Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: AmyJane    06/03/2020    1 recensioni
Questa storia parla del bianco, del nero e di tutto quello che sta al centro. Conviviamo con mille sfumature e oramai sappiamo che non esiste la purezza. Sappiamo che il buio non è eterno e che tutto incontra i cambiamenti. Nero e bianco coesistono. Si contrastano ma senza mai negarsi, accettando la consapevolezza di non poter esistere senza il proprio opposto. Si completano e quasi finiscono con l'essere solo una delle tante sfaccettature dell'altro. Un po' come i diamanti che, nella loro infrangibile purezza, si rivelano essere solo una versione del carbone. Il nero è l'assenza di colore, il bianco l'unione di ognuno. Eppure niente e tutto alla fine sono molto simili, quasi la medesima cosa. Lo Yin contiene in sé lo Yang e lo Yang fa altrettanto.Sherlock è nero quanto una minacciata ombra ma ha un cuore puro quanto il diamante. Ha scelto di mostrarlo piano piano e di lasciarlo luccicare per contrastare la propria oscurità. Gwendolyn, al contrario, ha scelto la luce per accecare gli altri e mascherare un cuore color carbone. Gli opposti si attraggono per poi lottare senza mai né morire né trionfare. Si cede solo a un fragile compromesso.
Genere: Malinconico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Le aringhe affumicate

1.

L'inverno mai era indulgente con Copenaghen, e, soprattutto nel mese più corto, continuava a tormentare ogni cittadino, sputacchiando addosso alle case fresca neve e gelide raffiche taglienti. Le piccole e bitorzolute strade a misura d'uomo si erano ghiacciate, impedendo l'uso di qualsiasi macchina o bicicletta. E inoltre, nel momento in cui l'ultimo raggio di sole era andato a baciare le pianure rigogliose, la notte era giunta, abbassando ancor di più tutte le misere temperature.

Gwen aveva dimenticato quanto secco fosse il freddo dell'Europa settentrionale e, perciò, accese ogni calorifero del piccolo appartamento e raggiunse la propria valigia con per poi tirare fuori qualcosa di più pesante. Mise addosso un bel maglione e, infine, sentendo gridare le dita dei piedi, infilò un secondo paio di calzettoni. Dopodiché pregò affinché tutto ciò bastasse, ma inutili sembrarono le precauzioni. Nonostante il tentativo, il gelo ricominciò a morderle il naso.

Le guance subirono i pizzichi della temperatura e la mente proiettò possibili soluzioni a quell'enorme inghippo. Da secoli le popolazioni soggiogate dal gelo erano riuscite a escogitare metodi curiosi per rendere sopportabile i mesi bui, come scaldare il corpo e lo spirito con qualche bicchierino. Quindi, indossati gli scarponi, la ragazza si precisò all'ingresso con l'umore rigenerato da bei ricordi balenanti, ma solo dopo aver controllato le condizioni dell'uomo dentro l'abitazione.

Nella piccola cucina, Sherlock aveva monopolizzato un un'intera parete, attaccandoci sopra file di foglietti colorati, le fotografie appartenenti alla Adler e scritte di ogni tipo. Gwen analizzò il suo detective, ma non si stupì nel coglierlo concentrato sul caso. Di conseguenza, senza indugiare, fece scattare la maniglia e uscì con addosso il cappotto.

Fuori fu arduo deambulare serenamente a causa del ghiaccio in strada. Tutti si tenevano lontani dai canali per non andare incontro a un tuffo nelle gelide acque del mare nordico. Considerando ciò, Gwen arrancò fino alla meta prestabilita per soddisfare uno desiderio sopito. Infine, contenta, tornò a casa con un bottino tra le mani. Per quanto fossero passati parecchi minuti, al rientro, la situazione rimase proprio come prima. 

La donna, allora, decise di ignorare il tutto e scosse fisico traumatizzato da quel bagno di gelo. Tolto il soprabito, guardò il proprio acquisto. Due bicchieri fumeggianti di glögg [1] erano stati posizionati al di sopra di una superficie in legno.

