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Autore: DarkWinter    02/03/2020    8 recensioni
In un ospedale vicino a Central City, i gemelli Lapis e Lazuli nascono da una madre amorevole e devota.
Fratello e sorella vivono un'adolescenza turbolenta e scoprono il crimine e l'amore, prima di essere rapiti dal malvagio dr. Gero e ristrutturati in macchine mangiatrici di uomini.
Ma cosa accadrebbe se C17 e C18 non dimenticassero totalmente la loro vita da umani e coloro che avevano conosciuto?
Fra genitori e amici, lotte quotidiane e rimpianti, amori vecchi e nuovi e piccoli passi per reinserirsi nel mondo.
Un'avventura con un tocco di romanticismo, speranza e amore sopra ogni cosa.
PROTAGONISTI: 17 e 18
PERSONAGGI SECONDARI: Crilin, Bulma, vari OC, 16, Z Warriors, Shenron, Marron, Ottone
ANTAGONISTI: dr. Gero, Cell, androidi del Red Ribbon, Babidi
{IN HIATUS}
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 17, 18, Crilin, Nuovo personaggio | Coppie: 18/Crilin
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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La musica del rave era alta.

Lazuli chiacchierava con un gruppo di amici appena fuori dal capannone. Faceva freddo nella notte autunnale, ma era sempre meglio che starsene dentro.

Il ragazzo che quella sera le piaceva le chiedeva se aveva freddo, se voleva rientrare, ma lei voleva starsene lontana dal frastuono e in tutta tranquillità si fumava la sua sigaretta.

Non era divertente dentro, c’era troppa gente.

Troppa gente fuori di testa; delinquente sì, ma drogata mai.

Il ragazzo era più basso di lei ed era tutta la sera che non smetteva di cingerle i fianchi, appoggiando comodamente la testa sulla sua spalla.

Lazuli ne era infastidita e cercava di farglielo capire:

“Io mi sto annoiando, me ne vado” asserì, buttando per terra il mozzicone e schiacciandolo con la punta delle tennis.

“Di già?” le chiese una dei suoi amici.

“Aspetto solo che mio fratello torni indietro visto che guida lui”.

Sempre colpa di Carly; Lapis l’aveva accompagnata a casa e adesso chissà dov’era…

Il cellulare le squillò e Lazuli trovò un messaggio: “Vengo tra un minuto.”

La ragazza lo lesse ad alta voce e si mise a ridere.

Accennò un passo e il ragazzo si mosse con lei, guidando i suoi movimenti sempre con quelle stramaledette mani.

“Ma allora! Non sono un manichino, so camminare anche da sola!”

“Scusami” sussurrò lui, intimidito “quindi adesso te ne vai? Così?”

Lazuli soffocò una risata. Cosa sperava di fare con lei?

Mentre aspettava si mise a pensare a suo fratello e a Carly: chissà se Lapis si era limitato ad accompagnarla, dato il tempo che ci stava mettendo per ritornare alla periferia di central City dove il rave si stava svolgendo.

Lapis arrivò di lì a poco, con la musica a palla e il finestrino abbassato.

Lazuli gli fu subito accanto e lo supplicò, aggrappandosi al suo braccio: “Andiamo via.”

“Aspetta! Io non sono stato qui nemmeno un’ora fra una cosa e l’altra, lasciami bere qualcosa.”

Lapis era sempre gentile quando le parlava, ciononostante sua sorella mise il broncio e tornò dal ragazzo:

“Ricordati che tu devi guidare!”

 Lazuli seguì Lapis con lo sguardo e poi tornò ai suoi amici.

Il ragazzo le stava alle costole e lei diventava sempre più nervosa: “Ok, va bene, ma le condizioni le metto io”.

Lo prese e lo trascinò per un braccio, passando davanti a Lapis che beveva in compagnia dei suoi amici del rally.

Mi auguro solo che siano analcolici” pensò, mettendosi in un angolo col ragazzo e iniziando a farsi baciare.

