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Autore: AmyJane    06/03/2020    1 recensioni
Questa storia parla del bianco, del nero e di tutto quello che sta al centro. Conviviamo con mille sfumature e oramai sappiamo che non esiste la purezza. Sappiamo che il buio non è eterno e che tutto incontra i cambiamenti. Nero e bianco coesistono. Si contrastano ma senza mai negarsi, accettando la consapevolezza di non poter esistere senza il proprio opposto. Si completano e quasi finiscono con l'essere solo una delle tante sfaccettature dell'altro. Un po' come i diamanti che, nella loro infrangibile purezza, si rivelano essere solo una versione del carbone. Il nero è l'assenza di colore, il bianco l'unione di ognuno. Eppure niente e tutto alla fine sono molto simili, quasi la medesima cosa. Lo Yin contiene in sé lo Yang e lo Yang fa altrettanto.Sherlock è nero quanto una minacciata ombra ma ha un cuore puro quanto il diamante. Ha scelto di mostrarlo piano piano e di lasciarlo luccicare per contrastare la propria oscurità. Gwendolyn, al contrario, ha scelto la luce per accecare gli altri e mascherare un cuore color carbone. Gli opposti si attraggono per poi lottare senza mai né morire né trionfare. Si cede solo a un fragile compromesso.
Genere: Malinconico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Finale alternativo

«Direi che va tutto bene, buona ricezione.»

Il dottor Simon Miller aveva svolto un lavoro egregio e, senza nemmeno concedersi un attimo di riposo, si era dedicato alle cure del suo paziente preferito, Mr. Sherlock Holmes.

Era solito leggere i libri della Cristie, a pranzo quelli riguardanti i casi di Dupin e, infine la sera, poco prima di soffocare l'ultima luce, concedersi a qualche pagina di Simenon. Era semplice dedurre la sua grande passione per ciò che solo sfiorava la branca criminale, così come era semplice trarre conclusioni riguardanti la sua grande ammirazione per uomo che si era dedicato a sbrogliare misteri di tutta la nazione.

Il detective era stato benedetto dalle tante attenzioni di un buon medico e, aiutato da John Watson, sempre al suo fianco. In poco era riuscito a superare le prime fasi della guarigione con molta rapidità,.

Ill lato psicologico, purtroppo, era ancora un tasto dolente. Tuttavia, molto presto, anche le ferite dell'anima si sarebbero rimarginate assieme al resto. Era necessario solo saper aspettare.

«E adesso controlliamo il resto» disse Miller, prendendo la cartella.

Sherlock, condannato all'immobilità, rimase supino sotto le lenzuola. La sua mente soffrì a causa della lunga serie di notti insonni, passate al lume della sofferenza e dei ricordi.

«Tutto bene» dichiarò l'anziano, sorridendo.

«Quando potrò ritornare a Londra?» tagliò corto il bruno.

John, giunto lì con il fine di tenere compagnia al proprio collega, ascoltò con attenzione i risultati di ogni singolo esame e, da dottore diligente, tenne a mente ogni piccolo dettaglio che era stato estrapolato.

«Sherlock, non affrettare le cose come al solito.»

«Il dottor Watson ha ragione.» Miller arcuò un sopracciglio e, con un sorriso stampato sulla faccia paffuta e rubiconda, continuò. «Meglio non dare per scontato niente. Rimarrà qui per qualche altra sera, in osservazione. E non mi lamenterei, affatto, Mr. Holmes. Stasera c'è un ottimo stufato. Mi creda, è davvero da leccarsi i baffi.»

Sherlock si rilassò, fino a quando un ghigno deformò quella pelle diafana e così sottile. L'eroina, forse, era l'unica cosa capace di tenerlo lontano dall'urlare come un psicopatico per il risentimento.

«Solo un'altra notte!»

«Solo una» fece eco Miller.

Gli occhi chiusi e la mente aperta erano parte della routine notturna. Sherlock così si disperse al centro di un oceano di pensieri che, come onde, s'infransero sulla cognizione, trasportandola lontano, al passato che era giunto come un terrore notturno, e poi al presente già stantio. Tratti bianchi lo perseguitarono lungo tutto il sonno, costringendolo ad abbondare quell'amaro paradiso per altro. La sala si era tinta del blu della notte e del tiepido pesca di una lampada ubicata al di fuori del corridoio, dove John, colto dalla stanchezza, si era appisolato.

