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Autore: MaikoxMilo    03/02/2020    12 recensioni
Sulle note di "Parallel Hearts", l'opening di Pandora Hearts, ecco una breve storia di tre capitoli che tratta del rapporto tra Camus, Hyoga e Isaac, le vicissitudini, i ricordi, le emozioni, i silenzi, le frasi non dette. Non c'è vento benefico per il marinaio che non sa dove andare, ma, spesso, comunque, la strada che scegliamo di percorrere non è agevole, non ti porta dove vorresti, oppure, è ostruita. Tre strade partite in comune, tre destinazioni diverse, a volte inaspettate, ma finché i loro cuori continueranno a rimanere paralleli, non si perderanno mai del tutto, qualsiasi cosa accada.
ATTO I: Camus (4 giugno del 2011)
ATTO II: Hyoga (11 giugno del 2011)
ATTO III: Isaac (In un luogo indefinito, in un tempo imprecisato)
La storia fa parte della mia solita serie: "passato... presente... futuro!", ma è fruibile a tutti perché si situa prima dello svolgere degli avvenimenti della "Guerra per il dominio del mondo". Buona lettura a tutti!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Andromeda Shun, Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Gemini Kanon, Kraken Isaac
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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PARALLEL HEARTS

 

Noi abbiamo il potere di cambiare il futuro

l’ho visto nei miei sogni...

In mezzo al rumore, ho sentito il tuo grido,

ciò metteva a nudo la mia debolezza,

come se stessi sorridendo

La strada che stai seguendo è nota solo a te,

così insegui un cielo diverso e lontano dal mio.

Pur smarriti nel passato,

desideriamo il coraggio di affrontare il futuro,

e ora voglio tornare al vero presente,

dove tu continui a sorridermi

 

 

 

...Hyoga...”

Il Cavaliere del Cigno si riscosse al suono di quel richiamo strozzato, affannato, tornando a concentrarsi sull’amico steso tra le sue braccia che, nonostante tutto, gli sorrideva, sebbene da quelle labbra il respiro fosse sempre più stentato, sostituto da una emorragia sempre più letale.

I-Isaac, non parlare, ti prego, ti fa male! Resisti! Ora io...”

Sciocco… sai che non puoi più fare nulla, l’Aurora Execution non perdona… hai imparato bene dal Maestro Camus” rantolò, allo stremo delle forze, sputando nuovamente sangue, che cadde sul dorso della mano di Hyoga.

La battaglia era appena conclusa e si erano infine ritrovati, ma… a quale prezzo?! Il Cavaliere del Cigno incassò la testa tra le spalle, singhiozzando sommessamente. Non una lacrima. Non più. Ma il dolore non era mai stato così vivo in lui.

La battaglia era appena conclusa e ciò che rimaneva a lui era un nome, fautore di tutto quello sfacelo, che voleva i Cavalieri di Atena morti: Kanon di Gemini, il fratello di Saga, l’usurpatore. Nient’altro…

Il sangue versato, quello del suo amico più prezioso, le lacrime soffocate nel petto, e un gelo spietato che lo stava acciuffando, procurandogli una lenta, ma intensa, agonia.

La stessa che Hyoga aveva riservato al suo adorato maestro.

La stessa che aveva subito sua madre, per salvarlo.

Cos’altro gli restava?! Continuare a vivere un’esistenza maledetta che portava tutti i suoi cari a morire per lui?!? Sarebbe stato più facile assecondare i desideri di morte che lo avevano accompagnato fin dalla più tenera età, eppure non poteva, aveva promesso che avrebbe continuato a vivere. Non per sé. Per gli altri, come un vero Cavaliere.

 

Il cavaliere che non hai potuto essere, Isaac…

 

Hy-Hyoga...” lo richiamò di nuovo l’amico, sforzandosi di mantenere l’occhio aperto, sebbene il gelo annichilisse tutto il resto, a partire dal profondo. Il suo sguardo non era più il suo, troppo distorto, troppo rotto dal dolore. Sempre più spento. Era un processo irreversibile.

Hyoga trattenne l’ennesimo gemito dentro di sé, sistemò meglio la nuca del compagno sulle sue gambe, sforzandosi di rimanere in posizione dritta, malgrado la ferita al collo si fosse di nuovo aperta e il sangue sgorgasse da essa, passandogli sulla schiena per poi colare al suolo, a formare una pozza in continua espansione.

Di-dimmi, Isaac, sono qui!” gli sussurrò, con fatica. Articolare le parole non era affatto semplice, gli affogavano nel petto cavo, ma non voleva lasciarlo solo, non in quel momento, pertanto gli prese una mano per fargli coraggio a proseguire.

Posso… posso ancora considerarmi un allievo di Camus?” gli chiese l’altro, quasi supplichevole, una smorfia di dolore sul viso. Tossì e sputò sangue per la quarta volta consecutiva. La fine era ormai imminente.

A quel punto persino la sua volontà di non piangere vacillò, ma ancora il Cigno resistette strenuamente.

Lo sarai sempre, Isaac… il Maestro ed io non ti abbiamo mai dimenticato, mai! Sarai sempre un figlio per lui e… e un fratello per me.”

Neanche io vi ho mai dimenticati… nei momenti più bui, nonostante la rabbia crescente, nonostante l’odio, richiamavo i vostri visi a me. Siete sempre stati il mio unico conforto, ma… vi ho traditi. P-prima, lo percepivo il cosmo di Camus… era al tuo fianco e… e furioso… con me. Potrete mai… perdonarmi?”

Non c’è mai stato nulla da perdonarti… tu eri il degno possessore di Cygnus, Camus aveva scelto te, ma… ma...”

Camus aveva scelto me… ma sei tu il suo vero successore, non dimenticarlo mai, amico mio...”

Hyoga fremette, non reggendo più il peso della sua esistenza. Isaac aveva lentamente chiuso l’occhio rimastogli, ma respirava ancora, anche se sempre più irregolarmente e a scatti.

Il successore del Maestro Camus… come poteva reputarsi degno di quel titolo, degno anche solo di sfiorarlo, quando…. quando era stato lui a privarlo del calore della vita?! Natassia, Camus, Isaac… avevano tutti creduto in lui, indicandogli la via, mostrandogli il percorso, il suo ringraziamento era stato ucciderli. Non viveva più per sé stesso, né per la madre, ma per loro, per i morti che si portava dietro, quella era l’unica sua ragione di vita, fare quello che avrebbero fatto loro. Il resto era un vuoto insopportabile.

Vorrei… oh, come vorrei… poter tornare ai giorni dell’allenamento all’isba, quando noi due eravamo bambini ed eravamo sotto la tutela del Maestro Camus. E’ stato… il periodo più felice della mia vita, mi sembra quasi di rivedervi...”

I-Isaac?!” lo richiamò, stringendo la presa su di lui, ma capì con orrore che l’amico non poteva più percepirlo.

Ci sei tu, c’è il Maestro Camus… mi sorridete, indicandomi di entrare all’isba a prendere una tazza di tè bollente per scaldarmi… non sento quasi più freddo, ci siete solo… voi...” ansimò ancora, prima di reclinare la testa di lato e spirare. Il tumulto del suo cuore si fermò, ma in viso aveva ancora quel leggero sorriso che aveva accompagnato i suoi ultimi pensieri. Sembrava sereno.

Le lacrime alla fine ebbero la meglio, solcando il viso del giovane Hyoga poco prima che cadessero tra i capelli dell’amico, ormai involucro vuoto.

Singhiozzò, accasciandosi al suo fianco, l’emorragia sempre più intensa, che quasi si miscelava al dolore. Repentino. Insostenibile.

In quell’istante un ragazzo moriva, un altro perdeva un altro pezzo insostituibile della propria anima. L’ennesimo. Cosa era rimasto di lui?!

A-addio, Isaac… addio… fratello mio!”