Il tipo era in gamba, dovette ammetterlo.

 Le sue mani scorrevano sapientemente sulle forme di Lazuli, sfiorandola teneramente come si sfiora un violino.

Lei si lasciava toccare e lo baciava con furia, conficcandogli le unghie nella nuca: si aggrappò incrociandogli le gambe attorno alla vita e lui la trasportò nello stanzino adibito a guardaroba.

Le mani delicate di lui adagiarono Lazuli fra i cappotti caduti sul pavimento e le si sentì prendere da un furore estatico: sì, quella sera voleva uscire di sé, dimenticarsi di tutto per un momento.

In un bacio infuriato gli morse le labbra, ma lui non parve accorgersene e quando lei, come per scusarsi, gli posò le sue sulle palpebre chiuse, le posò gratamente le mani sul seno.

Lei fece scorrere il dito sulla linea scura che correva sotto l’ombelico e scese sempre più giù, finchè lui non l’afferrò e le loro labbra tornarono ad unirsi.

 

Lapis inghiottì l’ultimo cocktail e si mise a cercare con gli occhi la sorella.

Nella stanza la cercò in pista fra la gente che ballava, ritornò al bancone dei drink, poi uscì dal capannone e guardò anche nel parcheggio.

“Avete visto Laz?” domandò ai suoi amici.

“Sì, ho visto che entrava là dentro con uno” gli rispose svelta la barista, indicando il guardaroba.

Lui trasalì: “Nel guardaroba…ok, grazie.”

Si diresse con lo sguardo fisso verso il fondo dell’enorme stanza.

“Ciao bello” ammiccò la barista, ma lui non se ne accorse nemmeno.

 

In quello stesso momento, le mani da violinista del ragazzo avevano afferrato con tenace garbo i seni morbidi di Lazuli per estrarli dallo scollo della maglia. Le mani della ragazza erano ancora fra le gambe del tipo, ma quando lui protese il viso verso il suo petto qualcosa la bloccò; ritrasse immediatamente le mani dal corpo del ragazzo e protesse il proprio.

Non sapeva spiegarsi, ma in quel momento stava succedendo qualcosa che a lei non piaceva, qualcosa di strano e sottile che non voleva le succedesse e restasse nella sua memoria.

“Basta!” urlò, spingendo via il ragazzo e ricomponendosi la scollatura.

Lui rimase attonito a guardarla mentre si alzava in fretta, correva verso la porta del guardaroba e usciva: “Ti saluto”.

Lasciatasi il guardaroba alle spalle, Lazuli fece un paio di metri a ritroso come un gambero e quando si volse di scatto sbatté sul petto di Lapis.

“Eccoti!” dissero all’unisono, poi lui le sorrise:

“Eccoti, dov’eri finita?”

“Ero con uno: possiamo andare a casa? Sei contento ora?”

Il ragazzo sospirò allargando le spalle: “Ah, sì! Adesso andiamo, volevo venirtelo a dire io”.

Lazuli guardò il cellulare: “Due e mezza, direi di sì, altrimenti la Kathryn ci fa il sermone”.

Suo fratello soffiò via una lunga ciocca di capelli che gli cadeva su un occhio, ricordandosi con disappunto che Kate si sarebbe scocciata a vederli tornare troppo tardi la mattina dopo:

“Sicura di voler andare?”

“Sicurissima”.

“Scusami, aspettiamo un attimo” disse lui.

Sentiva che non era il momento migliore per guidare, all’improvviso gli era calata la stanchezza.

Se Lazuli se ne fosse accorta, avrebbe cominciato a dirgli che era ubriaco, quando non era vero.

Che noia Lazuli, a volte: voleva troppo fare la maestrina, come se ne sapesse più di lui.

“Cosa c’è? Non stai bene?” Lazuli lo guardo’ con dolcezza e preoccupazione.

“Niente."

Il ragazzo scosse la testa con un sorriso. Ma un singhiozzo improvviso lo tradì e guardò la sorella con una finta aria di scuse.

