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Autore: Evola Who    24/02/2020    1 recensioni
“E in che anno siamo?”
“Vediamo…” Iniziò ad annusare l’aria: “Siamo negli anni ’30. Più di preciso il 22 ottobre 1938.”
“1938?”
“Già! In pieno autunno. Te lo immagini, Denny? Oramai siamo alla fine di un grande decennio: nuove emozioni, la nascita e il successo del jazz e del blues, i primi film con audio, le grande invenzioni...”
“La segregazione razziale, il protezionismo, il voto alle donne concesso solo
dieci anni fa, la violenza, i poliziotti corrotti e l’inizio di un confitto mondiale”
-----
“Dottore…” iniziò a dire lei, intimorita e preoccupata: “Dove è andato a finire?”
“Rapito!” rispose lui con tono fermo. “Il TARDIS è stato rubato!”
Genere: Avventura, Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 11, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 33
The story of Indy


 

Denny, in un primo momento, rimase perplessa per quell'affermazione ma, poi, si ricordò che Jones, nel suo ufficio, le aveva raccontato la storia di come suo padre avesse conosciuto il Dottore, convinto però che fosse una storia assurda.

“Quando mio padre era giovane, rimaneva sempre in biblioteca fino a tardi. A volte, rimaneva lì anche dopo l’orario di chiusura perché aiutava il bibliotecario…” iniziò a raccontare Indy, a testa bassa e occhi tristi.

Lei ascoltò con attenzione, guardandolo.
“Un giorno uscì dalla biblioteca un po' più tardi del solito, ormai a notte inoltrata. Prese un sentiero isolato, una scorciatoia che lo avrebbe portato fino a casa. Ma, quella volta, si imbatté in due tizi in completo e molto robusti, nascosti dietro a dei cespugli, che parlavano di un oggetto che sarebbe stato indispensabile per il loro scopo. Incuriosito, aguzzò lo sguardo e notò che, uno dei due, teneva in mano una strana statuetta d’oro; subito, penso che quell'oggetto fosse stato rubato da un qualche museo e, anche se non è mai stato un grande uomo di azione…”

Jones continuò a raccontare. Suo padre, senza paura, andò ad affrontarli, ma loro non si fecero intimorire e lo minacciarono putandogli contro le loro pistole; a quel punto, ormai, il padre di Indy sembrava veramente spacciato. Ma, proprio in quel momento, si fece avanti un tizio davvero strano: era alto, con un lungo cappotto scuro, una sciarpa colorata legata intorno al collo e lasciata cadere fino a terra e, in testa, un capello a tese larghe marrone.
Quell'uomo sembrava avere un'aria da folle: capelli lunghi e ricci nero scuro, viso allungato ed enormi occhi a palla chiari.

Sbucò all'improvviso dal folto degli alberi del parco, si mise a parlare con quei presunti gangster in tono calmo, come se non stesse succedendo niente di troppo pericoloso, e loro, per spaventarlo, si trasformarono in due creature alte almeno due metri, nude, con il corpo ricoperto di ventose.

“Gli
zagor
” disse Denny.

Indy si girò a guardarla con aria sorpresa.

“Sono gli stessi che hanno invaso la mia scuola tramutandosi in bidelli e insegnanti” spiegò lei, in risposta al suo sguardo interrogativo.

L’archeologo capì e, annuendo, continuò a raccontare: suo padre fu sconvolto e confuso da quella scena, ma non riuscì a fuggire, perché in lui prevalsero il senso del dovere e la curiosità: voleva recuperare quella statua, conoscere quel tizio con la sciarpa lunga e scoprire che cosa stesse succedendo.

Quegli esseri lo minacciarono, ma lo sconosciuto non si fece affatto spaventare; anzi, da una tasca del suo cappotto prese una specie di accetta appuntita e gliela puntò contro, colpendoli e costringendoli a far cadere a terra la statuetta. Subito dopo, entrambi quei mostri scomparvero, come se non fossero mai esistiti.

A quel punto, il tizio raccolse la statua e si avvicinò al padre di Indy, presentandosi come il Dottore. Spiegò che quella non era una statua qualsiasi, bensì una forma di energia molto potente che serviva per far patire la loro nave madre.

Lo studioso, anche se ancora parecchio confuso, gli fu molto grato e lo ringraziò, e l’alieno prese un pacchetto di caramelle di nome “Jolly bebis” per offrirgliene una.
Dopo lo accompagnò alla sua astronave.

Era una cabina telefonica, larga e bassa, color blu accesso. Ma, dentro, era molto più grande di come apparisse all'esterno. Nel centro di una stanza completamente bianca e piena di aperture vi era uno strano oggetto, quasi una sorta di pilastro, che saliva fino al soffitto. Il Dottore raccontò che quella era la sua astronave/macchina del tempo, dotata di stanze infinite.

