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Autore: Evola Who    28/02/2020    1 recensioni
“E in che anno siamo?”
“Vediamo…” Iniziò ad annusare l’aria: “Siamo negli anni ’30. Più di preciso il 22 ottobre 1938.”
“1938?”
“Già! In pieno autunno. Te lo immagini, Denny? Oramai siamo alla fine di un grande decennio: nuove emozioni, la nascita e il successo del jazz e del blues, i primi film con audio, le grande invenzioni...”
“La segregazione razziale, il protezionismo, il voto alle donne concesso solo
dieci anni fa, la violenza, i poliziotti corrotti e l’inizio di un confitto mondiale”
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“Dottore…” iniziò a dire lei, intimorita e preoccupata: “Dove è andato a finire?”
“Rapito!” rispose lui con tono fermo. “Il TARDIS è stato rubato!”
Genere: Avventura, Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 11, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 34
La Suite
 

Arrivarono davanti alla reception. Dietro al banco era seduto un uomo anziano in livrea, con baffetti bianchi e la testa quasi pelata coperta da un cappello.

Denny fece suonare il campanellino per richiamare la sua attenzione e lui si girò con aria compassata, dicendo: “Si?”

“Salve” salutò Indy, con tono gentile. “Vorremmo la chiave della stanza numero zero, uno, uno.”

“Mi dispiace, ma quella stanza è già occupata” rispose l'uomo.

“Dalla dottoressa River Song. Lo sappiamo” aggiunse Denny.

“Adesso la dottoressa non c’è, quindi non posso nemmeno chiamarla per dirle che ci sono due persone che vorrebbero parlare con lei.”

“Ma noi dobbiamo andare nella sua camera” insistette Indy.

“E per quale ragione?” chiese il portiere, sospettoso.

L’archeologo non seppe che cosa aggiungere, ma Denny rispose con sicurezza: “Polizia di Toronto.” E, dalla tasca, tirò fuori la carta psichica, che gli mise proprio davanti agli occhi.

Indy fu alquanto confuso da quelle false informazioni, ma cercò di non darlo a vedere. Tuttavia, diede una breve occhiata al “distintivo” di Denny, chiedendosi da dove l’avesse preso.

“Cosa?” disse sconvolto il portinaio.

“Abbiamo un mandato di arresto per la dottoressa River Song. Per rapina e omicidio” continuò Denny, rimettendo a posto la carta psichica.

“Ma… ma vi ho già detto che adesso non c’è. È andata via stamattina.”

“Lo sappiamo. Ma la stiamo seguendo in incognito da tempo. E, ora, vogliamo arrestarla, prendendola di sorpresa nella sua stanza quando arriverà. Ma, se lei non ci aiuterà, saremo costretti ad accusarla di intralcio alla giustizia e arrestarla.”

L’uomo fu sconvolto e spaventato da quella rivelazione.
“Vuole dire che, quella bella donna bionda e gentile, è in realtà un'assassina? Buon Dio. Non si sa più di chi fidarsi, al giorno d'oggi.” E guardò in basso, scuotendo il capo con rassegnazione.

“Lo so, a volte sono le persone più insospettabili a fare le cose peggiori" rincarò la dose Indy. “Quindi, ci dia quella chiave, per favore. E ci avverta quando arriverà.”

“Sì, certo. Ecco la chiave della sua stanza.”

Gli porse una copia della chiave, spiegando che la suite era all’ultimo piano e che avrebbero potuto prendere l'ascensore per raggiungerla.

Denny lo ringraziò ed entrambi entrarono nell'ascensore
Polizia di Toronto?” chiese Indy, quando le porte si furono richiuse ed ebbero cominciato a salire.

“Beh, dire che siamo colleghi era troppo banale e ci saremmo dovuti perdere in troppo chiacchiere. Dire che siamo due poliziotti è stato molto più facile e veloce.” rispose Denny, sorridendo.

Jones alzò gli occhi al cielo, paziente.

“Ma dove hai preso quel distintivo?”

“Non è un distintivo. È la carta psichica del Dottore.”

L’archeologo la guardò stranito, ma lei spiegò, tirando fuori dalla tasca ciò di cui stavano parlando: “È la carta psichica del Dottore. In pratica, ti fa vedere tutto ciò che chi la tiene in mano vuole farti credere. Come, per esempio, il distintivo della polizia.” Sorrise. “Oppure, delle parole come queste.”

