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Autore: Kastel    04/03/2020    0 recensioni
Ovvero, il percorso di Akashi e Kuroko che faranno insieme, tra insegnamenti vecchi e scoperte nuove.
Perché non è solo il passato, quello che conta.
E che spirito, si poteva osservare! Non solo così vanitoso da abbellirsi di kimoni di primissima qualità, ma anche così sottilmente furbo nel comprendere che basta l'etichetta per poter dimostrare la propria potenza! Così dannatamente attaccato ai giovani da rendere le vite di due di loro un mezzo inferno!
Né Akashi né Kuroko potevano comprendere, prima del loro incontro che è il punto di partenza di questa storia, quanti e quali danni avessero fatto due donne troppo simili nell'essere state cresciute come portatrici di una tradizione ferrea.

[Coppia: AkaKuro]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Seijuro Akashi, Tetsuya Kuroko, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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La stanchezza lo colpì come un macigno. Distrutto, perso.
Aprì gli occhi infastidito da una luce incessante, che gli faceva pulsare le palpebre.
Era domenica, quella successiva alle partite.
Era quasi mezzogiorno.
Si stiracchiò, prendendosi il tempo per riordinare i pensieri e le sensazioni che percepiva.
Stanchezza, senza alcun dubbio. Due partite in una sola giornata avevano spezzato le sue energie.
Sonno, malefico compagno che non lo lasciava smettere di sbadigliare.
Nausea, che… Nausea?
Spalancò gli occhi, coprendosi la bocca con la mano. Scostò le coperte di lato, lanciandosi nel bagno il più velocemente possibile. Una volta arrivato ci lasciò anche l’anima, nel gabinetto.
Gli occhi rossi lacrimavano dalla fatica, l’aria scappava via lontana. Alzò il viso, guardandosi allo specchio. O forse era meglio di no. Sospirò lavandosi il viso, facendo in modo di tornare presentabile, se non per altri almeno per sé.
Tornò in camera, mettendosi a sedere sul letto. Rimase a fissare il soffitto per qualche istante, perso nel decidere se tornare a dormire o mettersi a preparare un pranzo leggero che il suono del telefono lo distrasse, facendogli allungare il braccio e prendere il cellulare per capire chi lo cercava.


Ciao Akashi-kun,
Mi dispiace disturbarti in questa domenica di riposo. Sono Kuroko. Mi domandavo se ti andava di farti offrire qualcosa per il disturbo arrecato in questi mesi.
Un saluto.

Kuroko

 

Akashi lesse il messaggio più volte, poi lanciò il telefono sul letto, sdraiandosi ad osservare il sole che illuminava la stanza in stile occidentale. Strano, per una casa in cui si respirava solo tradizione trovare un luogo simile, ma non aveva avuto scelta. Era stato il padre a decidere che il figlio avesse bisogno di un letto più comodo di un futon. Fosse stato per lui si sarebbe accontentato del letto basso tipicamente giapponese, ma non c’era stato verso di far cambiare idea al padre.
Si alzò e andò verso l’armadio, aprendo l’anta principale. C’erano i suoi vestiti dentro e lui prese una camicia e un paio di pantaloni, osservando come combinassero assieme. Si fermò poi, aprendo un poco la bocca.
Lui… si stava facendo bello per Kuroko?
Impossibile, disse la voce dentro di lui. Non pensarci neanche, piuttosto vai in divisa.
Eppure, nonostante il tono severo, prese a rovistare nell’armadio.
Sì, stava facendo esattamente quella cosa frivola che si fa quando si esce con qualcuno.
Provare i vestiti.
Se da una parte voleva apparire normale, per quanto possibile, non voleva nemmeno sembrare sciatto. O che Kuroko non meritasse un vestirsi decente. No, si disse, meglio maglietta e pantaloni, così, semplice. Oppure la camicia…? Non sapeva proprio scegliere.
Una smorfia contrita si disegnò sul suo volto mentre la camicia veniva lanciata per terra. Meglio la maglietta, si disse. Sì, ma quale…? Dannazione a suo padre che insistesse avesse così tanti abiti!
Alla fine, esasperato, scelse una maglietta nera, semplice. E un cappellino da baseball.
Si guardò allo specchio, facendo un piccolo, timido sorriso.
Sì, così era perfetto.

