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Autore: AmyJane    06/03/2020    1 recensioni
Questa storia parla del bianco, del nero e di tutto quello che sta al centro. Conviviamo con mille sfumature e oramai sappiamo che non esiste la purezza. Sappiamo che il buio non è eterno e che tutto incontra i cambiamenti. Nero e bianco coesistono. Si contrastano ma senza mai negarsi, accettando la consapevolezza di non poter esistere senza il proprio opposto. Si completano e quasi finiscono con l'essere solo una delle tante sfaccettature dell'altro. Un po' come i diamanti che, nella loro infrangibile purezza, si rivelano essere solo una versione del carbone. Il nero è l'assenza di colore, il bianco l'unione di ognuno. Eppure niente e tutto alla fine sono molto simili, quasi la medesima cosa. Lo Yin contiene in sé lo Yang e lo Yang fa altrettanto.Sherlock è nero quanto una minacciata ombra ma ha un cuore puro quanto il diamante. Ha scelto di mostrarlo piano piano e di lasciarlo luccicare per contrastare la propria oscurità. Gwendolyn, al contrario, ha scelto la luce per accecare gli altri e mascherare un cuore color carbone. Gli opposti si attraggono per poi lottare senza mai né morire né trionfare. Si cede solo a un fragile compromesso.
Genere: Malinconico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tempesta in arrivo

Londra, Baker Street.

«Segnaliamo un ulteriore calo delle temperature. Violente precipitazioni si abbatteranno su Londra, sull'Essex e su parte dell'Herfordshire. L'allerta meteo avrà inizio dalle diciannove, e si concluderà solo nel primo pomeriggio di domani. Consigliamo di rientrare nelle proprie abitazioni entro i tempi appena indicati. Questo è tutto!»

Il tono squillante della presentatrice del meteo risuonò all'interno di una comune caffetteria nei pressi di Blandford Street, proprio nel centrale quartiere di Marylebone.

John Hamish Watson si era accomodato lì, presso un piccolo tavolo posto dinnanzi a un enorme lastra trasparente, perfetta nell'incorniciare un panorama alquanto plumbeo. Sui tipici edifici della Londra turistica grandeggiavano nubi cupe, dense; nembi gonfi d'acqua e di fulmini.

Sta cominciando...

Il medico osservò il cielo nefasto con sguardo imperterrito, sfiorando con i polpastrelli una tazza di tè tiepido. Con rapidità gettò un'occhiata all'orologio legato al polso, per poi bere l'ultima amara sorsata. Infine, prese le buste della spesa accuratamente poggiate accanto alla sedia, pagò il conto e si diresse all'uscita con fare ancora sereno.

Fuori, tuttavia, lo colpirono delle impetuose raffiche, soffi che lo costrinsero a stringere con maggiore forza i lembi dell'impermeabile. L'assordante suono della corrente e i lampi di luce gli imposero di percorrere a passo svelto i pochi metri di strada necessari a raggiungere casa. Le scarpe batterono sul marciapiede, ma quando l'ex soldato finalmente arrivò al 221 B, fu così ostacolato dal peso delle buste penzolanti e dalle palpebre trafitte dai sibili d'aria, che quasi non riuscì a inserire la chiave dentro la toppa. E persino quando la spinse all'interno dell'apposito spazio, sentì il metallo incespicare al primo giro.

«Dannazione!» sussurrò a denti stretti, per poi ritentare ancora e ancora.

Fu proprio in quell'istante che le prime gocce caddero sulla strada deserta, inaugurando il primo rovescio della serata.

«Dannazione!» ripeté l'uomo con più aggressività. «SHERLOCK!» Sbatté con irruenza il pugno sulla porta, sperando di far udire la sua voce. «MRS. HUDSON!»

