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Autore: A_Typing_Heart    01/03/2020    2 recensioni
Ichigo Kurosaki è uno studente di una prestigiosa scuola maschile, ma nutre dei dubbi sulla strada che ha sempre considerato essere quella adatta a lui: diventare medico come il padre. Allontanandosi dalla scuola per riflettere si ritrova in uno squallido locale mandato avanti da un barista dai modi bruschi e dall'aspetto bizzarro; ma più frequenta quel posto e quell'uomo più Ichigo scopre una nuova prospettiva sulla sua vita e sulle sue scelte.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jaggerjack Grimmjow, Kurosaki Ichigo, Sosuke Aizen
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il week end scivolò via con una velocità allarmante per Ichigo, che passava circa diciotto ore al giorno a dividersi tra studio e lavoro e forse si ritagliava un'altra oretta per tutte le altre incombenze, e il suo ritorno a scuola non fece molta differenza perché le lezioni sostituirono il turno mattutino al locale. Mercoledì, il giorno di consegna, il ragazzo aspettava con trepidazione il momento buono per uscire e attaccare il suo turno pomeridiano e nel mentre tentava di mandare a memoria la teoria di matematica. Con tutto quello che aveva da studiare e qualche nozione di bartending che cercava di imparare nella mezz'ora prima di crollare a letto, l'incontro con i ragazzi del calcio al locale gli era passato di mente esattamente come le inspiegate preoccupazioni di Grimmjow su di loro.
L'orologio da polso di Ichigo diede un sommesso doppio bip per tre volte di seguito, il segnale sonoro che dava se impostato l'allarme a un determinato orario. Ficcò il libro nella borsa senza indugio e si alzò per uscire in cortile.
«Kurosaki kun.»
Si bloccò goffamente, facendo stridere le scarpe con la suola di gomma sul pavimento dell'atrio, e si voltò. Aveva riconosciuto la voce del preside ed era piuttosto sorpreso di vederlo casualmente per la scuola: era famoso per essere una specie di fantasma che compariva solo in occasioni speciali di cerimonie, consegna dei diplomi o premiazioni per meriti sportivi.
«Sali nel mio ufficio, per favore, necessito di parlarti.»
«Ah... sì... certo.»
Ichigo mosse qualche passo verso le scale quando l'ometto gliele indicò con un gesto del braccio, sperando che non lo trattenesse a lungo per evitare di tardare al lavoro. Non poteva certo dirgli di tagliare corto perché lo aspettavano in un losco bar per il suo turno...
La vera paura, però, gli salì quando fu davanti all'ufficio e vide Norishibe, l'autoeletto capitano della squadra di calcio, che gli rivolgeva un sorrisetto perfido mentre si allontanava. In quel momento la sua memoria gli ripropose l'esatta riproduzione del ricordo del braccio di Grimmjow che gli si parava davanti mentre gli diceva di andare nel retro. Possibile che fosse per questo? Possibile che Norishibe avesse spifferato tutto al preside per vendicarsi del suo rifiuto di partecipare al torneo con loro? Ed era possibile che Grimmjow in qualche maniera avesse capito le sue intenzioni, o che lo sospettasse?
Mentre entrava nell'ufficio e prendeva posto sulla seggiola scartabellò ogni cassetto mentale per trovare delle scuse che potessero salvarlo. Il preside lo guardò a lungo prima di decidersi a parlare.
«Non mi chiedi per quale motivo sei qui perché lo sai già, Kurosaki kun?»
«No... no, non ne ho idea.»
Aveva ancora una piccola speranza che non lo sapesse. In fondo poteva non averne idea, poteva aver solo scoperto che aveva saltato alcune lezioni senza mai andare in infermeria. Forse invece voleva discutere dello stato dei suoi voti. Non sarebbe stato strano se il preside di una scuola d'élite lo avesse convocato per i voti non proprio splendidi.
«Beh, prima che io lo dica, ti voglio dare la possibilità di essere tu a confessare se hai fatto qualcosa che non dovevi.»