 

Il freddo aveva avvolto anche lui, chiudendo i suoi occhi. Si era così ritrovato nuovamente nelle lande desolate della Siberia orientale. Da solo. In mezzo alla tempesta di neve. Si guardò intorno, riconoscendo il posto. Il suo cuore sussultò: era sopra il ghiaccio che celava la nave contenente il corpo di sua madre, come non distinguerlo. Per un solo istante ebbe l’impulso di sfondarlo, ormai era diventati forte, e rivedere quel viso a lui tanto caro. Ma si bloccò. Si trattenne. Rimanendo invece con il pugno chiuso.

Non impari mai, Hyoga… quante morti vuoi ancora causare?!”

Una voce sibillina lo aveva raggiunto, poco dopo dal ghiaccio si formò una figura dalle fattezze femminili fino all’addome, da lì in giù invece era un blocco di ghiaccio: uno spirito della neve, come li chiamava Camus, lo sciamano.

Il Cavaliere del Cigno fece per ribattere, ma si accorse che non poteva esprimere alcunché, nulla che potesse dargli delle attenuanti, né spiegazioni… era semplicemente condannabile, senza possibilità di appello.

Isaac… scomparso per recuperare te, che ti sei ostinato a rivedere un morto...”

Alla sua destra si formò un altro spirito in tutto e per tutto simile al primo.

Camus, maestro grande e nobile, nonché sciamano dei ghiacci… prematuramente scomparso per mano del suo stesso allievo” gli fece eco la seconda.

Una terza figura si materializzò, tale e quale alla prime due. E poi una quarta. Una quinta, e così via, fino a circondarlo completamente. Ognuno di loro professava il suo capo d’accusa, il Cigno era totalmente impotente.

Dimmi, la tua vita vale un tale dispendio di altre vite?!”

Ci hai privato di Isaac, stella brillante e densa di potenziale per assurgere al ruolo di Cavaliere di Atena...”

Di Camus, unico, vero, sciamano dei ghiacci, che ha salvato molte vite in queste lande abbandonate...”

Di’… tu invece cosa hai fatto?!”

Se avesse potuto, il Cigno avrebbe risposto che aveva combattuto contro Poseidone e Hades al fianco della dea Atena, che aveva creduto nei suoi ideali, diventando un difensore della giustizia. Ma quello, si disse, avrebbero potuto farlo anche Isaac e Camus, se lui non li avesse privati della vita con le sue mani sudice.

Un fratello...”

...e un padre...”

Massacrati!”

Continuavano le voci, sempre più ridondanti. Insistenti. Scroscianti.

Hyoga si tappò disperatamente le orecchie, serrando gli occhi, ma quelle continuavano a parlare, sempre più forte, sempre più sardoniche.

No… no… basta… bastaaaaa!!!

Di’… chi potrebbe perpetrare un simile abominio?!”

Tu… tuuuuuu...”

Nessun altro, se non tu!”

Non dovresti esistere...”

“… sei pernicioso!”

Non avresti mai dovuto essere nato!”

Hyoga cadde a terra, urlando a squarciagola, del tutto rattrappito. Voci e rumori vorticavano dentro di lui, trafiggendolo ripetutamente come un puntaspilli, dall’interno verso l’esterno.

Hanno ragione, Hyoga...”

Mi-Milo?!?

Gli sembrò di scorgere l’espressione amara dell’amico, che lo squadrava con sdegno, le labbra piegate in una espressione di disgusto.

Persino tu, amico mio…

Hanno ragione loro… - ripeté lui, alzando il braccio e l’indice della mano destra, una nuova accusa, lui ne era l’esecutore – Ed io avrei dovuto farti fuori prima che tu potessi fare ulteriori danni. Rimedierò ora: ANTARES!!!”

Non ebbe il tempo di reagire, che l’unghia lo trafisse in prossimità dello sterno. Gridò ancora una volta. Poi le tenebre implosero.

 

 

* * *

 

 

4 giugno 2011, nel cuore della notte

 

 

Un urlo intenso e prolungato investì le pareti dell’undicesima casa dello zodiaco, riecheggiando nei dintorni fino a scoppiare in un vero e proprio pianto inconsolabile. Una figura stesa sul letto si mise immediatamente sull’allerta, precipitandosi poi in direzione degli ululati di lutto dell’allievo.

Hyoga, come era facilmente intuibile, piangeva e si dimenava nel sonno, producendo movimenti del tutto violenti e involontari. Non esitò un attimo. Raggiunse il letto e provò a scrollarlo, per ridestarlo dall’incubo.

“Hyoga! Forza, sono qui! Sono qui!” gli ripeté più volte, tentando di tenerlo fermo, che si sarebbe fatto male altrimenti.

“...mia… c-colpa… i-io non… non sono degno di...” delirava intanto il ragazzo, fuori di sé dal dolore.

A quel punto Camus gli mise una mano sotto alla nuca, sollevandolo un poco, mentre l’altra la posò sulla guancia, come faceva quando era piccolo per strapparlo dagli incubi che spesso lo dilaniavano; per strapparlo dal passato impietoso, che lo torturava fin dalla più tenera età.

“Hyoga, ragazzo, forza, svegliati, è solo un brutto sogno!” lo provò a rassicurare, ottenendo finalmente l’effetto sperato.

Lentamente l’allievo aprì gli occhi, anzi, l’occhio destro, perché il sinistro era ancora bendato. Lo guardò spaurito, come quando era un bambino e i mostri, sotto forma di ricordi, lo afferravano spietati. Era sempre un’impresa riportarlo alla calma, ma Camus aveva ormai una certa dimestichezza per quella situazione, pertanto sapeva come agire.

“M-maestro...” farfugliò, mano a mano sempre più vigile.

“Va tutto bene, Hyoga, è passato...” lo rassicurò con voce dolce, poco prima di riadagiarlo sul letto e rimanere comunque al suo fianco, seduto sulla sponda del suddetto.

Il giovane Cigno prese tempo a raccapezzarsi. Buttò un occhio fuori dalla finestra, scorgendone solo il buio, poi di nuovo alla stanza, avvolta dalla luce fioca della lampada, e infine al corpo del suo mentore. Non aveva niente addosso se non la propria pelle e un asciugamano stretto in vita. Per forza, si disse, Camus dormiva spesso nudo persino in Siberia durante i loro allenamenti, figurarsi in una terra calda e assolata come la Grecia di inizio giugno! Non rammentava tuttavia cosa ci facesse lì, su quel letto. Ricordava di esserlo venuto a trovare, questo sì, salvo poi essere finiti a medicare il suo occhio ancora dolorante, piuttosto che trattare dello stato di salute del maestro, da poco neo-risorto. Il resto era un buco, per non dire una voragine.

“Cosa… cosa ci faccio qui?” chiese, ancora stordito.

“Sei tu ad essermi venuto a trovare ieri, Hyoga. Dopo la medicazione, ti sei addormentato ed io ti ho messo a letto.” gli spiegò, sorridendo appena. Non gli disse, no, che la sua visita gli aveva riempito il cuore di gioia, né che era felice di averlo di nuovo lì con sé, come quando erano all’isba.

A quelle parole il Cigno si riscosse del tutto, alzandosi a sedere di scatto e arrossendo a dismisura.

“Perdonatemi! Vi ho importunato così tanto! Ora prendo le mie cose e...”

“Hyoga! - lo fermò rapido lui, afferrandolo per le spalle – Va tutto bene, è piena notte, non mi dai fastidio. Avrai tempo domani mattina per andartene, riposa pure qui per il momento, senza remore. La casa è piuttosto grande e...” ma non finì la frase, le parole gli mancavano. Come sempre.