Sherlock, allora, si mise seduto e catturò con il lungo naso un respiro e poi sfiorò con l'iride attenta un oggetto, prima non presente. Sopra del comodino, liscio e così impersonale, un regalo era stato offerto con cura. Un libro nero adornato con tanti ghirigori dorati che, ben disegnati, erano attorcigliati in maschere.

Edgar Allan Poe, Racconti del terrore.

Riuscire a studiare un libro era semplice, l'importante era soffermarsi sulle condizioni, l'edizione, l'ingiallimento delle pagine, il colore delle scritte e, infine, anche sui segni posti all'interno della carta odorosa. Bastò solo girare quel tomo da lato al lato, subodorare il sentore, dischiuderlo delicatamente e sfogliarlo con sollecitazione per riuscire a cogliere le giuste risposte. Però, nessun indizio si mostrò, sino a quando non fu raggiunta la pagina sessantotto. Lì, una penna stilografica aveva tracciato il numero tredici.

Le cifre grandeggiarono al di sopra del titolo, leggermente stinto, ma ancora chiaro. Le esequie premature fu la traccia che precedette le righe ordinate e perfette nel raccontare macabre storie di tanta gente che aveva avuto la sventura di essere sepolta viva a causa di una stato di morte apparente. Molti erano stati ritrovati morti, nonostante i disperati graffi sulla bara; altri invece, erano stati molto più fortunati e avevano riconquistato la loro esistenza.

Era, certamente, una lettura non per deboli di cuore, ma molto interessante per chi era affascinato dal terrore. Sherlock cominciò a pungolare la mente, finalmente libera dalla prigione del rimpianto, e a manipolarla in favore di nuovi concetti e dubbi. Bastò solo qualche attimo e altre deduzioni galleggiarono nella sua mente. I circuiti si riattivarono, furono percorsi da un'incandescente scintilla.

2.

«Sala tredici.»

Sherlock specificò ancora il suo concetto a John, non ancora a conoscenza di tutto ciò che era accaduto.

«Sala tredici?»

Il medico seguì il collega a passo lesto, facendosi una seconda ombra intenta a falciare muri dell'ospedale oscurato dalla ore notturne. Entrambi si mimetizzarono lungo il cammino e si tennero lontani il personale presente, in cerca di una misteriosa sala ubicata nella zona est della struttura.

«È stato il dottor Miller a lasciarlo» confessò il bruno, camminando.

«Il dottor Miller ha fatto cosa?»

«Un libro di Edgar Allan Poe, buona edizione, ottime condizioni. Apparteneva a lui da molto tempo e non se ne sarebbe mai separato. Sul capitolo delle sepolture premature è stato scritto un numero. Vuole che raggiunga la sala tredici. È molto importante; non me lo avrebbe mai lasciato altrimenti.»

John zampettò accelerando l'andatura, fino raggiungere il collega e fermarlo con il tocco delle dita sulla spalla possente. Era contrario al condurre indagini durante il periodo di guarigione.

«Sherlock? Non è il momento di sprecare le tue forza.»

«Oh, mi sento vivo, John.» Sherlock strattonò la mano del coinquilino dalla spalla, mandando all'aria ogni tentativo di blocco.

Infine, con un cenno spronò il medico a seguirlo, sia nel buona che nella cattiva sorte, come si erano preposti di fare in ogni occasione.

John, quasi senza accorgersene, scosse la testa in senso di dissenso ma, subito dopo, stampò orme proprio accanto a quelle della sua onnipresente guida. Dovunque lui sarebbe andato, lui lo avrebbe seguito, a discapito del dolore e del resto. Intanto, il corridoio si allungò fino la sala tredici, assottigliandosi e riducendosi a un'unica apertura sorvegliata due figure in borghese, lunghe e larghe. La sicurezza, completamente immune a chiacchiere, osservava lo spazio intorno.

Sherlock, di conseguenza, si posizionò presso l'ultimo angolo e, celandosi, fermò l'ex soldato, confinandolo con il braccio contro la parete. Dopodiché, ritornò indietro.

«Cosa hai intenzione di fare?» chiese l'altro, stranito.

«Superare la sicurezza.»

Ritornarono dentro a panni sanitari, cuffiette e mascherine, e si accinsero a ritornare dalle guardie. Il più massiccio si inchiodò dinnanzi a Sherlock, in attesa. Lì, il detective rispose con un piccolo cartellino plastificato con sopra il tutolo dottor Simon J. Miller. Qualche minuto e l'ingresso si aprì, lasciando ai due infiltrati un piccolo successo.