Fu un colpo basso che fece surriscaldare le viscere di Ichigo. Se avesse raccontato la storia della cassa di bibite rotta e del fatto che aveva lavorato qualche giorno per ripagare il danno avrebbe potuto fornire di sua sponte una versione piuttosto innocente. Non aveva bisogno di raccontare che Grimmjow lo aveva fatto dormire a casa sua più volte, non serviva nemmeno accennare al pestaggio. Era uscito un pomeriggio, cosa non vietata, era entrato in un bar poco affollato per studiare, aveva rovesciato una cassa di bibite in vetro rompendole tutte e si era offerto di ripagare il danno facendo qualche giorno di lavoro. Con quella versione non era nemmeno costretto a dire che Chado e Ishida lo sapevano, e non avrebbe dovuto ammettere che lavorava così spesso. Quello che Norishibe aveva visto era uno dei suoi turni. Era un buon piano, secondo Ichigo, quindi prese coraggio e raccontò al preside quella bella versione che glissava su tutte le cose peggiori. L'uomo ascoltò senza fiatare fino alla fine, prima di fissarlo negli occhi.
«La tua versione è piuttosto innocente, Kurosaki kun, ma io ne ho sentite due diverse da questa.»
«È per Norishibe, vero? È stato al bar sabato pomeriggio, era uno dei miei turni, ma io non sono sempre lì!»
«Certo, la versione di Norishibe dice qualcosa del genere... che tu lavori perché hai fatto dei danni, ma ti colloca lì molto più spesso...»
«Perché non lo chiede al professor Kanda? Mi hanno detto che è un cliente abituale, lui lo sa.»
Non avrebbe voluto coinvolgere il professore in quella storia, ma le cose prendevano davvero una brutta piega. Dato che ormai sapeva tutto avrebbe forse perso ogni possibilità di tornare al lavoro, ma non doveva essere espulso, a qualsiasi costo.
«Gliel'ho chiesto.» ammise il preside. «Ed è la sua storia che non si allinea con la tua e con quella di Norishibe kun.»
«Co... cosa?»
«Il professor Kanda mi ha raccontato una storia differente.»
Il preside si alzò dalla poltroncina grigia e gli diede le spalle, osservando il cortile dalla finestra.
«Nella sua versione, il barista del suddetto locale è stato aggredito piuttosto violentemente, e tu, vedendolo molto debilitato, hai deciso di aiutarlo. Questo da una settimana, tutti i giorni. Lui dice che la cassa di bibite rotte è stata una scusa.»
«Non vengo pagato... non è... non è lavoro, era solo... una cosa temporanea!»
«Bene... quindi questa condizione può finire subito. Le regole sono regole. Noi pretendiamo che i nostri studenti diano la massima priorità all'istruzione e alle attività costruttive che si organizzano qui, come lo sport e l'arte.»
«Ma... signor preside! Io non posso...»
«Kurosaki kun. Se desideri lavorare nel tempo che non passi a lezione il mio suggerimento è scegliere una scuola che non abbia questa limitazione.»
Ichigo strinse le dita sulle proprie ginocchia con forza, anche se avrebbe voluto alzarsi e urlare. Urlare che non capivano niente, che quella era una regola stupida, che potevano andarsene tutti al diavolo. Soltanto il pensiero di quello che avrebbero pensato di lui le sue sorelle glielo impedì, e nonostante ciò fu solo un freno a malapena funzionante.
«Il tuo rendimento sta crollando.» osservò il preside. «Visto che non partecipi ai tornei sportivi deduco che il motivo di questo crollo sono le distrazioni che hai trovato in quel locale o nel circondario.»
Qualsiasi tentativo di rispondere venne stroncato dalla mano dell'ometto che tutti avevano sempre preso in giro, che si sollevò a monito.
«Dato che la tua intenzione era un aiuto disinteressato a una persona in difficoltà, non ti espelleremo dalla nostra scuola per quello che hai fatto, ma d'ora in poi ti è espressamente vietata ogni forma di lavoro, che sia retribuita o meno... e per assicurarmi che tu capisca quanto è grave per noi questa violazione e quanto sia importante che tu rispetti i tuoi doveri di studente, ti sarà vietato di uscire dal territorio della scuola, in ogni orario, anche nei giorni liberi.»
«Cosa... non... non posso più uscire?»
«No, fino alla fine dell'anno... e intendo il prossimo marzo.»
«Ma... ma è giugno!»