I molesti rumori dell'imminente tempesta, tuttavia, ingoiarono ogni sua parola, intimandogli di premere quel pezzo di metallo all'interno della toppa per meglio forzarla con un energica e continua spinta. Il materiale intorno all'impugnatura si spezzò e parte della struttura interna alla serratura sembrò stridere a causa di una frantumazione.

Irritato, John cacciò un sospiro dalla bocca e aprì la porta cigolante. Una volta all'interno, trascinò la poltrona di Mrs. Hudson per tutto l'ingresso, cercando di ben bloccare la porta principale. Con forza spinse contro il legno e subito dopo pregò affinché quella momentanea sistemazione resistesse. L'istante dopo, le sue gambe salirono le scale, dirigendosi al piano superiore. Lì, l'intensa melodia di uno strumento, gradualmente, sovrastò il fragore della pioggia.

Quando il medico entrò nell'appartamento, vide lo scuro profilo di un uomo alto e slanciato contrastare la luce emessa dalle fiamme zampillanti del camino. William Sherlock Scott Holmes era dedito a far scivolare con delicata agilità l'archetto sulle corde del violino, così articolando tutte le distese note della Lacrimosa di Mozart. [1]

«La riparerai quanto prima, spero.»

D'un tratto la musica cessò e due iridi fredde puntarono John con attenzione. Il medico lasciò ricadere i sacchetti e quasi istintivamente posò lo sguardo sull'evidente arrossamento stampato sul proprio palmo destro, ospitante il marchio del recente avvenimento.

«Be'...»

«Non è per quello», lo interruppe Sherlock, per poi volgere gli occhi altrove e ricominciare il brano da dove era rimasto interrotto. «Ho solo sentito quel gran baccano al piano di sotto.»

«Quindi tu...» John cercò di ribattere, ma il suo tono risultò represso. «Niente!»

Tenne le labbra serrate, scuotendo piano la testa e scrollò l'impermeabile bagnato, per poi riporlo accanto alla cucina. Infine, andò a riporre tutto ciò che era stato acquistato.

Si fecero le ventidue, la pioggia divenne sempre più scrosciante e il cielo come non mai vomitò un'interminabile serie di saette e lampi. Quella brutale perturbazione sembrava essere l'unica cosa capace di tenere Sherlock, almeno per poco, lontano dai suoi intricati casi.

Il maltempo lo aveva costretto a ripiegare il tempo giocando con il ritaglio di un tronco encefalico, un ampio contenitore con della formaldeide, un bisturi e un telescopio.

«Cristo, Sherlock!» John fece il suo ingresso in cucina.

«Non deconcentrarmi, isolare il locus ceruleus può essere un processo molto insidioso.»

«Noi ci mangiamo lì sopra», lo ammonì il collega.

«Il Bart's è troppo lontano e il maltempo non mi consentirebbe alcuno spostamento. Tecnicamente non esiste migliore luogo di questa cucina per una dissezione.»

Il tono aggressivo e un leggero gonfiore della carotide sul collo del riccioluto fecero desistere John che, allontanandosi, cominciò a farfugliare tra sé e sé come al solito.

«Sempre il solito bambino!»

Il medico si sedette sulla poltrona e prese il Daily Mail accuratamente ripiegato sul tavolino, per rileggerlo con sollecitudine. Suo malgrado, non scovò niente di nuovo, nessuna notizia di considerevole importanza, nessun omicidio, né casi particolari o degni di poca attenzione.

Proprio a causa di ciò, emise un leggero rantolio ricco di disappunto: l'ultima settimana era stata considerata poco proficua. Tutti i possibili criminali del Regno Unito forse si erano presi le ferie natalizie, così eliminando qualsiasi misfatto dai duecentomila chilometri quadrati dell'intera nazione.

John osservò la scatola di cerotti alla nicotina poggiata sulla poltrona posta accanto, ben constatando che il cartoncino era spoglio del contenuto.

Tre giorni. Li ho comprati solo tre giorni fa!

