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Autore: MaikoxMilo    07/03/2020    10 recensioni
Sulle note di "Parallel Hearts", l'opening di Pandora Hearts, ecco una breve storia di tre capitoli che tratta del rapporto tra Camus, Hyoga e Isaac, le vicissitudini, i ricordi, le emozioni, i silenzi, le frasi non dette. Non c'è vento benefico per il marinaio che non sa dove andare, ma, spesso, comunque, la strada che scegliamo di percorrere non è agevole, non ti porta dove vorresti, oppure, è ostruita. Tre strade partite in comune, tre destinazioni diverse, a volte inaspettate, ma finché i loro cuori continueranno a rimanere paralleli, non si perderanno mai del tutto, qualsiasi cosa accada.
ATTO I: Camus (4 giugno del 2011)
ATTO II: Hyoga (11 giugno del 2011)
ATTO III: Isaac (In un luogo indefinito, in un tempo imprecisato)
La storia fa parte della mia solita serie: "passato... presente... futuro!", ma è fruibile a tutti perché si situa prima dello svolgere degli avvenimenti della "Guerra per il dominio del mondo". Buona lettura a tutti!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Andromeda Shun, Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Gemini Kanon, Kraken Isaac
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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La prima volta che ho voluto conoscere qualcosa su di te,

sono stato scoraggiato dalla distanza dei nostri cuori

che non possono unirsi.

Abbiamo compreso che non potevamo capirci,

quindi, con questa consapevolezza,

possiamo ricominciare.

Io vorrei abbracciare le tue lacrime, il tuo dolore, tutto,

ma sento che più corro,

più mi allontano da te

e questo mi spaventa.

Dove dovrei andare?

 

 

 

 

Mamaaaaaaa!”

Il piccolo Hyoga cadde dal letto, picchiando la guancia destra contro il comodino, rimanendo sul pavimento gelido dell’isba, la coperta sopra di lui, che nascondeva completamente il suo corpicino, rendendolo un batuffolo. Restò fermo lì per un po’, aspettando di calmarsi, ben sapendo che il suo maestro non tollerava quelle lacrime. Anche se non aveva che 9 anni. Anche se aveva fatto un brutto sogno sulla sua Mama. Anche se il destino, fino a quel momento, non aveva riservato quasi nulla di buono al bimbo. Non c’erano scuse per le lacrime. Unica alternativa era diventare forte e rigettarle indietro, come il passato.

Alla fine Hyoga si alzò in piedi, la coperta ancora addosso come protezione, cominciando a vagabondare per la camera. Era ancora rintronato dal sonno, ma si muoveva per cercare conforto dalla persona per lui più importante.

Papà, dove sei?” biascicò, mezzo addormentato, stropicciandosi gli occhi ancora appiccicosi. Anche se il piccolo non era completamente vigile, quell’appellativo era diretto a Camus, non certo al suo vero padre biologico.

Perché il piccolo Hyoga lo aveva conosciuto quel vecchio che avrebbe dovuto chiamare papà, e che invece sembrava un nonno. Perché Hyoga lo aveva conosciuto per volere di Mama, e lui aveva accettato solo per non recare dispiacere alla giovane donna, ma quando si erano incontrati nessuna parola affettuosa c’era stata per lui, nessun tocco, nessun conforto. Semplicemente lo aveva trattato con freddezza, neanche fosse stato un appestato, e il solo pensare che con quel vecchio decrepito ci condivideva il sangue, era stato per lui motivo di orrore e sconcerto. Non avrebbe mai più voluto a che farci con quello. Mai.

Erano infine tornati a casa in Russia, lui e sua madre, ma poi c’era stato quell’incidente, il tentativo disperato di sua madre di salvarlo, a prezzo della sua stessa vita. E tutto si era concluso. Era rimasto solo al mondo, con un vecchio che avrebbe dovuto essere nonno e invece era padre. Era rimasto da solo, lui, un nome, un augurio di diventare più forte per rompere la spessa lastra di ghiaccio che lo teneva separato da sua madre, alla quale voleva ricongiungersi.

 

Dovresti diventare un Cavaliere di Atena, bimbo, per compiere il miracolo che ti sei prefissato…

 

Cavaliere di Atena. Sarebbe diventato Cavaliere di Atena, sì!

E tutto era ricominciato, con Isaac, fratello acquisito. E Camus. Camus…

Camus era sciamano dei ghiacci, malgrado la giovane età. Un prodigio, si diceva. Un miracolo. Era alto, snello e statuario, dagli strani capelli color blu che gli scendevano fino alle scapole, liscissimi, ma che sopra la testa formavano uno strampalato cespuglietto; i muscoli rifiniti, un’altezza considerevole malgrado gli appena 15 anni di età. Tutti gli portavano rispetto, sia grandi che piccini.

Per Hyoga, dal basso della sua statura, era un gigante, così maestoso e di bell’aspetto, così forte e nobile al solo apparire. Era ancora un adolescente, era vero, si erano conosciuti l’anno prima, eppure… eppure ogni tanto, nel sonno, lo chiamava ‘papà’, ma mai personalmente. Lo considerava davvero tale, del resto, nonostante la poca differenza di anni, nonostante suonasse strano. Per Isaac era lo stesso, lo sapeva, perché parlavano molto del maestro durante le notti, o nei momenti di riposo. Isaac, poi, trattava di lui con la massima serietà e devozione: nessuno poteva dire maldicenze sul suo conto, nessuno, farlo sarebbe equivalso al suicidio, perché l’onore di Camus non si toccava, era da scellerati il solo pensare il contrario. Hyoga non poteva che concordare con lui.

Non Mitsumasa Kido era suo padre, non quel vecchio schifoso, ma Camus dell’Acquario ricopriva quel ruolo, lui, nessun altro.

Papà...” lo richiamò, sempre assonnato, essendo sceso al piano di sotto, ma non avendolo trovato nel proprio letto. Ciò lo mise in allerta, risvegliando piano piano tutti i suoi sensi da aspirante Cavaliere.

A quel punto si svegliò completamente, sinceramente preoccupato dalla sua assenza. Il maestro era solito allontanarsi da lì per recarsi al Santuario di Grecia, ma era inusuale che in piena notte non fosse nel suo letto. Il piccolo ingoiò automaticamente a vuoto, dirigendosi verso l’uscita dell’isba con il cuore a mille. La vita lo aveva già privato di tutto, proprio per questo ebbe un timore viscerale, precipitandosi poi fuori, in mezzo al freddo. Ebbe l’istinto di chiamarlo a viva voce, ma compiuti pochi passi sul permafrost, riuscì a individuare una figura a poca distanza da lì, seduta sul ghiaccio, riconoscendola come quella del maestro. Sorrise rassicurato, compiendo i primi movimenti, un poco impacciati, per avvicinarsi a lui, ma in pieno atto si bloccò di nuovo, sentendosi inaspettatamente un intruso: Camus non era da solo.

Maestro, stanotte è il momento giusto per vedere la costellazione dell’Acquario? Per questo mi avete svegliato?” chiedeva a raffica Isaac, nel pieno della sua iperattività, saltando di qua e di là per attirare su di sé lo sguardo dell’amato maestro. Pareva una trottola irrefrenabile da quanto pendeva dalle sue labbra.

Sì, Isaac, ma ora acquietati un attimo, se ti muovi come un furetto non riuscirò a concentrarmi abbastanza per individuarla e mostrartela!” lo avvertì Camus, franco, facendogli poi cenno di sedersi al suo fianco. L’allievo, con l’argento vivo addosso, seguì docile, inginocchiandosi di fianco a lui ma continuando a muoversi persino da fermo. Eccitato.

Camus sorrise tra sé e sé, dirigendo i suoi occhi verso l’orizzonte. Era da quando aveva trattato di Aquarius che Isaac voleva assolutamente vedere la costellazione che li avrebbe protetti, non c’era stato giorno che non glielo avesse chiesto, ma non era mai il momento propizio, per cui aveva rimandato fino a quel momento: l’autunno era ormai iniziato da un pezzo, il cielo era limpido e sgombro da nuvole, difficilmente avrebbero avuto una seconda occasione. La costellazione di Aquarius era un po’ come lui, sfuggente ad occhi umani non sufficientemente esperti, eppure di considerevoli dimensioni. Amava celarsi, soprattutto nell’Emisfero Boreale, occorreva una certa bravura per distinguerla.

Allora, Maestro? L’avete trovata?”

Ancora un attimo, Isaac!”

Ok!”

...”

E adesso l’avete trovata, Maestro?”

Isaac...” sospirò Camus, constatando che l’allievo esuberante non si sarebbe calmato finché non l’avesse trovata.

Potete farcela, Maestro, io credo in voi!” si mise poi a fare il tifo, ciondolando con la testa.

Grazie per l’incoraggiamento, ma...” ridacchiò, disteso.

Ma cosa? Vi sfugge? Credete in voi, Aquarius risponderà al suo degno custode!” continuò ad incoraggiarlo, vivace, sempre più irrefrenabile.

Ecco, mi daresti un grande aiuto, se...”

Sì, Maestro, contate su di me! - trillò, felice dalla richiesta del mentore – Io vi aiuto! Come? Sono tutt’orecchi!”

...se, tanto per cominciare, la smettessi di tirarmi per un braccio!”

Solo a quelle parole il piccolo si rese conto che effettivamente, forse a causa dell’emozione, aveva preso a trarlo a sé, come valvola di sfogo a tutta quell’attesa che gli faceva temere di non riuscire ad individuare la costellazione. Così, mormorando parole di scusa, si rimise composto, trattenendosi da continuare a compiere movimenti. Arrivò al punto di non respirare nemmeno, cosa che gli riusciva bene, visto i frequenti allenamenti in acqua. A Camus non sfuggì quel gesto, pertanto, sciogliendo la muscolatura, poggiò le mani dietro di sé, sorridendo alla volta celeste.

Puoi tornare a respirare, soldo di cacio, l’ho individuata!”

COSA?! Quando, Maestro?”

Già da un po’, al dire il vero...”

Isaac era incredulo, sbigottito, aprì la bocca, protestando.

Ma voi mi avevate detto che...”

Dissimulavo di non averla trovata per insegnarti, ancora una volta, che nella vita, un po’ di attesa è sempre necessaria!”

Oh… - bofonchiò Isaac, arrossendo a dismisura, prima di riprendersi nell’immediato – Mi avete giocato!” esclamò, allegro, buttandosi a capofitto tra le braccia del maestro, gesto che, lo sapeva, lo avrebbe irrigidito, cosa che infatti avvenne, come di consueto.

Ed io sapevo che avreste reagito così, Maestro! - si prese la sua rivincita, ghignando tra sé e sé, gli occhioni rivolti verso il suo profilo sorpreso avvolto dall’oscurità ma rischiarato dalla volta celeste – Ma l’ho fatto comunque, per farvi capire che, ogni tanto, le relazioni interpersonali possono passare anche attraverso il contatto fisico, e che non c’è nulla di male in questo!” gli cantilenò, affondando il suo visetto nella sua giacca. Faceva molto freddo in Siberia, di notte, persino a fine settembre.

I-Isaac… - mormorò Camus, imbarazzato, permettendosi di sfiorargli i capelli con le dita lunghe e sottili, gesto breve, ma sentito, prima di portare l’attenzione del piccolo oltre – Guarda là, vicino all’orizzonte, quella è la costellazione dell’Acquario!”

Isaac si mise comodo sulle ginocchia del maestro, prima di dirigere i suoi occhioni verdi laddove l’indice di Camus puntava. Affinò lo sguardo, prima di individuarla concretamente, così lontana ed eterea, così grossa, anche se scarsamente illuminata. Il maestro gli indicò tacitamente tutte le stelle una ad una, tracciando un percorso che il piccolo seguiva docilmente, ricolmo di speranza. Quella era la costellazione della sua famiglia, sua, di Camus, di Hyoga, il suo destino sarebbe ruotato intorno ad essa, ma, proprio per quel motivo, se la aspettava molto più abbagliante. Si appoggiò infine con la schiena contro il busto del maestro, rilassandosi completamente nel percepire il suo calore corporeo.

E’ bellissima, ma… me la immaginavo più… più… meno...”

Meno anonima?” finì per lui Camus, aspettandosi una reazione simile. Effettivamente Aquarius, per essere uno dei dodici segni zodiacali, era discretamente insulsa, se paragonata alle altre costellazioni, come per esempio quella dello Scorpione, che brillava sgargiante in cielo grazie alla rubina Antares.

Isaac annuì, cupo, ma poi riuscì a trovare di nuovo il buonumore, pensando ad una caratteristica che invece gli piaceva molto.

Sì, me la aspettavo più luminosa, sì, ma non ha importanza… è una costellazione molto grossa, fatta di molte stelle, ben si adatta a voi…” lasciò la frase in sospeso, sorridendo sornione.