«Esatto, Kurosaki kun, mi fa piacere che tu non perda colpi.» gli disse il preside in un fiacco tentativo di sdrammatizzare. «Se ti serve un permesso speciale per qualsiasi cosa, dì a tuo padre che mi chiami di persona per autorizzarti... in ogni caso gli manderò io stesso una comunicazione telematica nei prossimi giorni.»
Ichigo non riuscì a dare una risposta. Anche la furia era svanita, era tutto svanito. In stato di alienazione totale lasciò l'ufficio del preside e si allontanò con passo malfermo, senza sapere dove andare. Grimmjow lo aspettava per l'inizio di un turno che non avrebbe mai più fatto... non poteva nemmeno avvisare qualcuno, perché al bar non avevano il telefono, e nemmeno Grimmjow ne aveva uno. Non aveva il contatto di Aizen... non poteva uscire e andare a dirgli che cosa era successo... Grimmjow avrebbe pensato che... che cosa avrebbe pensato? Probabilmente, che aveva fatto qualcosa di sbagliato, che lo aveva fatto arrabbiare o forse che la sua confusione sul loro strano rapporto lo avesse portato a voler mettere della distanza tra loro.
Ichigo sedette a metà scala, abbandonando la borsa con il cambio di vestiti e il libro di matematica. Tanti suoi problemi si erano risolti da soli, in un certo senso: senza torneo di calcio né lavoro aveva tutto il tempo per recuperare lo studio. Avrebbe salvato gli esami e superato l'anno, cosa che non credeva fosse possibile. Ogni dubbio su Grimmjow, non vedendolo più, sarebbe scolorito fino a sparire. Da lì a nove mesi forse non avrebbe più nemmeno ricordato bene la sua faccia o la sua voce e tutte le cose che credeva di sentire nei suoi confronti si sarebbero rivelate le incertezze di un adolescente.
Si rialzò senza sentirsi affatto meglio. Gli piacevano i suoi problemi. Trovare un modo per uscire da scuola e rientrare senza essere notato al mattino presto scendendo da una Honda blu, lavorare duramente in mezzo al caos di una folla di persone che chiedeva cose diverse in un bar piccolo con gli spazi troppo stretti per due e un solo spillatore, studiare nel tempo che gli restava mentre un barista a tratti irascibile a volte dispensava consigli e a volte lo chiamava cervello di tacchino... i suoi problemi erano bellissimi.
«Kurosaki, sei ancora qui? Non dovresti essere già al bar?»
Ichigo faticò a mettere a fuoco la faccia di Ishida, che da vagamente sorpresa passò rapida allo stupore.
«È successo qualcosa? Perché stai piangendo?»
Ichigo dovette toccarsi la faccia per accorgersene, perché le lacrime gli scendevano silenziose, senza provocargli un singhiozzo né altro tipo di reazione collegata. Si affrettò ad asciugarle con il polsino di spugna che portava sul polso, ma non era impresa semplice dato che continuavano a scendere senza sosta. Imprecò a bassa voce. Non voleva che Norishibe o qualcun altro lo vedesse piangere.
«Kurosaki... dimmi che è successo.»
Non fu difficile raccontare a Ishida che cosa era successo nell'ufficio del preside, dato che il suo pianto non influenzava affatto la voce, il respiro o la gola. Tuttavia ripetere tutto gli faceva cadere addosso la certezza che era davvero accaduto, che era veramente confinato dentro la scuola per mesi, e non fu in grado di ripeterlo ancora per Chado quando li raggiunse. Fu Ishida a riassumergli la situazione.
«È davvero stato Norishibe a dirglielo?»
«Francamente è stato sleale.» commentò Ishida. «Ha raccontato tutto solo perché Kurosaki non voleva più far parte della sua squadra, non gliene importa niente del regolamento o dei suoi voti.»
Le congetture e l'indignazione dei suoi amici per qualche motivo rendevano tutto più doloroso. Forse perché contribuivano a far sì che non sembrasse solo un brutto sogno. Si sistemò la borsa in spalla e si allontanò verso il dormitorio.
«Io... vado a studiare un po'.»
«Kurosaki, cosa fai con il lavoro?»
«Non posso più uscire, Ishida, non posso andarci.»
