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Autore: Golden locks    01/03/2020    2 recensioni
[Ispirata alla nuova one shot di Death Note uscita a febbraio 2020]
Near si ritrova ad affrontare un nuovo Kira ma, invece di fare di tutto per catturarlo, assume un atteggiamento piuttosto passivo e si arrende, lasciando stupiti i suoi sottoposti. Nessuno può immaginare che il suo comportamento è dovuto a un segreto che cela da ben nove anni...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Near | Coppie: Mello/Near
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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  Il mistero di Near







Se n’erano andati tutti. Near era rimasto solo, come ogni notte, all'interno dello spazio protetto racchiuso dalle mura blindate dell’SPK. Come per la maggior parte del tempo, era rimasto sdraiato al centro della sala principale e aveva guardato i suoi sottoposti lasciare la sede per tornare alle loro case. Lui non si era mosso. 

Era rimasto solo, solo e libero di lasciarsi andare ai suoi pensieri senza più essere interrotto da niente e nessuno, almeno per tutta la notte. Rimanere lì da solo era una cosa che si ripeteva ogni sera, ma quella sera in particolare Near sentiva di averne più bisogno del solito ora che tutto era finito, per mettere ordine nella sua testa, cosa per lui fondamentale, e per trovare una spiegazione soddisfacente a quel senso di oppressione che lo attanagliava da quando Kira era riapparso ed era stato suo compito prendere in carico quel maledetto, ennesimo caso Kira, poiché lui era il più autorevole a sapere in cosa consistesse il suo potere, a sapere del quaderno, degli dei della morte, ad averne visto uno… poiché era L. Quella era la vera eredità che L gli aveva lasciato.

Il nuovo Kira era sparito, dopo aver messo a soqquadro il mondo intero. Era il terzo Kira quello. C’era stato Light Yagami, il più grande assassino che la storia dell’uomo avesse mai conosciuto, c’era stato il secondo, che Near aveva skippato senza nemmeno disturbarsi di occuparsene e c’era stato quest’ultimo, che aveva addirittura osato mettere in vendita il Death Note. Un’azione gravissima. 

Il Death Note non era un’arma batteriologica o una bomba idrogeno, ma Light Yagami aveva già dimostrato senza risparmiarsi l’uso che se ne poteva fare, dimostrando così che era anche peggio di qualsiasi altra arma, e Near sapeva bene che rischio rappresentava per l’intera umanità. 

Lui stesso, quel fatidico 28 gennaio, aveva definito quel quadernetto all'apparenza innocuo l’arma peggiore che fosse mai apparsa sulla terra e, pochi giorni prima, aveva trattato la vendita di quell’arma micidiale alla stregua di una bravata da ragazzini.

Lasciare che una superpotenza mondiale se ne appropriasse senza muovere un dito era stata una vera sconfitta. Lui, l’erede ufficiale di L, aveva preferito alzare bandiera bianca e proclamare la sconfitta da solo piuttosto che combattere, come L invece avrebbe sicuramente fatto. 

Era rimasto immobile, con una passività che aveva lasciato scioccati i suoi sottoposti, Halle e Rester, che si aspettavano da lui che prendesse in mano la situazione, indagasse e risolvesse brillantemente il caso, come il degno successore di L avrebbe dovuto fare.

Ma Near era troppo indecifrabile per essere capito, li aveva lasciati spiazzati e, chissà, forse delusi, facendo loro credere che non era possibile agire in alcun modo, ma solo lui sapeva cosa si celava dietro quella rassegnata passività. E si era spinto anche oltre, boicottando e stroncando sul nascere ogni tentativo di interferire con lo svolgersi degli eventi, come se nulla di grave stesse accadendo, come se L non esistesse.

Aveva addotto una scusa poco plausibile per non agire: perché catturarlo se non era nemmeno sicuro di poterlo accusare? Del resto usare il quaderno era un delitto, ma venderlo non sembrava esserlo.