"Lo sapevo che eri brillo" sbuffò Lazuli, anche se non era nelle sue intenzioni rimproverarlo.

"Sto morendo di fame…"

“Va bene, ci faremo lo spuntino delle 3.”

Poco dopo erano pronti per partire.

Non erano tanto in ritardo, a tornare a casa avrebbero impiegato una ventina di minuti.

Lapis alzò la musica al massimo e tutti e due iniziarono a cantare. Lazuli distese i piedi sul cruscotto e chiuse gli occhi: suo fratello guidava proprio bene, anche se non andava per niente piano.

La strada era deserta, la nebbia pesante nei campi ai lati della carreggiata.

“Cosa fai domani?”

“Starò da Carly, penso. Tu?”

“Boh; andrò con la mamma a comprare i vestiti. Sai, non ho una vita sentimentale intensa come la tua” rispose lei, con una punta di risentimento.

Lapis trasse un sospiro:

“Ancora…guarda che non dipende solo da te. Deve solo arrivare il tuo momento."

Lazuli stava per rispondergli, quando in un lampo vide qualcosa di bianco attraversare velocissimamente la strada:

“GATTO!”

Lapis non fece in tempo a chiederle niente, che per lo spavento improvviso sterzò e perse il controllo delle ruote: la macchina zigzagò nella corsia opposta e finì col muso in un campo.

La ragazza scese immediatamente e non appena realizzò che non era accaduto nulla di grave corse dall’altro lato della macchina e aprì la portiera:

“Stai bene?"

Anche Lapis scese e constatò che poteva ancora camminare con le sue gambe:

“Sì, io sì. Tu?”

Lazuli sentiva le lacrime che le inondavano gli occhi: l’ansia iniziò ad abbandonarla e si sedette sulla terra, trattenendo il pianto.

“No! Va tutto bene, non è successo nulla” Lapis l’abbracciò e l’aiutò ad alzarsi “stiamo bene, stai tranquilla”.

“Ma tu sanguini!”

Il ragazzo si guardò e scorse un filo di sangue che gli macchiava un ginocchio. Alzò le spalle, aveva solo picchiato la gamba contro qualcosa.

A Lazuli non piaceva quando suo fratello non stava bene o era ferito, anche quando la ferita era solo una macchietta rossa sulla stoffa dei pantaloni:

“Sei proprio una merda…sei uscito di strada”.

Lui la fissò: “Ah sì, io? Non mi pare che sia stato io a strillare come un’aquila, all’improvviso!  Mi hai fatto venire un infarto."

“C’era un gatto!” si difese lei “ha attraversato la strada e noi gli stavamo passando sopra!”

Lapis scavalcò il basso argine del campo e scrutò la strada; non c’erano segni di un incidente con un gatto:

“Lo so, l’avevo appena visto anche io e tra quello e il tuo urlo ho sbandato. Comunque non l’ho investito, se ne sarà andato”.

Si volse verso la macchina e guardò la sorella. E adesso?

Lazuli rispose allo sguardo, constatando le condizioni in cui versavano: la strada era deserta, non avevano modo di avvisare nessuno perche’ li a casa di Dio non c’era rete, la macchina era mezza dentro e mezza fuori da un campo (la macchina oltretutto  era la jeep di Kate),erano quasi le 4 della mattina, loro due avevano sforato abbondantemente la tabella di marcia e casa distava un buon quarto d’ora di macchina.

“Andiamo a piedi: oppure tiriamola fuori di qui” buttò lì.

“Stai scherzando, spero."

Era quasi inverno e c’era la nebbia, andare a piedi su una strada come quella sarebbe stato estremamente pericoloso. Avrebbero fatto la fine di un gatto.

Ormai erano lì e non potevano fare niente, tanto valeva provare a tirarla fuori: i gemelli afferrarono il paraurti della jeep e tirarono con tutte le loro forze, finchè non venne loro caldo per la fatica.