«Sei già uscito un sacco di volte quando non potevi, ti abbiamo coperto.» disse lui. «Se lo studiamo nei dettagli potresti uscire lo stesso, non se ne accorgeranno.»
«Non posso tornare al lavoro... il professor Kanda è un cliente abituale... mi vedrà e lo sapranno anche a scuola. Se mi scoprono di nuovo mi espelleranno.»
«Avrebbero potuto espellerti anche ora, perché prima non ti importava?»
Ichigo non ebbe la forza di guardare gli occhi blu di Ishida un attimo di più, e lasciò scivolare lo sguardo su una piastrella. Era vero, la buona parola di Kanda lo aveva salvato, ma se non avessero chiesto a lui lo avrebbero espulso. Ne era consapevole anche prima, ogni volta che usciva da scuola, e in fondo forse sperava di essere scoperto ed essere rimandato a casa senza dover dire a qualcuno che si era arreso, che non ce la faceva più. Ma adesso la prospettiva era diversa. Tornare a casa senza più speranza di essere riammesso significava non rivedere mai quella città, quel bar in quella città... l'uomo che lavorava in quel bar in quella città. Aveva bisogno di tempo per capire che cosa voleva, e restare ancorato al suo banco in quella scuola era l'unico modo per guadagnare quel tempo.
«Non posso permettermi di essere espulso per una cosa così stupida.»
«Capisco.» fu la sola risposta di Ishida. «Allora ti lasciamo studiare. Noi staremo in biblioteca.»
«A dopo.»
«Sì... ciao.»
Ichigo partì a passo spedito attraverso la scuola. Non incrociò lo sguardo di nessuno, non si scusò nemmeno quando diede involontariamente una spallata a qualcuno, e raggiunse la sua stanza. Gli sembrava fredda, sconosciuta, come il primo giorno in cui era arrivato. Con la stessa circospezione di qualcuno che entra in una chiesa vuota raggiunse la sua scrivania, si sedette ed estrasse il libro di matematica, posandolo insieme agli altri. Dopo un attimo di indecisione prese il libro di scienze, ma non fece altro che aprirlo e leggere il primo titolo della pagina dove aveva posizionato il segnalibro. Abbandonò la testa sul tomo e sprofondò nella coltre nera di pensieri che aspettava solo di avvilupparlo.


Fu disturbato solo un'ora più tardi dal telefono che vibrava nella tasca dei pantaloni. Ponderò di ignorarlo così a lungo che chiunque lo stesse cercando desistette. Poco dopo, tuttavia, suonava di nuovo. Controvoglia Ichigo alzò la testa, prese il cellulare e guardò il display. Era il numero di Chado che lo stava chiamando e gli parve piuttosto bizzarro che lo chiamasse dalla biblioteca, perciò si decise a rispondere. Forse non avrebbe sentito nulla, scoprendo che era una chiamata partita per caso. In effetti nei primi secondi non udì nessuna voce, ma c'era un curioso brusio di sottofondo, molto insolito in una biblioteca.
«Kurosaki?»
Spalancò gli occhi e raddrizzò la schiena al solo sentire quella voce. Non se l'aspettava. Non se lo sarebbe mai aspettato.
«Grimmjow?»
«Sì.»
«Io... non... come...?»
Ma le domande erano piuttosto inutili. Aveva il cellulare di Chado, con quello era riuscito a telefonargli, e se c'era il suo cellulare lì c'era anche Chado. Probabilmente con Ishida. Erano andati al locale a spiegare il perché della sua assenza.
«Mi dispiace.» disse Ichigo, senza sapere bene perché. «Mi dispiace tanto.»
«Anche a me dispiace. Non ti dovevo mettere in una situazione così scomoda.» gli rispose Grimmjow, un poco disturbato da un vociare vicino. «Ti ho trattato come se tu dovessi diventare come me, ma non sei come me. Tu hai ancora tutte le opportunità. È un miracolo che non ti abbiano espulso.»
«Un miracolo che ha fatto il professor Kanda.» ammise Ichigo a malincuore. «Lui ha detto al preside che ho lavorato per aiutare te nelle condizioni in cui eri... solo per questo non mi ha rispedito a casa in posta prioritaria.»
«Beh, non importa come. Sei rimasto a bordo e questo è quello che conta.»