Come se fosse una cosa da poco, quasi come fosse un gioco mettere all’asta il quaderno e lasciare che le due più grandi potenze mondiali se lo contendessero, come se non valesse la pena cercarlo e provare a fermarlo, come se Kira stesso fosse un gioco. Lui era L e non aveva mosso un dito. Ma non aveva potuto.

Gli unici elementi per lui interessanti in questo terzo caso Kira, erano stati assistere alle trattative per accaparrarsi il quaderno e lo stesso Kira, in quanto estremamente intelligente e non intenzionato a usare il quaderno. Sarebbe stato interessante farci due chiacchiere attorno a un tavolino. Per il resto non c'era nulla che valesse la pena fare, tutto il resto lo annoiava. 

Ci aveva provato, ci aveva ragionato, aveva dato disposizioni, ma il piano di Kira era troppo ben studiato e per lui era stato un sollievo. La conclusione a cui era giunto era che non valeva la pena sforzarsi più di tanto. Aveva fatto tutto ciò che aveva ritenuto opportuno, ma di entrare in azione non se ne parlava, perché qualcosa si era opposto.

Non avrebbe più potuto indagare come aveva fatto ai tempi del primo Kira, quando ancora aveva senso fare lavorare a velocità frenetica tutti i suoi neuroni in concerto, trasferirsi dall'altra parte del mondo per dargli la caccia, seppur con la dovuta prudenza, alzarsi in piedi in mezzo a decine di monitor per trovare, come un ago in un pagliaio, l'individuo a cui Kira aveva ceduto il testimone, quando ancora sentiva il suo cuore pompare potente il sangue nelle vene e l'adrenalina salire. Non poteva ripetere quelle azioni, perché ora mancava il senso, l’interesse vero, la motivazione più importante per farlo, che Near si era accorto non essere incastrare Kira o la giustizia, ma il fatto che lui stesse facendo la stessa identica cosa.

Halle, Rester, Gevanni, tutti avevano dato per scontato che Near fosse un po' strano, un tipo bizzarro, eccentrico, poco incline alla socializzazione e all’azione, che fosse così di natura... ma nessuno si era mai chiesto perché fosse così. La risposta era semplice. Prima era così perché c'era quella odiosa rivalità in atto, poi perché c'era quel dolore paralizzante.

Erano nove anni ormai che ricopriva il ruolo di L, ma lui non era mai stato L, né mai sarebbe diventato come lui, perché non era possibile cambiare la propria natura e Near ed L erano fin troppo diversi. Lui era solo l’orfano cresciuto alla Wammy’s House sotto lo pseudonimo di Near, che eccelleva in tutti i campi e che aveva preso legittimamente il suo posto, ma... lui aveva una cosa che L non aveva: il cuore trafitto da una spina velenosa, e non ce l’aveva fatta.

In quei nove anni di lavoro come detective, anche lui aveva risolto numerosi casi, casi talmente difficili da richiedere il suo intervento. Andava bene, non era un problema. Era il suo lavoro, era l’unica cosa che sapeva fare. 

Era bravo nell’analizzare le cose, era bravo nel ragionamento, era naturale per lui avere deduzioni ardite ma esatte e notare e collegate particolari tanto insignificanti per gli altri quanto decisivi, come le tessere del suo puzzle bianco, apparentemente irrisolvibile ma per lui un giochino di poco conto. Era il suo unico talento, la cosa per cui era nato. La logica, il lume della verità che si faceva strada inarrestabile nel buio, la stabilità incrollabile della ragione.

Ma c’era una cosa che si opponeva violenta a quella sua ragione così impeccabile e indistruttibile, una cosa che invadeva il suo cuore come un’erbaccia infestante ribelle che per quanto provi a debellarla tornerà sempre a rinascere e infestare il tuo prato perfettamente curato. 

Non aveva ancora trovato il modo di liberarsene, nonostante le avesse studiate tutte. Ma era possibile liberarsene davvero? Tutte le volte che se lo era chiesto, ed erano state tantissime, la risposta era sempre una sola e arrivava ineluttabile nella sua mente: no. 