Le memorie galopparono ancora grazie all'odore della cannella, del cardamomo, dello zenzero, della noce moscata e dell'anice. Quella miscela speziata era la preferita di suo padre, amante del bere moderato in compagnia di un camino.

Con la testa immersa nel passato, Gwen prese un solo un bicchiere, per poi aprirne il coperchio, unico ostacolo al completo sprigionamento di ricchi aromi. La lingua pregò per un sorso, ma la mente impose un obbligo: quel liquido dal sapore natalizio era speciale sono se gustato con qualcuno.

Due gambe, allora, corsero da Sherlock, concentrato sui fogli appesi alla parete. L'uomo era così impegnato da non accorgersi della figura pallida che, sgattaiolando, si era intrufolata nella stanza. La donna, intanto, notò come il gelo si era trastullato con il bruno, il cui naso affilato si era arrossato.

«Stai congelando. Lo sai questo?» disse con in mano i bicchieri. «Ti ho portato qualcosa da bere. Questa roba fa miracoli contro il freddo. È caldo e aiuta lo spirito. L'ho anche fatto correggere con due dita brandy, ma non dirlo a John.»

Sherlock, senza mai girarsi, ascoltò quelle parole per poi irrigidirsi. La sua mascella scattò di qualche millimetro, confermando una freddezza molto più sinistra di quella da sempre ostentata.

«Forse non te ne sei resa, ma sto cercando di fare del mio meglio per concludere un caso d'importanza nazionale. Ho bisogno della mia testa. Farò a meno di inibire i miei processi mentali con quell'intruglio maleodorante» annunciò l'uomo, digrignando leggermente i denti. «È tutto!»

La biondina sorrise amaramente. Non seppe se persuaderlo ulteriormente o insistere per idratare un corpo parecchio consumato da pensieri e abitudini insopprimibili.

«Ho premesso a John che avrei badato a te. Non è salutare passare tutto il giorno a–»

«Promesso a John?» fece eco il bruno con irruenza. «Eri silenziosa prima. Ritorna pure in camera o fa una passeggiata fuori, se lo desideri. Tieni la tua presenza lontana da me e forse risparmierò altro tempo.»

Gwen rimase parecchio amareggiata nel sentire quelle parole esplodere come dinamite. C'era qualcosa di storto nell'uomo, una molla dietro la manifestazione di tanto rancore.

«Sherlock...»

«Come posso fartelo capire? Io non ho tempo» ruggì lui. Il braccio si allungò verso uno dei tanti foglietti appesi al muro e lo stracciò con aggressività.

«Ho capito tutto. So che lo fai per lei. Per Irene» spiegò la donna con una dolcezza fuori dal comune.

Impossibile negare la presenza di uno strano legame tra la dominatrice e il minore dei fratelli Holmes. Quel rapporto, pregno di mistero, era un qualcosa di non discutibile secondi i termini convenzionali ma, d'altro canto, Sherlock non lontano anni luce da qualsiasi cosa potesse apparire comune.

«Ci sono due ex agenti della CIA che stanno progettando il suo omicidio. Sono nascosti. Ma io non riesco a stanare il loro nascondiglio» disse il bruno, duro. Il desiderio di confessione ebbe la meglio e lo portò a rivelare il perché del suo malumore. «Non ci riesco! Io...»

La giovane fu trafitta dall'ennesima occhiata scoccata dal suo strano accompagnatore. Questi era capace di rigettare tutta l'insoddisfazione sulla propria persona, addossandosi ogni falla. Purtroppo, quel giorno, le sue pecche si sarebbero concretizzate contro una sola persona, Miss Adler.

«Bene» farfugliò Gwen, deglutendo. «Capisco...»

Sherlock era orgoglioso e non era mai stato un amante del fallimento ma, come qualsiasi essere umano, soleva non affrontare con leggerezza i rischi dei suoi amici.

Tu fingi, Sherlock. Sai come si amano le persone...

La donna perse il proprio sguardo sul bruno, riflettendo sulle sue emozioni ma egli, propendendo per l'autodifesa, si girò, così interrompendo il contatto tra occhi. Sherlock non era mai disposto a essere letto e, perciò, concentrò le preziose attenzioni sulla mappa sopra la parete, sui cerchi rossi impressi da un pennarello. Tante idee, ma nessuna traccia di quell'odioso nascondiglio.