«Dove lo hai preso?» chiese John all'amico, una volta oltrepassate le guardie.

«Tra la pagina ottantanove e novanta.»

Il percorso non fu molto complesso: il corridoio era privo di biforcazioni e qualsiasi altro tipo di strettoie parallele. Nessuna porta, a parte qualche toilette completamente inutilizzata. Fu dopo qualche metro che una sola apertura fece capolino.

«Ci siamo» fece il bruno, tirando giù la mascherina.

Con al seguito il medico, mosse il passo i direzione della maniglia che, prima di essere anche solo sfiorata, tremò. Il cigolio, stridulo e così nefasto, diede compagnia alla comparsa di un'infermiera.

«Holmes» farfugliò questa, dopo lo spauracchio.

«Chi altri?» la schernì il detective, impaziente.

«Cosa ci fa lei qui? Non è autorizzato a stare in questo reparto. Potrebbe essere pericoloso.»

«Oh, l'autorizzazione è solo una banale formalità da aggirare. Non mi ha mai impedito nulla. Ha solo stimolato il mio interesse» rispose Sherlock, superando al donna.

«Le comando di tornare indietro.»

Sherlock cinse la maniglia. «Prego?»

L'infermiera, allora, cominciò a macchiare scuse. «C'è un paziente con la tubercolosi. Non è consigliabile stare in quell'ambiente. Il contagio è sempre in agguato, Mr. Holmes.»

Lui inumidì le labbra e poi si voltò verso l'unico ostacolo del suo cammino. Con lo sguardo pugnalò la donna e, dopo averne osservato l'abbigliamento, si permise di ribattere con tono arcigno. «Oh be', al suo contrario, io ho la mascherina.»

John si accostò al collega e contribuì con un «In effetti...»

L'infermiera, completamente confutata e anche intimorita, tese la faccia in un piglio turbato. Strofinò le mani contro il camice immacolato in segno d'ansia e cercò di chiamare la sicurezza.

«Non lo faccia, è pericoloso!» esclamò.

Il detective abbassò la maniglia. «Così non fa che incuriosirmi.»

E la donna lo minacciò: «Dovrò chiamare la sicurezza, se fa un altro passo...»

Il chiavistello scattò, dischiudendo il legno e lasciando che un spiraglio di luce corresse lungo lo spigolo e segasse il pavimento. Finalmente Sherlock si fece prossimo al suo traguardo, a pochi passi da un'insolita sorpresa dal sapore lugubre.

«Faccia pure» continuò, entrando a passo felpato nell'oscurità. «Non m'impediranno di...»

E la sorpresa mozzò metà della sua risposta.

3.

John Watson, negli ultimi mesi si era sorbito parecchie docce fredde, ma il tempo era passato e nel Royal Hallamshire Hospital un segreto era stato nascosto con la stessa cura e dedizione di un operazione militare in incognito. La sale tredici si fece l'incredibile nucleo di qualcosa di straordinario, e lio non appena varcò la sua soglia assieme a Sherlock, fu obbligato ad affrontare molto più di una doccia gelida, ma un'immersione nel Mar Glaciale Artico.

Era stato un po' come essere gettati sotto a una lastra di ghiaccio, nell'acqua salata e così fredda da ferire come i denti di uno squalo. Gwen, la sua Gwen, dormiva serena su di un comodo letto ospedaliero. Costosi marchingegni la monitoravano, quantificando battiti e respiro.

«Sherlock, che sta succedendo?» John sentì le gambe morire.

Il detective completamente allibito, ripensò al bizzarro racconto di Poe, al come le persone pur apparendo decedute in realtà continuassero a esistere, ingannando ogni persona. I fili, allora, si ricollegarono, legandosi in nodi solidi: morte, Lazarus, scena e, infine, Mycroft. [1]

4.

«Come hai potuto?»

L'obitorio della struttura non era un luogo serafico, ma i morti erano senza udito, né parola. Sherlock Holmes si preparò al confronto e, intestardito e furioso, acuì lo sguardo, assottigliandolo a dismisura. D'altro canto Mycroft, imbalsamato nella sua rigida e scomoda posizione di persona potente, rimase fermo, completamente inchiodato al suolo, e rimirò il fratello senza nemmeno una leggera ostilità. Eppure, nell'intreccio dato dai loro occhi, un filo si andò incendiando.