Era prigioniero da così tanti anni ormai, che dell’inizio di quella dolce e amara condanna non ne aveva più neanche il ricordo. Era una cosa che affondava radici così lontano nel passato da far parte di lui da sempre, da quando aveva memoria, poiché quel sentimento esisteva da molto prima che lui lo ammettesse a sé stesso.

Quella era la cosa che lo istupidiva. Non l’avrebbe mai detto, eppure era così.

Aveva aggiunto tanti capitoli alla sua vita dopo quel giorno, il primo perché glielo doveva, e gli altri perché la vita va avanti, non le interessa se stai bene o se stai male, lei va che tu lo voglia o no e ti trascina con sé, e meglio per te se stai bene, perché se no dovrai sopportare di vivere con un peso. E il peso di Near era grande, enorme, insostenibile.

C’erano stati tanti successi, anzi, tutti erano stati successi per il legittimo erede di L. Ma questa era solo una parte della sua vita, quella che mostrava ai pochi altri esseri umani che entravano in contatto con lui. Poi c’era una parte segreta di sé che era solo sua e non l’avrebbe mai mostrata a nessuno, quella dell'inconfessabile debolezza che lo aveva costretto ad arrendersi, ancora prima di provare ad acciuffare il nuovo Kira. 

Per quanti casi avesse risolto infatti, quello del nuovo Kira gli aveva causato un blocco, un rifiuto che erano sfuggiti al suo controllo. Succeda quel che succeda, Near non era L e, a differenza delle apparenze, non era una macchina.

Quella parte di sé ferita e sofferente aveva urlato basta Kira, e si era rifiutata di collaborare, di essere attiva, persino di esistere. Al solo ricordo dell’esistenza di Kira, che Near sperava di aver ormai archiviato per sempre, quella barriera di protezione si era innalzata senza chiedere alcun permesso e lo aveva condotto quasi automaticamente alla resa. Perché poteva prendere in carico e risolvere qualunque caso ma non un altro Kira, perchè non poteva pensare a Kira senza pensare a cosa aveva portato la sua apparizione nel mondo: la sua scomparsa.

Cercava sempre ricordi di lui, in ogni dove, in ogni istante, ma non ne trovava di nuovi e ricorreva sempre agli stessi. Il mondo era spoglio e inutile senza di lui, come un albero che si staglia imponente in una radura ma ha ormai perso la scintilla della vita, destinato a diventare un mero oggetto senza importanza e senza significato e a scomparire, tornando polvere nella stessa terra che lo aveva visto nascere. 

Aveva cercato consolazione nel tempo, nel lavoro, nei suoi singolari passatempi, degli oggetti strambi di cui aveva sempre amato circondarsi, nella sicurezza della sua vita quotidiana, stabile e immutabile, ma non ne aveva trovata perché non ce n’era. Niente avrebbe mai potuto colmare quel vuoto e la cosa grave era che lui, nei primi anni in cui viveva questa dolorosa condizione, non se n’era nemmeno reso conto, aveva sottovalutato il problema e il dolore si era artigliato al suo petto con le sue gelide unghie senza che lui potesse opporre resistenza, e se n’era accorto quando questo male sconosciuto aveva già acquistato potere.

Adesso, dopo anni, Near si guardava allo specchio e non sapeva chi fosse quel ragazzo ormai cresciuto che vedeva riflesso su quella lastra fredda e inespressiva. Viso smagrito, occhi vacui, capelli lasciati crescere senza preoccuparsi di tagliarli, segni del suo non volersi più opporre al dolore iniziale che lo aveva dilaniato, del suo adattarsi, perché altro non poteva fare.