«Sai, continuo a pensare che tu abbia bisogno di bere qualcosa. O di mangiare. Non sei una macchina, Sherlock» continuò la ragazza con fare materno. «Non puoi continuare a lavorare senza mettere niente sotto i denti. O senza scaldarti. Non vivrai un altro giorno, così.»

Alla fine il detective cedette. Placato il pessimo umore, entrambi si posizionarono nella medesima sala da pranzo, in modo da cenare nella notte silenziosa. Lui rimase muto e composto e scrutò il pasto. Le aringhe affumicate non erano riuscite a conquistare il suo interesse e fu di gran lunga meglio limitarsi a fissare il piatto senza mai toccare nulla.

«Non è male» confermò Gwen, spizzicando il cibo dai rebbi.

Sherlock ascoltò le parole della giovane, inframmezzandole con pensieri sempre rivolti alle proprie attività investigative. Il quartiere Valby, la centrale elettrica di Hofor, il Parco Søndermarker... Sono tutti dei validi nascondigli, ma nessuno hai mai visto nemmeno l'ombra di Robin Goldschimdt e Adam Moore.

Le riflessioni si susseguirono. Hanno delle cicatrici recenti e un passato molto lungo nel settore di indagine americano. Sono abituati alle missioni più pericolose e in questo momento niente è più pericoloso della Corea del Nord. 

E le deduzioni aprirono altre strade. Goldschimdt e Moore hanno prestato servizio lì, ma mai in Europa. Qui il territorio è diverso. Non sono abituati alla città, alla folla. Per questo devono essersi rintanati in campagna. Ma non lontano...

«Sherlock!» Il richiamo si estese.

La ragazza, come al solito, immaginò tutti i luoghi raggiunti dall'acume dell'uomo, continuamente impelagato in un labirinto di congetture; assente e presente allo stesso tempo.

«Niente. Mi sono solo chiesta una cosa in questi giorni. Sai... la ricetrasmittente e quel... Mycroft? Be', non so chi sia... Credo che tu lo sappia bene e quindi...»

L'uomo restò spiazzato da quel quesito e fermò il flusso di ragionamenti. Guardò la collega, notando quanto fosse calma.

«È solo mio fratello.»

«Sul serio? Tu fratello?» domandò lei, nonostante la piena sorpresa. «Non ho mai pensato di dirlo. Ma mi rincuora sapere che è sia stato un tuo familiare a mettermi una ricetrasmittente addosso. Meglio di lui di tanto altri.»

Sherlock aspettò prima di rispondere. Non era mai stato disposto a parlare dell'altro Holmes con qualche sconosciuto.

«Sa essere iperprotettivo, certe volte.»

Gwen sorrise. Passare del tempo a Baker Street era come firmare un patto con il pericolo imposto da criminali e spie. Fortunatamente quel piccolo imbroglio era stata sostenuto da un fratello abituato ai suoi metodi parecchio discutibili.

«È tuo fratello maggiore, no? Lo capisco. Sono stata anche io una sorella minore. E riconosco certi comportamenti. O almeno cerco di farlo...»

Quella parole furono modellate dalla labbra delle bionda, scossa da confessioni personali. Non era, però, il momento di cedere alla tristezza e ai ricordi stinti dal tempo.

«I fratelli più grandi sanno essere insopportabili.»

«Lo so» rivelò lei con un malinconico sorriso sotto al imporporato dal gelo. «Scommetto che tuo fratello ha un ruolo professionale molto interessante se può permettersi di usare delle ricetrasmittenti spacciandole per collane.»

Il detective rispose in modo disorientante. «Ama mantenere l'ordine, più che altro.»

«È un dirigente?»

«Qualcosa del genere.»

Gwen si mise a riflettere, finché il suo intelletto non abbrancò una buona supposizione. Le coincidenze erano improbabili e lei era stata mandata in missione per cause mai chiarificate.