Si adatta a me? Perché?” chiese Camus, incuriosito.

Perché si maschera davanti agli altri, risultando poco luminosa, ma in verità è grandissima, come il vostro cuore! - gli confidò, alzando le braccia per mostrare esaustivamente cosa intendesse – Solo una costellazione grande come lei può contenere tutte quelle stelle; solo un cuore immenso come il vostro può considerarsi il più puro e giusto tra gli uomini!” gli disse, felice.

Oh, Isaac… - si raschiò la gola Camus, prima di riprendere il controllo di sé, perché quella frase lo aveva emozionato, ma non poteva darlo a vedere. Non troppo. - Credo che tu mi stia sopravvalutando...”

Isaac non diede peso a quell’ultima frase, rannicchiandosi meglio nel grembo del suo maestro, il quale teneva appoggiate entrambe le mani sulle sue spalle, sebbene fosse molto impacciato.

Maestro, Hyoga ed io siamo una di quelle stelline, per voi? Avete difficoltà a rivelare le vostre emozioni, ma io lo posso ben avvertire che, anche se non fisicamente, ci abbracciate con quella stessa intensità con cui la costellazione dell’Acquario abbraccia le sue stelle...”

Il piccolo cominciava ad avere sonno, le manine erano intirizzite dal freddo, ma non voleva darlo a vedere a Camus, voleva dimostrare quanto era diventato forte, solo quello contava.

Isaac… per me siete molto più che semplici stelle, tu e Hyoga, ma come paragone rende davvero bene...” mormorò, ancora in forte imbarazzo.

Mmhm...”

Camus gli toccò una delle due manine, avvertendola rigida e gelida. I rigori notturni di quel luogo erano ancora un eccessivi per il piccolo, ma ovviamente non lo voleva dare a vedere, sempre intento a dimostrarsi degno del maestro.

Hai freddo?” gli chiese, togliendosi di riflesso la giacca, prima di adagiarla sopra di lui, che si stava addormentando appoggiato alle sue gambe.

Va tutto bene, Maestro, ci siete voi qui con me, percepisco il vostro tepore… - farfugliò, intontito, sempre più addormentato e sempre meno vigile – Ditemi… ditemi il nome della stella più brillante di Aquarius, se la sapete...”

Sì, si chiama Sadalsuud… quasi tutte le stelle dell’Acquario hanno nomi arabi”

Isaac lo trovò divertente e rise, stringendo le manine sul tessuto dei pantaloni del mastro.

Che nome strambo!” commentò, sistemandosi meglio e sprofondando ancora di più il visino nel suo grembo.

Ma non è la mia stella preferita”

E quale… quale sarebbe?” domandò ancora Isaac, con la voce sempre più impastata dal sonno. Non aveva quasi più freddo, merito dello straordinario calore che emanava il maestro, che poteva riscaldarlo ovunque, persino in una gelida landa abbandonata da tutte le divinità, forse persino ad anni luce di distanza. Quel tepore… lo avrebbe rammentato per sempre!

Sadachbia, ‘la stella fortunata delle cose nascoste’, secondo alcuni, ‘la stella fortunata delle case’, secondo altri, ma entrambi i significati sono molto importanti per me...” gli confidò, sorridendo appena, abbassando poi lo sguardo su di lui.

Isaac non rispose, perché si era placidamente addormentato appallottolato come un gatto sulle sue gambe, le braccia piegate naturalmente, a nascondere parte del visetto sereno. A Camus venne un moto di tenerezza, mentre si permise di accarezzargli delicatamente i capelli, prima di prenderlo dolcemente tra le braccia e avvicinarlo al petto, in un gesto molto simile ad un abbraccio, possibile in quel momento solo perché il piccolo dormiva. La testa del bimbo si posò naturalmente sulla spalla del Cavaliere, il quale gli spostò dalla fronte uno dei ciuffi ribelli.

In ogni caso, è una stella fortunata, ti sarà di buon auspicio, mio piccolo Isaac!” gli sussurrò ancora all’orecchio, sereno, prima di alzarsi e apprestarsi a rientrare nell’isba.

Hyoga, rimasto in disparte, ma ben vigile, ad ascoltare il loro dialogo lì dietro, ancora con la coperta addosso, sussultò nel percepire il movimento di Camus e, cercando di fare meno rumore possibile, si voltò, ritornando a tutta fretta dentro casa. Quasi inciampò sulle scale nel risalirle, prima di buttarsi a capofitto nel letto e nascondersi lì sopra, tremante. Non riusciva a controllarsi, ma il maestro sarebbe presto giunto lì, riportando Isaac nel letto, lui non poteva farsi trovare sveglio, né tanto meno con quelle lacrime che gli imperlavano le palpebre e quei singhiozzi che a forza affogava in gola. Camus sarebbe arrivato a breve, e lui era avvinghiato dalle emozioni che avrebbe dovuto far tacere, in un modo o nell’altro. Si portò le gambe al petto, le guance bagnate.

Pochi istanti dopo entrò Camus, accompagnando la porta dietro di sé per non fare rumore. Hyoga si immobilizzò, sperando che lo scambiasse per addormentato. Sentì il maestro adagiare il suo fratellino nell’altro letto, rimboccandogli poi le coperte, il tutto sempre stando ben attento a non fare troppo rumore. Una volta ultimato il processo, avrebbe dovuto andarsene, concedendosi anche lui un po’ di riposo, ma non lo fece, non subito, rimanendo invece a guardare con insistenza il mucchio di coperte che celava il corpicino del piccolo Hyoga. Qualcosa lo tratteneva lì, pensieroso, alla ricerca di un qualsiasi indizio che potesse confermare il suo sentore. Il biondo stette immobile, un brivido lungo la schiena: che lo avesse scoperto? Quasi trattenne il respiro, stava ancora piangendo, se Camus avesse discostato le coperte lo avrebbe visto e sgridato, non voleva. Non voleva con tutte le sue forze. Oppose una strenua resistenza.

Hyo-Hyoga, tu…? - chiese all’oscurità della stanza, compiendo qualche passo in direzione del secondo letto, la mano protratta davanti a sé. Ma si fermò, sospirando – Sarà stato… un abbaglio!” si disse, uscendo poi dalla camera dei due allievi per concedersi un po’ di riposo. Nessuna carezza.

Hyoga stette ancora lì, avvertì i suoi passi sempre più distanti per poi scomparire del tutto. Buttò fuori l’aria, accorgendosi che stava trattenendo il respiro e, insieme a quello, un singhiozzo, poi un altro.

Si sentiva solo, anche se sapeva di non esserlo, rimpiangeva quel tocco che avrebbe tanto desiderato ma che non gli era stato dato, né aveva avuto la forza di esigere, come invece riusciva a fare sempre Isaac, perennemente intento a buttare giù quel muro di apparente ghiaccio. Lui, al contrario, non ne era in grado.

Pianse, soffriva di malinconia, gli mancava Mama, le sue carezze, la sua dolcezza, ma ancora di più soffriva nel percepire la distanza tra sé e il maestro. Insanabile. Incolmabile. Il rapporto tra Camus e Isaac era così forte, così speciale, cosa aveva lui in meno? Cosa aveva per non meritarsi anche lui un po’ di affetto? La testa gli prese a far male, vittima di pensieri che non erano neanche del tutto corretti, lo sapeva, ma non riusciva ad opporsi.

Quella notte si sarebbe conclusa così, in attesa che il giorno portasse via quel malessere insopportabile. Quella notte si sarebbe conclusa così, con le lacrime di Hyoga grandi protagoniste sulle guance del piccolo, come un rio che prendeva vita solo dopo una enorme tempesta.

 

 

* * *

 

 

11 giugno 2011, allo scoccare della Mezzanotte

 

 

A 7734 km di distanza, in un altro tempo lontano 2446 giorni in avanti, anche gli occhi del giovane Hyoga si spalancarono nell’oscurità, gremiti di quel liquido che avrebbe dovuto estirpare da sé già da parecchio tempo, ma che invece continuava ad essere parte integrante della sua stessa essenza. Si asciugò velocemente la faccia, scoprendosi nella stessa identica posizione che aveva quando, quella lontana notte, ancora bambino, si era domandato più volte cosa avesse lui di sbagliato per non riuscire ad entrare nel cuore del maestro, così agevolmente come ci era riuscito invece suo fratello Isaac.

Sospirò, dirigendosi verso la finestra e soffermandosi a guardare la città sotto di lui, inondata da quelle luci artificiali, chiassosa fino all’insopportabile, tutto il contrario della piccola isba siberiana, minuta, confortevole, in mezzo al nulla, ma deliziosamente calda e intima.

Posò la mano sul vetro tiepido, che rifletteva la sua immagine incupita, facendolo sentire ancora più lontano e fuori da sé. La città era tutt’altro che immobile, soprattutto in quella stagione, un sonoro rumoreggiare arrivava persino lì, malgrado lo stesso Hyoga avesse preso in affitto una trilocale vicino all’Acropoli proprio per cercare di ritagliarsi uno spazio intimo e silente. Ma ad Atene era impossibile.

Si strofinò, l’occhio ingiuriato, sentendolo prudere e accorgendosi che, forse per la vecchia ferita, quello continuava a lacrimare, sebbene il cervello avesse dato l’ordine di smetterla con quella sceneggiata. Tutto inutile. La palpebra era, sì, infine guarita, la cicatrice quasi non si vedeva più, ma ancora gli pulsava terribilmente, continuando a rammentargli le ragioni per cui se l’era procurata. Giustamente.

 

Forse non voglio veramente che guarisca, tutto qui. Farlo sarebbe come infangare la memoria di Isaac, andare avanti senza di lui, dopo averlo ucciso non una, ma due volte, e non potrei più perdonarmelo!

 

Pensò tra sé e sé, tornando al letto e coricandosi trasversalmente, una mano sopra la fronte e lo sguardo fisso sul lampadario spento. Si ritrovò di nuovo a tremare, scosso.

Non era più tornato al Santuario, rifiutava di tornarci, dopo i fatti accaduti il 4 giugno, dopo aver visto il Maestro Camus discorrere con Kanon di Gemini e lasciarsi cadere a terra, non opponendo resistenza davanti alle gocce di pioggia che cadevano dal cielo, senza minimamente muoversi da quella posizione, come un meritato castigo per i suoi peccati. Per non essere stato all’altezza di Isaac.

Sospirò un’altra volta, gettando un occhio al cellulare che aveva sul comodino, per lo più inutile, dato che ai messaggi e alle chiamate non rispondeva, isolandosi dal mondo.

Camus aveva provato a chiamarlo, i primi giorni, con una insistenza quasi paterna, ma appurando poi che non avrebbe ottenuto risposta, aveva smesso, abbandonando il cellulare di Hyoga a sé stesso. Ogni tanto si illuminava ancora, quell’affare, ma il Cigno aveva deciso di non considerarlo, relegandolo lì. Ormai non si ricordava neppure quando è che lo avesse ricaricato.

Tornò a fissare il soffitto, il petto cavo, ad immaginarsi nuovamente il Maestro inginocchiato per terra, raso al suolo dal dialogo avuto da Kanon. E si ricordò, si ricordò di come, dalla sua posizione da dietro la colonna, annullando il proprio cosmo, avesse visto l’espressione ricolma di dolore di Camus, scrosciante d’acqua. Il suo profilo, che giungeva alle sue iridi parziale, era tirato in un’espressione sofferente, le labbra dischiuse, i denti stretti, le guance bagnate dalla pioggia, e forse anche dalle lacrime. Hyoga non aveva più retto a quella visione, ed era corso via, non sapendo minimamente cosa fare per alleviargli il dolore. Il cuore di Camus era sfuggente, precluso a tutti, soprattutto a lui. Il Cigno non aveva la benché minima possibilità di afferrarlo. Non poteva. Non avrebbe mai potuto. In più, ne era sicuro, farsi vedere in quella tenuta sarebbe stato uno smacco per il suo maestro, non glielo avrebbe mai perdonato, pertanto, soverchiato dallo stesso senso di colpa, desiderando farsi sommergere a sua volta dallo scrosciare delle pioggia, se ne era andato, tristo, subendo anche su di sé la punizione del cielo senza opporsi.

Da quel giorno non si erano più visti, Hyoga si era reso irrintracciabile, e Camus, alla fine, lo aveva accettato, non provando neanche più a chiamarlo.

La verità era che, se avesse potuto, se solo ne avesse avuto la possibilità, si sarebbe precipitato da lui, supplicandogli in ginocchio di riaccettarlo come allievo. Ma ciò non poteva essere consentito, doveva espiare le colpe di cui si era insozzato, per farlo, non poteva meritare la felicità con il suo maestro, la persona più importante della sua esistenza. Semplicemente vi erano situazioni irrisolvibili, né più né meno. Semplicemente le ferite aperte dovevano essere cauterizzate con dolore; e tale dolore pagava pegno con la sua infelicità.