«Ma non posso più uscire... te lo ha detto Chado, no? Non posso uscire più in nessun orario, in nessun giorno... non potrò più venire a lavorare, non posso nemmeno passare da lì a fare un saluto.»
Ichigo si aspettava che Grimmjow gli rispondesse bruscamente come sempre, dicendogli che nessuno ci teneva a vedere la sua faccia, che col cervello di tacchino che aveva era meglio che lo legassero alla sedia davanti a un libro, e fu sorpreso che fosse così normale.
«Sì, è un peccato... sei bravo, sai. Impari presto e sorridi sempre. Ben e altri ragazzi hanno sentito che hai avuto guai a scuola e sono dispiaciuti di sapere che non tornerai.»
«Mi dispiace davvero.» ripeté Ichigo, sentendosi se possibile anche peggio. 
«Non importa, non importa, lascia che si lamentino... tu hai delle priorità e non siamo noi poveri idioti in un bar fetido. Devi diventare un dottore, no? Si può fare a meno di un barista, ma non si farà mai a meno di un dottore. Non preoccuparti per il lavoro.» tagliò corto lui in tono sbrigativo. «Me la sono cavata finora senza di te, sopravviverò altri sei anni...»
Ichigo nonostante tutte le nubi cupe riuscì a produrre un accenno di sorriso.
«Anche se...»
«Anche se?» domandò il ragazzo, percependo con preoccupazione un cambio di tono. «Anche se cosa?»
«Beh... mi dispiace che non ti abbiano scoperto almeno venerdì.»
«Cosa? Perché venerdì? Che succede venerdì?»
«Venerdì niente, succede domani.» disse Grimmjow. «Beh... oggi è l'ultimo giorno della libertà vigilata... domani torno un uomo libero. Mi sarebbe... beh, sì. Mi sarebbe piaciuto che ci fossi anche tu.»
Ichigo avrebbe voluto congratularsi, mostrarsi felice di quella notizia, perché in realtà lo era. Per come lo aveva conosciuto lui, J.J. Jaeger Jacques era un uomo dai modi bruschi ma anche gentile. Era devoto al suo lavoro in modo maniacale, un eccellente giocatore di biliardo, se voleva sapeva essere un bravo insegnante. La sua gioia poi aveva la stessa spontaneità di quella di un bambino. Nessuno meritava di essere libero più di lui...
«È fantastico, Grimmjow.» disse, a voce bassa e priva di entusiasmo. «Solo che... è... buffo, no? Tu torni libero, e io rimango agli arresti domiciliari a scuola fino a marzo...»
«Sono stato qui per nove anni... mi troverai ancora qui a marzo.» replicò Grimmjow, per niente impensierito dalla scarsa reazione del ragazzo. «Quando ti lasceranno uscire passa di qui a salutarmi. Non mi nascondo.»
«Tu mi aspetteresti fino a marzo?»
La domanda era piuttosto bizzarra. Grimmjow viveva in un garage nei paraggi, lavorava in un bar in quella città, ci viveva da più di dieci anni, conosceva tutti. La sua vita si era radicata lì, non aveva senso chiedere se avrebbe aspettato, perché non aveva certo bisogno di un altro motivo per restare. Che lo volesse o no, marzo sarebbe arrivato comunque.
«Ti aspetterò.» rispose invece Grimmjow, dopo una breve pausa. «Fino a marzo del prossimo anno, o di quello dopo, o quello dopo ancora. Finché ci sarà il mio bar aspetterò che torni a fare i tuoi pessimi compiti di matematica sul tavolo dell'angolo.»
«Mi dispiace tanto... vorrei poter lavorare ancora con te... stavo bene nel tuo bar.»
«Lo so, è una tana accogliente. Anche io ci sto bene. Mai dire mai, comunque.»
«Possiamo dirlo molto chiaramente stavolta.»
«Mai dire mai. Fidati di un vecchio, Kurosaki.»
Inspiegabilmente quella convinzione diede a Ichigo un barlume di fiducia nel futuro, come un faro lontano in  mezzo a una nebbia notturna. Riuscì a sorridere.
«Tu non sei così vecchio, Grimmjow.»