L’unica forma di antidoto a quella subdola infezione che si era impossessata del suo cuore e sembrava volerne prendere possesso esclusivo era lasciarsi cullare dai ricordi. I ricordi dei tempi felici alla Wammy’s, del tempo in cui lui c’era, quando era ancora carne, sangue e ossa, passi che spostavano polvere, aria che entrava e usciva dai polmoni, quando era volontà, pensieri, ribellione, ambizione, passione e desiderio, e il solo battere del suo cuore dava senso al fatto che il mondo girasse su sé stesso e attorno al sole nel suo moto perpetuo, e ora che lui non c’era più quel moto immutabile e ancestrale era diventato inutile, superfluo, ridicolo e grottesco.

Tempo tiranno e maledetto che non vuoi tornare indietro e riportare tutto com'era prima.

Alle volte, per sopportare il peso del vuoto, fingeva che lui fosse ancora vivo, da qualche parte del mondo lontana a disprezzarlo, a ridere sonoramente mentre si faceva beffe di lui, a detestarlo. Loro due, tanto erano diversi, erano sempre stati il diavolo e l’acqua santa, l’acqua e l’olio, il sole e la luna: inconciliabili, immiscibili, imparagonabili. Preferiva immaginarlo così ma vivo. Era solo un piccolo, infinitesimale sollievo.

Non pensava di essere capace di amare Near, ma quel continuo tornare a lui col pensiero, quell’impossibilità di dimenticarlo, cos’altro potevano essere? come spiegare le lacrime che gli solcavano il viso in quel momento? quelle gocce salate che scendevano dai suoi occhi stanchi sulla sua pelle bianca come impalpable neve a cosa erano dovute se non al più disgraziato degli amori? Near non credeva di poterlo mai provare, eppure lui solo glielo aveva saputo insegnare.

Non aveva più neanche la sua foto. L’aveva portata via dalla Wammy’s e l’aveva custodita per anni con la scusa di rintracciarlo, attendendo pazientemente il momento in cui lui si sarebbe fatto vivo, e allora con quella foto lo avrebbe attirato, avrebbe funto da esca. E infatti, come Near aveva previsto, un giorno, dopo lunghi anni di attesa, lui era finalmente arrivato, furente, puntandogli contro la sua pistola e lo aveva minacciato. Poi però aveva preso la foto, notato la sua scritta sul retro che recitava solo due parole, due parole cariche di significato che solamente loro due potevano capire, e si era calmato, decidendo persino di scambiare qualche informazione.

Quella foto era poi andata perduta, bruciata in quell’inferno di fiamme che lo aveva portato via per sempre. A Near non era rimasto nulla, se non il suo ricordo. Ma era troppo, troppo poco.

Come sarebbe stato dolce dimenticarlo. Una soluzione definitiva, il ritorno al senso di tutto, del mondo che girava, della sua vita, del suo futuro, di tutto. Avrebbe potuto gustare il rassicurante sapore della libertà, della pace ritrovata. Ma così lui sarebbe morto definitivamente e Near non avrebbe mai potuto fargli questo torto, mai. Non ne sarebbe stato  capace neanche desiderandolo con tutto il suo essere. Non era possibile dimenticare i suoi occhi, il suo sguardo, le sue movenze, la sua voce, il suo profumo, le sue grida persino, i suoi scatti d’ira, e i suoi rarissimi, splendidi, incantevoli sorrisi. Aveva smesso di sorridere troppo presto e Near si sentiva in parte responsabile e gli faceva male, così tanto da bloccargli il petto.

Poteva solo sopravvivere senza di lui, o lasciarsi vivere, come certe divinità erano costrette a fare ogni giorno della loro lunga esistenza. Lasciarsi vivere. Non era giusto, ma per quanto si opponesse, non c’era rimedio.

Sarebbe invecchiato Near, senza di lui, nel buio, nel freddo e nel vuoto, a differenza di lui che era morto così giovane, liberandosi da ogni sofferenza terrena e ottenendo la vittoria. Near avrebbe sempre custodito la sua immagine di giovane guerriero disposto ad affrontare, sfidare ed accettare la morte pur di raggiungere il suo obbiettivo, per sempre, l’immagine di un ragazzo bellissimo e dannato, condannato ad avere il coraggio di attuare i suoi pensieri più folli, cioè quello che lo rendeva irrimediabilmente diametralmente l'opposto di Near. 