Aprì la carta psichica e gliela mise davanti agli occhi.
“Leggi.”

“‘Scemo chi legge’.”

Denny rise divertita, mentre Indy alzò nuovamente gli occhi, sospirando paziente.

“Non so più quante volte l’ho fatto. Ma mi fa sempre ridere! Un classico” ammise la ragazza, sbellicandosi dalle risate.

Quando arrivarono all’ultimo piano, trovarono con molta facilità la porta della stanza 011.

Denny aprì la porta, entrarono e rimasero stupiti.

Si ritrovarono in un'enorme suite con il pavimento di legno e le pareti ricoperte da tappezzeria bianca; nel centro vi era un grande letto matrimoniale con le lenzuola rosse, sotto il quale c'era un teppeto dello stesso colore; ai suoi lati vi erano due comodini di legno, ai suoi piedi una cassa bianca; su un lato della stanza si apriva una grande finestra, con le tende color avorio, mentre sul fondo c'era un tolette con tanto di sgabello; da una porta aperta si potevano intravedere gli interni un salottino.

“Wow” esclamò Denny, guardarsi attorno stupefatta.

“Di certo, la dottoressa non si accontenta di poco” sottolineò Indy ironicamente, chiudendo la porta.

“Okay, River ha detto che c'è una borsa nella sua stanza, ma non ha detto dove.”

Entrambi si guardarono attorno, ma non videro alcun borsone in nessun angolo della stanza. Dopo qualche minuto di esitazione, però, trovarono una soluzione.

“La cassa banca!” dissero insieme, correndo verso al piccolo mobile.

Denny si inginocchiò per aprirlo e Indy le si mise al fianco; una volta sollevato il coperchio, videro un enorme borsone nero da palestra, che la ragazza sollevò con una certa fatica per via del peso, per poi appoggiarlo sul pavimento, dove lo aprì, rivelando i numerosi oggetti che conteneva.

“Che roba è?” chiese Indy, confuso.

Allungò la mano per prendere qualcosa, ma la ragazza glielo impedì, dicendo: “Non toccare niente!”

Con precauzione, Denny infilò la mano dentro la borsa e ne tirò fuori una pistola, molto simile a quelle di ordinanza utilizzate dalla polizia, solo più piccola e con dei piccoli bordi blu acceso sulla canna.

Indy ne rimase sconvolto, non aveva mai visto nulla del genere. “Ma che diavolo è?" esclamò. "Un'arma aliena?”

“No, una del futuro” rispose lei, senza staccare gli occhi dalla pistola.

La posò per terra e tirò fuori altre due pistole uguali.
“La vostra amica si porta davvero solo lo stretto necessario” commentò ironicamente l’archeologo.

“Al contrario del Dottore” aggiunse Denny.

Tirò fuori due specie di calamite grandi come palle da baseball, con un grosso bottone al centro, ma piatte e lisce sul retro. Le appoggiò a terra accanto alle pistole, prima di prenderne altre due.

“E queste che cosa sarebbero?”

“Calamite elettriche” rispose lei. “In pratica, le puoi attaccare ad ogni superficie metallica e, con un telecomando…” tirò fuori un piccolo oggetto argentato munito di display, “...si imposta un time, che le fa poi esplodere con una forte scossa elettrica, distruggendo tutto in meno di un secondo.” E lo mise accanto alle quattro calamite.

“Anche queste sono armi futuristiche?”

“No. Queste sono aliene.”

Indy era veramente molto stupito e, con curiosità, continuò a guardare le bombe calamitiche, chiedendo: “Vuoi forse dire che esplodono con l'elettricità?”

“Esatto, ma l’ho visto fare solo una volta. E non mi ricordo nemmeno di che razza fossero gli alieni che le hanno inventate.”

“E tu e il Dottore usate questa roba?”

“No, solo River. Il Dottore non usa armi e io sono con lui.”
“Cosa? Non usate armi?” ripeté l’archeologo con tono ironico, facendo un mezzo sorriso.

Denny lo fissò con aria irritata per quelle parole, sbottando: “Hai forse qualcosa da ridire?”