 

“Akashi-kun!”
Il ragazzo stava guardando l’ora quando sentì la voce di Kuroko chiamarlo. Si girò verso di lui, muovendo la mano in segno di saluto.
“Scusami, aspetti da tanto?”, chiese Kuroko ed Akashi scosse la testa, sorridendogli.
“Vogliamo andare?”, disse mentre s’incamminavano verso una pasticceria tradizionale, dove Kuroko avrebbe offerto ad Akashi quello che voleva.
Si sedettero fuori: era una splendida giornata di sole e solo qualche nuvola passeggera sporcava il cielo. Kuroko sorrise ad Akashi nel suo modo che il ragazzo dai capelli rossi riteneva impacciato ma per nulla scontato. Un vero sorriso, insomma.
“Prendi pure quello che desideri. Ho appena ricevuto la paghetta!”
“Non preoccuparti, prenderò solo una bibita.”
Kuroko lo guardò negli occhi. Aveva notato che Akashi era leggermente pallido, ma non pensava stesse male. Come avrei potuto immaginarlo?, si disse, Del resto Akashi è così, un mistero.
Akashi sostenne lo sguardo per un poco, poi il rumore dei passi di persone che uscivano dal locale lo distrasse e Kuroko ne approfittò per abbassare il viso e contrarsi sul menù, prima che Akashi si accorgesse che provava disagio nel mantenere il contatto visivo. Il ragazzo era anche così: qualcosa che disturbava la sua quiete e tranquillità. Non sarebbe stato un pomeriggio facile.

 

“Dunque pensi sia solo merito mio per i risultati che hai ottenuto?”
Kuroko smise di degustare il dolce che aveva preso per concentrarsi su Akashi. La domanda l’aveva spiazzato. Appoggiò il cucchiaino sul piattino che accompagnava la pietanza per poi distogliere lo sguardo, non per imbarazzo bensì per riunire le idee.
“Non lo so. Tu cosa dici?”, Kuroko puntò gli occhi su quelli di Akashi, puro tramonto, che aveva preso a tormentare la cannuccia di metallo che accompagnava la sua bibita.
“Molto furbo rigirarmi la domanda. Lascia che ti spieghi, allora”, Akashi chiuse un momento gli occhi, solo per poi lasciarli posarsi sul viso di Kuroko, che sostenne lo sguardo.
“Sarebbe facile risponderti che sei una mia creatura. Sarebbe lusingante per me, ma non veritiero”, abbassò gli occhi, fissando il bicchiere oramai mezzo vuoto. Prese la cannuccia tra l’indice e il pollice, girando la bevanda con fare calmo e composto. Kuroko osservò il gesto elegante e privo di sbavature. Persino in un’azione così semplice Akashi sapeva farsi riconoscere.
“La verità è che ti ho solo dato una spinta. Avrebbe potuto farlo chiunque, alla fine. Hai compreso tu cosa fare e come agire nel migliore dei modi. È stato ciò che ti ha portato al successo. Il tuo impegno, la tua dedizione: sono qualità importanti, non scordartelo mai.”
Kuroko lo guardò stupito, preso in contropiede. Akashi era un ragazzo onesto, lo sapeva, non avrebbe mai mentito su qualcosa del genere.
“Quindi tu pensi che io sia così, Akashi-kun?”, disse Kuroko e Akashi annuì.
“Lo credo davvero”, rispose solo, mostrando un piccolo sorriso e Kuroko non poté fare a meno di arrossire un poco, sperando che non si notasse troppo. Il bocciolo che era quel sorriso… Kuroko non l’avrebbe mai dimenticato, nonostante tutto.
Akashi chiuse gli occhi e tornò serio, finendo di bere. Kuroko non riuscì più a toccare il suo dolce, lo stomaco contratto in un dolore piacevole. Cosa gli stava succedendo…?
“Non mangi?”, la voce di Akashi risuonò nella sua mente e Kuroko trattenne il respiro, come se gli avessero gettato un secchio d’acqua addosso e voleva solo poter rispondere ma aveva la lingua incollata al palato così secca così dura.
“Sì… Scusami, Akashi-kun”, alla fine la voce arrivò alle corde vocali, dando forma a una risposta. Akashi lo guardò senza dire niente, limitandosi a seguire i suoi gesti con gli occhi, soffermandosi sulle labbra sottili, che s’increspavano ogni volta che il cucchiaino le raggiungeva; gli occhi azzurri che seguivano i movimenti delle dita sottili e delicate, che però sapevano lanciare un pallone da basket dall’altra parte del campo; i capelli; i denti; le orecchie; tutto.
Cos’è, ci stiamo innamorando?, Akashi in tutta risposta allungò le mani e strozzò quel collo così minuto così sottile così tuoahahahahahstaiammazzandotestessoAKASHI!”, la voce di Kuroko risuonò alta e preoccupata e Akashi non poté fare a meno di svegliarsi da quella visione che sapeva di incubo. Un dolore sottile accompagnò la realtà e Akashi guardò la sua mano: pezzi di vetro erano sparsi intorno al suo pugno. Aprì a fatica la mano, trovandola tagliata.
“Akashi-kun! Cos’è successo?”, in tutta risposta il ragazzo scosse la mano dolorante, raccogliendo i pezzi creando una piccola montagnetta.
“Nulla. Ho stretto troppo il bicchiere senza volerlo. Non preoccuparti, Kuroko”, fu la risposta di Akashi, che si alzò.
“Scusami, devo andare. Ci vediamo domani, Kuroko”, e prima che Kuroko potesse fermarlo Akashi era già scappato via, sporcando la strada di gocce di sangue.

