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Autore: _Lightning_    02/03/2020    5 recensioni
Può quasi fingere che non esistano degli occhi freddi e già morti appuntati su di loro.
Non che abbia mai creduto che ci sia qualcosa di senziente a guardarli, a usare gli astri come microscopi e microspie – un’interpretazione affatto poetica, che però collide con la sua visione infranta di un’armatura a protezione del mondo. Sospira, il fiato caldo di caffè e amarezza mai sopita.
No, per lui le stelle sono sempre state semplici agglomerati gassosi alimentati da processi nucleari. Eppure...

[post-Infinity War // Tony&Peter // Missing moment // PoV Tony]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ex nihilo nihil fit
 
 
Prompts: luna, ateismo, visione [Miryel]


 
          D’inverno, il lago ghiaccia completamente, trasformandosi in una lastra levigata. Tony non ama ammetterlo, ma è un dettaglio che gli fa quasi piacere quella stagione; forse perché la vista dell’acqua immota e cristallizzata dal gelo cessa di riportargli alla mente la compagnia costante e chiacchierina delle onde a Malibu.

Quest’inverno gli sembra quindi meno ostile del solito. È paradossale, è sbagliato quanto il Rockefeller Center spento e privo di addobbi, con la pista di pattinaggio mai allestita quell
’anno che lascia scoperto il nudo cemento. Magari si potrebbe pattinare lì, sul lago: il ghiaccio appare abbastanza solido da prevenire un tuffo nell’acqua gelida – non le sue cadute rovinose, quelle fioccherebbero comunque come la neve che continua a radunarsi sulle sponde boscose.

Così, però, turberebbero la quiete di quell’angolo di mondo ibernato, in un modo molto più naturale delle metropoli cupe e assediate dal bianco, da un gelo più cupo che ghiaccia il cuore. Questa è un’immobilità naturale, ciclica: un lungo riposo che precede un risveglio inevitabile, che neanche un universo dall’anima dimezzata può impedire. Tony ha bisogno di quel silenzio spontaneo, di quella stasi non artefatta; come se trovandocisi dentro potesse concederla anche a se stesso.

Si lascia assorbire da quella pausa prolungata che gli rallenta i pensieri, almeno un poco. Non riesce mai ad arrestarli del tutto – mai, gli ruotano nella testa in circoli viziosi di ricordi, speranze, visioni, fantasie – ma, nel buio rilucente d’argento innevato, riesce ad arginarli, a porre una diga fragile che impedisca loro di esondare.

Beve un sorso bollente di caffè – tanto per ricordarsi che almeno certe piccole, quotidiane abitudini non cambiano mai – e lascia slittare lo sguardo sulla superficie traslucida, mossa da curve vellutate di un bianco opaco messe in risalto dalla luna quasi piena. È una vista rassicurante. Stabilizza le nuvolette di vapore che lasciano le sue labbra fondendosi con la fumata costante che si leva dalla tazza. Gli placa la mente, perché il riverbero perlaceo di quella semisfera celeste cancella e stinge le capocchie di spillo che la attorniano. Può quasi fingere che non esistano degli occhi freddi e già morti appuntati su di loro.

Non che abbia mai creduto che ci sia qualcosa di senziente a guardarli, a usare gli astri come microscopi e microspie – un’interpretazione affatto poetica, che però collide con la sua visione infranta di un’armatura a protezione del mondo. Sospira, il fiato caldo di caffè e amarezza mai sopita. No, per lui le stelle sono sempre state semplici agglomerati gassosi alimentati da processi nucleari: abbastanza affascinanti da fargli alzare lo sguardo nelle sere estive più limpide o dopo tre mesi passati in una grotta afghana; fin troppo terrificanti dopo averle viste davvero, da vicino, ammiccanti di baluginii mortali… ma pur sempre parti integranti del vasto mondo scientificamente spiegabile e a lui comprensibile.