Hyoga non seppe, con certezza, quanto tempo rimase lì a cogitare, percepì appena gli occhi richiudersi, le palpebre farsi pesanti e cadere finalmente in una sorta di Purgatorio tra la veglia e il sonno. Seppe solo che, quasi all’improvviso, il campanello suonò, facendolo sobbalzare di riflesso, il cuore accelerato. Si stiracchiò le gambe, avvertendole addormentate, poco prima di dirigersi verso la porta nel chiedersi chi fosse a quell’ora. Guardò attraverso lo spioncino, indeciso se non rispondere o mandare direttamente al diavolo il tizio, ma quando, dal foro, riconobbe un viso famigliare, il suo cuore perse un battito. Aprì la porta, le mani tremanti.

“Sh-Shun?” chiese, ancora del tutto incredulo, incrociandosi con l’espressione gentile dell’amico di sempre.

“Ciao, Hyoga! - lo salutò cordialmente il Cavaliere di Andromeda, prima di approcciarsi naturalmente a lui con un abbraccio, perché sembravano passati secoli dall’ultima volta che si erano visti – Perdona l’ora ma… l’aereo diretto qui ad Atene ha avuto un ritardo di 4 ore, non era mia intenzione svegliarti in piena notte, ho provato a chiamarti, a scriverti, ma non rispondevi, hai forse il cellulare rotto?” gli spiegò poi, sorridendogli con dolcezza. Hyoga era ancora stordito dal suo arrivo, ma felice di vederlo, a stento riusciva a mascherare il sorriso.

“Che… che sorpresa! Ti… ti credevo con June in Giappone e… entra pure!” acconsentì, facendogli spazio, aggiungendo poi di fare come se fosse a casa propria.

“Sì, ero con June, ma è da giorni che avverto le increspature del tuo cosmo, non sembri affatto in forma. Per questo, appena sono riuscito a trovare il primo volo disponibile, mi sono precipitato qui. Stai… psicologicamente male, vero? Eppure non dovresti, Camus non è forse…?”

“Vuoi qualcosa da bere?” gli chiese il Cavaliere del Cigno, fermando quel monologo anzitempo, riottoso come sempre a dare spiegazioni.

“Non vorrei darti fastidio, Hyoga, sono qui solo per...”
“Non mi darai mai fastidio, Shun, sei mio fratello… come potresti crearmi problemi?” gli chiese retoricamente, sorridendo appena.

“D’accordo, allora… potrà sembrarti una richiesta strana, visto che siamo nella stagione calda, ma ti andrebbe di farci un tè e due chiacchiere tra amici? E’ da tanto che non succede...” gli propose Shun, in faccia la solita espressione gentile, il tono dolce, esattamente ciò di cui Hyoga aveva bisogno.

Il Cavaliere del Cigno era grato all’amico, in un modo difficile da spiegare a parole, ancora di più era arduo per lui, che di emozioni ne aveva tanti ma incastonati nel petto, restie a liberarsi. Shun era la sua antitesi, a lui era sempre così facile disvelare i propri sentimenti, non importava se fosse passato per debole, non importavano le prediche del fratello maggiore Ikky, lui era così, nutrito di quella forza che a lui era preclusa, munito di quel calore che Hyoga non riusciva a dare.

Un tale marasma di emozioni, lo portava ad essere anche molto sensibile nei confronti del prossimo, l’amico riusciva bene a leggere nel cuore di chi aveva davanti, provando quello strano fenomeno che veniva chiamato empatia, il mettersi nei panni degli altri. Di tutti gli altri, ma di Hyoga soprattutto. C’era un legame profondo tra i due.

Questo pensava il biondino mentre preparava il tè all’amico, ritrovandosi sorprendentemente più leggero nell’animo rispetto a prima, ed era tutto merito della presenza insperata di Shun, che si era recato lì, sobbarcandosi un viaggio estenuante solo perché avvertiva le increspature del suo cosmo. Hyoga si disse fortunato ad avercelo come amico, in una esistenza che per troppi anni aveva creduto maledetta e indegna di essere vissuta.

Tornò poco dopo in soggiorno, dove si era accomodato il Cavaliere di Andromeda, con due tazze fumanti di tè alla liquirizia, che sapeva gli piacesse particolarmente, e dei biscotti adatti allo scopo di essere inzuppati con il liquido e pienamente assaporati. Si sedette davanti a lui, mentre Shun, ringraziandolo calorosamente, prese il vassoio e lo portò sul tavolino.

“Hai proprio ragione… è da tanto che non parliamo tra noi, sembra passato un secolo dalla lotta contro Hades, da quando tu… sei stato posseduto dal dio… - riprese il discorso di prima, un brivido lungo la schiena a parlare di quell’argomento – E’ strano come, nella vita di un Cavaliere, i momenti di pace scorrano quasi senza accorgersene, come se ci fossimo fermati anche noi. Siamo stati insieme a lungo, noi Cavalieri di Bronzo, abbiamo compiuto imprese eroiche e, proprio adesso che potremmo comportarci da ragazzi normali, ognuno ha preso la propria strada, come è anche giusto che sia… anche se è un po’ triste...” si confidò, rimpiangendo, in parte, i momenti in cui erano tutti insieme.

“Hai proprio ragione, ma… l’amicizia tra noi non è affatto scemata, anzi! Anche Shiryu dovrebbe venire ad Atene domani o nei prossimi giorni. Voleva venire con me, ma aveva delle incombenze con Shunrei e il Maestro dei 5 Picchi, come puoi immaginare...”

“Shiryu… anche lui verrà qui?”

Shun sorseggiò tiepidamente il tè, prima di riporre la tazza, ancora piena, sul tavolino e scegliere uno dei biscotti. Il sapore intenso della liquirizia gli solleticava il palato, ma non era affatto spiacevole, anzi era la ragione per cui lo amava così tanto.

“Sì… eravamo preoccupati per te, Hyoga, per ciò che avvertivamo provenire da te, sembravi... sconfortato e spaurito, vero? Sappiamo bene che volevi passare del tempo con il tuo Maestro Camus, appena ritrovato, per questo il tuo stato ci ha insospettiti, dovresti essere… felice, non è forse così? E invece… - prese una breve pausa, guardandosi intorno nel controllare se ci fosse qualcuno – Piuttosto, lui dov’è? Mi aspettavo di trovarvi insieme!” chiese poi, non trovandovi nessuno.

“Al Santuario, a presiedere la sua casa… - rispose solo Hyoga, discostando lo sguardo, la tazza fumante era ancora lì, vicino alla sua mano tremante – Shun, tu come stai? Come va con June? E con Ikky?”

“Io sto bene, Hyoga, mi sto godendo la tanto sospirata pace e mi sento felice. June ed io, sai, abbiamo deciso di far crescere qualcosa sull’isola di Andromeda, abbiamo preso una casa, e ci auguriamo che, prima o poi, possa tornare ad essere un luogo ospitale anche per gli altri aspiranti Cavalieri – disse, sempre gentilmente, prima di addentare un biscotto e gustarlo. Attese di finire di masticarlo prima di riprendere il discorso – Con mio fratello Ikky va molto bene, come sai, lui è un solitario, ma viene a trovarmi tutti i week-end, o quasi, non facendomi sentire solo. Sono fortunato… ad avervi tutti quanti!”

“Anche io… lo sono!” si lasciò scappare Hyoga, sorridendo appena, ma non fu che un attimo, perché infatti le sue labbra tornarono a formare una linea retta, i suoi occhi, dopo quel breve fascio luminoso, tornarono scuri, irraggiungibili.

 

Anche io sono stato fortunato a nascere, come vostro fratello, in un’epoca come questa. Sono stato fortunato ad avere una mamma che mi amasse, al punto tale da sacrificare la sua vita per me. Sono stato fortunato ad essere cresciuto con Isaac e con Camus, ad avere avuto proprio loro due a tracciarmi la via. Sono stato fortunato ad essere posto sotto l’ala protettiva di Milo, che aveva mille e più ragioni per odiarmi, e che invece si è preso cura di me quando il Maestro non poteva più. Infine… sono stato fortunato a riavere Camus con me, avere una seconda possibilità con lui, a poter ricominciare daccapo. Eppure… eppure non sto facendo assolutamente nulla per accorciare la distanza tra noi. Sto correndo. Nel vuoto. E non so dove sto andando… ho solo la netta sensazione, come in fanciullezza, che più tento di avvicinarmi a lui, più lui si allontana. Tendo la mano, vorrei trattenerlo, ma non riesco, mi sfugge… mi sfugge sempre di più e… fa male!

 

“E tuttavia non sei felice… Hyoga...”

Il Cavaliere del Cigno si riscosse a quell’ultima frase, pronunciata accoratamente e densa di dispiacere.

“S-Shun...”
“Sai, Hyoga, ti ringrazio per preoccuparti di me, ma non sono qui per questo. Piuttosto vorrei sapere come stai, come stai TU, mi capisci?” gli chiese, prendendogli delicatamente una mano tra le sue e guardandolo con quei due occhi che sembravano quasi dei fanali nella notte, una speranza a cui aggrapparsi.

“Sto male...” bofonchiò Hyoga, che tanto al compagno non aveva senso mentire, lui capiva e percepiva, fin troppo, ma le parole non erano comunque facili da pronunciare.

Shun ridacchiò tiepidamente ma con educazione, approcciandosi ancora di più all'amico.

“Questa è l’unica cosa che so per certo, ma… perché? - gli chiese teneramente, aumentando la stretta sulla sua mano – Dopo quello che avete passato, tu e Camus, meritereste di certo di poter ricominciare, non solo come docente-discente, ma anche e soprattutto come padre e figlio, perché so che il vostro rapporto sfora in quello, ed è una cosa bellissima, ma c’è qualcosa che blocca entrambi...”

“Non è facile da spiegare, Shun...”

“Tu provaci, abbiamo tutta la notte e anche oltre, non me ne andrò finché non starai meglio, perché oltre ad essere mio amico, sei anche mio fratello, sai che non ti abbandonerò mai...”

“Lo so… ma non è facile da spiegare comunque”

Shun a quel punto si rilassò sul divano, attendendo che Hyoga trovasse il coraggio, le forze e le parole per esprimere quanto lo stava soffocando da dentro. Aspettò pazientemente, conoscendo bene le sue difficoltà. L’attesa, infine, ebbe i suoi risultati.

“E’ che… io non mi sento degno di lui e, sebbene lo vorrei con tutte le mie forze, non posso in alcun modo chiedergli di riaccettarmi per quel che sono, non posso, tutto qui...”

“Hyoga… pensi che lui non ti vorrebbe più come...”

“NO! E’ il contrario!” si affrettò a correggersi il Cigno, alzando gli occhi azzurri e lucidi verso l’amico, perché se c’era qualcuno che poteva accogliere quelle lacrime era proprio Shun, lo stesso che gliele aveva scongelate nel petto quel giorno alla Settima Casa.

Shun percepì un fremito percuotere Hyoga nella sua interezza, lo avvertì quasi su di sé, compartecipe, ma non disse niente, ascoltando lo sfogo dell’amico. Se c’era un tempo per le parole dell’amico e il suo silenzio, era quello.

“Il Maestro Camus mi riaccetterebbe sempre, sempre, qualsiasi cosa accada. Ha un cuore immenso, lo pugnalassi anche più e più volte nel petto, lui sarebbe sempre lì ad accogliermi, con quel modo di fare un po’ burbero che però nasconde tutto il calore delle sue splendide emozioni, ma sono io che non lo merito! – biascicò, disperato, lasciandosi sfuggire un singhiozzo – Non merito un simile trattamento, dopo che ho ucciso il suo migliore allievo, dopo averlo privato io stesso della vita… per questa ragione non posso tornare, anche se non immagini quanto mi faccia male questo...”

“Parli di Isaac? Isaac il tuo compagno di addestramento, quello che poi è diventando Generale dell’Oceano Artico?”

Hyoga annuì, coprendosi il viso con le mani nel tentativo di non cedere ai sentimentalismi. Già, suo fratello Isaac…

“Il degno possessore di Cygnus...”

“Hyoga! - per la prima volta il tono di Shun era diventato un poco rude, anche l’espressione si era fatta minacciosa, a seguito di quelle ultime parole – E’ l’armatura che sceglie, infine, se siamo degni, non lo fossi stato, non saresti diventato Cavaliere!”

“L’armatura non ha dovuto scegliere… Isaac si era già sacrificato per me l’anno prima di ultimare il mio addestramento. Non aveva alternative, o me, o nessuno...”