 

La Casa è grande ed io mi sento solo, ecco tutto! Da quando mi sono ripreso, non reggo più il gelo intorno a me, né quello dentro di me, ma da quello non c’è scampo, ahimè! Mio amato Hyoga, se io riuscissi a spiegarti il bisogno che sento di averti al mio fianco, probabilmente rideresti di me, a buon diritto, perché sarei il solito a predicare bene e razzolare male.

 

Hyoga rimase in silenzio, tranquillizzandosi un poco a quelle parole sincere. Era sempre convinto di essere un fastidio per il suo giovane maestro, ma sembrava che Camus avesse piacere ad avercelo lì, al suo fianco, cosa però che il Cavaliere del Cigno non si poteva permettere, sebbene lo volesse con tutto il cuore.

 

Mi riaccettate sempre, qualsiasi cosa faccia, perché il vostro cuore è grande e, nonostante tutto, c’è sempre spazio per me, ma io… come posso camminare al vostro fianco? Come posso essere degno di voi, quando vi ho privato di tutto? Vi ho tolto la vita e ho ucciso il vostro migliore allievo, non una, ma due volte, impedendogli di diventare il Cavaliere che meritava di essere. Non sarei degno neanche di guardarvi, figurarsi rimanervi accanto… non lo merito… e voi non meritate di avere come discepolo uno come me.

 

“Perdonatemi, ero venuto a trovarvi per vedere come stavate dopo la resurrezione insperata, ed è finita che mi avete medicato voi l’occhio sinistro.” farfugliò, posando la man sopra esso, ancora dolorante.

Erano passati mesi dalla fine della guerra contro Hades, Seiya era ancora in coma, mentre gli altri Cavalieri di Bronzo, suoi amici, erano tornati agli allenamenti. Shiryu con Dohko, lo vedeva al Tempio spesso, Shun con June, Ikky per gli affari suoi come al solito, l’unico pulcino smarrito era lui, sebbene avesse anche lui i propri punti di riferimento. Bastava volerlo!

Era successo che, una decina di giorni prima, o forse una settimana, il tempo scorreva strambo, avevano percepito un cosmo colossale abbracciare il Santuario. Atena non avrebbe potuto essere, perché si stava prendendo cura di Seiya, ferito gravemente dalla spada di Hades, occorreva quindi indagare, pertanto lui, i suoi amici, e tutti i superstiti del Santuario, si erano recati lì, trovandovi, proprio all’interno del tredicesimo tempio, tutti i Cavalieri d’Oro morti al Muro del Lamento, più Kanon, fratello di Saga, e Shion, il Grande Sacerdote. Erano resuscitati. Il come non si sapeva. Ma erano loro, e tanto bastava. Era immediatamente corso in direzione di Camus, steso prono completamente nudo, al pari degli altri, chiedendosi febbrilmente se quella volta sarebbe riuscito a riabbracciarlo, o se gli sarebbe sparito, ancora, sotto forma di polvere di luce. Aveva una paura atroce che potesse essere un inganno, dopo Lymnades, ma ci era riuscito, lo aveva raggiunto, toccato, stretto a sé... ed era scoppiato in un vero e proprio pianto disperato, affondando il suo volto nella chioma del maestro, svenuto tra le sue braccia. Camus era visibilmente incosciente, pallido in volto, ma dalle sue labbra comunque era sfuggito un debole spasimo, che si era poi identificato con un nome, il suo: “Hyo-Hyoga, mio...”

Lo aveva percepito, tanto bastava per stringerlo ancora di più a sé, bagnandolo con le lacrime che doveva bandire ma che, in quella circostanza, sgorgavano senza freno, inumidendogli il volto. Non era più solo, non lo sarebbe stato più...

I giorni seguenti erano stati di buio completo, per tutti i Cavalieri d’Oro, erano rimasti privi di coscienza per giorni interi, deboli, indifesi tra le coperte del letto, mentre i curatori e gli specialisti più bravi si prodigavano per loro.

Hyoga era rimasto al fianco del maestro, per quel periodo, più facile farlo con lui in quelle condizioni che non sveglio, poiché era del tutto incapace a sorreggere il suo sguardo. Camus non aveva ferite visibili sul corpo, era intatto, come lo ricordava, ma la sua temperatura corporea era molto più bassa della norma, causandogli uno stato di letargia cronica, che non lo faceva riprendere. Per Milo, Aiolia, Mu ed altri era stato molto più facile invece, erano feriti, stanchi, ma si erano svegliati quasi subito. Discorso diverso per Cavalieri come Shura, o Saga, che erano rimasti in condizioni critiche per un bel po’.

Un giorno di quelli, Hyoga stava vegliando sul suo maestro, ancora profondamente addormentato. Il curatore se ne era andato, dichiarando parole ottimistiche sul fatto che presto si sarebbe svegliato. Nonostante ciò, il giovane Cigno aveva paura: Camus continuava a soffrire degli effetti dell’Aurora Execution che aveva subito. In parole povere, stava male per lui, perché era stato lui ad ucciderlo.

 

-Sono tornati con gli effetti corporei di quando avevano perso la vita.

Aveva giustamente notato Shun, intento a prendersi cura di Aphrodite, per il quale si sentiva responsabile.

-E’ così, non è un caso che a riprendersi siano stati prima i sopravvissuti alla Battaglia delle 12 Case!

Aveva aggiunto Shiryu, non sbilanciandosi più di tanto, come sempre.

-Sono comunque Cavalieri d’Oro, si riprenderanno presto, vedrete!

Li aveva incoraggiati Ikky, burbero, facendo sentire la sua vicinanza a suo modo.

Hyoga aveva solo abbassato lo sguardo, non aggiungendo più nulla.

 

Si sarebbero ripresi perché erano Cavalieri d’Oro… ma Camus seguitava ad essere privo di coscienza, il respiro mozzo, stentato. Hyoga, una notte, lo aveva scoperto fino al basso ventre, permettendosi di toccare quella pelle che, in circostanze normali, avrebbe irradiato calore, ma che, sotto le sue dita, in quel momento, appariva semplicemente come il permafrost, sebbene ben più morbida. Il suo maestro aveva sempre avuto la pelle chiara, delicata, come piume di cigno, ma in quel frangente emanava un pallore mortale, da spaventarlo a morte.

Fosse stato Shun, avrebbe potuto riscaldarlo con il suo cosmo, ma il suo era portatore di gelo, non di tepore…

Fosse stato Ikky avrebbe usato il suo potere per farlo stare meglio, ma il suo lo avrebbe solo ghiacciato di più, procurandogli altro dolore…

Fosse stato Shiryu, infine, il più saggio del gruppo, avrebbe trovato una soluzione, invece di piangersi addosso, ma era Hyoga, e la sua esistenza era maledetta, poteva solo portare il male, come aveva già fatto…

“Maestro...” gli aveva infine sussurrato, soffermandosi sul suo ampio petto che manifestava il respiro tramite movimenti brevi ma sempre più regolari, e sui suoi muscoli, ben delineati e giustamente proporzionati, che ricordavano delle tiepide colline assolate.

Si era infine messo nel letto con lui, recuperando le coperte e abbracciandolo nel tentativo di cedergli un po’ di calore corporeo, perché esso era la vita, la discrepante tra morire di ipotermia o aggrapparsi all’esistenza con tutto sé stesso. Lo era in Siberia. Lo era anche lì, in quelle terre baciate dal sole.

“Maestro, per favore, svegliatevi...” gli aveva infine sussurrato, addormentandosi poco dopo. Al suo risveglio, le sue preghiere erano state accolte, perché la prima cosa che scorse, sebbene piegata dalla stanchezza, era stato lo sguardo del suo maestro, che, utilizzando tutte le forze difficoltosamente recuperate, gli sorrideva con affetto, accarezzandogli teneramente una guancia.