Tirò allora l'ennesimo sospiro di giornata e, preso da altri pensieri, comprese che non avrebbe dovuto essere così rigido nei confronti di un caro amico, del suo migliore amico.

«Sherlock?» Dalla cucina nessuna risposta, ma John ben sapeva che lui stava già prestando orecchio. «Forse sono st–»

Una scarica di folgorante luce sembrò inghiottirli assieme a tutta Baker Street e il boato che seguì fu indescrivibile: una cacofonia talmente brutale da far tremare i vetri delle ampie finestre che, dopo qualche secondo, riuscirono a contornare solo il buio totale. Ogni lampione, ogni singola luce ospitata dalla capitale, morì istantaneamente, lasciando della pioggia battente nient'altro che il penetrante scroscio.

«John? Hai sentito?»

«Sì, Sherlock. Tutta Londra l'ha sentito. Un momento, vado a prendere la torcia. Dovrebbe es–»

«Non mi riferivo al lampo, John» aggiunse il detective, caricando le proprie parole d'ovvietà.

«Di che cosa stai parlando?»

Una flebile luce irradiò il salotto.

«Quello è un otoscopio?» chiese John, analizzando il collega, flebilmente illuminato da un raggio argenteo, quello di un utensile sanitario. «A cosa ti serve un otoscopio?»

«Non è importante al momento.»

Il bruno s'avvicinò alla porta d'ingresso. Il suo sguardo si fece concentrato e un sorriso quasi impercettibile fece capolino all'angolo della bocca carnosa.

«Abbiamo un cliente» aggiunse.

«Cosa?»

«Il forte scricchiolio del legno dopo il boato.»

«Forse la porta rotta, Sherlock.»

«È esatto.»

Sherlock cinse la maniglia e rapido tirò il legno. Un secondo lampo fece irruzione e con il suo accecante folgore delineò una sagoma dalle evidenti sembianze femminili. Quando anche la luce dell'otoscopio raggiunse la donna, fu più semplice cogliere dei tratti consumati, bagnati dalla tempesta. Del sangue scuro e secco, inoltre, si era depositato sui candidi abiti incolore.

Holmes acuì la vista e squadrò la sua ospite cercando di captare tutte le informazioni necessarie. Dopo diversi secondi, sul suo viso si stampò un'espressione di pura curiosità.

«Missus? Miss?»

John sentì ogni possibile pensiero sfuggirgli dalla mente, dal momento che era accanto a una giovane ferita e probabilmente reduce da una qualche violenza. L'esperienza medica e militare gli comandarono di accoglierla, controllare il suo stato di salute e farla rimanere al sicuro per tutta la durata della perturbazione.

«Venga dentro!»

La sconosciuta non diede alcuna risposta, ma si limitò a mantenere un piglio incredibilmente freddo e talmente assente da incutere non poca inquietudine.

«Inutile parlare a questa donna, John!»

«Sherlock, è ferita!»

«E non penso che lei ne sia consapevole.»

«Che intendi?»

L'ex soldato si fece prossimo alla ragazza, cercando d'introdurre un contatto visivo. In seguito, ripeté: «Miss, la prego di entrare!»

«Te l'ho detto, lei non è qui» ripeté il detective.

Istantaneamente, i neuroni di John s'attivarono e accesero i ricordi di un manuale accademico, soffermandosi sul linguaggio tecnico del suo primo volume di medicina psichiatrica. Quello sguardo inconsistente, quella postura così rigida, così controllata, quei sintomi.

«Uno stato ipnotico...»

«Proprio così.»

La ragazza divenne pian piano più ansimante e attirò così l'attenzione dei presenti.

«Per favore...» Un suono dolce e flebile quanto un miagolio uscì dalle sue labbra secche e consumate.

Bastò solo un momento e la donna cedette a ogni forza e fece per stramazzare a terra. John, però, afferrò prontamente il suo corpo freddo e intriso d'acqua, per poi poggiarlo con delicatezza al suolo. Infine, rivolse il volto a Sherlock, sempre più intrigato dalla situazione, e chiese:

«E adesso?»