«Hai un fratello che si sente molto responsabile di te. John non è riuscito a partire e ti sei sentito obbligato a scegliermi. È stato tuo fratello a decidere.» La ragazza emise la sua soluzione, sempre rispettando i suoi modi gentili.

«E cosa te lo fa pensare?»

Tutto si era fatto chiaro, quasi esilarante.

«Mi tieni lontana dalle indagini e, ammettilo, sei perfettamente in grado di fare tutto da solo. Hai solo bisogno di qualcuno che ti sproni a mangiare o a coprirti dal freddo. Che ti mandi a dormire. In poche parole... ho appena scoperto di essere la tua babysitter.»

Sherlock alzò le sopracciglia, mostrando di non aver del tutto digerito quell'idea così maledettamente reale. Proprio a causa dei progetti dell'uomo di ghiaccio, Gwen si era fatta la sua tata.

Il consumo di droga era sempre in agguato ed era necessario qualcuno abbastanza capace da cambiare un'ambulanza in presenza di possibili complicazioni.

«Hai intenzione di sfruttare la tua posizione, Blomst?» scherzò Sherlock.

«Solo se sarà necessario» affermò Gwen, inforcando un pezzo di pesce per poi porgerlo all'altro. «Finisci il piatto o giuro che ti imbocco. E credimi, non lo ricorderesti come la migliore delle tue esperienze.»

Il bruno prese la forchetta e guidò quel poco di cibo verso la bocca. Sbocconcellò le carne morbida, sfilacciandola un poco e, infine, ingoiò il tutto senza alcun piacere. Il forte sapore della salamoia esplose sulla sua lingua, generando un reticolato di rughe attorno agli occhi. La tosse giunse subito dopo.

«Sì, lo so. Non piacciono a nessuno» dichiarò lei.

Il bruno fece cadere la posate e, sputato il suo pesce dentro a un fazzoletto, si mise a rispondere. «Potrei limitarmi a cercare una spiegazione a tutto questo...»

«Una spiegazione? Sappi che i bambini capricciosi come te hanno sempre nel piatto qualcosa che non desiderano mangiare. E comunque le aringhe piacciono a me.»

«Sei un ottimo esempio di altruismo, Blomst!»

«Da che pulpito...»

Sherlock lanciò un'altra occhiata al piatto e dopo prese il bicchiere solo per annusarlo. Le ampie narici presto furono soffocate dall'odore pungente delle tante spezie annegate nel nel bicchiere colmo di vin cotto. «Siamo qui da pochi giorni e il tuo fine è solo intossicarmi con il cibo e ubriacarmi.»

«L'alcol aiuta con il freddo» rispose lei, seria.

«Non sei un granché come tata.»

«Forse è colpa del bambinone e non della bambinaia.»

«Oh, mio fratello risponderà di tutto questo!»

Gwen rise con gioviale spontaneità. La sua mente, intanto, raggiunse altri interrogativi riguardanti il misterioso Mycroft Holmes, un personaggio che, seppur ancora concetto, era riuscito a influenzare quella piccola gita in Danimarca.

«Lui è come te? È intelligente?»

Una pausa anticipò la risposta.

«Lui adora definirsi come il migliore» confessò Sherlock con pacatezza. «Il pescecane in mezzo a un oceano di insulsi pesci rossi. Tutti sono dannatamente lenti. Non riescono a vedere oltre ciò che la mente gli propone. Si soffermano solo sulla superficie.»

Le iridi glaciali si mossero verso sinistra, in direzione di ogni appunto rimasto sul muro in attesa di altri controlli capillari. La ragazza rimase affascinata solo dall'idea di una persona con doti superiori a quelle Sherlock. Era impensabile incontrare della gente capace di sfiorare l'onniscienza.

«È davvero improbabile che esista qualcun altro come te, Sherlock» comunicò lei. «Hai delle doti straordinarie. E so che non te l'ho mai detto... L'ho solo pensato, onestamente. Ma è in fondo la verità. Forse te l'hanno già riferito, ma quello che fai è sorprendente.»

Il detetive tornò alla propria accompagnatrice e, quella volta, non poté evitare un accenno di sorriso. In poche occasioni aveva ottenuto un complimento. E John era stato l'unico a essere gentile e offrirgli una miriade di belle parole.

