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Autore: AmyJane    06/03/2020    1 recensioni
Questa storia parla del bianco, del nero e di tutto quello che sta al centro. Conviviamo con mille sfumature e oramai sappiamo che non esiste la purezza. Sappiamo che il buio non è eterno e che tutto incontra i cambiamenti. Nero e bianco coesistono. Si contrastano ma senza mai negarsi, accettando la consapevolezza di non poter esistere senza il proprio opposto. Si completano e quasi finiscono con l'essere solo una delle tante sfaccettature dell'altro. Un po' come i diamanti che, nella loro infrangibile purezza, si rivelano essere solo una versione del carbone. Il nero è l'assenza di colore, il bianco l'unione di ognuno. Eppure niente e tutto alla fine sono molto simili, quasi la medesima cosa. Lo Yin contiene in sé lo Yang e lo Yang fa altrettanto.Sherlock è nero quanto una minacciata ombra ma ha un cuore puro quanto il diamante. Ha scelto di mostrarlo piano piano e di lasciarlo luccicare per contrastare la propria oscurità. Gwendolyn, al contrario, ha scelto la luce per accecare gli altri e mascherare un cuore color carbone. Gli opposti si attraggono per poi lottare senza mai né morire né trionfare. Si cede solo a un fragile compromesso.
Genere: Malinconico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il frutto della conoscenza

1.

«Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti.» Così recitava la Genesi, il primo libro della Bibbia.

Gwen era luterana ed era a conoscenza della storia di Adamo ed Eva, i quali, dopo aver peccato, furono costretti a lasciare la gloria del paradiso terrestre. Era elementare pensare a quel preciso argomento, immaginando con attenzione l'aspetto dell'Eden, luogo di beatitudine e appagamento. Tuttavia, dopo si era fatto semplice escogitare altri modi con i quali plasmare complessi concetti di paradiso. In quel momento, esso non era più un giardino pieno di frutta, ma solo calore e palpitazioni. La ragazza aveva sfiorato il più puro stato d'estasi nell'esatto momento in cui era rubare l'amore di una persona. Quello si era dimostrato il miglior modo modo per raggiungere la completezza. 

Era l'alba e il cielo, non più solo pece, era stato densificato dalla presenza di una coltre grigia. Non c'era posto per la luce, quel giorno, ma solo per lampi e saette pronte a far tremare l'aria. Gwen non era superstiziosa, ma quel tempo minaccioso portava con sé cattivi presagi. Quindi, dopo aver sbirciato dal di là del lucernario, per semplice protezione si accucciò maggiormente contro il petto dell'uomo con cui aveva passato la notte. Il desiderio di tornare nell'Eden la incoraggiò a una maggiore aderenza tra la propria quella e quella accanto.

La tosse, nel frattempo, rifece la sua comparsa e la ragazza sentì il proprio petto scuotersi a ogni colpo. John, nel memento in cui sentì qualcosa tremare al di sotto delle sue braccia, si risvegliò. Confuso, si ritrovò attaccato a un corpo scosso dal malessere. Con il tempo, i ricordi cominciano a farsi lucidi e, a lui restò solo una sensazione ambigua, una sensazione che presto si tramutò in preoccupazione.

«Mettiti seduta!»

L'ex soldato, sollevatosi, aiutò la giovane ad acquisire una posizione adatta a farle smaltire tutta la tosse concentrata tra il petto e la gola. La ragazza si sentì subito meglio e, con il braccio piegato, allontanò l'uomo, incentivandolo a non preoccuparsi più del dovuto.

«Sto bene» assicurò, esausta.

John sospirò.

«Gli antinfiammatori, dov–»

«Li prenderò più tardi. Tu non preoccuparti.»

2.

«Isoetarinaamoxicillina e azitromicina.» Parole flebili quanto i sussurri delle brezze autunnale echeggiarono nel salotto del 221 B. «Sono tutti quelli che sono riuscita a prendere. Non mi è concesso arraffare farmaci così, ma si trattava di un emergenza.»

Molly Hooper, al centro del salottino, teneva in mano un sacchetto con dentro scatole di prodotti farmaceutici ancora confezionati. Aveva affrontato il freddo e il fantasma della tempesta incombente pur di rendere contento il suo amico. Sherlock, seduto sulla poltrona, le rispose con gratitudine. 

«Ottimo, Molly! Lasciali pure sul tavolino.»

Molly, con un sorriso incerto, eseguì l'ordine. In seguito, accarezzò con lo sguardo l'uomo, i suoi zigomi e anche le sue labbra piene. Il cuore batté e lei si chiese cosa fosse a renderla così obbediente.