«E adesso risolviamo il caso!»

Un leggero schiocco e la luce tornò a illuminare tutta Baker Street.

2.

Londra, Scotland Yard.

La mattina seguente, quell'irrefrenabile temporale sembrò voler dare una tregua. Un solco di pura luce sembrò fendere quella massa informe di nuvole così scure da sembrare ovatta sporca. Persino l'atmosfera si fece più tenue e le strade, seppur ancora ombrose e umide, ritornarono a ospitare l'interminabile flusso di turisti e cittadini. I negozi riaprirono e i tipici suoni urbani, la confusione e quell'usuale chiacchiericcio gradualmente rianimarono ogni piazza e ogni remoto angolo dei quartieri. Quel giorno, il cuore di Londra riprese lentamente a pulsare e anche Scotland Yard pose fine al suo letargo natalizio.

«Fuga dissociativa» dichiarò Greg Lestrade dinnanzi ai suoi colleghi. «Niente di più, niente di meno.»

Parte dei collaboratori e dei funzionari civili si erano raggruppati all'interno di uno dei numerosi uffici della sede su Broadway e Victoria Street. L'atmosfera sostenuta come non mai indicò l'inizio di una faticosa giornata nella sede principale.

Proprio lì, una bianca luce artificiale colpì un buon cumulo di tante facce fiacche e tra queste inconfondibile apparve quella della sergente Sally Donovan che, con espressione perennemente accigliata, mosse qualche passo in direzione di Lestrade, per poi rivolgersi ai presenti.

«Non c'è mai stata alcuna violenza, nessun abuso. E non ha alcun senso aprire un caso per un banale episodio psichico. La presunta vittima, Gwendolyn Blomst, presentava diversi disturbi mentali da tempo.»

«Da ben sette anni, per l'esattezza» continuò Greg con tono pacato. «Abbiamo fatto qualche ricerca contattando qualche collega di Sheffield e High Bradfield, ed è saltato fuori questo nome: Scarlett Blomst, morta il ventitré gennaio di due anni fa. Nessun omicidio, solo un tragico incidente stradale. La scomparsa della sorella maggiore è stata identificata dagli psichiatri del St. Bartholomew's Hospital come l'evento traumatico scatenante. Il soggetto ha preso congedo dalla sua occupazione per qualche mese dopo questa tragedia. Pensiamo a causa di un peggioramento del suo stato. E giorni fa, c'è stato l'episodio dissociativo. Probabilmente era in pieno stato confusionale ed è caduta, procurandosi un'ampia ferita superficiale all'addome. Questione chiusa, direi.»

«E Sherlock Holmes?»

La voce schietta di uno degli agenti appena reclutati spezzò il silenzio creatasi. L'eco di quella domanda, così ingenua e semplice, riecheggiò più volte nella mente della Donovan, inasprita dalla pronuncia di quel maledetto nome.

«Prego?»

Lestrade spalancò gli occhi e accartocciò la bocca in una smorfia. Non era mai una buona idea fare il nome di Sherlock Holmes al cospetto della sua fidata sergente.

«Perché lì, a casa sua? Cosa ci faceva lei a casa sua?»

«Niente. Te lo assicuro» disse Greg, allarmato.

La sala vuota si era fatta testimone di quell'improvviso litigio. Tra sguardi impacciati e suoni gutturali, entrambi erano rimasero immobili, l'uno di fronte all'altra. Lestrade, in particolare, si sentì alle strette come un minuscolo ratto dinnanzi a un crotalo e perciò s'aggrappò disperatamente alle parole, cercando di sforzare un po' la sua scarsa logica.

«P-Parliamo di una donna che a malapena ricorda il suo nome. Per quanto non ti piaccia ammetterlo, Sherlock ha la sua parte di fama. Il suo nome è stato sui giornali, in tv, il blog. Lei ne avrà sentito parlare. In pieno stato dissociativo si perde coscienza. La gente fugge, senza una meta e senza un motivo. Era confusa e non sapeva dove andare. È stato il caso a portarla al suo indirizzo.»