 

“Davvero ha fatto ciò? Che strano ragazzo.”
Kuroko aveva raccontato tutto alla nonna una volta tornato a casa. La donna l’aveva ascoltato, ridendo al piccolo incidente accorso ad Akashi.
“Non lo trovo molto divertente...”, ribatté Kuroko e la nonna smise. Nella stanza scese il silenzio, rotto solo dal ticchettio dell’orologio sul comodino vicino al letto.
“Tetsuya… Perché ti preoccupi tanto?”
Kuroko tenne lo sguardo basso, incapace di rispondere. Già, perché?
“Non mi dirai che...”
“NO!”, urlò con veemenza Kuroko, sapendo già dove voleva andare a parare la donna. “No! È… un amico, per quello mi preoccupo così.” Amico… una parola di un certo peso. La nonna, però, non poteva sapere quanto pesasse al nipote tale termine.
“Meno male, Tetsuya. Lo sai, vero, che dovrai sposare una brava figliola, possibilmente di una famiglia che pratica il Nō?”
Kuroko si limitò a fissare per terra, annuendo con poco entusiasmo.
“Sì, nonna.”


Fa male, eh?
Akashi, nel frattempo, era tornato a casa e si stava bendando la mano ferita. Sarebbe potuto andare in pronto soccorso ma non voleva suo padre lo sapesse.
Come se a lui gliene importasse qualcosa di te. Sono io che gli interesso, no? Come la mamma…
Zittostaizittotiodiosparisci
A nessuno importa di te!
Akashi si coprì le orecchie con le mani, sentendosi male. Voleva vomitare, voleva…
Akashi!
Akashi.
Kuroko l’aveva chiamato, quel pomeriggio. Senza il kun. Senza onorificenza varia ed eventuale. Solo il suo cognome. Solo quello.
Sospirò, prendendo fiato. Poi andò in bagno, guardandosi allo specchio.
Occhi dorati l’osservavano.
Un pugno li dissolse.

 

 

 

Note

È una follia, lo so.
Riprendere questa long dopo ben sette anni di pausa è una follia. Non so neanche qual era l’idea originale tra un po’! Però voglio provarci, voglio vedere fin dove arrivo.
Questo capito è stato scritto dopo sette anni dall’ultimo pubblicato. Non è il capitolo che doveva seguire teoricamente l’ottavo, ma un nuovo inizio.
Ho eliminato Mishima. Perché? Non mi rappresenta più oramai. Anche la mia scrittura, credo, sia cambiata. Spero solo di non essere andata troppo OOC. Ditemi voi.
Un saluto da Kastel.

   
 
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