, proprio come avevo fatto l’altra volta. Sono stati i due gol più importanti della mia vita perché segnati nella partita più sentita, quella attesa tutto l’anno, ed è stata una meravigliosa opportunità poter inserire tutto questo in una long che ha tantissimo di me e che reputerò sempre come qualcosa di davvero importante, proprio per questo sono felice di poter condividere queste emozioni con tutti voi. Questo è stato il mio primo gol nel derby e fu il gol dell’1-1 all’ultimo secondo, con la partita che terminò così in un pareggio che sapeva di trionfo per noi, visto il modo in cui l’avevamo raggiunto all’ultimo respiro, e di bruciante sconfitta per loro, che quell’anno erano molto più forti di noi e per di più giocavano nel loro stadio. Era stato un gol brutto, sporco, ma davvero “tenace” e soprattutto pesantissimo. Voi non potete capire cosa mi passava per la testa mentre vedevo la palla rotolare lentissima verso la porta, mi sembrava di averla toccata insieme a tutti i miei compagni di squadra in quel momento e non volevo deluderli. Poi è ovvio, è sempre appagante essere l’eroe di giornata, inutile nasconderlo, ma quel gol aveva significato tanto sul serio per tutti noi perché era stata una stagione durissima e la riprova è stata l’esultanza che ho descritto anche qui, compreso il fatto che ho pensato di crepare a un certo punto schiacciato sotto una dozzina di persone almeno. Tra l’altro l’avversario che mi marcava era uno dei miei migliori amici (che giocava appunto nella squadra avversaria) e questo ha reso tutto ancora più speciale, almeno per me.
Bene, momento aneddoto finito, spero che siate felici che Rad abbia segnato su assist di Vegeta e che il Prince abbia vinto anche stavolta il titolo di capocannoniere. I giocatori e la squadra dell’Ichiran sono tratti da Angel Voice, se volete vedere le loro facce potete cercarli facilmente su internet, per il resto abbiamo potuto rivedere in azione anche il buon Cabba e mi auguro vi sia piaciuto.
In tutto questo delirio di emozioni, spero che vi siano piaciuti anche tutti i personaggi in tribuna che hanno vissuto la partita tifando con tutte le loro forze, a partire da Là.
 
Ringrazio tutti voi che mi lasciate sempre il vostro parere e mi complimento con tutti quelli che hanno riconosciuto i personaggi apparsi nel capitolo scorso e, soprattutto, avevano notato l’assenza di Videl, che invece ricompare oggi all’improvviso. Dite che era davvero lei?
Grazie poi a chi legge sempre in silenzio e, spero, continua a gradire. Ringrazio poi Echo Saber che ha realizzato Lazuli e Videl in versione cheerleader pronte a tifare Rad insieme a Gine, oltre che una bellissima Là con gli occhi a cuore mentre guarda il suo Rad.
Grazie anche a chi ha letto e apprezzato la mia one shot “Occhi inverno”, slegata da questa long, ma dedicata alla mia androide preferita anche lei.
 
Bene, settimana prossima arriva il penultimo capitolo e vi dico subito che sarà di un’importanza capitale. Penso che succederanno un paio di cose che un po’ tutti aspettavamo con ansia, oltre al fatto che arriva un’altra ragazza direttamente da Dragon Ball Z. Chi pensate che possa essere?
Il titolo sarà “Il confronto tra le senpai”, e direi che non serve aggiungere altro hype… o forse sì, visto che potrebbe anche esserci un altro “confronto” tanto atteso nello stesso capitolo. ;-)
Vorrei chiudere le note riportando la penultima frase di questo capitolo, perché Rad ci ricorda una cosa di cui ci dimentichiamo troppe volte e che invece dovremmo sempre cercare di tenere a mente, in qualsiasi ambito: “È incredibile fin dove può portarti la forza di un sogno”.
Grazie ancora, ci vediamo mercoledì!
 
Teo
 
 
 

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