“Hyo-Hyoga, s-sei... qui.” aveva biascicato, scostandogli uno dei ciuffi dalla fronte con gesto lento ma delicato. I suoi occhi lo abbracciavano con quella forza e intensità che le sue stesse braccia, ancora pesanti, non potevano utilizzare, ma Hyoga lo poteva percepire, l’amore che provava per lui, perché Camus sosteneva di essere freddo, ma era capace di amare come nessun altro, di proteggere i suoi affetti più di quanto gli concedessero le sue reali forze. Era un essere speciale.

Quella avrebbe dovuto essere una rinascita, un ricominciare daccapo, per loro due, ma i problemi erano iniziati da lì, da parte del Cigno. La coscienza gli mordeva peggio di un cane inselvatichito, spingendolo ad allontanarsi proprio da colui con cui invece avrebbe voluto ricostruire tutto.

“La ferita all’occhio sinistro ti fa ancora male?”

Il Cavaliere del Cigno si riscosse dal viale dei ricordi, tornando in sé, al presente, e a Camus, che era lì accanto a lui e si stava piano piano ristabilendo. Affogò gli ultimi pensieri nel suo inconscio.

“Sì, Maestro, ma il dolore si è molto attenuato nell’ultimo periodo, soprattutto dopo ieri sera, penso che presto potrò nuovamente aprirlo!” lo rassicurò, sentendosi sempre a disagio, ma recuperando un po’ di sicurezza nella voce.

Camus annuì, alzandosi in piedi e scrutandolo fin dal profondo, l’espressione come sempre fiera, con quella luce brillante negli occhi che riservava solo alle persone del suo mondo.

“Sdraiati, Hyoga… vado a prendere i medicinali e poi torno a medicartela ancora una volta, vedrai che nel giro di poco la vista sarà completamente ristabilita!” gli disse, dirigendosi all’esterno della stanza.

Hyoga fece quanto chiesto, sospirando sonoramente. Le erbe medicinali e gli unguenti portati direttamente dalla taiga siberiana, avevano sempre avuto del miracoloso, non per niente il suo maestro era sciamano dei ghiacci, conosceva dei rimedi, sconosciuti alla medicina tradizionale, che erano prodigiosi. Sorrise tra sé e sé nel ricordare il saporaccio di alcuni intrugli che aveva fatto bere a lui e Isaac per farli guarire dalla polmonite che avevano contratto nel primo, per Isaac secondo, anno di allenamento. Gli mancava quel periodo… gli mancava terribilmente!

Camus tornò poco dopo, vestito con una canottiera e dei pantaloni leggeri, recando con sé l’occorrente. Hyoga era sempre sdraiato sul letto, le braccia leggermente aperte, gli occhi chiusi. Iniziò il suo operato.

Avvertì il suo maestro togliere le bende, girandogli poi il volto per osservare meglio la vecchia ferita, ancora visibile nella parte alta della palpebra. Poco dopo un batuffolo imbevuto di qualcosa che non era disinfettante, gli veniva passato sopra con estrema cura, sempre in religioso silenzio, il loro miglior modo di comunicare.

Hyoga avrebbe potuto aprire l’altro occhio per vedere l’espressione assunta da Camus, ma provò invece ipotizzarsela, ben consapevole di quello che stava passando il suo maestro in quel periodo. Si immaginò così le sue labbra mentre si inclinavano in giù, in una smorfia di assoluto contegno che però celava la sua reale tristezza e malinconia. Era stato sempre un tipo malinconico, lui, di una tristezza ben tangibile e che avrebbe voluto trattare in qualche maniera. Il tutto era peggiorato dopo la morte di Isaac, allievo caro e mai dimenticato e, ancora di più, dopo la rinascita, esacerbandosi fino all’inverosimile.

 

Maestro, eravate al mio fianco quando Isaac me la procurò… siete sempre stato al mio fianco da quel giorno che le nostre Aurora Execution si scontrarono l’una contro l’altra, strappandovi il calore di questa vita. Vi ho sempre percepito, in me, sempre, anche quando, durante lo scontro con Poseidone mi avete dato ausilio dell’armatura d’oro, ma, mi chiedo… cosa rammentate di quei momenti? Ricordate le cose come sono successe? Oppure, con la vostra rinascita, tutto si è annichilito nelle tenebre della morte?

So così poche cose di voi, Maestro… si possono contare sulla punta delle dita e, ancora meno, sono quelle che mi avete raccontato voi di vostra spontanea volontà. Mi domando… Isaac invece le sapeva? Sapeva tutto di voi? E Milo?! Avete un cuore immenso, maestro Camus, e la fierezza di un Cavaliere tra i più puri, siete sempre stato il mio punto di riferimento, ma io, per voi? Cosa sono stato?! Non ho mai avuto un ruolo mio dentro il vostro cuore, già gremito delle persone per voi importanti: Isaac… Milo… vostra sorella che avete dovuto abbandonare in fasce…

Ecco, non avrei mai saputo di vostra sorella, non avrei mai saputo che, il vostro più sincero sorriso era stato per lei, fuoriuscito come un bucaneve solo nel parlare di lei, malgrado la distanza, malgrado le memorie che vacillavano. Non lo avrei mai saputo, se Milo non me lo avesse raccontato, di quel giorno di marzo del 1995 dove diventaste amici e decideste di sostenervi a vicenda. Sempre.

So così poco di voi, eppure vi vorrei parlare con tutto me stesso, ma siete irraggiungibile, almeno per me. I nostri cuori sono paralleli, vanno in un’unica direzione, ma non si intersecheranno mai, ormai l’ho capito.

 

“Sapete… chi mi ha procurato questa?” gli chiese ad un certo punto, serrando immediatamente la mascella per evitare uno spasmo. Aveva infine deciso di provare a parlare, voleva sapere cosa effettivamente si ricordasse di quella battaglia.

Camus assottigliò a sua volta le labbra e affilò lo sguardo immobilizzandosi per una serie di secondi, prima di riprendere a fare quello che faceva.

“Avevo promesso che il mio spirito sarebbe rimasto al tuo fianco per sempre.” asserì solo, fremendo visibilmente, prima di tornare alla calma.

Dunque lo sapeva. Una parte della sua coscienza era rimasta in lui, permettendogli di proteggerlo e sorreggerlo con il suo cosmo anche da morto.

“E… ce l’avete con me per quello che ho fatto?”

Camus non sapeva se ce l’avesse con lui. Non lo capiva. Una parte della sua coscienza aveva indugiato, rimanendo al fianco di Hyoga, vedendo con gli occhi del suo pupillo e, con quegli occhi, aveva rivisto Isaac, non più il suo, il piccolo e coraggioso Isaac, bensì un Kraken, un mostro marino, che si era allontanato da tutti i suoi precetti per schierarsi con Poseidone e assecondare il suo piano malvagio. Il suo Isaac era morto quel giorno in Siberia nel recuperare Hyoga, carpito dalle correnti del gelido mare, e lui lo aveva abbandonato, pessimo esempio non solo di padre, ma anche di maestro. Tuttavia… era arrabbiato, furioso, lo percepiva, ma con chi in modo particolare?! Con il suo Hyoga, ormai cresciuto? O con Isaac, che si era smarrito, o ancora… con sé stesso?

“Hai fatto ciò che un vero Cavaliere di Atena avrebbe dovuto fare! Non hai nulla di cui pentirti!” affermò solo, cupo.

Non aveva risposto alla domanda, Hyoga comprendeva pienamente la verità dietro quell’apparente silenzio. E sospirò, affranto. Non avrebbe ottenuto il suo perdono, non lo avrebbe mai ottenuto…

“Maestro, la mia domanda era un’altra, la morte di Isaac...”

“NON VOGLIO PARLARE DI ISAAC, HYOGA!”