“Niente” rispose lui, con aria quasi indifferente. “È solo che mi hai raccontato che vi trovate sempre in mezzo ai pericoli spaziali, e adesso scopro che non siete neppure armati. Io non potrei mai viaggiare senza il mio revolver e lui si porta soltanto un fez!” Fece una mezza risata.

Denny gli lanciò un'occhiataccia arrabbiata, rispondendo in tono duro: “Il Dottore ha visto e vissuto una guerra così orribile che nessuno di noi potrebbe mai neppure immaginare.

E non hai idea di quanti morti abbia visto dopo aver perso il suo pianeta e il suo popolo. E, ora, è condannato a vivere da solo e in eterno, vedendo tutte le persone a lui più care andarsene via per sempre senza che lui possa fare nulla per impedirlo.” Il suo tono si fece via via più aggressivo.

“E adesso, quindi, vuole salvare chiunque ne abbia veramente bisogno, anche se sa bene di non poter salvare tutti. A volte ha dovuto compiere scelte terribili, che lo hanno costretto a dover sacrificare degli innocenti… ma ha sempre continuato a credere nel bene delle persone…”

Guardò in basso con aria inespressiva e continuò, con tono più calmo: “Ma vuole lo stesso provarci e riesce sempre in ciò che tenta. E io sono con lui, perché ha ragione nel sostenere che la violenza non porta mia niente di buono. E, se uccidessi qualcuno, perderei l’ultimo frammento della mia sanità mentale…”

Si sedette in terra, appoggiando il mento alla ginocchia e abbracciandosi le gambe, con gli occhi bassi e l’aria triste.

Indy si sentì un po’ imbarazzato per quelle parole, pentendosi di averli presi in giro.

“Penserai che siamo dei codardi” continuò lei. “Ma, in fondo, la paura ci aiuta a riflettere sul modo migliore per risolvere i problemi. E, poi, tra essere coraggiosi ed essere stupidi non cambia molto, solo che a dire a qualcuno che è coraggioso si è più gentili.” E fece una breve ristata. “Ma noi non siamo dei duri come te. E credo che non lo saremo mai.”

Jones fece un lungo sospiro, si sedette per terra accanto a lei, incrociando le gambe, e disse: “Beh, forse sarò un duro, è vero. Ma, di certo, cerco di essere un folle buono, come il Dottore. E mi piacerebbe anche poter essere determinato, comprensivo, forte e sensibile come te.”

Denny alzò la testa di scatto, guardandolo sorpresa dalle sue parole. Indy sorrideva ma, questa volta, in maniera sincera, senza alcuna traccia di sarcasmo o di cinismo.
“Ma dai! Non sono così ‘forte’ come sembro” rispose la ragazza, girando la testa dall'altra parte.

“Beh, di certo non ho mai visto qualcuno rialzarsi tanto prontamente, dopo aver ricevuto torture di quel genere, piangendo di dolore eppure riuscendo ugualmente a tenere la testa alta di fronte a un essere come quella.”

La ragazza fece un mezzo sorriso ma non rispose.

“Se quello non è un modo per dimostrarsi forti e combattivi, non saprei come altro chiamarlo. E scommetto che è viaggiando con il Dottore che hai assunto un carattere del genere.”

Denny rise, rispondendo: “No, non con il Dottore, ma con un brutto inizio di adolescenza, con tre anni di lotta con me stessa e con varie e nuove esperienze, che mi hanno portato ad essere come sono.” Lo guardò sorridendo e aggiunse: “Ma, anche tu hai un carattere forte.”

“Diciamo che ho avuto una giovinezza ‘abbastanza’
complessa, fino a farmi diventare l'uomo che sono oggi.”
“Chi l'avrebbe mai detto.”

Entrambi risero divertiti, per poi rimanere di nuovo zitti per qualche istante.

Denny, ad un certo punto, controllò se ci fosse qualcos’altro dentro alla borsa e trovò un pezzo di carta su cui era segnata una lista.

“Che cosa c'è scritto?”

Bombe calamite, tars al basca e rossetto ipnotico” lesse Denny.

Tars al basca?”