«Se ti serve dell'altro, dimmi pure.»

Sherlock, guardingo, controllò lo spazio circostante.

«Hai portato anche ciò che ti ho chiesto?»

Molly perse il sorriso e, inconsciamente, mise la mano presso la tasca del cappotto, deformato da una protuberanza. Seppur succube del bruno, fronteggiò una costante incertezza. L'ultima richiesta ricevuta si era spinta ben oltre i limiti imposti dall'altro Holmes e da John Watson.

«Oh sì. Io, be', ho anche... quello.»

Il detective rilassò il volto.

«Perfetto, lascialo pure a me» rispose incrociando le dita presso il petto, riscaldato dalla comoda stoffa di un soprabito bluastro.

Molly, con fare innocente, osservò il fianco del detective e immaginò un buco rosso e vivido proprio al di sotto della camicia purpurea. Alla fine, con il solito modo impacciato, continuò a parlare, come per espiare la colpa che stava già gravando sulle spalle.

«È solo per il dolore, non è così?» La donna cacciò la mano in tasca.

«Solo per il dolore» affermò l'altro, convinto.

Non seppe dire, purtroppo, se il dolore fosse fisico o mentale. Da quando era ritornato a Baker Street, era stato comandato dal bisogno di non incappare nella spiacevole visione di John e Gwen intenti a scambiare parole, emozioni e contatto fisico. La patologa, allora, nonostante il dubbio ancora persistente, raggiunse l'amico e fece per porgergli la piccolina scatolina, prima custodita nel fodero del cappotto. Ma un rumore irruppe, spezzando il silenzio. La porta cigolò, accompagnando l'ingresso di John che, incuriosito dalla presenza di quella conoscenza, si pose le giuste domande. 

«Ciao, Molly...»

Erano solo le dieci del mattino e la patologa si era presentata come se niente fosse all'interno dell'abitazione con un farmaco dietro la schiena.

«John» barbugliò lei, tenendo la mano dietro il cappotto.

«Tutto bene? Cosa sta succedendo?» chiese l'ex soldato.

Sherlock riacciuffò le redini della situazione.

«Ho chiesto a Molly di portare degli antinfiammatori. Serviranno a Blomst nei prossimi giorni. Quanto a me, preferisco l'uso di un antidolorifico. Questa dannatissima ferita continua a starmi sui nervi e il mio cervello ha un assoluto bisogno di rilassarsi» spiegò, contendo l'irritazione.

John aggrottò la fronte, poiché non del tutto abbindolato dalle innocenti spiegazioni del collega. Fece i suoi ragionamenti e costrinse Molly ad aiutarlo a comprendere meglio le circostanze. Le chiese di fargli controllare quella strana scatolina tenuta dietro la schiena. 

«Posso vedere il farmaco, Molly? Sono il suo medico, è giusto che sia io ad approvarlo.»

Sherlock roteò leggermente gli occhi. La patologa invece, dovendo obbedire ai comandi del medico, espose il farmaco. Si trattava, sfortunatamente, di metadone, un vicino parente dell'eroina.

Il medico, a quella constatazione, si rabbuiò. «Metadone. È questo il tuo modo per... rilassare la mente. Non posso crederci.» 

La rabbia si congiunse alla delusione. Il bruno si era astenuto da certe sostanze per mesi, ma la ricaduta stava sopraggiungendo come se niente fosse. Misteriosi tormenti si erano impossessati di lui, portandolo a giocare con la chimica più oscura.

«È solo per il dolore» ripeté una voce gracile.

Sherlock confessò le amare parole. Dopotutto, quella era la verità.

3.

Oltre che al paradiso, c'era anche l'inferno e negarlo sarebbe stato impossibile per qualsiasi essere umano. Gwen si rese conto che accettare le omissioni e prolungare quello stato di quiete era solo un opzione temporanea, non la sola scelta disponibile. Per quanto amasse John, fingere sarebbe stato inutile e deleterio nei confronti dell'altro inquilino dentro l'appartamento.

La giovane si ritrovò nella cucina, dove Mrs. Hudson aveva posizionato un bel cesto di mele rosse e succose. Ne prese una e ne esaminò la buccia ancora lucida e profumata.

Il frutto della conoscenza.

Eva aveva fatto assaggiare la mela ad Adamo e lei, presto, avrebbe fatto conoscere a John la realtà, ponendo fine all'Eden, il loro personale paradiso terrestre. Era solo questione di tempo e tutto si sarebbe dissolto con la stessa facilità di un sogno giunto al termine, lasciando solo un il residuo della mestizia.