E, com’era nelle loro previsioni, la macchina non si mosse di un centimetro.

“Inutile, è troppo pesante” ansimò Lapis “porca miseria!”

Diede un calcio al paraurti e ritornò nell’abitacolo. Fece ripartire la musica e ritornò al fianco della gemella: “Almeno aiuterà a rendere meno inquietante questo posto”.

La ragazza osservò i contorni indistinti della campagna, nascosti nella bruma:

“Andiamo sulla strada. Qui è davvero inquietante con tutta la nebbia e poi nessuno ci vedrebbe”.

Con la musica alta, i due ragazzi si misero sul bordo della strada e aspettarono, ma non passò nessuno.

Tornarono vicino alla jeep.

“Ma secondo te è sempre così deserto?” Lazuli guardò il fratello con apprensione.

“Non ne ho idea…”

“Ti immagini? Se proprio adesso saltasse fuori il vecchio?”

Lapis sussultò, poi scosse la testa: “No no, Laz: per stasera è già abbastanza”.

Il tempo non passava.

Per eludere la piattezza di quella sinistra notte nebbiosa i gemelli ascoltavano la musica, salivano in macchina cercando di dormire ma erano troppo inquieti.

Lapis si mise a controllare la macchina per vedere se avesse subito dei danni: “Chissà nostra mamma; se non è andata a letto starà dando di matto."

Lazuli annuì, scrutando il mare di nebbia; sentì uno scricchiolio, come se la paglia che ricopriva il suolo venisse calpestata.

“Non ti allontanare! È pericoloso!”

Lazuli non riuscì a trattenere un gemito di sgomento, quando Lapis si sporse dalla macchina.

Non si era allontanato di un passo! Eppure quel rumore proveniva dal campo e lei l’aveva ben sentito.

“Andiamocene…” gemette “ho sentito dei passi”.

“Sicura? Spero non siano gli sbirri. Ci prenderebbero subito “.

Lazuli non sapeva se pensare al vecchio, che ormai non era che un lontano ricordo, oppure alla polizia, che invece era concreta e li braccava da tempo. Sarebbe stata una cattura facile, nel silenzio lattiginoso della notte.

Qual’era l’ultima che aveva combinato? Ah sì, lei e Lapis avevano dato fuoco ad un treno. Era stato solo un incidente, durante un inseguimento con un membro di un'altra gang.

La polizia non li aveva colti sul fatto, ma ormai erano due noti delinquenti e sicuramente qualcuno li stava cercando.

Lazuli sentì chiaramente un nuovo scricchiolio e trasse dalla borsa il suo coltellaccio.

Lapis si mise in ascolto al suo fianco; il rumore si fece più insistente e la ragazza ritirò la lama, frugò veloce nella borsa e puntò la pistola dritto davanti a sé.

“Ehi! Quella è mia!” Lapis gliela tolse di mano e le si parò davanti  “dai, spostati”.

"Veramente credo sia della mamma. Stai indietro!” 

Entrambi erano spaventati, il rumore di passi era ormai inequivocabile.

Lapis armò la pistola e parlò alla sorella con voce grave:

“Adesso sparo."

Non stava mica giocando; lo scricchiolio proseguì e il ragazzo premette il grilletto.

Il proiettile fendette la nebbia e si perse lontano, senza colpire niente.

“Ho paura, gli sbirri…” Lazuli nascose il viso fra i capelli di Lapis, le unghie piantate nel suo braccio.

Quando i vaghissimi contorni di una figura si intravidero lontano nella nebbia, Lazuli chiuse gli occhi e si strinse al fratello, che continuò a sparare senza remore. La figura si dissolse.

Lapis, col fiato corto, vide un piccolo oggetto rotolare da chissà dove vicino ai suoi piedi.

 Sembrava una prugna, era di metallo. Il ragazzo la guardò e all’improvviso si spaccò in due, lasciando fuoriuscire un vapore senso.