«Non sono in molti a dirlo.»

«Non te lo dicono perché ti comporti come un idiota. Ciò che conta è che lo pensano» spiegò Gwen, per poi osservare la mappa appesa al muro. «So che riuscirai a trovarli. Sei l'unico in grado di farlo e so quanto tu tenga a quella donna. Lei si fida di te.»

Il detective carpì quel messaggio come fonte d'incoraggiamento e per questo decise di rimettersi a lavoro. Prima però, rivolse uno sguardo mansueto all'accompagnatrice. Dopotutto quella donna era la sua metà speculare; l'unica in possesso di un dono rinnegato e tenuto sopito all'interno della mente, come fosse uno scarto.

«Sarai una pessima tata, ma come strizzacervelli riservi delle sorprese. Lo farò presente a chi di dovere.»

La giovane sorrise per ringraziarlo del complimento e, in seguito, si alzò per staccare la mappa della città dalla parete.

«Non ti dispiace, no? So che l'hai già memorizzata» disse per poi raggiungere la porta. «E adesso serve a me.» 

Le mani aggraffarono ancora il cappotto.

«Non starai andando a cercare qualche spia americana?» chiese l'uomo, sorpreso dal gesto.

«Oh no. Sto solo andando prendere delle patatine fritte. Qui le fanno bene. E poi te le sei meritate!»

Sherlock colse la matassa argentea scomparire dietro il legno ed espresse gentilmente un solo pensiero melenso. Gwen, se sconnessa da John, alla fine non una cattiva compagnia.

2.

La Københavns Hovedbibliotek non era inquadrabile secondi i canoni classici di una comune biblioteca. Non era composta da possenti scaffali in legno ricolmi di tomi polverosi, né il suo ambiente era austero quanto un antico archivio londinese. L'interno era rischiarato da un clima molto peculiare, quasi ospedaliero. Il pavimento era candido, così come le mura imponenti e i tanti scaffali disseminati nello spazio.

In mezzo a quelle sfumature lattee, Gwen si mimetizzò come un camaleonte e percorse qualche metro prima di incappare in qualche computer da utilizzare con comodo.

Sherlock si era spostato nella zona ovest della città a causa delle indagini. Seguirlo sarebbe stato un rischio inutile e raggiungere Miss Adler non era sembrata la migliore scelta. Non era rimasto altro che impegnare il tempo in qualcosa di utile e mettersi in cerca di qualche informazione in più sulla statua decapitata sotto la tenebre della notte.

«La personificazione della tragica favola di Hans Christian Andersen, la statua della Sirenetta dal cuore spezzato siede sul suo scoglio presso il porto di Copenaghen attendendo il principe dei suoi sogni. Una piccola statua in bronzo, solo 125 cm di altezza per 175 kg di peso, la Sirenetta ha ispirato i visitatori con la sua storia d'amore duraturo per un secolo. Ma ha anche sollevato delle controversie. Decapitata due volte dagli artisti radicali (nel 1964 e nel 1998), la Sirenetta è stata anche privata di un braccio (1984). E fu addirittura fatto un tentativo di farla esplodere (2003)». 

Le parole scivolarono giù e Gwen si rese conto di quanto fosse facile manipolare il metallo della Sirenetta, protagonista indiscussa della più nota fiaba danese. Si chiese come mai Irene avesse scelto quel simbolo come nascondiglio. Perché proprio una sirena costretta a soffrire per il suo irraggiungibile principe. Fu allora che la testa della giovane capì.

Il principe impossibile. Quello inconquistabile... Sherlock Holmes. Forse c'è stato qualcosa di romantico tra i due. Ma a Sherlock non importa niente delle persone. Non gli importa dei sentimenti...

Gwen smise di porsi domande e chiuse il computer, per poi tornare a casa. Tuttavia, giunta alla parte finale del percorso, notò qualcosa di davvero insolito. L'aquilone scorto qualche giorno addietro era stava ancora a fluttuare sull'antico cimitero di Assistens Kirkegård.