Era giovedì. John aveva solo il turno pomeridiano e, perciò, aveva optato per una colazione meno rapida. Raggiunse la cucina ma non trovò niente di delizioso, solo la presenza della ragazza, che da qualche minuto si era messa a ispezionare il frigo, in cerca di cibo; conoscendo delle proprie condizioni, stava cercando qualcosa per idratarsi e, di conseguenza, magari una bottiglia piena di liquido bianco.

«Oh, no!» Gwen, annusato il latte rancido, ritrasse un conato.

«Oh, sì è scaduto» disse un uomo, sincero. «Avrei dovuto buttarlo settimane fa.»

John, entrato silenziosamente in cucina, confessò le sue colpe. Quel luogo, purtroppo, era terreno di battaglia dal momento che non c'era posto nemmeno per mangiare comodamente o preparare un semplice pasto. Molto più comodo era cedere al cibo surgelato o ai pub.

«Ci sono più batteri nel vostro frigo che nelle stazioni della metro» notò Gwen. «Dov'è andata Mrs. Hudson?»

«Appuntamento con il fruttivendolo, a Blandford Street» rispose Sherlock che, passando di lì, gettò una rapida occhiata al cesto ricolmo di frutta. 

Teso, raggiunse il soggiorno con andamento nervoso e si mise a suonare il violino con irruenza, ma solo per qualche secondo. Difatti, dopo poche mosse mal assestate, si limitò a sbraitare come un bambino capriccioso.

«DOV'È IL MIO TÈ?»

La giovane sussultò.

«Cosa diavolo gli è preso?»

«Be', penso sia stato quel proiettile. Restare fermo per dei giorni non lo aiuta. Lo distrugge» espose John.

Sherlock, dopo un periodo di completa inattività, era divenuto parecchio irrequieto. Per di più, l'assenza del metadone era stata la goccia di troppo. Si erano annullati tutti i modi per scaricare la tensione e dimenticare i brutti pensieri.

Gwen sospirò. «Sembra davvero una pessima giornata per lui.»

S'accinse a prendere il bollitore per soddisfare la richiesta dell'inquilino e preparare un tè che potesse distendere i muscoli. John, invece, si ritrovò seduto e con un piatto vuoto davanti agli occhi. Per un istante desiderò una buona Full Breakfast con pancetta ben cotta, uova strapazzate, pomodori grigliati e fagioli per contorno. Sfortunatamente nessuno era disposto ad accondiscendere alle richieste della sua gola.

«Gwen. Potresti c–»

«Non ti farò la colazione» lo interruppe lei.

«Come non detto.»

L'ex soldato si alzò, agguantò una mela per disperazione e raggiunse la giovane con uno sguardo dispiaciuto. 

«Forse ho parlato troppo in fretta.»

Gwen gli sorrise. «Sai cucinare anche da solo e, in secondo luogo, sono una cuoca terribile. Nessuno assaggerebbe i miei piatti.»

John recepì il concetto.

«Ma sono in grado di fare le uova strapazzate» continuò l'altra, in balia di un ripensamento improvviso. «Purché le rompa tu.»

Cucinare per qualcuno era un gesto d'affetto, in fondo. La ragazza, allora, spese il fuoco nel momento in cui il bollitore raggiunse le temperatura ideale e, poi, versò l'acqua all'interno della teiera, già piena di foglie secche. Mise il coperchio sul candido utensile e, nel mentre, ricevette un melenso sguardo da parte dell'uomo.

«È un buon accordo» ironizzò lui, allungandosi in avanti.

Gwen sentì sulle labbra quel bacio ancora prima della sua concreta realizzazione e, presa da uno strano riflesso, si scansò, muovendo indietro qualche passo. L'ex soldato si sorprese a causa del gesto e, quasi senza accorgersene, aggrottò la fronte.

«Scusami, mi hai colto di sorpresa» improvvisò lei, con voce tentennante. Non voleva cedere a dello sciocco romanticume, non a pochi passi da uno Sherlock sempre più impertinente.

«Oh, va bene» biascicò l'altro, confuso.

La giovane, tra l'incudine e il martello, escogitò una piccola compensazione. Spinse l'uomo nel nascondiglio più prossimo e gli stampò un bacio casto proprio all'angolo della bocca.

«Lascia perdere i gusci. Ci penso io» dichiarò, sussurrando.

4.