“Cosa succede?” Lazuli si sporse appena dalle spalle del gemello per guardare.

Questi iniziò a vacillare, indietreggiò di qualche passo e si accasciò riverso fra le sue braccia.

Lei urlò di spavento, senza riuscire a reggere Lapis che crollandole addosso a peso morto la fece cadere a terra: “Lapis? Oh Dio, alzati!”

La ragazza si mise in ginocchio, gridando e chiedendo aiuto. La situazione le stava sfuggendo di mano, si sentiva stanca e debole, stava  perdendo lucidità:

“Non è divertente; lasciatelo stare…ti prego, la polizia! Lapis, svegliati! La mamma…”

Col respiro sempre più corto e affannoso Lazuli scuoteva forte il suo gemello e lottava lei stessa contro un incomprensibile intontimento che la stava facendo addormentare.

Ciondolò in avanti con la testa, sforzandosi di tenere gli occhi aperti.

No,no! Ci hanno presi…la polizia…no” cadde su un fianco sopra a Lapis, mentre tutto intorno a lei sfumava.

 

Li aveva aspettati per tutta la settimana.

Giorni e notti interi passata a tendere l’orecchio ad ogni minimo rumore, a sperare che da un momento all’altro sarebbero entrati da quella porta e le avrebbero detto qualcosa.

Kate passò un'altra notte bianca, fra le lacrime, sul divano, mentre l’alba si avvicinava e la casa rimaneva vuota.

Non voleva nemmeno immaginarsi perché, l’angoscia le impediva di fare qualsiasi cosa.

“Torniamo massimo alle 3” le avevano detto, prima di uscire.  Avevano fatto un incidente con la macchina? Si erano fermati a casa di qualcuno senza avvertirla?

Si, dev’essere andata così” si era detta Kate “hanno tutti i loro giri”.

Così per altri quattro giorni.

Alla quinta notte insonne, Kate aveva preso in mano il telefono e aveva composto il numero.

Parlo con la polizia?”

Sì, mi dica signora”.

Devo denunciare una scomparsa. I miei figli”

 

Carly continuava a chiamare Lapis sul suo cellulare, ma da quattro giorni non trovava che la segreteria.

Era avvilita e preoccupata: perché lui non l’aveva più chiamata?

Non solo non l’aveva più visto da quando l’aveva accompagnata a casa la sera della festa, ma non le aveva nemmeno scritto un paio di righe.

Mi sta scaricando?” pensava, sempre più frequentemente e sempre più afflitta “eppure non è da lui!”

I suoi sospetti erano crollati quando aveva ricevuto a casa la telefonata di Kate. Erano crollati per fare spazio ad una paura indefinibile: nemmeno Kate lo vedeva più da quattro giorni, né lui né Lazuli.

Carly si struggeva, doveva essere successo qualcosa di grave: il suo Lapis non si sarebbe mai nascosto da Kate, lei lo sapeva, lo conosceva.

Perché sentiva che era in pericolo? Che c’era in ballo qualcosa di grave che gliel’avrebbe portato via?

 

 

“Ah! I gemelli” il poliziotto distese la faccia in un sorriso “i gangster. Certo che li ho presenti”.

Kate non avrebbe saputo a chi altro rivolgersi, visto come stavano le cose.

Sapeva benissimo che i rapporti fra i suoi figli e le forze dell’ordine non erano dei migliori, ma che fare? Non poteva certo mettersi a cercarli da sola.

“Da quanto sono spariti?”

“Oggi è l'ottavo giorno”.

Kate raccontò che la sera della presunta scomparsa erano usciti prendendo la sua auto ed erano andati a Central City. Lei era rimasta alzata ad aspettarli ma non erano ritornati.

“Sicura che non le stiano giocando qualche scherzo? Quei due sono tremendi, sa?”

Come no.

Un’altra poliziotta era entrata in quel momento:

“Cosa succede?” chiese al collega, guardando preoccupata Kate.