“Sì, che ce l’aveva, poteva non accettarti come suo custode, o abbandonarti, come è successo a Death Mask nella Battaglia delle 12 Case!” si oppose ancora Shun, sempre fermo nei suoi intenti. Era buono come il pane, ma non sarebbe mai indietreggiato nei suoi propositi, in ciò che credeva e, pertanto, non poteva nemmeno accettare che il puro e cdelicato Hyoga, Cavaliere del Cigno, dagli occhi cristallini, si commiserasse così, dopo tutte le imprese eroiche che aveva compiuto in nome di Atena. Camus aveva di che essere fiero del suo pupillo, Shun ne era completamente certo, il problema era proprio Hyoga, come si vedesse lui nella faccenda, reputandosi di certo colpevole e deprecabile.

Nel frattempo il Cigno si era messo la testa fra le mani, stringendosi le tempie e cosi i ciuffi biondi. Come aveva immaginato, parlare gli procurava un dolore atroce, che si acuiva mano a mano che il discorso veniva approfondito. Shun parve capire anche quello, pertanto addolcì il tono.

“Inoltre, Hyoga… il cosmo di Camus ti ha sorretto durante la battaglia contro il tuo amico, no? E’ successo lo stesso contro Poseidone, e contro Hades… sei quindi stato degno non solo di Cygnus, ma anche di Aquarius, che hai indossato con onore, come puoi pensare di non essere all’altezza? Come puoi pensare di non meritare di rimanere al fianco di Camus? - gli chiese in tono morbido, acciuffando il suo sguardo per imprimergli sicurezza tramite il suo, ne aveva davvero bisogno – Sono sicuro che Camus non veda l’ora di averti di nuovo con lui… non vedrà l’ora di poterti riaccogliere nella Casa della Giara del Tesoro, come suo pari…” provò ad incoraggiarlo, trasmettendogli calore.

“Anche lì… Camus non aveva alternative… Isaac era cambiato, non so come, non so come sia stato possibile, ma… aveva colpito anche l’indifeso Kiky, ricordi? Neanche io potevo tollerare un simile comportamento, sebbene fosse mio fratello…” si lasciò sfuggire Hyoga, sempre più sfiduciato.

Shun sospirò, ricercando un nuovo modo per riscuoterlo. La situazione, come aveva intuito, era piuttosto seria, Hyoga sarebbe sparito ben presto in un vortice di depressione, se qualcuno di loro non avesse fatto qualcosa per salvarlo. E non poteva accettarlo, men che meno in quel momento in cui la felicità, pareva, poteva essere appena dietro l’angolo, persino per degli orfani come loro che non avevano mai avuto niente.

“Ogni tanto ci penso… a cosa abbia provato il maestro in quel frangente, durante la battaglia tra me e Isaac… - si lasciò sfuggire ancora, con espressione mesta – Lui… costretto ad uccidere il suo migliore allievo, a conferire la sua armatura a me per combattere contro le divinità… deve aver sofferto moltissimo...”

“Hyoga! Queste cose non le voglio nemmeno sentire, hai parlato direttamente con Camus per pensare una cosa simile?!”

“No… come potrei?”

“E allora smettila di vaneggiare, scusa il termine… ma non posso accettare di vederti ridotto così, non lo meriti, non solo come persona, ma anche come Cavaliere, dopotutto quello che hai fatto per preservare la pace su questa bella Terra!” lo rimproverò ancora, stringendo i pugni. Anche lui, persino lui, si stava cominciando a scaldare.

Hyoga sospirò, affranto, accasciandosi sulla sedia con espressione arrendevole. Le braccia inerti a penzoloni, la testa reclinata all’indietro e gli occhi chiusi, in un’espressione sofferente. La tazza di tè era ancora poggiata sul tavolino, non più fumante. Si stava raffreddando.

“Loro due… Isaac e il Maestro Camus… erano così uniti, durante l’addestramento, dovevi vederli, Shun… - biascicò il Cigno, con non poca fatica nel ricordare quei momenti e, con essi, il senso di inadeguatezza – C’era un legame speciale tra loro...”

“Hyoga… scusami se ti contraddico, ma Camus non mi sembra tipo da fare preferenze, sicuramente vi amava entrambi, non credo che...”

“Non le faceva, infatti… non durante l’addestramento e, se possibile, mai – lo fermò subito Hyoga, sospirando – Ci ha sempre trattato da pari, ma… io riuscivo a percepirli, i piccoli gesti che il Maestro Camus, inconsapevolmente, faceva trapelare fuori da sé con il solo Isaac, e, quei piccoli gesti, facevano sentire me un fratellastro acquisito...”

“Oh, Hyoga...”

Il Cigno riaprì le palpebre, raddrizzandosi sulla sedia. Non era il momento per piangersi addosso, eppure, il solo rammentare quei giorni, una sensazione agrodolce lo investiva, tumefacendogli il cuore. Lui avrebbe voluto essere al primo posto nel cuore del maestro, lo voleva con tutto sé stesso, ma Isaac era già riuscito ad acquisire quella posizione, grazie alla sua esuberanza e determinazione.

“Comunque non c’è da stupirsi, Shun… Isaac è arrivato in Siberia un anno prima di me e ha passato mesi solo con Camus, anche se, entrambi, non sono mai scesi nei particolari nel parlare di quel lasso di tempo, come se fosse successo qualcosa di brutto e non facile da esprimere… io non mi sono mai intromesso, tra loro, ma la verità è che io bramavo quei piccoli gesti che il maestro regalava a lui, bramavo la sua espressione nei confronti del piccolo Isaac, quegli occhi blu, così dolci e luminosi quando il suo viso si soffermava sul mio compagno di addestramento… li bramavo, ma sapevo che non avrei mai potuto averli. Perché sono arrivato dopo… perché io non avevo il temperamento di Isaac...”

 

Il piccolo Hyoga, guizzò agilmente fuori dall’acqua freddissima, rimanendo inginocchiato sulla banchisa con il fiato corto, praticamente sfinito. Aveva volutamente prolungato la sua apnea per concentrarsi sul vascello che custodiva il corpo di sua madre, ma forse aveva esagerato, perché si sentiva le gambe molli, le tempie pulsanti. Era stato un azzardo, ma si era arrischiato a farlo, troppo ghiotta l’occasione che si era posta.

Finalmente anche lui cominciava a percepire il cosmo dentro sé, quello era il tramite per poter superare i limiti umani stessi, e potersi così, con il dovuto allenamento, recare un giorno a rivedere il viso di sua madre. Pensava questo e quasi sorrideva alla sola idea, quando la visuale fu oscurata da un qualcosa di scuro e caldo che lo avvolse, seguito poco dopo da una sonora frullata di due mani abili e capaci, che gli spettinarono tutti i capelli biondi. Socchiuse gli occhi a quel gesto, poco prima di fare capolino con il visetto in uno spiraglio di quel tessuto e vedere così il Maestro Camus, che lo fissava con la sua solita espressione velatamente compiaciuta.

5 minuti e 17 secondi… ottimo, Hyoga! Devi essere particolarmente dotato per riuscire a immergerti e raggiungere già un simile risultato dopo soli alcuni mesi di allenamento, sono davvero soddisfatto!” gli disse, spostandogli di poco la calda coperta per permettergli di sbucare interamente con il visetto giovanile e un poco ingenuo.

Hyoga lo guardò sorpreso, sentendo un tuffo al cuore: il maestro si stava complimentando con lui, a suo modo, la cosa lo emozionò non poco.

Dall’altro lato un corrucciato Isaac, a metà strada tra il sinceramente ammirato per il compagno e il tremendamente infastidito, lo guardava inebetito, avvolto anche lui da una pesante coperta.

Ma come hai fatto?!? Sei già a 5 minuti??? Wow!!! Io ancora non riesco!” trillò, estasiato, ricacciando in fretta il disappunto per tornare alla consueta vivacità. Hyoga era un compagno eccezionale, un continuo stimolo a migliorare e a farsi forza, non avrebbe potuto chiedere di meglio.

Io...” tentennò il biondo, arrossendo a tutte quelle attenzioni. Avrebbe voluto dire la verità, che lo faceva per la sua mama ma si morse le labbra prima, perché farlo avrebbe piegato l’espressione del maestro in una più severa e arrabbiata, e non voleva assolutamente, non in quel momento che sembrava così fiero di lui. Camus non era tipo a lasciarsi andare a complimenti e apprezzamenti, ma l’orgoglio che provava per i suoi alunni si percepiva dallo sguardo, che in quel momento era limpido e sereno, Hyoga non voleva in alcun modo rovinare quel momento.

Boof, solo fortuna...” la buttò lì, arrossendo, ma il compagno e amico era già lì, a premergli le mani sulle spalle, gli occhioni profondi.

No, Hyoga, tu hai del vero e proprio talento! Sembri così piccolo e gracilino però riesci a resistere più di cinque minuti in apnea, io stesso non ci sono mai riuscito. Sei una forza!” si complimentò ancora Isaac, regalandogli un largo sorriso, che il biondo ricambiò, felice a sua volta.

Tuttavia… - era di nuovo la voce di Camus, tornata distante come di consueto, ciò presagiva una ulteriore richiesta – Se vi chiedessi di immergervi di nuovo e di riprovarci, cosa mi rispondereste?”

Che sono già pronto, Maestro, e che farò meglio di prima!” esclamò vivacemente Isaac, compiendo un salto e mettendosi poi le mani dietro alla nuca, sorridendo raggiante. Camus voleva metterli alla prova, lui non chiedeva di meglio, avrebbe superato abbondantemente il test senza alcun dubbio.

Il biondo invece indietreggiò di un passo, le gambe molli, lo sguardo basso. Non si sarebbe aspettato una ulteriore richiesta. Si accorse, con un pizzico di terrore, che non avrebbe potuto accoglierla.

Hyoga?”

La voce del maestro era incalzante e un poco austera, come se sapesse già la risposta ma la volesse udire con le sue stesse orecchie.

Io...”

Pensi di riuscirci?”

Dai, Hyoga, facciamo un altro tentativo, insieme, stavolta ti batterò!” provò a spronarlo Isaac, sempre più emozionato alla sola idea di superare i propri limiti.

N-non credo di...”

Non ne saresti in grado, vero?”

La domanda di Camus pareva quasi spietata, ma in verità era una semplice constatazione, un prendere atto dei limiti dell’allievo.

E-ecco, io n-no… sono… sono quasi senza forze...” ammise il piccolo Hyoga, incrinando la sua voce, le labbra gli tremavano.

Non fa niente, Hyoga, lo avevo già intuito, infatti non ti avrei permesso di buttarti di nuovo in acqua… lo vedo bene che sei stremato! - il tono di Camus era tornato dolce, mentre, con la punta delle dita sfiorava i ciuffi biondi del bambino, ancora zuppi d’acqua – Ma è necessario che tu capisca perché… Isaac?”

Sì, Maestro?”

Tu te la senti di immergerti nuovamente?”

Certo, Maestro Camus, ho ancora energie da vendere!” affermò, gettando sul permafrost la coperta e facendo stretching di riscaldamento per preparare i muscoli al nuovo forzo. Sprizzava energia da tutti i pori. Ancora. Hyoga si chiese come cappero ci riuscisse, eppure la seduta di allenamento era stata ugualmente tosta per entrambi.

Isaac… non strafare, intesi? Questa non è una gara, quando ti senti a corto di fiato, riemergi subito, fosse anche passato poco tempo! Anche se a te non sembrerà, sei parecchio provato, lo si percepisce dal tuo cosmo!”

Isaac sussultò all’avvertimento del maestro, beccato in flagranza prima che potesse fare faville come aveva progettato, la testa concentrata sull’obiettivo che si era prefissato: superare il record di Hyoga, anche solo di un secondo.

Con un sorriso di circostanza quindi, si girò verso il maestro, poco prima di buttarsi di testa, del tutto preso dalla sua impresa. Per avere solo 8 anni, aveva già una mente spiccatamente agonistica, amava primeggiare.

Hyoga intanto si era seduto sul ghiaccio, ancora stremato dalla prova a cui aveva sottoposto il proprio corpo. Tremava tutto, ma per fortuna la testa aveva smesso di girare. Camus prese posto al suo fianco, assai vicino all’allievo, senza però toccarlo.

Hyoga… sai perché sei così stanco? Riesci a renderti conto della ragione per cui non potresti in alcun modo fare quello che ha appena fatto Isaac?” lo interrogò, nelle vesti di insegnante, in tono pacato, ma comunque con un pizzico di durezza.

Non lo so, Maestro...”

Non è perché sei più debole o meno dotato di lui, anzi, hai un grandissimo potenziale, forse non riesci nemmeno a rendertene nitidamente conto, ma ce l’hai, te lo posso assicurare!”

E allora perché, Maestro?”