Sherlock era sull'orlo della crisi. Era sempre fermo, intento ad alienarsi dalla realtà per rifugiarsi all'interno del proprio palazzo mentale e fuggire dalle tante problematiche. Purtroppo, nonostante il tempo passato in mondi lontani dal presente e le distrazioni, niente sarebbe giunto a sottrarlo dai tarli. Era giunto il momento di tornare a casa, non solo fisicamente, e affrontare ogni singolo dilemma.

John e Gwen erano sempre all'interno della casa, come due fantasmi perennemente relegati al proprio luogo di morte. Il detective ogni giorno li osservava, li ascoltava e, nel mentre, si chiedeva cosa gli mancasse per sentire dentro la sensazione di pace. Quei pochi metri si erano riempiti, ma lui si era sempre sentito solo.

La compagnia dell'ex soldato era sempre stata una grande gioia e tanti furono i rospi ingoiati durante le sue frequentazioni. Mary e Rosie erano apparse dal nulla, complessificando l'equilibrio precario del 221 B e consumando il tempo da impiegare in casi e altre peripezie. Le cose, però, erano state ancora confuse dalla tempesta del quindici gennaio. Gwen era piombata a Baker Street assieme ai fulmini e non si era risparmiata nel portare con sé intense avventure. 

La testa di Sherlock non era ancora riuscito a definire una linea di demarcazione tra i propri sentimenti: lei era stata il fulcro di emozioni discordanti, di pensieri irrisolti. Conoscerla era stato come guardarsi allo specchio e scorgere tutto l'odio da sempre serbato per se stesso; approfondire quella conoscenza, al contrario, era stato come scoprire uno spiraglio di luce all'interno di un pozzo profondo, freddo e oscuro.

Erano come statue dalle forme differenti, ma generati dalla stessa creata, e ciò era bastato a generare gelosia e affetto. Sia lei che John erano come le tessere di un puzzle, perfette nel rendere completo un uomo burbero e poco affabile. Eppure, era proprio lui a non incastrarsi con entrambi; era lui l'elemento di troppo e niente sarebbe giunto a cambiare quella tragica e assurda situazione.

5.

I giorni passarono, ma il tempo non accennò ad alcun miglioramento. Londra, come sotto una maledizione, continuò a inghiottire pioggia senza fine. Marzo, seppur prossimo, non sembrava assolutamente regalare né raggi di sole, né candidi fiori di ciliegio. Difatti, ogni cittadino fu costretto ad accendere il camino e sfruttare le ciminiere che, buttando fuori il fumo, oscurarono ancora di più l'atmosfera urbana.

Al 221 B di Baker Street, il clima non fu meno freddo. Gwen dovette giostrarsi tra le cure di John e la presenza di Sherlock, alternando con maestria gli approcci più distaccati a quelli più intimi. Bilanciarsi tra quei due fuochi non era facile per lei che, sempre più demoralizzata e in continua lotta con la proprio felicità, continuava a percorrere la strada della persona buona.

John, invece, aveva cominciato ad avvertire la tensione: certi comportamenti della donna lo rendevano insicuro e incerto sul da farsi. Non sapeva più a cosa credere e, soprattutto, non riusciva più a dare un nome a quello strano rapporto instaurato. Soffrì per timore di perdere quello che aveva raggiunto: il corteggiamento disinteressato, i primi casi, la spensieratezza. Gwen era mutata nel simbolo delle belle esperienze passate, degli anni precedenti al matrimonio, alla lutto, all'ammuffire dell'età. Peccato che si trattasse solo di un'illusione.

Per non immalinconire la mente con troppe riflessioni, si propose di utilizzare la telecamera del computer per permettere al collega di porre rimedio ad alcuni casi semplici. Durante la settimana continuò a esaminare il suo stato di salute, sperando in lunghi periodi di procrastinazione. Dopo la conclusione del caso Blomst, forse tutto sarebbe crollato e il ricordo della giovane si sarebbe dissipato come la fiamma di una candela, lasciando solo cera sporca.

Peccato che lui non desiderasse quel finale.

6.

Era mattina e il grigio continuò a tormentare la città a ogni singola ora. John era appena ritornato al 221 B con in mano il giornale e in testa le faccende da sbrigare. Erano solo le dieci del mattino, ma la gente aveva cominciato a chiedere gli aiuti di Sherlock, migliorato nell'ultimo periodo grazie alle continue cure dei suoi amici.

«Questo non è lo stesso pollice» constatò il detective, esaminando un pezzo di carne all'interno della formalina.

Un uomo alto e panciuto, seduto su di una sedia, attese precise risposte.

«Ne è sicuro? Lo smalto è lo stesso.»