Tacque, sgomento, e sentì il bisogno di piangere, un po’ come, la prima volta che si erano incontrati, aveva avuto l’impellente bisogno di sfogarsi in quella maniera, al solo udire le parole di quello che sarebbe stato il suo maestro. Camus gli aveva detto, senza mezzi termini, che inseguendo quel sogno insulso di rivedere la madre deceduta, sarebbe morto lui a sua volta. Non si diventava Cavaliere per coloro che non c’erano più, ma per i vivi, anche Isaac glielo aveva sempre, sempre, ripetuto.

Gli si inumidirono gli occhi, ma si trattenne, stringendo comunque la mano destra nel tentativo di sfiatare, almeno un minimo, quell’immenso peso che lo schiacciava. Tremò vistosamente.

“Scusami, Hyoga… - si riprese dopo poco Camus, visibilmente sofferente, come di consueto quando veniva tirato in ballo l’altro allievo – Lasciami… lasciami medicare la ferita ora, solo questo conta.”

“D’accordo, Maestro.” acconsentì lui, chiudendo anche l’altro occhi e aspettando di addormentarsi un’altra volta, sperando di trovare un minimo di conforto in un sonno privo di incubi.

 

 

* * *

 

 

Il giorno seguente Hyoga si svegliò tardi, nonostante un raggio di sole penetrasse dalla finestra in camera sua già da un paio di ore. Si alzò a sedere e si stiracchiò, notando che il maestro aveva bendato nuovamente con cura l’occhio ferito. Gli ci sarebbe voluto ancora un po’, per recuperarlo, ma non aveva dubbi che ci sarebbe riuscito, soprattutto in quel momento che era sotto le cure quasi miracolose di Camus. Scese lentamente le scale e lo trovò in cucina, una tazza di latte color marroncino pronta ad aspettarlo sul tavolo (a Hyoga piaceva con il cacao!). Il maestro conosceva bene i suoi gusti, doveva averla appena messa lì nell'avvertire, rapido, i suoi passi, perché era ancora deliziosamente fumante. Gliene fu grato.

“Maestro, non dovevate disturbarvi per questa!” gli disse, sorridendo e prendendo posto sulla sedia. Camus non rispose verbalmente ma ricambiò il sorriso, tornando a concentrarsi sul lavaggio del pentolino. Hyoga si permise di guardarlo. Indossava dei vestiti nuovi, rispetto alla sera precedente, ma il suo outfit era sempre stato abbastanza ordinario, composto da una maglietta, o una canottiera, come quella mattina, e dei pantaloni, soprattutto jeans di colore blu. Non aveva gli scaldamuscoli, troppo calda Atene, ma per un solo istante il giovane allievo fu proiettato ai tempi dell’addestramento, e di nuovo gli si dipinse un sorriso malinconico sul volto.

Terminò il contenuto della tazza, andandolo poi a posare nel lavabo, poco prima di guardare il suo venerato mentore.

“Era di tuo gradimento?” gli chiese Camus, riferendosi al latte. Il Cigno annuì, ricercando le parole per accomiatarsi, perché già aveva pesato abbastanza su di lui.

“Maestro, mi attendono gli allenamenti. Io… io andrei...” accennò, un poco insicuro. Gli occhi di Camus si rabbuiano, ma non disse niente, non fino a quando non udì i passi del suo allievo allontanarsi da lui e dirigersi verso l’uscita.

“To-tornerai?” gli chiese ad un certo punto di getto e un pizzico d’urgenza, voltandosi nella sua direzione. Hyoga si fermò, scoccandogli una occhiata indecifrabile, quasi incredula. Guardò Camus. Camus guardò lui. E cadde il silenzio tra loro. Il Cavaliere del Cigno sbatté le palpebre, inclinando leggermente la testa di lato.

“Sì, certo, verrò a trovarvi uno dei prossimi giorni, se vorrete.” farfugliò, confuso.

Camus sospirò. Non era quello che intendeva. Socchiuse gli occhi, dandogli nuovamente la schiena.

“Va bene. Quando vuoi!”

Hyoga rimase perplesso sullo stipite della porta, confuso da quella nuova freddezza. Era così difficile da capire Camus, a volte. Eppure gli voleva un bene dell’anima.

Un po’ deluso, fece per andarsene, ma alcune voci risuonarono dal corridoio del tempio, chiamando il custode della casa, il quale, posando quanto era intento a fare e facendo un segno a Hyoga, si diresse verso il vociare.

Usciti dagli appartamenti privati, vi trovarono altri quattro Cavalieri d’Oro privi delle rispettive armature dorate: Shaka, Dohko, Aiolia, che sorreggeva…

“Aiolos!” esclamò Camus, colpito nel rivederlo dopo tanto tempo. Anni. Quindici, per esattezza.

“Camus… - gli sorrise di rimando l’altro, evidentemente stremato, non mascherando però la solita dolcezza nella voce – Da quanto tempo! Sei… sei così cresciuto!” si complimentò poi, socchiudendo gli occhi sfiniti.

Erano rinati tutti i Cavalieri d’Oro, Hyoga glielo aveva detto, appena risvegliatosi, mentre ancora tremava tra le coperte del letto, scosso dai brividi, però… vi era stato un prezzo per ognuno di loro e, per alcuni di loro, era stato ingente: gli anni persi non sarebbero più tornati indietro, per nessuna ragione. Per Aiolos, quegli anni, corrispondevano a 15. Un’eternità. Si era spento da ragazzo, si era risvegliato già uomo, quasi trentenne. Eppure sorrideva in quella maniera limpida e serena, così come se lo ricordava. Fiero e puro. Non era in grado di reggersi da solo, complice la lunga immobilità a cui il suo corpo era stato costretto, ci pensava Aiolia a fargli sa sostegno, gli occhi brillanti nel sentire quel corpo contro di sé.

“Camus, è bello rivederti! Sembra che tu ti sia ripreso, sono contento per te!” lo salutò affabile Shaka, aprendo i suoi occhi celesti, genuinamente felice di poter tornare a discorrere con lui non come nemico.

Il Cavaliere dell’Acquario non resse a lungo quello sguardo, abbassandolo subito dopo. I ricordi della battaglia avuta con la Vergine, in cui lui, Shura e Saga furono costretti ad usare l’Atena Exclamation, lo investirono con prepotenza, facendolo vergognare del suo stato. Si erano già chiariti prima di scomparire al Muro del Lamento, va bene, ma lui non aveva ancora smesso di fare a pugni con i suoi demoni.

“Penso tu sappia, perché devono essere passati i soldati semplici i giorni scorsi ad avvertirti, che oggi si è indetta una riunione importante al tredicesimo tempio a cui dobbiamo partecipare tutti. Gli altri sono già là!” passò alle spiegazioni Dokho, accennando un passo nella sua direzione.

Camus strinse i pugni e mantenne lo sguardo basso, non sapendo bene come agire. Non aveva idea che si fosse indetta una riunione. Non aveva più aperto a nessuno dopo essersi ripreso dagli effetti dell’Aurora Execution, preferendo rimanere isolato da tutto e tutti. Solo il suo allievo era stata un’eccezione, per lui la porta era sempre aperta. Non aveva più visto nessuno, non aveva più parlato con nessuno, ad eccezione del suo amato Hyoga. In quel momento trovarsi lì era come stare in mezzo alla folla che, del tutto indifferente, passava al suo fianco, non vedendolo neppure. Non si sentiva più degno di niente e nessuno, solo la solitudine aveva bisogno di ricercare. Limpidamente.

“Ecco, io… non ne sapevo niente!” ammise alla fine, trovando interessante guardare la colonna accanto a lui. Dohko strabuzzò gli occhi, sinceramente sconvolto da quella rivelazione.

“Come?! Un uomo attento e meticoloso come te?!”

Camus ringhiò sommessamente tra sé e sé.