“È colpa mia se sei morto? Perché non ho fatto abbastanza e ti ho costretto ad agire? perché non ho saputo prevedere le tue mosse?” un angolo della sua bocca si piegò tristemente all’insù, in un mezzo sorriso carico di dolore. “A mia discolpa posso solo dire che tu eri sempre imprevedibile… ma mi rimarrà per sempre il dubbio…Vorrei che me lo dicessi e mi liberassi almeno da questo peso…Vorrei sapere se ce l'hai ancora con me... Ma io ti capivo sai? Eri tu a non capire me...”

Il tormento che gli scuoteva il petto si agitò così tanto che Near chiuse gli occhi e, guidato solo dall’istinto, senza pensare, si alzò. La sala controllo dell’SPK era diventata claustrofobica e soffocante, doveva scappare. Mosse dei passi incerti sulle sue gambe molli in direzione della sua camera, aveva bisogno di aria, aveva bisogno di vedere le stelle.

Durante il tragitto, disseminò lacrime per il pavimento e sulla sua candida camicia, arrivò sfiancato alla finestra e la spalancò. L’aria fredda della notte gli sferzò il viso con frizzante vitalità e lui per un istante si sentì rinascere. Un soffio di vento gli sfiorò il viso come una leggera carezza e gli parve in esso di avvertire il suo respiro. La malinconia prese il posto del soffocamento e lui ricordò. 

Ricordò quando erano insieme, tutti e tre alla Wammy’s House, una notte sul tetto a guardare le stelle, prima di Kira, prima di L, prima della rivalità, prima di tutto, e lui aveva detto che le stelle erano bellissime, e tornò a respirare. Forse di lui gli restava solo quello, le stelle. Il suo petto tornò a incamerare ossigeno e un sorriso apparve sulle sue labbra mentre la fronte si contraeva per preparare il viso a sfogare singhiozzi convulsi. E allora Near, smettila di negarlo che ti manca e che ti senti morire, smettila di fingere di stare bene almeno adesso che nessuno ti vede e butta tutto fuori, che il dolore che ristagna nell'anima può essere fatale.

Nessuno avrebbe immaginato che l’algido e apatico Near fosse capace di piangere e singhiozzare davanti a un cielo stellato, perché c’è un mistero in tutti noi, e quello era il mistero di Near. Lui non era solo l’erede di L, non solo una lettera su uno schermo, non solo il tentativo di imitare il suo predecessore, lui era una persona, era Nate. E Nate, dentro di sé, custodiva desideri irrealizzabili e inconfessabili come tutte le altre persone al mondo. 

Quando i singhiozzi cessarono e sul suo volto troppo stanco restò solo l’ombra di un tenace sorriso, riaprì gli occhi e li alzò verso il firmamento etereo e brillante, lontani puntini luminosi che erano in grado di dargli sollievo. Mosse le labbra contro l'aria come se potesse sfiorare le sue, e in un’unica parola espresse il suo immenso dolore il suo profondo desiderio:

“Mello...”

 







Nota dell'autrice: 

Ciao a tutti. Questa nuova os, come avete letto dalla descrizione, è ispirata alla nuova os di DN, che vede Near adulto alle prese col terzo caso Kira. Il comportamenteo di Near mi ha moto incuriosita, così ho voluto dare questa interpretazione in chiave Mello/Near e può essere considerata come un "prequel" dell'altra mia os Mello/Near "Mi manchi da una vita", che se volete potete leggere qui:
 
https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3874088&i=1
Sinceramente non so neanche quanti di voi la leggeranno, dato che forse non tutti hanno letto la nuova os di Ohba e Obata, ma se siete arrivati fin qui sarei molto contenta di sapere se vi piaciuta (o se non vi è piaciuta)! 
 

  
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