“Ci sono spariti i teppisti gemelli”.

La donna spalancò gli occhi: “Quelli del treno?”

“Sicuramente loro” le rispose il poliziotto “non lo sa, signora?”

Kate lo guardò perplessa.

“I suoi gentili fanciulli hanno dato fuoco a un treno poco tempo fa” tagliò corto la poliziotta.

“Un treno” mormorò Kate, prendendosi il viso fra le mani.

I poliziotti avevano iniziato le ricerche e avevano trovato l’auto di Kate in un campo, lungo la strada che portava a un capannone dove, effettivamente, gli adolescenti della zona organizzavano rave e vendite di sostanze poco ortodosse.

L’auto era lì, sbilanciata dentro il campo, la radio accesa, le portiere aperte.

Ma dei gemelli nemmeno l’ombra. Non avevano lasciato nemmeno un indizio, una traccia.

Il detective aveva comunicato a Kate e ai poliziotti che l’incidente non era stato grave, l’auto era in ottime condizioni e non erano state trovate tracce di sangue. Le ricerche effettuate nell’area circostante non avevano scoperto cadaveri né tracce di un omicidio.

Per quanto squallida fosse quella situazione, Kate si sentì minimamente sollevata.

“Mi viene da pensare che si siano allontanati dall’auto e possano essere stati rapiti. Il come non mi e’ ancora chiaro, e’ solo un’ipotesi. Dobbiamo sperare che siano vivi.”

“Guardate qui!”

Un agente si avvicinò a Kate e al gruppo di poliziotti, radunati vicino alla jeep. In mano teneva una specie di piccola bomba a mano; era aperta esattamente a metà, la forma era quella di un piccolo pallone da rugby.

Era fatta di metallo ed era vuota all’interno:

“Non capisco…detective, venga a  vedere un attimo”.

L’uomo mise l’oggetto sospetto sotto gli occhi del detective.

“Un bossolo?” Kate si accostò ai due e sbirciò fra le mani dell’agente.

“No, è troppo grande. E poi come si spiegherebbe l’apertura?” il detective lo prese e lo scrutò, lo soppesò con la mano, lo annusò.

“Sembrerebbe un ordigno esplosivo: ma all’interno è completamente vuoto e l’apertura è troppo regolare per essere stata causata da un’esplosione”.

Nessuno si era accorto della minuscola telecamera che, posta appena sotto un lembo metallico della spaccatura, osservava dettagliatamente ogni loro movimento.

 

 

 

Una luce fortissima dritta negli occhi appena appena aperti. Freddo, odore di ospedale, una sagoma china e sfocata che osserva.

Sono morta; abbiamo fatto un incidente. Sto morendo? La polizia mi ha maltrattata…”

Lazuli provò a muoversi, ma sentì il corpo pesante come pietra che non rispondeva ai suoi comandi, come se le avessero staccato la testa. Sentiva rumori acuti e stridii, voleva parlare ma dalla sua bocca uscivano solo suoni inarticolati. Spalancò un attimo gli occhi in un tentativo disperato, prima che la testa le girasse così forte da costringerla a rimettersi supina; e allora si addormentò di nuovo.

 

La prima cosa che Lapis vide, non appena si svegliò, fu un tubo pieno di sangue che si immetteva nel suo collo e un altro, in cui scorreva vorticosamente un liquido trasparente, che gli bucava il torace.

Quella visuale spazzò via i resti dello stordimento che ancora gli annebbiavano la vista.

Sgomento,  puntò i gomiti e si alzò: sembrava una sala operatoria, lui era completamente nudo, dolorante, disteso su un lettino.

La stanza era piena di macchinari che sembravano grossi computer.

Ma che diavolo…”

Guardò alla sua destra e alla sua sinistra e scorse recipienti di vetro e di ghisa, ognuno contrassegnato da una scritta stampata.

Uno era quello a cui era collegata l’altra estremità di uno dei due tubi, ma non seppe distinguere quale.

Ma dove sono?” 