 

Un uomo attento e meticoloso come me… che ne volete sapere, vecchio Maestro?! Non è rimasto nulla, in me, di ciò che ero, è tutto finito a pezzi. Non so più chi sono, non so nemmeno se sono mai stato qualcuno, a dire il vero, tutto ciò che mi rimane di ciò che ho fatto di buono è in Hyoga, nient’altro! Non so nemmeno perché sono di nuovo vivo, non lo riesco a capire… Perché proprio io?! Come posso meritarlo???

 

Shaka parve capire il turbamento interiore del suo vecchio amico, pertanto, appoggiando una mano sul polso di Dohko, con l’ovvio intento di fermarlo da parlare, si rivolse poi all’Acquario.

“Camus, va tutto bene, sei ancora scombussolato, è più che normale! - lo tranquillizzò con voce delicata, per fargli capire che intuiva ardentemente il suo turbamento, che era più che umano – La riunione verterà sulle armature, immagino tu sappia...”

“L’armatura dell’Acquario, e le vostre, sono state distrutte nella battaglia dell’Elisio, non hanno più un’utilità!” ribatté solo, apparentemente freddo, mentre Hyoga, sentendosi in colpa, abbassò lo sguardo. Effettivamente erano arrivati lì tutti con l’uniforme da combattimento, cinque segni dell’eclittica avevano rimediato gravi danni nella guerra contro Hades, era impossibile poter riutilizzare quelle corazze che erano corse in aiuto dei Cavalieri di Bronzo.

“...Allo stato attuale è corretto. Ma forse non sai che il Grande Mu, il Nobile Shion e gli amici Cavalieri d’Oro sono già tredicesimo tempio per farle rinascere!” gli sorrise Shaka, accennando un passo.

“Co-cosa?”

“E’ così, amico mio, inoltre, ora che siamo finalmente riuniti, un nuovo patto sorgerà tra noi, potremo davvero combattere come un tutt’uno, come non c’è stato possibile fare in tutti questi anni!” lo incitò Aiolia che, dopo aver ritrovato il fratello, sembrava aver recuperato pienamente l’ottimismo che lo contraddistingueva da piccolo. Tutto l’esatto contrario di Camus, che invece continuava a guardarli con la solita alterigia che celava un grosso turbamento interiore. Per un istante gli parve di ritornare il bambino di 5 anni attraverso il quale era giunto lì, straniero tra i futuri Cavalieri, non comprendendo nemmeno la loro lingua.

Il gruppetto si appropinquò a lui, sorridendogli raggiante, felici di poter tornare a parlare insieme. Di tutta quella gioia Camus percepì solo uno sconforto crescente in lui. Nient’altro.

“Porta anche il giovane Hyoga con te, già che è qui, ha meritato di indossare l’armatura dell’Acquario e, insieme agli altri Cavalieri di Bronzo, ha compiuto imprese sovrumane!” lo stimò Dohko, sorridendo raggiante e dandogli grosse pacche sulla schiena come a volersi complimentare di una impresa magnifica.

 

Per forza… li avete lasciati soli ad affrontare Poseidone, non è che avessero molte alternative! Dei semplici Cavalieri di Bronzo… avrebbero dovuto essere protetti da noi Dorati Custodi, invece è andato tutto a catafascio, a cosa è quindi servita la nostra esistenza?!

 

Camus non disse niente di quei pensieri, limitandosi ad annuire e a seguirli, giacché non c’erano alternative, a quanto pareva. Non aveva nessuna voglia di raggiungere gli altri, ma doveva, era un ordine dello stesso Shion.

Giunti al tredicesimo tempio, si meravigliarono che il procedimento fosse già ampiamente iniziato, gli altri Cavalieri d’Oro erano intenti a offrire il loro sangue per le armature da riparare, tutti, nessuno escluso, persino Mu che, insieme a Shion, doveva far tornare le vestigia al loro antico splendore. Sussultarono tutti e cinque, mentre Hyoga fissava ammirato il procedimento; lo sguardo di Camus navigò alla ricerca di quello dell’amico Milo, lo vide, il suo cuore perse un battito e, per un solo istante, ebbe l’impulso di precipitarsi a vederlo per osservare se in lui ci fosse stato qualche cambiamento in quell’anno abbondante in cui era morto, ma il Cavaliere di Scorpio era concentrato a non perdere il controllo, ciò permise all’Acquario di recuperare il contegno che era stato spazzato via dal suo viso famigliare al solo incrociare ancora una volta la sua figura.

“Shura! Saga! - Aiolos, li chiamò, in evidente apprensione nel vederli perdere sangue dai polsi – Non dovreste fare sforzi di questo tipo! Eravate in condizioni pessime, quando siete tornati alla vita, Aiolia me lo ha riferito, così rischiate la vostra vita per me!”

“Aiolos… - la voce di Saga era rotta, manteneva il suo sguardo basso, del tutto incapace di guardare colui che aveva tradito – Tu hai perso 15 anni della tua vita a causa della mia smania, qualsiasi cosa faccia ora, non posso più rimediare al male che ti ho causato... questo, però, permettimi di farlo: aiutare a riparare l’armatura del più glorioso tra i Cavalieri d’Oro!” disse solenne, gli occhi ricolmi di ammirazione.

“Sa-Saga...”

“Aiolos, i nostri peccati non saranno mai cancellati: tu avevi visto molto più in là di me, che mi basavo solo sulla forza che pensavo equivalesse alla giustizia… sono stato un folle, assolutamente non degno di essere il sacro custode della spada Excalibur, né… di essere tuo amico… - si aggiunse anche Shura, carico di rimorso – Permettimi… permettimi di essere almeno questo per te: uno strumento per riportare in vita la tua sacra vestigia!”

“Oh, Shura… - biascicò ancora Aiolos, incassando la testa tra le spalle e lasciandosi andare ad un silente pianto, poco dopo rialzò il viso, rischiarato dalle calde lacrime che lo rendevano più luminoso – Grazie, siete degli amici...”

Annuirono teneramente, prima di tornare a concentrarsi sul da farsi. Il processo era quasi ultimato, i cinque Cavalieri d’Oro capirono che avevano iniziato già da un po’ per non farli preoccupare ancora di più sulle loro condizioni. Aiolia guardava, con un pizzico d’attesa, Milo e Mu, che sembravano abbastanza provati per quello che stavano facendo alle armature dorate di Leo e Aquarius, e si chiese se lo sforzo, per uomini appena risorti, non fosse troppo.

Prese parola Shion, neo-risorto nel suo corpo giovanile, alzando le braccia sopra le spalle. La tunica del Grande Sacerdote sventolò alla brezza leggera, mentre, cinque bagliori dorati, le armature appena ricostruite, si sollevarono di un paio di metri dal pavimento.

“Cavalieri, con oggi, 4 giugno del 2011, non rinascono, e non si rinnovano, solo le armature che hanno coraggiosamente difeso Seiya e i suoi compagni ai Campi Elisi, finendo distrutte, ma anche il patto fraterno tra noi, imperituro, che però non ci è stato possibile assolvere fino ad ora. Io prometto, come Grande Sacerdote designato dalla Nobile Atena, di essere al vostro fianco nelle prossime battaglie, di sostenervi, e di farvi da guida con tutte le forze che ho ritrovato in corpo, cercando il più possibile di garantire la vostra sicurezza. Voi promettete di perseguire sempre e comunque la giustizia, difendere i più deboli e dare tutti voi stessi nelle lotte che saranno a venire?”

“CERTAMENTE!” esclamò Milo, in tono possente, cercando di non mostrare la debolezza che avvertiva nel tremore delle gambe.

“Con tutti noi stessi, Nobile Shion!” affermò a sua volta Mu, determinato.

“E promettete, Cavalieri, che stavolta combatterete uniti, consci del legame fraterno tra voi e nella fiducia del prossimo, esattamente come i leali e coraggiosi Cavalieri di Bronzo ci hanno dimostrato?”

