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Autore: DaniNTI    29/02/2020    0 recensioni
La paura di sentirti dissociato dal tuo corpo e soccombere di fronte ad un atto che è più grande di te
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Edward da ragazzino provava un forte senso di colpa mentre si masturbava: ciò lo portava in quei momenti, al fine di arginare almeno in parte la colpevolezza senza però dover resistere totalmente alle sue pulsioni, a interrompere ciò che stava facendo esattamente un istante dopo aver raggiunto il punto di non ritorno. In tal modo egli giungeva comunque all'orgasmo ma sentendosi potremmo dire meno colpevole di esserci arrivato, in quanto non godeva del momento visceralmente come avrebbe potuto, ma solo quel tanto che bastava per eiaculare.

Tale colpa non è mai svanita, ma ha oggi semplicemente cambiato forma tramutandosi in una sorta di senso di responsabilità, che lo induce a valutare costantemente e ossessivamente le sue capacità sessuali, associando di conseguenza il livello delle sue prestazioni durante l'amplesso al valore della sua persona.

Edward ha sempre odiato con tutto il cuore quando tra amici si parla delle proprie ex e capita di scambiarsi racconti su quali di queste scopavano bene e quali invece scopavano male. E spesso, come capita durante questi racconti tra amici, ci si addentrava in dettagli e particolari i quali non facevano altro che gettare benzina su quel fuoco in grado di incenerire qualsiasi spiraglio di spontaneità nell’approccio con cui Edward si poneva verso la sessualità, invadendo brutalmente anche i suoi pensieri, le sue fantasie e persino gli atti masturbatori, alla stregua delle colpe adolescenziali. 

Tali racconti agivano in lui su due livelli differenti: come conseguenza immediata, ad un livello prettamente impulsivo, questi discorsi gli ricordavano che lui poteva scopare molto meglio. Ad un livello più profondo, riecheggiava invece un senso di inadeguatezza lacerante, lo stesso senso di inadeguatezza che lo portava a stratificare nella sua mente una serie di sovrastrutture destinate a creare separazione tra l’atto dell’amplesso e il diretto coinvolgimento in esso. A causa di tali sovrastrutture, che probabilmente seppur in misura molto minore caratterizzano chiunque, il momento della scopata non era mai soltanto la scopata in sè, ma ad essa si sommavano una serie di altre componenti meta-sessuali:

La difficoltà di digerire e assimilare la profondità che il concetto di “possedere l’altro” reca in sè.

La paura di non essere all’altezza del possedimento.

La paura che l’altro non voglia essere posseduto.

La paura che qualcuno possa possedere l’altro meglio di quanto tu possa mai fare.

La paura di sentirti dissociato dal tuo corpo e soccombere di fronte ad un atto che è più grande di te.

L’ambiguità del messaggio che può essere trasmesso durante l’atto intraprendendo un’azione piuttosto che un’altra. 

Le implicazioni di tale messaggio.

Il fascino della sottomissione.

La paura di essere affascinato dalla sottomissione.

I ricordi della volta precedente andata male.

La paura che capiti di nuovo.

I ricordi della volta precedente andata bene.

La paura che questa volta non sarà egualmente bello.

Riuscire a fare del bel sesso e viverlo fino in fondo in una totale congiunzione mente-corpo è come dipanare una matassa, in cui ogni groviglio è rappresentato da tutti questi surrogati del sesso, che assorbivano e condensavano la libido di Edward per poi sublimarla in una nube di angosce.

Ed è per questo che Edward non è mai stato coinvolto a pieno nel momento dell’atto: è sempre stato ingarbugliato in questo groviglio di parassiti sessuali che, durante il sesso stesso, lo distolgono dall’attimo.

Edward vive di emozioni e di nude fragilità, eppure nei meandri del suo subconscio un ego soffocato e soffocante bisognoso di sentirsi all'altezza degli altri - o meglio ancora “quello speciale tra i tanti” - non fa altro che riportargli alla mente una ricorrente ossessione distruttiva: il desiderio di voler essere il migliore che la sua ragazza abbia mai avuto. O meglio ancora: sentirselo dire da lei e custodire questa frase dentro di sè così da elevarla a concetto di eterna validità, come cura permanente all’inadeguatezza, alle paure e al mancato amor proprio.

 
   
 
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