«Sì certo, magari a prendere un tè. Diamine, so che lui c'entra qualcosa e tu me lo stai nascondendo. Suvvia, non ti sono bastati tutti i problemi che ci ha dato, Greg? Gli permetti ancora d'intromettersi negli affari di Scotland Yard. In ogni nostra indagine...»

«Cosa? No. Nessun problema. Quella donna vive a centottanta miglia di distanza da Londra. Cristo, pensavo avessimo già risolto la questione. La storia finisce qui. Nessuna indagine verrà aperta.»

Il viso mulatto di lei guizzò verso una lunga macchia scura che si era posizionata presso la porta per ascoltare quella conversazione così privata.

«Davvero Greg? Eppure adesso è qui!» La bocca di Sally divenne più amara del fiele. «Nessuna indagine verrò aperta, no? Raccontale a qualcun altro certe stronzate.»

Lestrade girò lo sguardo verso la porta che dava sul corridoio centrale e finalmente lo vide ben avvolto nel suo lungo cappotto nero e con sguardo fisso davanti a sé: Sherlock sembrava lì solo per aspettarlo.

La medesima sagoma riempì di risentimento la sergente Donovan che, sopraffatta dalla situazione, lasciò la stanza a grandi falcate, senza risparmiarsi un'occhiata malevola e qualche infida provocazione nei confronti del nemico.

«Prima o poi lo farai.» Sally si fermò davanti a Sherlock, rizzò la schiena e gonfiò il petto per apparire più forte, proprio come un'insignificante bestiola determinata a confondere inutilmente l'altro per mera autodifesa. «Il passo falso. Sì che lo farai. E io sarò lì, geniaccio. Lo prometto!»

Il detective sostenne incurante quello sguardo astioso per poi guidare il proprio sugli altri minuscoli dettagli intorno al collo della donna. Il tessuto di una sciarpa scura era pervaso da microscopiche macchie beige. Si trattava sicuramente di un liquido corposo, probabilmente un cosmetico di bassa qualità. Un lieve profumo d'aloe circondava la pelle ramata.

Crema lenitiva, sciarpa, correttore...

Trarre le conclusioni fu terribilmente semplice.

«Fino ad allora spero ti terrai occupata con insulsi casi di rapina a Redbridge. E se ti annoierai, Philip Anderson sa già come tenerti compagnia.»

Sally lo rimbeccò con un tetro sorriso alquanto tremolante. Tenne per sé quella chiara istigazione e, con l'orgoglio ferito, si ritirò dalla situazione.

Totalmente impassibile a tutto ciò, Sherlock fece il suo ingresso, con fare quasi teatrale. La corporatura snella e importante, da sempre avvolta da tessuti pesanti e scuri, lo rese paragonabile a un'ombra prominente, sempre intenta a muoversi silenziosa e leggiadra in qualsiasi contesto.

«Non dovresti essere qui. La tua presenza è ingombrante per tutti quelli che in questo edificio ci lavorano.»

Lestrade, non più incatenato alla presenza della sergente Donovan, sembrò persino respirare meglio. Nuova calma lo aveva sedato, rendendolo meno indisposto.

«Davvero? Fino ad ora d'impaccio lo siete stati voi per me. Si trattava di una mia cliente.»

«Ma ha smesso di esserlo nel momento esatto in cui la donna è entrata nel reparto psichiatrico di un ospedale. Una volta diagnostica una possibile fuga dissociativa, i medici hanno l'obbligo di rivolgersi a noi. È la procedura, sopratutto quando subentra la teoria di una possibile aggressione. E comunque abbiamo esaminato i documenti. La questione è stata già risolta.»