«Non è lo stesso. Qualcuno ha staccato un altro pollice e ha dipinto l'unghia con una tonalità di smalto molto simile. È solo un inganno, Mr. Wilkinson. Le consiglierei di stare più attento. Temo che suo cognato abbia fatto un errore madornale, insabbiando la pista.»

«Dice sul serio?» chiese l'altro, sorpreso.

I clienti andarono e sopraggiunsero come tanti turisti all'interno di un museo. John, aiutò il coinquilino e nel mentre sbirciò di tanto in tanto al di fuori della finestra, alla ricerca di una testa argentata.

Gwen, quel giorno era uscita per fare un giro, ma non era ancora rientrata. John, allora, si lasciò guidare da inutili allarmismi e ispezionò continuamente la strada, riuscendo però a scorgere solo la chioma scura dell'ennesimo cliente. Si trattava di un giovane uomo di altezza media e dalla costituzione solida.

«Ne sta arrivando un altro, ma dovresti riposarti adesso.»

«Ho tutta la morte per riposarmi, John» rispose il collega.

La porta riportò altri battiti e l'ex soldato andò ad aprire. Quando il cigolio si allungò, non si sorprese nel codificare la stessa testa prima scorta dalla finestra. Lo sconosciuto era apparentemente aitante, con le mandibole marcate e due grandi occhi azzurri.

«Cerco Sherlock Holmes.»

«Come tutti, del resto.» John lasciò entrate lo conosciuto dentro al soggiorno. «C'è qualcosa che possiamo fare per lei? Può cominciare a raccontare tutto. Saremo contenti di ascoltare quello che ha da dire.»

«Holmes!» Il cliente fu risoluto.

Sherlock cercò di calibrare la mente e riuscì a individuare qualche indizio in più sul protagonista delle sua giornata. Aveva preso il treno. Le occhiaie dicevano che non aveva dormito. O meglio, che si è alzato presto; veniva nord dell'Inghilterra per una questione urgente.

«La prego di essere coinciso. Non sono qui per ascoltare insulse storie romanzate. Può cominciare.» Il comando partì.

Lo sconosciuto deglutì e, senza più parlare, mise la mano nella tasca della giacca e tornò fuori un oggetto poco sospetto. La scatolina di blu, ingabbiata da bianche dita, fu posizionata al di sopra del tavolino, posto accanto alla poltrona di John, che invece preferì rimanere ritto e concentrato. Solo un secondo e il cliente aprì la scatola lasciando intravedere un anello. Il diamante centrale, incastonato nel lucente oro bianco, era stato accompagnato a due zaffiri blu quanto la notte.

«Sono stato abbastanza coinciso?»

John cercò di comprendere il cosa si celasse dietro quel gioiello, ma riuscì solo ad arraffare teorie piuttosto basiche. Sherlock, al contrario, roteò gli occhi in segno di noia.

«Oh, mi lasci indovinare? Ha chiesto la mano alla sua fidanzata e ha ottenuto un sì come risposta. Peccato che, dopo, sia scappata non lasciando più alcuna traccia. Sono casi piuttosto frequenti. La sua sposa tornerà e anche se non lo facesse, il mondo se ne farà una ragione. Esca di sera, si ubriachi in un pub. Il tempo e l'alcol le faranno passare il momento.»

«Sherlock!» lo riproverò John, innervosito.

Il cliente mal tollerò il sarcasmo del detective. «L'ho cercata per mesi. Ho chiamato la polizia, ho smosso ogni agente di tutta Sheffield. Ero esausto e rassegnato ma, qualche giorno fa, alcuni funzionari civili mi hanno indirizzato al 221 B di Baker Street, a Londra. Mi hanno fatto il suo nome e adesso sono qui. Non me andrò facilmente.»

«Sono a conoscenza delle mie abilità ma, come ho già detto, non mi occupo di questioni sentimentali. Se ha fiutato qualcosa d'illegale, le raccomando una mia conoscenza. L'ispettore Lestrade sarà più che lieto di darle una mano. Lo troverà tra la Broadway e Victoria Street, a Westminster. Conosce Scotland Yard?»

Il cliente serrò la mascella per contenere la rabbia.

«La questione non è trovare qualcuno» rivelò, accigliato. «Lei è già qui. Io sono solo venuto a riprenderla.»

Il silenzio calò come nebbia all'interno della stanza, ibernando l'attimo. John, con la mente spenta, cercò di dare un senso alle parole appena sentite, ma senza successo. Il bruno, intanto, si pietrificò nella sua stessa posizione. Fu solo lo sconosciuto, squadrato il duo, a parlare ancora.

«Voglio sapere dov'è Gwendolyn!»

  
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