Perché tendi ad usare subito tutte le tue risorse, come il fuoco che, appena giunto al pino, lo incendia in un abbaglio, riducendolo in cenere dopo pochissimo tempo… - gli spiegò, posando una mano sul ghiaccio sottostante – Sei una fiamma che brucia per le proprie passioni, ciò dipende solo in parte dalla tua inesperienza, in verità ho il sentore che questo sia proprio il tuo temperamento: l’esaurirsi… per i tuoi sogni...”

A Hyoga scappò un singulto a quella rivelazione, capendola in pieno. E così… Camus aveva capito; aveva capito fin da subito che la ragione per cui era stato così tanto sott’acqua, superando i limiti fino allo sfinimento, era stato per il vascello, nient’altro. E avrebbe anche potuto essere fatale, era vero, perché, colto così com’era dalla smania di guardarla, quella nave posta a simulacro di sua madre, non si era affatto accorto che il suo corpo dava segni di cedimento già al passare del terzo minuto, e che l’unica cosa che lo aveva ottusamente fatto resistere, era la sensazione di essere più vicino alla sua mama.

Non disse niente, colpito in fallo, abbassò lo sguardo.

Hyoga, hai un potenziale eccezionale, ma questo non è il modo corretto per diventare un Cavaliere dei Ghiacci, un difensore della giustizia... devo avertelo già detto… - continuò, con un accenno di rimprovero, voltandosi verso di lui con il solito misto di espressioni tra il fastidio e la disapprovazione tipiche di quando usciva fuori quell’argomento – Non posso accettare che la tua vita si sbricioli così, implodendo dall’interno per tua stessa mano...”

Hyoga sussultò ulteriormente a quella frase, mentre le dita di Camus si posavano appena sopra il suo petto, sfiorandoglielo. Guardò il maestro, che aveva assunto un’espressione preoccupata nel proferire quell’ultima frase e lo percepì, il timore sincero che nutriva per le sua sorti.

Voglio credere che, con la crescita, questo istinto autodistruttivo, si dissolva, Hyoga… sei di gran lunga l’allievo con il miglior potenziale che abbia mai avuto, ma anche… quello più difficile da condurre a piena maturazione!” si lasciò scappare una confidenza, staccandosi poi immediatamente da lui e alzandosi così in piedi, come se quel breve contatto fosse stato troppo per lui, non potendoselo concedere.

Il bambino continuava a fissarlo con un misto di ammirazione e dispiacere, probabilmente Camus credeva molto nel suo potenziale, nelle sue doti, più di quanto ci credesse lui stesso, ma non erano comunque cose che gli interessavano. Diventare Cavaliere di Atena non era nei suoi piani, avrebbe lasciato volentieri l’armatura e l’onere della pace nel mondo ad Isaac, assai più bravo e risoluto di lui; a Hyoga solo di una cosa importava: diventare abbastanza forte per riuscire a raggiungere finalmente sua madre, ricongiungendosi così a lei, a quel calore che gli era stato strappato. L’unica ragione di vita, l’unico appiglio.

Così perso in quei pensieri, Hyoga si accorse appena delle increspature che aveva assunto il cosmo di Camus con il passare dei minuti. Alzò lo sguardo, e vide l’espressione carica di timore del maestro, quella piega innaturale che avevano le sue labbra, quegli occhi un poco tremanti nel fissare la distesa marina davanti a lui, nello specifico il punto in cui si era tuffato Isaac.

Non pensi che… ci stia mettendo un po’ troppo?” chiese Camus in tono tremante, pareva quasi smarrito.

Hyoga ebbe appena in tempo di cominciare a preoccuparsi, assodando che il maestro avesse perfettamente ragione, che il cosmo del suo compagno di addestramento, prima sfavillante, si eclissò in un colpo, al punto quasi di spegnersi.

Accade tutto in pochi attimi, Hyoga si rizzò immediatamente a sedere, terrorizzato, nello stesso momento in cui Camus, percependo la gravità della situazione là sotto, urlando un “Isaaac!!!” si gettò immediatamente in acqua con i vestiti addosso. Il piccolo, voleva fare lo stesso, aiutando il maestro a recuperare il compagno di addestramento, ma ricadde a terra, il sedere nella banchisa: era davvero troppo debole, non aveva forze sufficienti per aiutarlo. E capì. Capì quel che Camus avrebbe voluto fargli arguire con il rimprovero di prima.

Tremò. A bruciare tutte le proprie forze per i morti, poi non si potevano salvare i vivi… trasalì.

Furono secondi di paura, panico e smarrimento, dove, per quanto possibile Hyoga cercava, per lo meno, di individuare i cosmi di Camus e Isaac, dovunque essi fossero. Cominciò a temere il peggio, ma poi finalmente uno schizzo d’acqua, il braccio sinistro di Camus che riemergeva dall’acqua, poi i capelli, il volto, infine l’altro braccio, che tratteneva contro di sé un fradicio Isaac completamente svenuto. A Hyoga si annebbiarono gli occhi.

Camus riemerse completamente dalla distesa marina, prima di adagiare Isaac sul permafrost e premergli più volte sul torace con intensità e paura crescente. Il piccolo aveva chiaramente bevuto molta acqua, stava immobile, sembrava quasi che non respirasse nemmeno. A Hyoga scappò un altro fremito, mentre, radunando tutte le sue forze, si alzava in piedi con non poca difficoltà.

ISAAC! Dannazione, Isaac!!!” lo chiamò più volte Camus, continuando le procedure per rianimarlo. Il suo tono era sempre più strozzato e ricolmo di pena. Furono necessari tre cicli completi, senza alcuna reazione da parte del bimbo, poi, finalmente, al quarto, il piccolo Isaac tossì violentemente, sputando tutta l’acqua marina che aveva bevuto, quella stessa acqua marina che gli aveva riempito i polmoni, che ora venivano svuotati del liquido.

Isaac!!! Va bene così, coraggio, sputa… sputa tutta l’acqua che puoi, ci sono io qui con te!”

Le gambine di Hyoga fecero ‘giacomo giacomo’, prima di afflosciarsi e farlo ricadere per terra per l’ennesima volta. Davanti a lui intento la situazione si stava smuovendo, perché Isaac, dopo aver buttato fuori un quantitativo di acqua imprecisato, respirava a scatti, gli occhi serrati.

Coraggio, piccolo, riprenditi! Riprenditi, Isaac!”

Ma-Maestro Camus...” riuscì infine a biascicare l’allievo, ancora affannato, cercando di focalizzare la figura del mentore davanti a sé.

La mano di Camus si era istintivamente portata sulla sua guancia, accarezzandogli il visetto con il pollice, la maglia gocciolante e dismessa, gli scopriva innaturalmente il fondo della schiena e parte dell’addome, tutti i muscoli erano ancora tesi, irrigiditi dalla paura che aveva avuto di perdere l’allievo sconsiderato, ma l’espressione del viso era un poco più serena nel constatare che il piccolo riusciva a parlare e sembrava non aver subito danni.

Sia Isaac che Hyoga percepirono questo dalle loro rispettive posizioni, ma mentre il secondo si ritrovò in tutto e per tutto irrigidito come il maestro, il primo decise di stemperare la tensione. Per farlo, concentrò le restanti forze.

C-cinque minuti e v-venti… avete v-visto, Maestro? Ce l’ho fatta!” gli sorrise Isaac, stremato, tremando tutto. Aveva ancora gli spasmi, ma avvertiva la paura del maestro e voleva farlo sentire meglio, prima di tutto.

Sc-sciocco! - lo riprese subito Camus, non riuscendo però a mascherare una risatina nervosa, di pericolo scampato – Se, nel procedimento, ingurgiti litri d’acqua, rischiando di affogare, non vale!”

Il suo tono era tornato neutro, ma la paura provata era ancora ben visibile in lui. Camus si sforzò di sorridere appena, mentre con il pollice continuava ad accarezzare la guancia fradicia di Isaac.

Oh… quindi non ho superato la prova… mi ero impegnato così tanto...” mormorò Isaac, deluso da quella rivelazione. Effettivamente aveva perso coscienza, mentre Hyoga aveva resistito più di 5 minuti senza svenire. Era stato inequivocabilmente sconfitto ed era la prima volta, con l’amico. Doveva ammettere che un po’ bruciava.

La supererai, testa quadra, non temere! Ma solo quando starai meglio e ascolterai i miei consigli senza strafare! - gli disse ancora Camus, passandogli una mano tra i capelli, prima di prenderlo delicatamente in braccio e accarezzargli la schiena – La supererai… piccolo...” ripeté, lasciandosi finalmente andare, sollevato.

Isaac, ancora mezzo intontito, non lo percepì, abbandonandosi al sonno con un sincero sorriso a solcargli le guance, ma Hyoga, da dove si trovava, se ne accorse nitidamente dell’aumento della stretta sul corpicino del bambino, dell’affondare del viso di Camus nei capelli del piccolo e dello serrare disperato delle sue palpebre. Il maestro si era preoccupato da morire per il gesto sconsiderato dell’allievo, malgrado le sue istruzioni sul non strafare. Il suo corpo tremava a sua volta, e non per il freddo, a cui era avvezzo; stava faticando non poco a recuperare il controllo.

Isaac era fatto così, per non deluderlo, era disposto a superare i propri limiti, incurante di tutto, persino della sua salute, ma quella volta aveva rischiato veramente grosso, non c’era affatto da scherzare. Probabilmente al suo risveglio lo avrebbe aspettato una sonora sgridata.

Hyoga intanto era rimasto lì, a fissare il ghiaccio sotto di lui, il cuore ancora a mille per la disavventura appena trascorsa dall’amico, stette immobile lì per un tempo indefinito, ripensando a ciò che gli aveva detto il suo maestro, la coperta ancora addosso, prima di sentirsi sollevare di peso da sotto le ascelle. Fu tenuto contro il petto di Camus, in quell’istante nuovamente tranquillo, che si permise di sorridergli tiepidamente, prima di parlargli.

Torniamo all’isba, Hyoga! Entrambi necessitate di riposo!”

 

“Hyoga!”

Il Cavaliere del Cigno si riscosse, rendendosi conto di avere il viso incassato tra le braccia e di essersi addormentato sul tavolino. Shun lo guardava con un misto di preoccupazione e dispiacere per il suo stato.

“Sc-scusami, Shun, sono molto stanco...” farfugliò, sfregandosi le palpebre pesanti, esattamente come faceva da bambino. Alcune cose non cambiavano proprio mai, altre, troppo.

“Lo so, me ne sono accorto, per questo mi sono permesso di pulire almeno i piatti. Biascicavi parole nel sonno, hai sognato di Isaac e Camus?”

“Sì, era più un ricordo, mi capita spesso di rivivere momenti dell’addestramento, a maggior ragione in questo periodo che mi sento così smarrito...”

“E’ più che normale Hyoga, il tuo cervello sta cercando di trovare un equilibrio, per questo ricordi passati e speranze nel futuro si intersecano… spero troverai la tua via, amico mio!”

Hyoga non disse niente, non subito, ma sbadigliò, aiutando poi il compagno a riporre in ordine la roba. Alla fine aveva fatto raffreddare il tè e non lo aveva più bevuto, sospirò nel metterlo da parte. La mattina dopo lo avrebbe riscaldato, onde evitare sprechi. Nulla di quello che ci era offerto dalla natura andava sprecato, glielo ricordava sempre anche Camus.

“Shun, è molto tardi, che ne diresti di fermarti a dormire qui?” gli propose, scompigliandosi i capelli e mascherando un nuovo, plateale, sbadiglio. La stanchezza cominciava a farsi sentire.

“Non vorrei disturbare...”

“Nessun disturbo, non preoccuparti! Usa pure il mio letto, io dormo sul divano, intanto sono abituato a dormire persino in posti inospitali, non ho difficoltà a prendere sonno sul divano, né sul tavolo, come hai potuto ben vedere”

“Ma...”

“Mi fa piacere… se rimani… - gli confessò, un poco titubante nell’esprimere i suoi sentimenti, come di consueto – Domani potremmo fare un giro ad Atene, come due amici normali, ne ho bisogno per staccare un po’ la spina, altrimenti il mio cervello impazzirà!”

Shun sorrise gentilmente, poco prima di prendere la propria sacca e acconsentire alla proposta del Cigno, il quale, con un peso in meno sul cuore, lo guardò con gratitudine, stravaccandosi poi sul divano, il petto un po’ più leggero, vero, ma la testa sempre gremita di rimpianti e di sentimenti che non riusciva ad esprimere.

Shun si diresse in bagno per cambiarsi e lavarsi i denti. Anche lui era spossato a causa delle fatiche del viaggio, ma cercava di non darlo a vedere, ben consapevole che la situazione di Hyoga era assai più delicata.