Solo che, ultimamente, oltre ad essere un memento perenne appuntato sopra di lui – uno stendardo alla loro sconfitta, al suo fallimento – iniziano ad assumere altre connotazioni. Se le conquistano a forza, in verità, se le arrogano quasi con prepotenza, svincolandosi dal regno del reale. Tracciano divergenze ardite e avulse da logica, seguendo percorsi che lo fanno nettamente dubitare del proprio conclamato ateismo – un muro al quale, nel corso del tempo, non ha fatto altro che aggiungere mattoni su mattoni per poi vederselo crollare davanti al suono di uno schiocco e di un Caso beffardo.

Non dovrebbe indulgere in riflessioni simili, né imboccare quei sentierini tortuosi che si snodano dal viale ben spianato della logica.

Eppure.

Eppure, lo rincorre il pensiero che lì, tra le stelle, sparso chissà dove tra i corpi celesti più remoti, ci sia Peter.

Non in senso metaforico, in una mera ricerca di consolazione nel levare gli occhi verso l’alto. Lui è fisicamente lassù, nel punto in cui è scomparso. La sua mente scientifica vacilla, però, nel voler credere che il suo ventaglio di cenere si sia propagato in qualche modo nello spazio profondo, attraverso comete e meteore e nebulose; e che magari un’infinitesimale parte di quel pulviscolo grigio si sia mescolato – in qualche modo, in qualche impossibile modo che esula dalla sua comprensione – alla neve che scende leggera dal cielo marezzato da nubi invernali.

Dopotutto, tutti loro sono riconducibili per origine a quegli astri lontani; e la legge della conservazione della materia è ancora valida, ne è certo. Stringe la tazza tra le mani, quasi ustionandosi i palmi per riscuotersi. Non sta ragionando da scienziato, lo sa: ragiona da disperato, da sconfitto – da mancato padre disperato e sconfitto.

Però, gli sembra così appropriato, nella sua irragionevolezza, che una parte di Peter sia lì attorno a lui, nel freddo cristallino e immacolato, e un’altra parte lontana, nelle vette siderali che gli ha visto ammirare in silenzio, quietamente, acceso da curiosità e mai da ambizione. E quelle due istanze può spiegarsele, per quanto in modi assurdi dati da affastellamenti pericolanti di ipotesi ancora più assurde.

Quello che la sua logica non può spiegare – e forse vuole, e forse non vuole – è quella parte di Peter che gli si è incuneata sotto il cuore. Una scheggia di ghiaccio bollente che gli punge gli occhi nei momenti più insospettati. E un’altra parte ancora…

«Non hai freddo?»

La voce di Pepper non rompe la quiete; vi si insinua diventandone parte integrante, scivolando sui suoi pensieri inquieti. Stringe la mano attorno alla sua spalla, a imprimervi meglio il calore attraverso la stoffa.

«Trovo che sia una temperatura perfetta. Mi raffredda il cervello,» replica lui, indifferente, finendo poi l’ultimo sorso di caffè senza alzarsi dalla sedia sul portico.

«Con tre gradi sottozero? Credevo fossi freddoloso,» lo redarguisce lei, sfregandogli con dolcezza la schiena intirizzita.

«Neanche tu dovresti startene qua fuori; anzi, soprattutto tu. E non sono freddoloso.»

«Io ho una vestaglia. E tu dormi col piumone fino a maggio. In California.»

«Touché.»

Gira appena il volto e sorride contro il suo avambraccio. Preme con le labbra sulla sua pelle, inspirandone il tepore e cogliendo il profumo del loro letto e del pigiama lavato di fresco.

«Sulla Benatar faceva più freddo,» mormora, appena udibile, sfiorandole le vene del polso quasi potessero trasportare loro la sua voce fino a lei.

Pepper gli posa un bacio tra i capelli.

«A che pensi?»

«A… uh, ai processi di fusione termonucleare delle stelle.»

Parla distratto, lontano, ma la invita a poggiarsi a lui, col mento sulla sua testa e il corpo a combaciare con la sua schiena. Le stringe i polsi, le mani, intreccia le dita alle sue e lei lo stringe di rimando, cullandolo appena contro il suo petto. Si forma una piccola bolla di calore attorno a loro, oppressa dal gelo. Lascia passare tre battiti di cuore, a spingere fuori quella frase che gli è rimasta sospesa in gola:

«Non ci credo, nell’aldilà.»

«Lo so. Non ci hai mai creduto.»