«Ah, grazie per averlo notato. Non per vantarmi, ma sotto l'azzurro non ho capelli bianchi.»
Una voce che a Ichigo non sembrò quella di uno degli amici disse qualcosa molto vicino al telefono, e Grimmjow replicò con una sonora parolaccia seguita dall'ordine di "tornarsene dentro", il che gli lasciò supporre che il barista fosse andato fuori dal locale per telefonargli, dato che all'interno il segnale era sempre basso. Fu un pensiero egoistico, ma fu felice che quella chiamata fosse più importante dei clienti al bancone.
«Scusa.» gli disse Grimmjow. «Un idiota voleva sapere se avevo intenzione di scioperare come te.»
«Scusami... ti sto trattenendo troppo. Non preoccuparti per me, torna dai clienti.»
«Oh no, non ci penso nemmeno.» rispose Grimmjow, che aveva un tono piuttosto divertito che il giovane non seppe spiegarsi. «Ho lasciato Aizen dietro il bancone da solo. Ah, Kurosaki, dovresti proprio vederlo, è troppo impedito, potrei stare a guardarlo per ore.»
Dopo un momento di silenzio, Ichigo iniziò a ridere. I primi secondi furono quasi dolorosi, come se in quel poco tempo di depressione avesse dimenticato come un umano facesse a produrre una risata, e quella riecheggiò in modo strano nella stanza vuota. Fu un toccasana comunque, perché si sentì molto più leggero.
«Non puoi lasciarlo lì, ci farà fallire il bar! Con la fatica che facciamo per tenerlo in piedi!»
«No, credimi, è salutare, capisce quanto fa schifo servire con così pochi bicchieri, una macchina del ghiaccio per bambini e uno spillatore rotto. Ah, sì. Si è rotto di nuovo stamattina, l'ho dovuto riattaccare con il nastro adesivo, e adesso spruzza schiuma dappertutto.»
«A lui lo hai detto?»
«Se n'è accorto alla prima birra.»
Ichigo rise di nuovo e il carico che si sentiva sulle spalle si alleggerì di nuovo.
«Sei veramente uno stronzo.»
«Non sono io, mio caro ragazzo, è il karma all'opera. Tutta la merda che mi ha spalato addosso adesso gli torna. Puoi chiamarla giustizia divina, se vuoi.»
«Il tuo karma manderà il locale sul lastrico.»
«La prospettiva non è mai stata così bella.»
«Non essere ridicolo... ora vai... davvero, mi sento in colpa.»
«Immaginavo che avresti detto qualcosa del genere.» disse Grimmjow. «Beh, vado a salvare il boss. Ti faccio sapere se la lezione gli servirà a qualcosa.»
«E come farai?»
«Il tuo amico mi ha lasciato il tuo numero e la tua email... chiederò a qualcuno di farmi scrivere o chiamare nei prossimi giorni. A quest'ora va bene?»
«Non c'è problema... non ho corsi nel pomeriggio, sarò sempre in camera mia. Ti posso rispondere a tutte le ore.»
«Okay. Tu fai il tuo dovere, Kurosaki... ora che hai avuto una seconda possibilità non buttarla via.»
«Lo so... lo so. Davvero, mi impegnerò.»
«Ci sentiamo presto.»
Grimmjow chiuse la telefonata. Ichigo abbassò il cellulare e cercò di immaginarlo rientrare nel bar affollato, riprendere il posto dietro il bancone e salvare la situazione come lo aveva già visto fare, facendo decine di cose quasi contemporaneamente, come se avesse più paia di mani. Invidiò molto Aizen, che pure doveva essere sopraffatto, confuso e coperto di schiuma di birra calda, perché poteva essere lì a vederlo. Aveva ordinato l'ananas per il cocktail estivo, ma non poteva più farselo insegnare.
Mise da parte il telefono e guardò il libro, ricordando che la prima lettura di quel capitolo l'aveva fatta mentre Grimmjow usava per la prima volta la sua cucina dopo molti mesi. Sorrise, si armò di evidenziatore e si lanciò nella lettura, ma restò interdetto quando la prima stesura d'inchiostro andò praticamente a vuoto. L'evidenziatore azzurro si era esaurito, proprio come il suo tempo con il barista con i capelli dello stesso colore.
   
 
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