Quando tornò in soggiorno, il compagno era già placidamente addormentato sul fianco destro, le mani piegate a sostegno della testa, i capelli un poco spettinati. Shun sorrise, recuperando una coperta dall’armadio. Sapeva bene che Hyoga non poteva in alcun modo sentire freddo. Non in quella stagione. Mai, a dirla tutta. Ma gliela sistemò comunque sulle spalle, permettendosi di sfiorare quei capelli meravigliosamente dorati, come le spighe di grano nei campi illuminati dal sole.

E si ritrovò anche lui a pensare a ciò che aveva vissuto fino a quel momento, al destino ingiusto a cui era sfuggito, che lo vedeva incarnazione di Hades, proprio lui, che amava così tanto la vita. Tutte le immagini che gli si affollavano in testa, però, lo conducevano sempre lì, al suo amato maestro che, al contrario di Camus, non era tornato alla vita. Non c’era rancore negli occhi gentili di Shun di Andromeda, solo un grande dispiacere per le condizioni che si erano create tra il Cavaliere dell’Acquario e Hyoga, da due persone che avevano dato tutto, e oltre, per l’altro, e che, giunte finalmente a poter godere della vicinanza reciproca, non riuscivano comunque a riconnettersi tra loro, nonostante l’affetto provato, nonostante entrambi sapessero, in fondo al cuore, di aver bisogno uno dell’altro, come si ha necessità dell’ossigeno o dell’acqua. Era un supplizio immeritato e dannatamente spietato!

Le dita di Shun si fermarono tra i biondi ciuffi di Hyoga, mentre la sua espressione triste si imprimeva in quella inconsapevole del Cigno, finalmente addormentato senza apparenti pensieri, vista la bocca semiaperta e il viso non più adombrato.

“Ti auguro ogni bene, Hyoga, davvero… tu e Camus meritereste di passare il tempo che vi è stato strappato insieme, come padre e figlio, ma so bene che non è affatto facile, per voi, manifestare ciò che sentite. Ci vorrà tempo… - disse in tono soave, sorridendo appena – Ma prima o poi si sistemerà tutto, vedrai, voglio crederlo fermamente!”

E, senza aggiungere altro, si diresse verso il letto, concedendosi a sua volta un po’ di riposo.

 

 

* * *

 

 

La florida Atene, patria di buona parte della cultura Mediterranea e vascello della civiltà occidentale, si trovava nella stagione più rosea per il settore terziario. Era esattamente quello il periodo in cui fiotti di turisti si riversavano, più che in altre stagioni, ad ammirare con curiosità le rovine della Acropoli e i numerosi musei. Pochi giorni soltanto e sarebbe stato il momento anche per il mare e per le numerose isole che formavano l’arcipelago delle Cicladi. Bisognava solo aspettare il termine delle scuole di ogni ordine e grado, allora sì che l’atmosfera, già affollata, sarebbe diventata irrespirabile.

Per la verità, Hyoga amava tutto fuorché i luoghi caotici e ricolmi di gente. Se poteva, se ne stava ben alla larga, ricercando la pace e la tranquillità nella sua interiorità, ma Shun aveva rivelato, quella stessa mattina, di non aver mai visto l’Acropoli di Atene, e che gli sarebbe piaciuto ammirarla, avendone sentito parlare tanto.

“Per noi, che siamo abituati al Santuario, non vi è nulla di eccezionale… - lo aveva avvertito Hyoga, scettico, inarcando un sopracciglio – Ciò che tu vuoi vedere, è nient’altro che un Tempio diroccato in tutto e per tutto simile alle Case dello Zodiaco, però con il tetto scoperchiato!” aveva proseguito, sperando che l’amico cambiasse idea, ma Shun sembrava piuttosto interessato, perché, a quanto diceva, suo fratello Ikky, da piccolo, glielo aveva mostrato in una enciclopedia, e a lui sarebbe piaciuto vederlo dal vero, ora che riusciva bene a comprenderne il significato: quella costruzione diruta era stata il risultato, fatiche su fatiche, del concatenarsi di numerose vite, solo per quello meritava di essere conosciuta, con il massimo del rispetto.

Hyoga così, non avendo di che obiettare, si era costretto a fargli da guida, giacché a quella città sovraffollata e inquinata ci si stava lentamente abituando. Era buffo che lui, da sempre stato straniero in qualunque posto si trovasse per via delle sue origini frammiste, facesse da Cicerone ad un suo caro amico, del tutto dedito ad ascoltarlo con sguardo via via sempre più curioso. Suol malgrado, il Cavaliere del Cigno si ritrovò a sorridere tra sé e sé, un poco più disteso.

Avevano così fatto un veloce giro in centro a vedere i numerosi negozi, ma poi si erano recati ben presto nella parte più alta dell’antica Polis, evitando i numerosi turisti che scendevano.

Come Hyoga aveva immaginato, l’Acropoli era gremita di persone intente ad ammirare, chi il reperto storico, chi il panorama, sebbene, con quella densa afa di giugno, e lo smog, non si vedesse poi molto. Shun era tutto trepidante ed emozionato, per cui, presa la macchina fotografica dalla sacca (chissà poi da quando amava fare foto, Hyoga si accorse di non conoscere quel particolare lato dell’amico!), si recò immediatamente a cercare l’angolatura giusta per fare uno scatto diverso dal consueto. Il Cavaliere del Cigno, conoscendo già quella zona, invece si sedette vicino ad un capitello distrutto, massaggiandosi la fronte per tentare di scacciare il caldo che già gli faceva ribollire il cervello. Cercando di non pensarci ulteriormente, che tanto era un fastidio e basta, tornò a concentrarsi su Shun e sugli altri turisti, in tutto e per tutto anonimi. Era più che convinto, infatti, che la maggior parte di loro non guardasse veramente le rovine del tempio, limitandosi a scattare semplicemente foto altrettanto scialbe, che a ritorno sarebbero servite solo come vettore per potersi vantare con gli amici. Non sarebbe rimasto niente di quel luogo in loro, solo un posto in più da appuntare come già visto. L’essere umano era fatto così…

Tuttavia Shun era diverso, Hyoga lo percepiva assai bene, lui sembrava proprio sentire il brivido di quel luogo, inspirarlo nelle narici e quello, quel profumo, avrebbe cambiato qualcosa in lui, irreversibilmente.

Sbuffò, quasi rilassato, mentre, meccanicamente, senza farsi vedere, posava i due indici sulle tempie, facendo bruciare il cosmo allo scopo di raffreddare la sua temperatura corporea, che già a quell’ora del mattino rischiava di prendere una impennata, dato il clima torrido.

Ebbe giusto il tempo di attuare il processo, che avvertì accanto a sé lo svolazzare di un mantello, non ebbe nemmeno il tempo per alzare lo sguardo che una voce virile si palesò vicino a lui. Troppo vicino.

“Non è facile trovarti, Hyoga… in questo sei in tutto e per tutto simile al tuo maestro!”

“CO…?!? - Hyoga sobbalzò dallo spavento, trovandosi quasi spanciato per terra, focalizzò poi chi lo avesse chiamato, individuandolo subito grazie alle punte violacee dei suoi capelli ribelli, sebbene fossero coperti da un mantello – Milo!!!”

“In persona, sono venuto a portarti a casa… Lassie!” lo prese scherzosamente in giro, sorridendo sornione.

Hyoga si riprese, raddrizzandosi e tornando a sedersi prima di negare con la testa.

Casa… quale casa?! Non aveva più un luogo chiamato tale, tutto si era rotto anni prima, irreversibilmente. Di quale casa andava a cianciare il Cavaliere di Scorpio?!

“Milo… non hai caldo, con quel mantello addosso? Sembri quasi un rabbino, questo outfit non è da te, men che meno in questa stagione!” provò a deviare il discorso, sospirando.

“Sto… letteralmente morendo di sudore qua sotto, ma devo farlo, il mio look non è ordinario, attirerei solo l’attenzione, ed io voglio parlare semplicemente con te!” gli spiegò sbrigativo, guardandosi nervosamente intorno.

Non attirare l’attenzione… lo stava comunque facendo male a giudicare dalle occhiate in tralice che qualche passante gli regalava. Il Cavaliere del Cigno buttò un occhio verso Shun, il quale, dopo aver parlato con una guida, probabilmente per sapere informazioni, si apprestava a fare la fila per entrare nell’Acropoli.

“Allora… torniamo a casa, Hyoga?” lo incalzò ancora Milo, schioccando più volte le dita per attirare su di sé lo sguardo del Cigno, che sembrava smarrito.

“Proprio come il suo Maestro...” pensò, ben conscio di avere a che fare con due ostriche. Ma quella volta lì col cappero che gliela avrebbe data vinta, avrebbe portato a termine un dialogo, se non con Camus, chiuso e invalicabile in quel periodo, almeno con l’allievo rimastogli.

“Io non ho una casa, Milo… vivo in affitto in un trilocale diversi isolati da qui, ma non la considero tale, è solo un luogo dove dormire. Ho smarrito il concetto di nido famigliare diverso tempo fa, inoltre...”

“Sciocco! Tu ce l’avrai sempre una casa, sei tu che non te ne accorgi! - lo contradisse Milo, lesto, troncando sul nascere i vaneggiamenti del Cigno – E quella casa è al fianco di Camus!”

“Oh...”

Hyoga non aggiunse nient’altro, limitandosi ad abbassare lo sguardo e rimanere fermo immobile, come una perfetta statua di cera, estranea al calore che l’avrebbe inequivocabilmente sciolta.

Milo si aspettava una reazione del genere. Conosceva Camus, quindi conosceva anche quel frammento di anima che l’Acquario aveva ceduto al giovane discepolo, intessendolo con tutto sé stesso. Hyoga era la sua fotocopia, più piccolo e più impacciato, era vero, ma il frutto più riuscito degli sforzi del migliore amico, che gli aveva donato tutto sé stesso. Così simili… eppure così disconnessi tra loro, a continuare a non capirsi, a fare gli stessi errori...

Occorreva andare dritto al punto prima che il ‘figliol prodigo’ corresse ai ripari in qualche maniera, trovando una scappatoia o, peggio, erigendo un muro impenetrabile.

“Andrò dritto al punto: Camus sta male!”

A quelle parole, gli occhi di Hyoga si spalancarono in un grido di terrore viscerale, il suo corpo scattò in piedi, cominciando a tremare convulsamente, il fiato mozzato.

Ok, forse era andato troppo dritto al punto, si accorse di nuovo Milo, grattandosi la testa e affrettandosi a riparare lui stesso il danno che aveva appena creato.

“Calmati, ragazzo, non in quel senso! Camus è in perfette condizioni fisiche, al momento!”

Solo allora i muscoli, prima rigidi, di Hyoga, si sciolsero, il collo si lasciò cadere quasi inconsciamente, in avanti, i pugni chiusi si aprirono.

“Milo, accidenti!” si lasciò sfuggire, avendo temuto il peggio. Il cuore gli sie era fatto pesante a quelle poche, semplici, parole.

“Però… però non posso dire altrettanto psicologicamente! - aggiunse, non esitando neanche per un attimo – E’ da giorni che ti prova a chiamare al telefono, e tu non rispondi, Hyoga, azzeri il tuo cosmo per non farti abbracciare dal suo, che prova a cercarti. Non la sta prendendo molto bene, ti avverto...”

“M-Milo… ed io cosa ci posso fare? - si lasciò sfuggire Hyoga, prostrato – Ha te, come sostegno, tu riesci sempre a farlo stare meglio, perché ora...”

“Perché gli manchi, idiota, ti è così difficile da capire?!?”

Hyoga stette a guardarlo incredulo, il fiato corto, il cuore aveva accelerato nel petto, incontrollabile. Lui… il maestro sentiva la sua mancanza?! Sua, di lui???

“Io ci posso fare ben poco, Hyoga, la chiave sei tu… l’unica cosa che potrei tentare è prenderti, rapirti, giacché tu sei talmente tonto da non andarci tu di persona, e lasciarti all’undicesima casa, tipo pacco postale, e lo farei anche, se solo potesse aiutarvi! Ma quello là non si esprime, se facessi così, lui starebbe muto, e tu te ne andresti nuovamente via, non capendo di nuovo un cazzo dei sentimenti del tuo maestro!”

Dritto al punto. E faceva male. Ahi, come faceva male!

Che maestro e allievo non si comprendessero non era certo la prima volta, tutto il loro rapporto era ricco di quelle, fatali, incomprensioni, Milo era il solo a riuscire a fare da paciere, perché capiva entrambi. Li aveva compresi durante la Scalata delle 12 Case, spiegando le vere ragioni del feretro di ghiaccio, e li aveva di certo capiti anche post mortem di Camus, sebbene offuscati dalla rabbia atroce che aveva provato.

Tuttavia il Cigno rimase sulle sue… era in un vicolo cieco, lui, quello lo Scorpione non lo aveva compreso.