“CERTO!” urlarono tutti i Dorati, entusiasti, tranne Camus, il quale rimaneva corrucciato e chiuso in sé stesso.

“Stavolta… stavolta non perderò più la via, sarò davvero come un dio benevolo, non smarrirò più la giustizia!” ripeté con sempre più convinzione Saga, stringendo i pugni con foga innaturale.

“Bene, miei Cavalieri, se siete pronti alla lotta… che le armature smarrite tornino ai loro sacri custodi!” ordinò Shion, alzando un dito, prima di dirigerlo verso coloro che le armature non le avevano.

Cinque fasci di luce si recarono su di loro, avvolgendoli interamente. Hyoga spalancò le iridi cristalline, del tutto affascinato da quell’evento. Le armature d’oro erano rinate a nuova, e palpitante, vita, sfavillavano quasi, contente di tornare ao loro legittimi custodi.

Sagitter su Aiolos.

Leo su Aiolia.

Libra su Dohko.

Virgo su Shaka.

Aquarius…

Hyoga sbatté più volte le palpebre, incredulo. L’armatura di Aquarius era completamente ricostruita, stava, ben formata ad anfora, ai piedi di Camus, che però non l’aveva indossata. Il suo maestro sorrise appena, socchiudendo gli occhi.

“C-Camus, hai interrotto la risonanza con la tua armatura, perché?” gli chiese Shion, facendo ricadere le braccia lungo i fianchi, inerti. Nel sagrato del tempio si diffusero esclamazioni di sorpresa mista all’incredulità, prima di diventare dei veri e propri schiamazzi e interrogativi.

“Camus, perché?!?” volle sapere Milo, stringendo la mano sana fino a farsela sbiancare. Quelle erano le prime parole che gli rivolgeva dopo tanto tempo, dopo che le sue dita si erano mosse nel desiderio di strozzarlo, ricordo ancora tangibile in entrambi.

“Perché non sono più io… il Cavaliere dell’Acquario!” lo accontentò placido Camus, riaprendo gli occhi e fissando intensamente Hyoga.

“Ma-Maestro...”

 

Credete forse che lo possa essere io, Maestro? No, l’armatura è vostra, io l’ho solo presa in prestito per vostro stesso volere, non ho alcun diritto di indossarla! Voi ne siete il legittimo custode!

 

“Sommo Shion, il ragazzo è ben più degno di me di indossare Aquarius, lo ha dimostrato più volte, inoltre padroneggia lo Zero Assoluto, a me ancora precluso, se qualcuno merita quella carica, quello è lui...”

Shion si massaggiò le tempie, sospirando affranto, prima di apprestarsi a parlare.

“Camus...”

“CAMUS, COSA CAZZO STAI DICENDO?!?” tuonò invece Milo, imbestialito, sovrastando tutti, limpidamente furioso come non mai.

“Nobile Shion… - riprese l’Acquario, facendo come se nessuno avesse parlato, poiché Milo era un amico sincero, lo era sempre stato, ma alcune scelte spettavano a lui solo – Concedete al ragazzo di diventare Cavaliere d’Oro, vi supplico!”

“L’ARMATURA HA SCELTO TE, PORCA MISERIA, NE SEI TU IL CUSTODE, NESSUN ALTRO!” gridò ancora Milo, esagitato come non mai, alzando i pugni nella sua direzione. Se avesse potuto avrebbe stretto le sue dita, ancora una volta, su quel niveo collo da quanto era fuori di sé, ma un vistoso capogiro lo privò dell’equilibrio. Se Mu non lo avesse sorretto, sarebbe finito a terra.

“Milo, ora calmati, sei ancora molto debole, non ti fa bene reagire così!” lo avvertì pacatamente l’amico, accucciandosi al suo fianco per sorreggerlo.

“Io… io ho dato il sangue per lui, affinché avesse una seconda possibilità, non posso accettare che lui la rifiuti, solo perché si reputa un fallito! - tentò di fargli capire il suo stato, snervato – SEI PROPRIO UN COGLIONE, CAMUS!” inveì ancora, prima di prendere un profondo respiro e tentare di calmarsi. Tentare, visto che non era facile.

“Non posso accettare la tua richiesta, Camus, non perché non conosca il valore del ragazzo, ma bensì perché tu sottovaluti il tuo, ed è un vero peccato!”

“Ma…! Hyoga...”

“Maestro – intervenne allora l’allievo, sorridendo teneramente al mentore, sebbene imbarazzato – Vi ringrazio per reputarmi pronto ad assumere un simile onere e onore, ma… io sono già il custode di Cygnus, e poi… non vi è nessuno più degno di voi, per quel ruolo!”

“Hyoga...” fece per opporsi ancora Camus, ma l’armatura, producendo un bagliore luminoso più intenso del normale, si scompose, per poi posarsi naturalmente sulle sue membra.

Camus percepiva Aquarius pulsare intensamente in lui, la sentiva carica di un nuovo potere caldo e rassicurante. Ne riconobbe il cosmo di Milo, e gli si spezzò il fiato nel petto. Era incredulo, sembrava quasi spaventato, mentre, con intensità crescente, si guardava le braccia, il busto e le gambe, ammirando di nuovo quell’armatura sul suo corpo così fragile, come una seconda corazza, oltre a quella che già utilizzava, composta da uno spesso strato di gelo, tra sé e il mondo.

Hyoga si permise di spalancare la bocca ammirato nel vedere l’imbarazzo e la sorpresa del suo maestro, sembravano fatti uno per l’altro, lui e Aquarius, che si posava con così tanta naturalezza su quel corpo così delicato, L’armatura era composta da linee eleganti e dotata di motivi, sulla foggia, altrettanto meravigliosi e austeri; quei due zaffiri blu poi, dello stesso colore degli occhi di Camus, sembravano brillare di luce propria, un po’ come le sue iridi.

“E’ l’armatura che sceglie, dovresti ben saperlo! - gli sorrise Shion, felice di rivederlo nel pieno del suo fulgore – Sembra che questa, in particolare, strepitasse dalla voglia di riaverti con sé… Camus...”

L’interpellato non disse niente, ancora troppo scioccato per riuscire a parlare. Non era più abituato a vedersi ammantato d’oro, era una sensazione più che straordinaria.

“Lo avevo detto: nessuno si confà a quel ruolo più di voi, Maestro! L’armatura sembra fatta apposta per coprire il vostro corpo, quasi come se ci foste nato dentro – mormorò Hyoga, del tutto sincero, anche se con un pizzico di tristezza – Aquarius è degna della meravigliosa persona che siete!”

Camus lo fissò, ancora preso dal procedere degli eventi, poi gli sorrise, di quei sorrisi ampi e sinceri che riservata solo alle persone che amava profondamente, per un istante tutto svanì, c’erano solo lui e il suo pupillo, nessun altro.

“Grazie… mio degno successore!” gli disse, franco, un poco più sereno nello spirito.

 

 

* * *

 

 

4 giugno 2011, pomeriggio

 

 

Hyoga se ne era andato come aveva detto, tornando agli allenamenti per diventare sempre più forte e fiero del ruolo che possedeva come Cavaliere di Atena, Camus non ne era contrario, affatto. Era un bene per il ragazzo avere un obiettivo da perseguire, a differenza sua, che si trovava lì, perso, nel vuoto. Una vita che non aveva chiesto, ma che aveva riottenuto. Una vita cui obiettivo gli sfuggiva. Non c’era nessuna via per il marinaio che non sapeva dove andare.