Lapis fece per guardarsi alle spalle ma urlò e si premette forte il petto: quel tubo trasparente faceva terribilmente male.

“Laz?” chiamò, lasciandosi cadere all’indietro. Sentì un rumore, come di gradini scesi, e si volse da quella parte.

 “Dormi, ora; dormi che ti fa bene.”

Vide una specie di maschera calare dall’alto e cadergli sul viso: farfugliò qualcosa, poi si lasciò trasportare nell’oceano profondissimo di un sonno senza sogni.

 

Mi manchi. Torna da me.

Non so cosa sia successo, ma sappi che io sarò sempre l’appiglio a cui tu potrai aggrapparti.

Buonanotte amore mio. Ti amo.

Carly sospirava mentre scriveva il messaggio, sapeva che nessuno l’avrebbe mai letto.

 Premette invio e si appoggiò alla finestra della sua stanza. La neve era già caduta da un giorno, ormai l'anno era quasi finito.

Seduta sul davanzale interno, raggomitolata sotto una copertina, beveva una tazza di cioccolata. La notte di metà dicembre le pareva insopportabile nella sua calma ovattata: era quasi un mese che Lapis e Lazuli si erano dissolti nel nulla, quasi un mese che Kate accompagnava senza requie i detective nella loro ricerca, vivendo costantemente nell’ansia che un giorno li trovassero morti.

Anche lei stava iniziando a pensarci. E ogni notte piangeva.

Aveva sempre pensato che Lapis fosse quel tipo di ragazzo decisamente fuori dalla sua portata.

Lei, Carly, la più timida fra il suo gruppo di amiche, la più inesperta, la meno popolare: era ancora così a sedici anni, quando l'aveva incontrato.

Si ricordava che quel giorno era molto triste e non aveva molta voglia di scendere a dare una mano nel negozio di suo padre:

Siamo a corto di personale perché alcuni si sono ammalati, quindi dovrai aiutarmi coi clienti fino a nuovo ordine.”

Si ricordava benissimo che stava ammazzando il tempo osservando qualche modello esposto nello showroom, quando suo padre le aveva lasciato in tutta fretta un cliente da servire:

Pensaci tu al ragazzo, fagli vedere un po’ di modelli da giovani, nuovi e usati. Trattalo bene, mi raccomando!”

Il ragazzo in questione era piombato sfacciatamente nella sua vita con uno sguardo acuto e convinto.

Uno sguardo che aveva bruciato il suo cuore in un colpo solo; una ghiacciata improvvisa.

Gli aveva mostrato con fatica tutti i modelli che avrebbero potuto interessargli, poi lui se ne era andato senza nemmeno ringraziarla. I giorni erano trascorsi e, contrariamente alle sue aspettative, con la scusa della macchina il ragazzo era tornato in negozio e avevano iniziato a parlare.

Si chiamava Lapis e aveva quindici anni. Carly non aveva mai visto due occhi così.

 

 Così, ogni volta che in quei due anni aveva ripensato ai loro primi incontri, le erano riaffiorati alla mente tutti i sospiri, tutti i dubbi, tutti i pensieri:

Lui è troppo per me; non mi vorrà mai.”

Era uno dei pochi ragazzi che parlavano e anche tanto; a volte era un po’ pieno di sé.

Parlava volentieri e le diceva spesso quanto fosse stato grato alla sorte per aver messo Carly sulla sua strada e lei pensava la stessa cosa. Con lui era cambiata, era cresciuta: a furia di sentirlo ripetere quanto trovasse belli il suo viso e il suo corpo, che per lei era sempre troppo abbondante, aveva finito per convincersene anche lei e ormai non era più la ragazzina insicura di prima.

“Ma perché mi deve tornare tutto in mente?” si disse, guardando i lampioni che fendevano l’oscurità fuori dalla finestra.

All'improvviso le tornò un ricordo che le fece stringere il cuore.