“Anche a me manca da morire… ma… non posso...”

“Dei! Perché ora questo, perché non puoi? - insistette ancora Milo, passandosi una mano tra i capelli e togliendosi così il cappuccio, i raggi del sole illuminarono la sua chioma violacea – Quel povero diavolo soffre terribilmente la tua lontananza, non parla, sta chiuso in casa… gli manchi per davvero, Hyoga, non immagini quanto, quindi...”

“Pensi che io non voglia andare da lui, Milo?! Lo vorrei con tutto il cuore, con tutta l’anima, ma non posso, non lo merito… Camus non merita uno come me, dopo tutto quello che gli ho fatto!” singhiozzò il Cigno, rifiutandosi di piangere, ma comunque con gli occhi inumiditi.

“E’ solo per questo che tu…?”

“Solo per questo?! L’ho privato di tutto, come posso…?”

“E allora priviamolo anche di te, no? Mi sembra un ragionamento fenomenale!” esclamò Milo, lo sguardo scintillante, le membra rigide per la rabbia crescente, i pugni chiusi.

Hyoga non rispose, si limitò a fissare martoriato i suoi piedi, non sapendo più che cosa dire.

“Dei, mi verrebbe voglia di sbattere la testa contro una colonna fino a fracassarmela, con voi due! - commentò ancora lo Scorpione, esasperato – Tu hai le tare mentali giganti, non mi dovrei stupire visto da chi sei stato cresciuto; l’altro non si esprime neanche sotto tortura, ma dentro di sé prova un male atroce, che sta ben attento a non mostrare, eh, perché figurarsi, lui sta bene, sta SEMPRE bene, anche quando platealmente non è così!”

Hyoga continuò a non fiatare, iniziando però a grattarsi le braccia, come accadeva quando era sotto stress, smarrito, spaventato.

“Davvero… ci uscirò di testa con voi due!” ribadì Milo, massaggiandosi la fronte nello sforzarsi di cercare una nuova soluzione. Se persino dire, al giovane pullo, che al suo maestro gli mancava terribilmente la sua presenza non portava ad alcun risultato sperato, cosa fare?! Cosa fare davanti a due pareti così tanto resistenti? Prenderli a testate nei denti finché non si fracassavano loro?! Assurdo…

“I-io non posso, Milo… anche se lo vorrei tanto. Anche se lo vorrei… con tutto me stesso!” continuava a ripetere il nidiaceo troppo cresciuto, in evidente postura difensiva.

“Aspetta, tu lo vorresti, no? Se quindi fosse Camus a proportelo non avresti più ragioni per rifiutare, dico bene?”

Hyoga non rispose e passarono così diversi minuti di assoluto silenzio, raro anche per uno come Milo, soprattutto per uno come lui. Il caldo si faceva sempre più insopportabile per quell’11 giugno del 2011, si cominciava davvero a sudare, quasi mancava il respiro.

“Hyoga, rispondi: se Camus te lo chiedesse, tu…?”

“N-non lo so...”

“Ho capito… e agirò di conseguenza!”

Hyoga aveva evidentemente bisogno di essere rassicurato, pertanto Milo si permise si azzerare la distanza tra loro, infondendogli un po’ di coraggio e poggiandogli le mani sulle spalle.

“Guardami...”

Il Cigno fece quanto chiesto, esattamente come se a chiederlo fosse stato Camus. Del resto, Milo non era molto diverso da un secondo maestro. Dopo la morte dell’Acquario aveva accettato di continuare a prendersi cura di Hyoga nelle veci di Camus, che tanto aveva dato per quel ragazzino biondo che pure lo aveva privato della vita. Milo, sulle prime, aveva fatto fatica ad accettarlo e, soprattutto, ad accettare la decisione del migliore amico, perché, sì, l’aveva compreso… aveva compreso il messaggio silenzioso dietro quel folle gesto, dietro al suo sacrificio, dietro la sua stessa perdita: a Hyoga, Camus voleva bene come un figlio, per Hyoga, Camus aveva dato tutto, e oltre… lui non poteva far altro che seguire pedissequamente la richiesta disperata dell’amico. E ora che, quei due, avevano una seconda possibilità, non gliela avrebbe più fatta scappare.

 

Voglio che anche tu sia felice, Camus… lo desidero tanto! Dopo Isaac, dopo tutto quello che hai dovuto passare, amico mio… non voglio più vederti soffrire, mai più…

 

“Ascolta, Hyoga… devi entrare nell’ottica che Camus, il tuo maestro, ha bisogno di te, di te, come persona nella sua vita, mi capisci? Di te, e di nessun altro, perché nessuno potrà mai prendere il tuo posto nel suo cuore, nessuno...”

Ce lo aveva? Davvero aveva un posto nel cuore di Camus? Malgrado tutto, malgrado la sua esistenza sciagurata…

“Siete più simili di quanto pensi, Hyoga… entrambi siete convinti di arrecare del male alle persone che vi stanno intorno, ma non è così, quando lo capirete, quando smetterete di tartassarvi da soli, forse sarà il momento in cui potrete spiccare il volo, senza più paura alcuna...” continuò, come a leggergli nella mente. Il giovane allievo non sapeva più cosa dire, le parole mancavano, le emozioni, spietate, gli avvolgevano il petto, incatenandoglielo.

“I-Io...”

“Prenditi ancora del tempo, se ti serve, ma, per favore, non allontanare più Camus, quando prova, con enorme difficoltà, a raggiungerti. Già non è un asso in questi frangenti, se poi tu non lo aiuti… lui non sa più come fare, e allora, pensando di darti fastidio, lascia perdere, soffrendoci da morire, anche se, come sai, cerca di non darlo a vedere, orgoglioso com’è…”

Hyoga avrebbe voluto rassicurarlo, dirgli che sarebbe tornato, che si sarebbero ricongiunti, in un modo o nell’altro, ma continuava ad essere smarrito, spaventato, solo, anche se solo non lo era mai stato veramente. Pertanto tacque, incapace di garantire alcunché. Il sentiero delle parole… era così difficile!

Milo lo trasse istintivamente a sé, come a volerlo abbracciare, e Hyoga si fece carpire, socchiudendo gli occhi e sprofondando nell’incavo della spalla del Cavaliere di Scorpio, come un figlio.

“Voi due, almeno voi due, meritate di poter ricominciare, ed io farò di tutto perché ciò accada!” sospirò, scompigliandogli i capelli che, riflessi dal caldo sole di Atene, parevano fatti di aurei bagliori.

 

 

* * *

 

 

Ancora li rammentava, i suoi occhi freddi rischiarati dalla luce fioca della lampada ad olio. Erano eterei, distanti, gelidi… dannatamente gelidi. Lo scrutavano con un misto di riprovazione e disgusto, mentre il suo corpo, teso come un bacco di scopa, non accennava alcun movimento nella sua direzione, permettendosi il biasimo della ripugnanza.

Ed erano tutti per lui, quegli atroci sentimenti, Hyoga li percepiva fin troppo bene, malgrado la vista fosse offuscata, il corpo scosso dai brividi e raggelato fino al midollo, vene e capillari quasi congelate.

Tutto era ovattato, ma in quella confusione di sensi, cose, e colori, c’erano lui, c’erano i suoi occhi.

Occhi vuoti ma affilati come rasoi.

Occhi lontani, ma che continuavano a fissarlo per imprimergli nella carne tutto il rancore provato. Tutto il peso dell’esistenza che aveva gettato nel fango e, con essa, della vita di chi era corso a salvarlo, rinunciando alla propria.

Persa.

Irrimediabilmente persa.

Per un morto.

Un dannatissimo morto!

Rabbia. Non vi era altro che rabbia.

La rabbia aveva spezzato e portato via il nido famigliare.

No… non la rabbia…

Ma lui.

Lui.

Nessun altro.

M-maestro...”

Hyoga diede un calcio alla coperta in fondo al letto, continuando a muoversi involontariamente. Era sudato, accaldato, piangeva, di nuovo, vinto da un incubo che lo risucchiava come un vortice. Si girò sul fianco sinistro, ma si rivoltò, un piede fuori dal letto.

Supino.

Sul fianco destro.

Supino.

Supino.

Prono. Ad arpionare le coperte.

Di nuovo sul fianco sinistro.

Urlò. Un nome.

Il peso della colpa.

Delle proprie scelte.

“I-Isaac!!!”

E’ morto...” gli aveva detto Camus, imboccandolo a forza sempre con quel misto di ripugnanza e di furia atroce.

Hyoga si era ritrovato costretto ad ingurgitare quanto gli era stato dato con foga, quasi da soffocarlo seduta stante per via della brutalità del gesto, un po’ come le oche che venivano ingozzate per poterne poi ricavare un buon fegato. Allo stesso modo lui veniva ingozzato per aver salva quella vita maledetta.

Sopraggiunse un conato di vomito, ma lo ricacciò giù, continuando a piangere sommessamente.

N-non è p-possibile, maestro, io lo potevo percepire… I-Isaac… e-era f-ferito ma...”

E’ morto, Hyoga, e ora TACI!”

 

...E la colpa è stata tua; tua e della tua insana fissazione di raggiungere un morto… UN MORTO! Che cosa hai fatto, Hyoga?! Che cosa diavolo hai fatto?!? I-il mio Isaac… i-il mio… me lo hai ucciso, Hyoga! Hai distrutto tutto. Hai distrutto ogni cosa che abbiamo faticosamente creato. E sei stato tu… TU! Ti odio! Ti odio per avermi strappato il cuore, ti odio perché sei stato proprio tu a farlo!

I-Isaac… mio piccolo e coraggioso Isaac! Ti ho p-perso, non… non…

 

In quel momento Hyoga tossì e sputò la zuppa mista alla saliva con tutte le forze che gli restavano, annaspò. Il risultato fu che Camus, accorgendosi concretamente di quello che stava facendo, si allontanò come se avesse preso la scossa, facendo così ricadere il corpo esanime dell’allievo sul letto, il petto affannoso, i sensi nuovamente perduti. Così vicino alla morte...

N-no...” riuscì solo a singhiozzare, appoggiandosi al muro per evitare di cadere per terra, le mani tremanti protratte davanti a sé.

Camus dell’Acquario aveva perso totalmente controllo, rischiando, per un soffio, di fare male all’allievo indifeso sul letto. Si morse il labbro inferiore, prima di corrergli nuovamente appresso, terrorizzato. Lo stava perdendo...

Hyo-Hyoga… perdonami… perdonami, ti prego!” singhiozzò disperato, recuperando abbastanza controllo per sentirgli il polso. Le condizioni di Hyoga l’Aurora erano in netto peggioramento, dopo l’iniziale ripresa parziale della coscienza, i battiti erano fiacchi, la temperatura ancora troppo bassa per conciliarsi con la vita.

Hyoga! Hyoga, ti prego… non… non mollare… non mollare! N-non lasciarmi anche tu!” lo implorava, frizionandogli il corpo alla ricerca insperata del calore, che era vita.

Continuava a singhiozzare, mentre faceva di tutto per far recuperare un po’ di calorito a quel corpo ghiacciato. Lo aveva già privato degli abiti e ricoperto con quanto aveva di più caldo in casa, ma le condizioni dell’allievo non miglioravano.

 

Oh, Isaac… Isaac! Ho fatto quanto in mio potere per cercare di localizzarti, ma il tuo cosmo mi sfuggiva, non so… non so perché… non lo so! Ho provato ad andare oltre i miei limiti, ma tu scivolavi via, sei scivolato via in silenzio, mio piccolo e coraggioso Isaac, usando tutte le tue forze per salvare Hyoga, ed ora… io… io… e se avessi perso tempo indispensabile per salvare tuo fratello?! Mi sta sfuggendo anche lui, nonostante i tuoi sforzi, nonostante la tua ferrea volontà di proteggerlo. Come ho potuto permetterlo?!? Non merito di essere il vostro maestro, non merito alcunché!

 

Erano trascorsi minuti, forse ore, Camus non era più in grado di codificarlo, il tempo. C’era solo lui, l’allievo in gravi condizioni, le procedure per mantenerlo in vita e le emozioni, tante, troppe. Lo soverchiavano, occludendogli il respiro sempre più accelerato.

La madre di tutte era la disperazione, tetra profonda… ella conduceva a sé tutto il resto.

Una rabbia viscerale, florida, tenuta ora sotto stretto torchio. Era l’unico modo per mantenere un barlume di controllo per compiere le manovre necessarie per salvare una vita; la vita che Isaac aveva scelto di salvare.

Il senso di impotenza, l’essere sopraffatti, sballottati, a quello non poteva esserci rimedio, invece.

Tristezza, spossatezza… quest’ultima dipendeva dalla prima, ma non poteva ascoltarla, ciò avrebbe ucciso l’allievo.