La voce di Pepper gli sfiora i capelli, e la sente spostarsi per far aderire la guancia alla sua, ancora bollente di sonno interrotto.

«Però esiste… un aldiquà. Un… qui.» Gesticola appena; si aggrappa di nuovo a lei. «La materia non si distrugge. Si trasforma. È una delle leggi fondamentali dell’universo, e nemmeno… nemmeno un Titano pazzo può alterarla. Non si distrugge, anche se è a milioni di anni luce di distanza, quindi…» frena il resto della frase, che gli sta inumidendo occhi e bocca in un singulto sopito.

«Lui è dove vuoi che sia, Tony,» completa lei, premendo i palmi sul suo petto e spostando il piano del discorso, come se avesse saputo sin dal principio quale fosse.

Non capisce se quel gesto sia un semplice conforto, o un’indicazione precisa di un luogo indefinito che non sa davvero come chiamare. Si sente traballare il cuore.

«Dev’essere da qualche parte. Per forza; è logica, è… è scienza,» afferma, si convince, tirando silenziosamente su col naso e fissando poi la neve mutevole. «Magari, anche qui.»

Si districa dalla sua stretta delicata per guardarla in viso, trovandole gli occhi lucidi, ma calmi. Con un fremito delle onde di Malibu ancora ad attraversarli; una corrente di vita che non si è arrestata e continua a sospingere anche lui. Le cinge i fianchi e le posa un palmo esitante sulla pancia, su quella piccola rotondità così poco pronunciata da essere quasi impalpabile. Lei curva le labbra in un sorriso.

Non lo dicono, ma se lo scambiano con gli occhi, col bacio che Tony le lascia sul ventre caldo. Una promessa, una conferma, una fiducia concessa al futuro.


Anche qui. Anche qui.
 


Fine


 

Note dell’Autrice:

Cari Lettori,
questa è la one-shot alla quale mi riferivo nel capitolo
3550 della mia raccolta in corso, e spero che entrambe, per chi le ha lette, siano state una lettura gradita :)
Spendo due parole sulla stesura della storia: intanto, è tutta colpa di quella Guascosa di
Miryel, che come prompt mi ha dato queste tre parole scatenando il mio amore per i notturni, seguito a ruota dal rapporto che ha Tony... col divino, in effetti, in qualsiasi senso lo si voglia intendere (e non parlo di "un dio" in modo consapevole). Vedo Tony come un ateo convertito in un agnostico sui generis: è pur sempre uno scienziato, uno scettico a tratti cinico che, se proprio dovesse trovare un dio, lo troverebbe in se stesso e nell’uomo in quanto faber. Ma è uno scienziato che ha toccato con mano la morte e che ha visto davanti a sé l’immensità del cosmo rischiando di rimanervi intrappolato due volte, per poi dover affrontare le conseguenze di perdite indiscriminate che pesano sulle sue spalle. Credo che le convinzioni di chiunque vacillerebbero di fronte ad eventi simili, e qui ho voluto rappresentarlo in bilico tra la razionalità e l’irrazionalità, ancor più del solito.
Aggiungo che il titolo è un riferimento alla legge di Lavoisier o legge di conservazione della massa, secondo la quale "nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma" ("nulla viene dal nulla", appunto), ma che in chiave religiosa vi è il concetto di creazione "ex nihilo" (ovvero, "dal nulla non viene nulla", sottintendendo quindi l’esistenza necessaria di una forza creatrice). Il tutto è a libera interpretazione del singolo lettore, incluso il finale.
Scusate la digressione, e spero che abbiate apprezzato questo ex cursus pseudo-filosofico <3
Grazie a chiunque leggerà, recensirà o inserirà questa storia nelle proprie liste, e grazie a chi l’ha recensita e votata su Wattpad!
Alla prossima,

-Light-

 

Disclaimer:
Non concedo, in nessuna circostanza, né l’autorizzazione a ripubblicare le mie storie altrove, anche se creditate e anche con link all’originale su EFP, né quella a rielaborarne passaggi, concetti o trarne ispirazione in qualsivoglia modo senza mio consenso esplicito.

©_Lightning_

©Marvel
   
 
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