“Il tars è una specie di pistola elettrica, ovvero…” spiegò la ragazza, pensando a come continuare “Hai presente le scariche elettriche con cui ci hanno torturato? Ecco, è la stessa cosa, però ridotta ad una semplice pistola.”

“E che cosa sarebbe il basca?”

“Ehm… una specie di polietere.”

Indy non comprese e non volle neppure approfondire, chiedendosi invece che cose potesse un “rossetto ipnotico” .

Meno male che non pare ci siano armi mortali” pensò, con un sospiro di sollievo.

L'archeolgo si alzò, dicendo: “Okay, adesso abbiamo delle armi e qualcosa da fare per quella… nave.”

“Ma non abbiamo ancora un piano” gli ricordò Denny. “Il sacrificio è previsto all'alba. Di sicuro non uccideranno né River né il Dottore, perché di certo troveranno un modo per fargli perdere tempo, ma noi non possiamo tornare fin là a piedi e rientrare nel tempio come se niente fosse.”
Jones la guardò, preoccupato per i suoi occhi stanchi e arrossati e per la sua aria spossata. Ripensò alle parole di River, che aveva detto: “Riprendetevi e riposatevi per domani.”

Penso che faremo meglio a rifletterne domani, prima dell'alba, con più calma e con la mente lucida” propose, con tono calmo.

“Cosa?!” replicò Denny sconcertata, guardandolo fisso.

“Come potremmo ‘riposarci’ proprio adesso? Non abbiamo un vero piano e non sappiamo neppure con precisione dove ci troviamo e quanto ci vorrà a tornare al tempio. E, mentre noi siamo qui in una suite, loro sono chiusi in una cella, dentro ad un'astronave convertita in tempio da una folle Silullana!” Si fermò un attimo, poi ricominciò a dire: "E..." ma l'archeologo prese la parola.

“Denny, Denny, Denny!” la interruppe infatti Indy, poggiandole le mani sulle spalle e parlando con tono calmo. “Ascoltami.”

La ragazza lo guardò con aria inespressiva, tenendo le braccia conserte.

“Senti, lo so che sei molto preoccupata per loro. E lo sono anche io, devi credermi. Ma entrambi abbiamo avuto delle giornate molto lunghe. Abbiamo subito parecchie difficoltà e, in quanto a me, ho scoperto cose che, forse, sarebbe stato meglio non sapere…” e guardò in basso.

Denny capì che, forse, a Indy sarebbe servito parecchio per  riuscire a digerire tutta questa storia degli alieni e dei viaggi nel tempo.

“Ma, adesso, dobbiamo prenderci un momento per riprendere fiato, prima di ributtarci di nuovo in quella situazione" continuò a dire l'archeologo.

Lei fece un lungo sospiro paziente, capendo che Indy aveva ragione. Soprattutto, sapeva che era esattamente ciò che avrebbe fatto il Dottore.

“D’accordo?”

“D’accordo.”

“Perfetto.”

Le diede una pacca sulla spalle in segno di incoraggiamento.

“E, poi, posso provare a scoprire in quale parte del Quèbec siamo, e quanto siamo distanti dal tempio
aggiunse Indy, appoggiandosi le mani sui fianchi.

“Okay. Io metto le armi e le bombe nella mia borsa e…. rifletto su qualcosa…”

“D’accordo.”

Così, Indy uscì della camera, lasciando Denny da sola. Mezz’ora dopo, ritornò con tutte le risposte e una piccola mappa della zona.

Trovò Denny sdraiata sul letto, con le mani sopra al cuscino, con ancora gli occhiali sul viso, anche se si era sfilata la giacca, che adesso era appoggiata sulla cassapanca, e si era tolta gli stivali, che si trovavano in un angolo sul pavimento.

Per la prima volta, Jones la guardò come se fosse una ragazzina normale e si sentì un poco intenerito.

Si avvicinò e, con delicatezza, le tose gli occhiali, appoggiandoli sul comodino; poi le tirò la coperta rossa fino alle spalle, e si sollevò, lasciando accesa la luce nel ricordarsi della sua paura del buio.

Continuò a guardarla ancora per qualche secondo, sospirò di sollievo e andò nel soggiorno della camera, spegnendo la luce e sperando che quel divano fosse abbastanza comodo per potersi riposare almeno per qualche ora.

   
 
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