Senso di fallimento.

Delusione.

Perdita. Questa gli ululava in pieno petto, fratturandolo inequivocabilmente, smembrandolo pezzo per pezzo.

La sua anima ne sarebbe uscita distrutta. Di nuovo. Poteva ben percepirla sgretolarsi.

Senso di colpa. Duro. Spietato.

Passò ancora del tempo, tutto scorreva, dando a Camus sempre più una sensazione di estraneità.

Si riscosse nel percepire il respiro dell’allievo farsi un poco più forte e sicuro. Era ancora in pericolo di vita, ma sembrava quasi dormire, sebbene di un sonno con tutti altri connotati rispetto alla norma.

Camus dell’Acquario provava ancora una velata nausea nel toccare l’allievo, per questo il suo contatto si era limitato allo stretto necessario per mantenerlo in vita, fino a quel momento.

Ma adesso era diverso.

Stremato, solo, nel nido che gli era stato strappato, come il suo stesso cuore, Camus non trovò altro appiglio che appendersi disperatamente a Hyoga, all’allievo rimastogli, con tutte le sue forze, accorgendosi che, ancora più forte della disperazione, della rabbia, del senso di fallimento, vi era un nuovo sentimento che stava riaffiorando in mezzo al marasma degli altri: la paura di perdere il suo Hyoga, che dipendeva strettamente da lui. Un solo gesto in più o in meno e sarebbe morto.

Chi era il reale colpevole, lì? Il suo allievo… o lui? Chi aveva abbandonato Isaac, lasciando che le correnti lo portassero via? Lui, che non aveva fermato Hyoga da intraprendere una strada non consona alla sua persona, lui… singhiozzò.

 

Maestro, so che voi ci sarete sempre per me, siete la mia forza, la mia famiglia, la ragione per cui voglio combattere… perché so che, sotto quella scorza di apparente ghiaccio invalicabile, si cela un minuscolo, fragile, fiorellino, che, nonostante le intemperie, riesce comunque a vivere, regalando, a cielo aperto, la concezione che i miracoli esistano per davvero...

 

Camus dell’Acquario trasalì, nel ricordare le parole del suo piccolo, forte, Isaac. Non era stato così… Camus non c’era stato per lui, il ragazzo sì, ma lui, il maestro, colui che avrebbe dovuto essergli vicino come un padre, no, lo aveva abbandonato, non era stato minimamente in grado di rintracciarlo, il suo cosmo era così sfuggito via. Svanito. Sentì forte e chiara una fitta al petto, spietata, che a confronto il morire sarebbe stato molto più semplice. In un certo senso, era morto per davvero, dall’interno. Avrebbe continuato a muoversi, certo, finché avesse avuto respiro. Ma era finita...

Tremò, incassando la testa tra le spalle e serrando le palpebre, che riaprì però subito dopo. Ancora non poteva crollare, ne andava della vita dell’altro allievo. Una delle mani automaticamente si posò tra i capelli biondi, ancora fradici e incrostati dal ghiaccio, di Hyoga. L’altra mano corse a tenere quella molle e abbandonata a sé stessa dell’allievo, il quale, sempre affannosamente, si sforzava di mantenersi in vita. A Camus gli si strinse il cuore nel vederlo così, a combattere contro la morte, con quella insperata voglia di non arrendersi, di resistere, con quella testardaggine che lo contraddistingueva, e che aveva imparato ad amare.

Camus dell’Acquario era morto dentro, ma non avrebbe permesso all’allievo di fare la stessa inesorabile fine, no, lui, almeno lui, si sarebbe salvato. Così, vinto da quella terribile tempesta che lo aveva colto e che non accennava a calmarsi, appoggiò la mano fredda di Hyoga sulla sua fronte, stringendola poi con le dita di entrambe le mani, in una presa disperata e ricolma di paura.

Hyo-Hyoga… re-resisti, sono qui… non morire… non morire, ti prego, non anche tu, non… - prese un profondo respiro, mentre le lacrime gli rigavano le guance pallide – Ho bisogno di te… ti prego...”

Si sentì il rombo di un tuono.

Hyoga, spalancando le iridi cristalline, si accorse solo dopo una serie di secondi, che il temporale non faceva parte di quel sogno, ma stava infuriando fuori dalla finestra dell’appartamento.

Si alzò immediatamente in piedi, svuotato, mentre meccanicamente si recava davanti alla finestra, a guardare l’avvicinarsi della tempesta di fulmini. Appoggiò le mani sul vetro, stando fisso a rimirare le gocce di pioggia che, lentamente, poi sempre con maggiori insistenza, picchiettavano sul vetro. Le sue, di gocce, invece, dopo aver creato due piccolo rii sulle guance, cadevano a terra, sul parquet.

Vi erano due versioni di Camus, in quei ricordi sfumati dal tempo e dalla malattia, che da sempre popolavano i suoi sogni. Non ricordava molto dei giorni dopo il sacrificio del suo amico Isaac, non rammentava neanche quanto fosse passato per considerarsi fuori pericolo, tutto ciò che aveva erano immagini vaghe e indefinite, frasi spezzate, richieste supplichevoli di non arrendersi.

Vi era il Camus furibondo, che lo imboccava a forza, con severità mista ad odio. Vi era la sua furia cieca, lo sprezzo che il giovane allievo avvertiva su di sé tramite i suoi occhi, i suoi soli occhi… che emanavano odio. Camus lo aveva odiato, lo sapeva.

Odiato per la sua azione sconsiderata.

Odiato per avergli strappato il suo Isaac.

Odiato per essere andato contro i suoi precetti.

Odiato… perché, nonostante tutte quelle consapevolezze, non riusciva totalmente a disprezzarlo. Difettava di avere un cuore troppo grande, il maestro. Da sempre. Difettava di amare troppo. E amava anche il suo Hyoga, come amava Isaac.

La seconda versione di Camus, infatti, era quella tipica di chi, per aver amato troppo, si era disintegrato lui stesso.

Il Camus che amorevolmente si prendeva cura di lui, nei giorni trascorsi tra la vita era morte, supplicandogli di non cedere, di non arrendersi, era quanto di più vicino allo spezzarsi, al crollare, senza però poterlo fare pienamente. Non lo aveva fatto, infatti, cauterizzando con violenza lo squarcio che si era creato nella sua psiche. Non usciva, e non sarebbe più uscito, nulla da lì, ma quell’orrendo segno sarebbe rimasto impresso nella sua anima, intessuto con lui.

La sua anima si era di nuovo rotta in mille frammenti; frammenti che, in precedenza, già qualcuno aveva faticosamente raccolto, pezzo per pezzo, sistemandoli e dandogli una nuova forma.

Ma ora… chi avrebbe assemblato nuovamente quell’anima che, da quel giorno, si era nuovamente fratturata?! Chi?!?

Hyoga si lasciò cadere a terra, le mani corsero lungo il vetro, prima di fargli da appoggio. Serrò le palpebre e le labbra, producendo un suono incorporeo, di singhiozzo affogato nel petto prima che potesse fuoriuscire.

 

Ho bisogno di te… ti prego…

 

Gli aveva sussurrato quella lontana notte, nella disperazione più tangibile.

“Maestro, anche io ho bisogno di voi… tanto… - sussurrò tra sé e sé il Cigno, stringendo con forza le dita – Mi mancate tremendamente… da togliermi il fiato!” bisbigliò ancora, incassando la testa tra le spalle e lasciandosi finalmente andare.

Si sarebbe infine recato al Tempio, alla ricerca di un nuovo inizio per entrambi. Lo avrebbe fatto, malgrado il passato non potesse essere cancellato. Ne aveva bisogno. Entrambi ne avevano bisogno.

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Benvenuti anche in questo nuovo capitolo che vede come protagonista Hyoga del Cigno.

Stavolta procederò con ordine, perché vorrei spiegare un po’ di cose, partiamo quindi dal principio.

Camus e Isaac: chi legge la mia serie principale sa che, per la mia concezione, loro due avevano un rapporto speciale, le ragioni saranno spiegate in una storia a parte, anche se i riferimenti a loro due si sprecano in tutte le serie, ormai. Il rapporto che li lega è molto “fisico” soprattutto per Isaac, che percepisce il calore del corpo del maestro in più occasioni, e ne viene cullato e rassicurato (si vedrà maggiormente nel prossimo capitolo dedicato a lui); anche Camus ha ha un rapporto privilegiato con lui, anche se è piuttosto impacciato con le manifestazioni fisiche (e lo sarà fino all’arrivo delle nuove allieve nella mia serie principale), ma il forte affetto che prova per l’allievo si percepisce in più di una occasione. Soprattutto con Isaac, e solo con lui, usa il termine “piccolo” (lo usa anche con Marta aggiungendoci un “mia”, ma lei è un caso diverso), indice di un suo forte coinvolgimento emotivo. Mi ritaglierò non poche occasioni per descrivere di loro ancora e ancora. :)

Questione Hyoga: l’eterno secondo, sempre secondo la mia idea. Premetto che il personaggio mi piace un sacco, ma lo vedo esattamente così. Hyoga non era la prima scelta di Camus, non poteva esserlo, del resto, sebbene, a detta dello stesso maestro, avesse un potenziale superiore agli altri, ma per come è stato reso il personaggio, almeno all’inizio, non poteva che essere Isaac il degno custode di Cygnus, non lui, desideroso solo di ricongiungersi con la madre. Seconda scelta quindi, anche affettiva, purtroppo, perché Camus, pur sforzandosi di trattarli da pari, determinate cose le fa trasparire solo con il piccolo Isaac, e Hyoga ci soffre, certo, lo abbiamo ben potuto vedere. C’è molto di non detto tra loro, presto i nodi verranno al pettine, almeno nella mia serie.

Mi serviva comunque che Hyoga rivelasse ciò che provava, pur avendo difficoltà ad esprimersi, e quindi la dolcezza di Shun, la sua amicizia, cadeva a fagiolo. Il loro rapporto è molto forte! :)

Milo: poteva non apparire lo Scorpionide? Certo che no! Al solito poche parole ma incisive! Milo è l’intermediario tra Camus e Hyoga (che pazienza che deve avere questo povero diavolo!), si pone lui stesso in mezzo tra i sensi di colpa dell’allievo e i sentimenti inespressi del migliore amico, riuscendo, come sempre, a centrare tutto. Sarebbe davvero bello avere un amico come lui! Ha patito in prima persona la morte di Camus, la sua decisione di sacrificare tutto per l’allievo rimastogli, e l’ha compresa, accettandola, pur non riuscendo completamente a perdonarlo (qui l’approfondimento sarà nella Sonia’s side story), ha accettato di prendersi cura di Hyoga al posto dell’amico, e ora vuole che loro due, dopo tanto soffrire, siano finalmente felici. Ci riusciranno? Sono due testardi!

Reazione post mortem di Isaac: qui è stata davvero dura, lo ammetto senza problemi. Non sapevo come rendere il marasma delle emozioni di Camus, così fitte, così incontrollabili. Erano veramente troppe in una botta unica, ed è successo che, come si poteva pensare, il primo crollo, Camus, ce l’ha proprio qui (il secondo è in Sentimenti che attraversano il tempo), qui lascio la parola a voi, se l’ultimo pezzo vi è piaciuto, oppure no, se poteva essere reso meglio o se va bene così. Anni fa lessi una meravigliosa storia che trattava anche di questo fatto, io non sono paragonabile a quel racconto che mi è rimasto nel cuore, ma ci volevo provare comunque, dato che mi premeva dare la mia versione. Anche questo argomento comunque sarà trattato più approfonditamente a tempo debito.

Vorrei farvi focalizzare su un particolare: Camus ammette di non riuscire a localizzare il cosmo del suo pupillo, smarrito tra i flutti del mare. Può sembrare strano, dato l’ampio potere che possiede, ma anche qui il motivo c’è, solo… sarà rivelato parecchio più in là, ecco! XD

Dov’è Isaac? Che fine ha fatto dopo Atlantide? E’ veramente morto? Il prossimo capitolo sarà dedicato a lui, e recita “in un luogo indefinito, in un tempo imprecisato”, non vi resta che scoprire il reale significato di queste parole! :)

Ah, un’ultima cosa, mi stavo dimenticando: tutto il capitolo avviene l’11 giungo del 2011, tranne l’ultima parte, il sogno/ricordo di Hyoga, quella avviene la stessa notte in cui Camus, nel “Preludio: la fine dell’inverno” prende infine la decisione di proporre (finalmente, dei!!!) a Hyoga di andare ad abitare nella sua Casa… ehehe, anche qui c’è lo zampino del nostro Milo! ;)

Grazie come sempre, spero sarà stata una piacevole, anche se lunga, lettura! Vi ringrazio per il vostro sostegno e alla prossima! :)

 

 

  
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