Per il detective il danno era stato compiuto. La Metropolitan Police era partecipe di un caso fin troppo complesso persino per il migliore di loro e il colpevole di tutto ciò era, senza dubbio alcuno, John.

Il medico non avrebbe dovuto insistere nell'accompagnare la donna in ospedale alle prime luci del mattino. Dopotutto, quella bizzarra visitatrice sarebbe stata bene anche senza una dose di fluoexetina. Dalla dissociazione si sarebbe ripresa ugualmente, ma solo con minore rapidità.

«Un incidente!» Le parole marcate del bruno riempirono tutto lo spazio circostante. «Semplice, ma ineccepibile, chiaro e cristallino. Hai fatto davvero un buon lavoro, Lestrade!»

In pochi secondi l'espressione dell'ispettore mutò e i tratti di una faccia sofferente lasciarono posto alla contentezza. «Sherlock. Tu... Tu stai dicendo sul ser–»

«Spiegami come hai fatto», lo interruppe il detective. «Sul serio, voglio saperlo.»

Conferì alla propria voce un tono amichevole, cordiale e sin troppo caloroso per i suoi standard, da sempre segnati da freddezza e saccente ironia.

«È stato piuttosto semplice a dire il vero. I quadri clinici e i referti parlano da soli.» Una breve pausa mozzò quella spiegazione generale. «Sono episodi rari. Ma siamo stati efficienti e siamo arrivati alla verità. Be', sono stato io a trovare del bromazepan nella borsa di quella donna.»

«Bromazepan?»

«Esattamente, ansiolitici.»

Sherlock diminuì la distanza che lo separava dall'agente, ben ostentando il proprio metro e ottanta. «Ansiolitici, sei in forma smagliante! Certo, hai solo tralasciato tutte le cose importanti.»

«Figlio di...» Greg abbassò la sguardo e digrignò i denti, tentando di reprimere il leggero imbarazzo. «Dovevo immaginare che mi stavi solo prendendo per il culo. Non dovevo darti retta.»

«Ho solo esposto un dato oggettivo. Non prenderla sul personale» Dalle pallide e piene labbra di Sherlock sfuggì del sarcasmo, pungete e sottile quanto l'acciaio di una lama.

Non era accettabile di certo cedere a toni lusinghieri di fronte a tanta incompetenza da parte di uno dei più importanti elementi di Scotland Yard.

«Bene, quindi siamo arrivati alla conclusione sbagliata?»

«Come sempre, del resto.»

La calma dell'ispettore mutò rapidamente in risentimento: l'essere rimproverato per dello scarso successo nelle indagini da quell'uomo così arrogante lo rese rancoroso e sempre meno sereno. Tuttavia, depennata l'irriverente voglia di sbattere il piede contro il pavimento, diede corda a Sherlock.

«Allora illuminami! Usa il tuo superpotere!»

«Si tratta di aggressione» sentenziò il detective rapidamente.

«La ferita non corrisponde a nessuna arma, ma a una brutta caduta.»

«La questione non riguarda solo la ferita. Il soggetto è stato aggredito a casa sua, subito dopo essere rientrato da lavoro. Non hai notato i piedi? Le sue scarpe dovevano essere molto scomode a giudicare dai segni sul tallone e sulle dita. Indossava un tacco quando è andata a lavoro, un tacco davvero poco confortevole, a quanto pare. Rientrando a casa, togliersi le scarpe è stata la prima cosa che ha fatto. E proprio lì che è avvenuta l'aggressione; qualcuno o qualcosa l'ha turbata a tal punto da farla scappare. Non ha nemmeno avuto il tempo di togliersi il cappotto o di mettere via la borsa. È successo tutto molto rapidamente. L'evento traumatico è ciò che ha scatenato la dissociazione. Qualcosa di sconcertante l'ha fatta correre per le foreste del Peak District National Park, a giudicare dal tipo di terriccio e dagli evidenti graffi sulle caviglie.»