«Come hai potuto?« ripeté Sherlock.

«Semmai perché, Sherlock» lo rimproverò l'uomo di ghiaccio. «Quella donna stava diventando un pericolo per te. Me ne sono accorto con un disonorevole ritardo, ma alla fine sono riuscito nel mio intento: toglierla di mezzo, prima che lei togliesse di mezzo te. Eri deperito, senza forze.»

«E così ha inscenato la sua morte» confermò l'altro, furioso.

«Non le avrei permesso di darti altre insoddisfazioni. Non avresti retto alle tue dosi di eroina. I sentimenti ti destabilizzano e lei era un pericolo troppo grande. Ti saresti dimenticato dell'accaduto e si sarebbe risolto tutto. I morti non sono mai stati un problema per te. Non posso dire lo stesso dei vivi.»

Sherlock deglutii.

«Tanto teatro per un fine subdolo. Eppure, lei era morta.» 

«È stato un piano molto complesso» dichiarò Mycroft, leggermente compiaciuto. «Ebbe tutto inizio nel 2012, quando inventai il progetto Lazarus. Dubito tu lo abbia dimenticato. Far risorgere un morto è complesso per chi non è Dio, ma non impossibile. Tu sei sopravvissuto alla caduta, Sherlock. E io, da allora, non ho fatto altro che migliore il piano, renderlo perfetto.»

Il bruno prestò ascolto, con fare tramortito.

«Ho sviluppato un farmaco, chiamato per l'appunto Lazarus, iniettabile in vena. La sua componente principale è il metaprololo, sostanza molto in uso nella cura delle tachicardie. È stato somministrato a Miss Blomst durante il ricovero, subito dopo il prelievo, quando era ancora incosciente. Il farmaco si attiva durante un episodio tachicardico, riducendo il battito a una capacità contrattile minima simile a una bradicardia sinusale e inibendo la respirazione. Il corpo appare completamente morto e può persistere in tale stato per diverse giornate o, se si vuole, fino quando non viene esercita un leggera scarica contro il cuore. Solo una piccola scossa sul petto ed ecco che il deceduto ritorna miracolosamente a vivere.»

La spiegazione fu ineccepibile, comprensibile, e Sherlock divenne ancora più frustrato.

«Non può essere...»

Il suo busto si fece di marmo. La domande aleggiarono per un po' nella sua testa. Non seppe se percuotere Mycroft a suon di pugni, né se stesso a causa dell'errore commesso. Non era riuscito nemmeno a riconoscere quel piano o a fermarlo prima che degenerasse.

«Era una farmaco sperimentale. Ho annusato la situazione propizia e ho concluso le mie ricerche. Ho salvato quella donna, Sherlock. Non sono il mostro che credi.»

5.

Gwen era ancora in salute, nonostante il coma artificiale. Fu anche chiara la spiegazione del perché il dottor Miller fosse stato così folle da tradire la segretezza promessa a militari. La sua amicizia nei confronti di Cristoff Blomst era stata una grande molla.

Nonostante l'insensatezza delle circostanze, John, superato lo shock, non riuscì ancora comprendere cosa si celasse dietro le azioni di Mycroft, né il fine dietro il progetto intrapreso. Fu, comunque, molta la voglia di braccarlo. Giunsero, però, altri impegni a impedire la lotta. 

La presenza della donna fece da calamita per l'ex soldato, che si perse nelle carezze e nell'accudimento. Gli esami era stati fatti e l'ormone Beta-HCG era costantemente alto, testimoniando la crescita di qualcosa d'inaspettato.

John si sentì accecato dalle tante responsabilità, dalla scoperta di quella gravidanza, ma nel momento in cui avvertì la pelle di Gwen al di sotto dei suoi polpastrelli, tutto si fece piccolo. Non c'era nessuna bara, ma pulsazioni e tanto altro. Un bacio fu stampato testa bionda, un tocco umido, ma pieno di significato. Il contatto fu subito recepito e due ciglia scure cominciarono a tremare, anticipando l'apertura delle palpebre.

«John» sussurrò la ragazza appena.

Il medico osservò i lucidi occhi neri e le strinse la mano in segno di risposta. Lei tenne salda la presa. Fronte contro fronte, respirò bene, senza troppi ansimi, e si lasciò cullare dal solo conforto offerto dal tatto.

...and all I loved, I loved alone.

E.A.P.

  
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