Lo riportò a casa da sua moglie; il padre di Indy avrebbe voluto farlo entrare, ma il Dottore delicinò gentilmente l'invito, salutandolo e andandosene dopo un grande addio, regalandogli la statuetta d’oro aliena.

“E mi ha sempre detto che quello fu il giorno più bello della sua vita” finì Indy.

“Perché venne salvato da un gentiluomo stravagante?”

“No. Perché, quando rientrò in casa quella stessa notte, mia madre gli disse di essere incinta.”

Denny rimase sorpresa, ma anche addolcita da quel racconto.

“E me l'ha sempre raccontato, da quando ne ho memoria. All’inizio ci credevo, pensavo che fosse proprio una bella avventura.” E fece un breve sospiro, che svanì subito dopo.

“Ma, quando una storia te la raccontano per la millesima volta, anche dopo l’infanzia... be', cominci a pensare che sia un matto.”

“Come nel film Big Fish’” pensò Denny, triste.

Indy fece un lungo sospiro, osservando il bicchiere vuoto. Denny, invece, intuì qualcosa da quella storia.

“Non hai un buon rapporto con tuo padre.”

“No, infatti. Non voglio nemmeno chiamarmi come lui” rispose l’archeologo, freddamente.

Denny rifletté su quelle parole. “Aspetta, vuol dire che il tuo nome completo sarebbe Henry Wolton Jones, Jr.?”

“Esatto.”

“E, quindi, hai deciso di farti chiamare Indy per evitare che la gente ti chiamasse come lui?”

Lui non rispose, ma capì lo stesso che era così, e lo trovò strano. E chiese gentilmente il perché di questa scelta.

“Mio padre si è sempre occupato soltanto del suo lavoro. Anche quando mia madre morì.” E i suoi occhi diventarono ancora più malinconici di prima. 

“Si è sempre e solo preoccupato delle sue ricerche, e si è dimenticato di avere un figlio. È come se mi avesse abbandonato.” Adesso, la sua espressone diventò di rabbia.

“Un giorno mi sono stufato, ho litigato con lui e sono andato via di casa, ho viaggiato per il modo da solo… per poi arruolarmi come soldato durante la Grande Guerra, anche se ero davvero giovanissimo. Infine, mi sono laureato e ho cominciato ad insegnare.”

“E, da quel giorno, non hai più parlato con tuo padre?”

“Perché?” chiese lui bruscamente, girandosi a guardarla. “Pensi forse che abbia sbagliato?”
“Certo!”

Indy lo scrutò, irritato da quelle parole, rispondendo: “Proprio tu vorresti giudicarmi! Tu, che sei scappata da una famiglia per andare via col primo pazzo con una cabina per viaggiare nel tempo!”

“Sì! Ma poi sono tornata per restare con loro!” ribatté a tono, senza staccare gli occhi dai suoi.

Entrambi si sfidarono con lo sguardo, convinti di aver ragione.

“È vero, i miei genitori sono fin troppo protettivi a causa delle ansie che ho provato di continuo nel corso della mia vita. E sì, sono anche un po’ troppo oppressivi. Ma gli voglio bene lo stesso, più ancora che ai miei fratelli. E, anche se ne fossi costretta, non riuscirei mai a tagliare i ponti con loro. Perché, pur con tutti i loro difetti ed errori, io gli voglio bene lo stesso. E, se ho deciso di viaggiare con lui, non è solo per vedere il tempo e lo spazio, ma perché il Dottore mi fa sentire veramente speciale. E non è affatto poco, per una che non ha mai avuto dei veri amici. E lui è troppo importante per dirgli addio” continuò, con aria convinta, ma con gli occhi lucidi.

Denny fece una breve pausa, poi riprese, in tono più delicato: “Non conosco tuo padre. Ma, secondo me, è sbagliato ignorare del tutto una persona così importante per la tua vita. Un giorno ti potresti pentire per questa scelta. Perché è vero, i genitori non sono perfetti, ma anche noi figli abbiamo le nostre colpe.” E fece un mezzo sorriso.

Indy guardò in basso con aria indecifrabile, meditando su quelle parole. Quando si udì risuonare il cucù dell'orologio sopra al bancone entrambi alzarono la testa per vedere l’ora: erano le 9.30.

Rimasero entrambi stupiti che fosse già così tardi, per loro. Dovevano essere rimasti chiusi veramente tanto, in quel tempio.

“Dobbiamo andare” annunciò Indy, alzandosi. Si infilò la sua giacca, buttò un dollaro canadese sul banco e, insieme, si incamminarono verso la reception.

“Dobbiamo prendere la chiave della camera di River” disse Denny, continuando a camminare mentre si infilava di nuovo la giacca.

“Ma come?” chiese Indy. “Se chiediamo la chiave, di certo il portiere non ce la darà senza qualche domanda."

“Non preoccuparti, ho un piano” rispose Denny, infilando le mani nelle tasche, mentre un sorriso beffardo le si allargava sul volto.

 

 

   
 
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