La ragazza, allora, sentì l'impellente desiderio di soddisfare quella curiosità e s'introdusse nel campo santo, raccogliendo con gli occhi stradine di terra, biciclette parcheggiate e tante siepi rigogliose. Solo pochi fiori erano riusciti a non sopperire al gelo, colorando la morte e rendendo l'ambiente meno tetro e lontano dall'idea della sepoltura. I petali si erano adagiati sulle croci e sulle imponenti statue.

La giovane dovette percorre un po' prima di scovare il proprietario di quel bell'aquilone, ovvero un bimbo ancora acerbo, dalla capigliatura rossa e dal bianco muso bianco lentigginoso. Era solo un ometto intento a sgambettare per trascinare stoffa sulle fredde tombe fredde e sul muschio.

Gwen si avvicinò a quella faccia paffuta, la chiamò a sé con un «Hej!» e attese una timida risposta. «Okay?»

Il bimbo, senza alcun timore per l'estranea, annuì.

«Hvor er mor?» domandò la bionda, sperando che il piccolo avesse una madre da qualche parte.

Tuttavia, le sue speranze crollarono nel momento in cui il dito del rosso indicò una lapide poco distante, coperta di ghiaccio e senza alcun bocciolo. Il tuffo al cuore, dopo la dolorosa constatazione, fu inevitabile.

«Og far?» domandò lei, confidando in un ipotetico padre.

Il bimbo, però, abbassò la sguardo per meglio mascherare emozioni la propria faccia e infine farfugliò, insicuro:

«Han er ikke vendt hjem.»

«Oh, non è più tornato a casa» fece eco la donna, attonita.

Il puzzo di quella impensabile situazione si erse, sussurrando un leggero allarme. Intanto, la malinconia e il senso del dovere si scontrarono in un lotta mentale, una lotta che Gwen non riuscì a gestire nel migliore dei modi.

Il turno all'ospedale si era rivelato molto duro e John non sentiva più nemmeno la testa sul collo. Dopo un esofagite, due ernie ietali, un caso di cistite emorragica e tanto altro, l'uomo sentì solo il bisogno di sentire il materasso sotto la schiena.

I pazienti, purtroppo, lo stavano fiaccando, ma erano anche riusciti ad alleggerire quel senso di solitudine già in procinto di scomparire. Difatti, dopo ogni singolo turno, persino pensare era faticoso. Era di gran lunga meglio passare il tempo libero leggendo il giornale o addormentarsi comodamente sulla poltrona situata accanto al camino.

In quel giorno di febbraio, però, la poltrona non fu subito conquistabile a causa di Mrs. Hudson, prima rintanata nella cucina a gestire il bollitore fumante.

«John caro, la vuole una tazza di tè? L'ho appena preparato ed è ancora caldo.»

In poco, John si ritrovò con le labbra bagnate dalla calda bevanda e con la compagnia della sua proprietaria che, sottomessa dal peso della solitudine, cominciò a farfugliare frasi come «Si sente la sua mancanza, non è vero?» o «Il silenzio non mi hai disturbata tanto. È come se qualcuno avesse fermato il cuore di questa casa...»

L'ex soldato, stravolto, si ritrovò a dover consolare la donna.

«Non sia melodrammatica, Mrs. Hudson. Tornerà presto!»

«Lo spero. E spero anche riporti indietro quella creatura che si è portato appresso. Sento la sua mancanza, sa? Ogni sera scendeva a trovarmi. Be', lo faceva solo per la cena, ma era sempre una compagnia.»

«Gwen.» John si ritrovò a sussurrare quel nome.

«Proprio lei.» Mrs. Hudson sorrise. «Un bel fiorellino delicato. Così giovane e anche così bionda. Peccato solo per quegli occhi neri. Forse Dio finito ha smarrito uno dei suoi acquerelli quel giorno.» [2]

«Già, un vero peccato» ironizzò il medico che, prendendo il giornale, diede un chiaro segnale all'anziana. Qualche attimo dopo e John restò nuovamente solo, con le spalle sullo schienale e le palpebre pesanti. In poco, si addormentò lasciando la mente solo a qualche sogno.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: AmyJane