Si ricordò del loro primo vero appuntamento, una settimana dopo l'incontro in concessionaria.

 

Lei era seduta nel giardino interno del liceo e sbocconcellava qualcosa; non aveva avuto tempo di andare a pranzo, l'indomani avrebbe avuto una verifica e doveva ancora studiare due lunghi capitoli di storia.

Però era lì a guardare per aria, non riuscendo a fare a meno di pensare a distrazioni varie.

"Yo."

Carly si era girata di scatto e aveva visto gli occhi che le facevano tremare le gambe, sì e no a un metro dai suoi.

"Ehi, Lapis."

Ecco, esattamente distrazioni di quel tipo.

Istintivamente si era lisciata la maglia e ravviata i capelli, nel frattempo lasciando goffamente cadere il libro.

Lui glielo aveva restituito con un sorriso sincero. Era la prima volta che Carly l’aveva visto sorridere: vide che aveva i canini leggermente inclinati, disallineati.

A lei sembrava che introducessero un po' di asimmetria che staccava con il resto del suo viso, ma senza stonare. Anzi, pensava che gli aggiungessero valore.

"Cosa fai qui?"

"...Vado a scuola?"

Carly non sapeva che anche lui frequentasse lo stesso liceo; le disse che di solito non veniva mai da quel lato.

"Come mai sei venuto allora?"

"Per chiederti se vuoi fare un giro con me."

Con lei? Diceva sul serio?

Mano nella mano con Lapis, quella volta Carly non aveva ripassato storia e non le era importato.

Era stato durante quel pomeriggio che si erano dati il primo bacio. Carly si era aspettata che lui sarebbe stato irruento, materiale. Era quella l’impressione che le dava: nonostante l’ancora presente scia della fanciullezza smussasse i suoi spigoli e arrotondasse le sue linee, Lapis non aveva un tipo di bellezza dolce e gentile. E poi il suo modo di essere era vivace e irriverente, il suo viso aveva un’espressione maliziosa, per cui Carly fu sorpresa dalla straordinaria delicatezza di cui invece lui le fece prova.

L’aveva baciata tenendola vicino al proprio corpo, con le mani nei suoi capelli, in un modo che voleva comunicarle la presenza della sua passione e anche l’assenza di fretta.

Carly aveva adorato baciare Lapis.

Ignorava se fosse perche’ era la prima volta che le succedeva, o se era perche’ si era presa davvero una brutta cotta per quel ragazzaccio dai lunghi capelli neri; avrebbe potuto baciarlo tutto il giorno.

"Guarda che se vuoi dartela a gambe, fallo prima di continuare con me."

Era sicura di quello che lei provava, ma pensava alle parole delle sue amiche, che di ragazzi se ne intendevano e che non facevano che dire che in generale volevano solo portarsi a letto una ragazza, per questo la corteggiavano:

"Se vuoi solo venire a letto con me, lascia perdere."

Aveva trovato il coraggio di essere schietta, ma pronunciando quelle parole aveva sentito una specie di formicolio lì, sotto il vestito. Un momento, Carly voleva?

"Perchè darmela a gambe? Non sto più nella pelle di fare l'amore con te."

Il formicolio si era intensificato e Carly aveva inziato a sudare.

Voleva saltargli addosso, ma si era trattenuta.

Forse era abituato così, per lui le tipe andavano e venivano?

Carly quasi non aveva creduto alle sue orecchie: "Wow, e me lo dici cosi’, senza peli sulla lingua. Cosa significa, una botta e via?"

Lui sembrava offeso, l'aveva guardata con una specie di broncio divertito:

"Eh no, Carly; voglio farlo con te molte, molte volte."

 

Era stanca e voleva dormire, ma non riusciva.

Fece per entrare nel letto, lo scrutava con le braccia incrociate e gli occhi colmi di lacrime; la nostalgia fu cosi’ forte che Carly si volto’ di scatto e rimase bloccata, pensando a quante volte ci aveva fatto l’amore in quel letto.

   
 
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