«Come diavolo sai del luogo dell'aggressione?»

«Concentrati, Gavin!» L'affermazione seguì un leggero sbuffo. «Un evento dissociativo raramente si prolunga per un'intera giornata e il sangue sui tessuti stava già cominciando a seccarsi. Ha preso l'auto–»

«L'auto? Di quale auto stai parlando?» Greg precipitò giù, allontanandosi dal suo mondo fatto di conclusioni inaffidabili.

«Parlo dell'auto che ha ereditato dopo la morte del padre.» Sherlock si fece sempre più impaziente e aggressivo. «Una giovane psicologa, con indosso vecchi orecchini comprati a New Bond Street; abituata a curare il proprio aspetto, probabilmente cresciuta in un ambiente borghese. Stiamo decisamente parlando della figlia di un medico con un ottimo stipendio. Con soldi sufficienti per una casa isolata, a giudicare dalle dinamiche dell'aggressione e, naturalmente, per la Bentley ancora parcheggiata a Baker Street.»

«Un veicolo?» Greg cominciò a svegliare la mente. «E se un genitore l'avesse comprata alla figlia come regalo? Non abbiamo trovato molto. Sappiamo che la ragazza vive da sola, ma ciò non implica che sia davvero senza alcun parente.»

«Parliamo di un'auto prodotta nel novantanove. Certo, quale padre non comprerebbe alla figlia di cinque anni una macchina da duecentoquattordicimila sterline? È la figlia di un medico, non di una noiosa celebrità. Quella è l'unica auto prestigiosa della famiglia e la utilizza lei solo perché non ci sono più altri familiari a cui serve.»

Il disappunto immobilizzò il viso di Lestrade.

«Dicevo, la secchezza del sangue, i tempi di dissociazione, percorso in auto. Parliamo di quattro o cinque ore al massimo. Quale parco naturale ti viene in mente dopo questo ragionamento?»

«Incredibile» sussurrò Greg con fare assorto, lasciando sfuggire un risolino al proprio controllo. «Be', è davvero molto strano. Stai parlando di una psicologa con attacchi d'ansia?»

«Una studentessa molto vicina alla laurea» specificò Sherlock, intransigentemente. «Usa scarpe scomode perché è abituata a rimanere seduta durante le ore lavorative. È ben vestita, perché a contatto con altre persone. Per di più presenta dei residui d'inchiostro al lato del palmo. Penna, sempre seduta, borghese, ben vestita. Una tirocinante a giudicare dall'età. E no, niente ansia. Il cartoncino contenente il farmaco è consumato, ma il contenuto è solo in parte assente. Il bromazepan aiuta contro l'insonnia. Usava poco prodotto e solo per dormire. Ecco il perché delle occhiaie... Una semplice deprivazione da sonno passeggera.»

Lestrade rimase senza parole a causa di ogni frase pronunciata dalla lingua di Sherlock. Allora, incrociò le braccia e sospirò. L'orgoglio nei confronti di Scotland Yard e, soprattutto, nei confronti di se stesso sembrò vacillare per pochi secondi poiché il lavoro svolto non era arrivato nemmeno alle conclusioni più evidenti. Ciononostante, ogni risentimento fu soffocato dal buonsenso.

«Cosa dobbiamo fare?»

Sherlock mosse qualche altro passo, esibendo al di sotto delle luci biancastre un volto più cereo e serioso.

«Apri il caso e lasciamelo risolvere. L'amnesia dissociativa cancella parte dei ricordi, ma mai tutti. Se è venuta da me è perché credeva fossi l'unico in grado d'aiutarla. Vive da sola e in mezzo ai boschi, quindi non permettetele di ritornare a casa. Non per adesso, almeno! La scena del crimine deve restare intatta. L'aggressore le ha già preparato un agguato. Sarà sicuramente ancora da quelle parti e vorrei evitare che finisse il lavoro.»

«Bene. E dove hai intenzione di metterla?»

  
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