Quello stesso pomeriggio si era ricordato che doveva chiedere alcune cose al Sommo Shion, dubitava di poter ottenere delle risposte, ma allo stesso tempo nutriva il forte desiderio di parlare con qualcuno. Non Milo, che non poteva osare neanche sfiorare con una fugace occhiata; non Aiolos, non ancora ristabilito; non Hyoga, che aveva già tanti problemi da affrontare e meritava un po’ di quiete, pertanto la scelta era caduta sul Grande Sacerdote. E così Camus dell’Acquario, con indosso le vestigia che lo avevano riaccolto e avvolto come in un abbraccio, si stava recando al tredicesimo tempio, la testa affollata di pensieri, i passi decisi e le orecchie concentrate sul suono lontano di un temporale in avvicinamento e che, da lì a poco, si sarebbe riversato sul marmo candido. Poco male, presto le precipitazioni sarebbero diventate sempre più rare, meglio accogliere la pioggia finché sarebbe scesa, dono degli dei.

La testa era altrove, mentre lentamente incedeva lungo le scalinate tra l’undicesimo e il dodicesimo tempio, ma un rumore di passi in discesa lo mise immediatamente sul chi vive, facendogli raddrizzare la schiena e alzare il capo. E lo vide. Colui che non avrebbe mai più voluto vedere. Camus dell’Acquario si pietrificò, prima di nascondere tutto nella sua, solita, rigida compostezza.

Kanon, il fratello di Saga, neo-risorto al pari degli altri, stava andando nella direzione contraria, scendendo i templi invece di salire. Non indossava altro che la propria tenuta di allenamento, l’armatura era tornata da Saga, degno proprietario malgrado tutto, ma la rivalità tra loro sembrava scemata. Sembrava.

Non erano comunque fatti di Camus, né i rapporti tra i due fratelli, né dove pensasse di andare ora che era risorto. Che andasse al diavolo e tanti saluti, pensava, mentre, senza degnarlo di uno sguardo, lo oltrepassava senza proferire parola. Purtroppo Kanon non era della stessa opinione.

“Piacere di rivederti con la tua armatura, degno possessore di Aquarius!” lo salutò, nel tono più cordiale che gli riusciva, sebbene non riuscisse a mascherare quel sorriso irriverente che gli solcava le guance. Non ottenne risposta, inutile dire che quello, per lui, fu un motivo più che sostanziale per continuare a parlare. Non era tipo da far cadere i discorsi.

“Suvvia, Camus… un saluto non si nega a nessuno, sebbene ben sappia che non ti vada a genio. Il che è strano, hai accettato Saga, alla fine, potresti farlo anche con me. Il tuo migliore amico Milo lo ha fatto, è grazie a lui se ho potuto cominciare il mio percorso di redenzione!” tentò di attirare la sua attenzione, fermandosi e voltandosi nella sua direzione, che già Camus era andato bene avanti, di 5 o 6 scalini. A quell’ultima frase si bloccò, ma non si girò, gli dava la schiena con sdegno, la postura rigida.

“Non mi sembra che io e te abbiamo qualcosa in comune, Kanon, fratello di Saga. - volutamente non gli diede l’appellativo ‘di Gemini’, in fondo non lo era, non lo era mai stato – Quindi spiegami perché dovrei perdere tempo con te quando ho faccende più urgenti alle quali dedicarmi...” lo freddò, acido, palesando il suo fastidio crescente.

Kanon sbuffò, quasi ilare, aspettandosi una reazione così dal Cavaliere d’Oro prossimo allo Zero Assoluto, tuttavia neanche quello lo fermò, trovandovi invece l’espediente per continuare il discorso.

“Sbagli, Cavaliere, a dire che non abbiamo nulla in comune, io e te, abbiamo una persona… - lo corresse, gli occhi puntati nella sua direzione. Gli dava ancora le spalle per il momento – ...Isaac di Kraken!” soffiò di getto.

Neanche il tempo di finire il nome per intero, che una folata di vento gelido gli sferzò la faccia, le scalinate sulla sua sinistra si ghiacciarono istantaneamente, mentre il colpo, non diretto a lui ma lanciato per avvertimento, andò a cozzare contro una colonna, distruggendola in mille frammenti. Si era infine voltato a guardarlo, le pupille blu che emanavano bagliori affatto rassicuranti.

“Tu quel nome non lo devi neanche nominare, soprattutto non accostato a quell’abominio! Fallo ancora una volta e il prossimo colpo te lo do dritto in faccia, congelando il respiro che hai difficoltosamente riacquistato con questa patetica vita!” gli sibilò contro, in tono basso; paurosamente basso, non per questo più rassicurante, anzi!

Kanon rimase sostenuto nella sua posizione, leggermente impietrito da quei due occhi blu che, in quel momento, emanavano una violenza senza pari. Quei due occhi… era come se tutta la rabbia inespressa per anni potesse sgorgare da lì, irriducibile. Nessuno avrebbe potuto niente contro di lui, non in uno stato simile.

“Temo dovrò farlo… era un argomento di cui volevo parlarti da un po’ e ora che si è presentata l’occasione...”

“Non si è presentata alcuna occasione! Sparisci dalla mia vista, Kanon, e vai dove vuoi, ma non starmi intorno, o non posso garantire le mie azioni, né la tua sicurezza!”

“Cosa ti brucia così tanto, Camus? Il fatto che il ragazzo abbia scelto da solo da quale parte schierarsi?! O il fatto che pensi di non essere stato un degno maestro per lui?!?”

“ISAAC NON HA SCELTO CONSAPEVOLMENTE, TU LO HAI INGANNATO! - era totalmente fuori di sé, impossibile calmarlo – Per cui non raccontarmi storie, non doveva finire così, NON DOVEVA! Isaac sarebbe dovuto diventare Cavaliere di Atena, come aveva sempre voluto, non finire nelle volgari schiere di Poseidone!” aggiunse, stringendo i pugni e serrando le palpebre, preda di un dolore ben vivido e mai dimenticato.

Inganno. Kanon sorrise amaramente a quella parola. Già, molti lo definivano tale, il raggiratore di dei, cosa che in effetti aveva fatto, piegando il dio dei Mari al suo controllo e tramando alle sue spalle, ma non era quello il momento di pensarci.

“Ho ingannato Poseidone, è vero… ma Isaac ha scelto consapevolmente di schierarsi dalla parte del dio dei Mari!” ripeté, più serafico possibile.

“MENZOGNE!”

Camus non voleva, e forse neanche poteva, accettarlo, ma era l’amara verità, questa, una parte di lui ne era consapevole, perché era lampante, dagli occhi esperti di Kanon, il suo pallido tentativo di rifiutare e rigettare quella tesi, senza però averne i mezzi per farlo.

“Pensi che il tuo pupillo si sia schierato subito con Poseidone?! Pensi che abbia ottenuto l’armatura appena giunto ad Atlantide?! - gli chiese retoricamente lui, portandolo ad un ragionamento diverso – Non è così, Camus! E’ stato scelto subito dal Kraken, è vero, ma era conciato male, quando è arrivato, gli ho dovuto estirpare l’occhio, altrimenti si sarebbe infettato, e ho atteso… atteso che guarisse, atteso che prendesse una decisione… fosse stato chiunque altro lo avrei costretto con la forza, sai che ne sono capace, al pari di Saga, ma lui no, venivamo dalla stessa condizione, entrambi dovevamo essere in un altro schieramento, avevo rispetto per lui!”

Camus a quelle parole, non ribatté nulla, pareva quasi tornato alla calma, ma Kanon sapeva che, quell’apparente tranquillità, era data dal semplice fatto che Camus, dentro di sé, soffriva. Soffriva nel sentire le condizioni dell’allievo quando era giunto negli abissi. Soffriva nello sforzarsi di comprendere le ragioni che avessero spinto Isaac a cambiare strada. Soffriva per la sua perdita. Soffriva.

Kanon sorrise amaramente. Per lui, che leggeva bene il cuore umano, e poteva anche manipolarlo all’occorrenza, quelli come Camus erano una preda facile, poiché non c’era nulla di più fragile di una solida montagna di ghiaccio che, credendosi invincibile, aveva dimenticato che gli sarebbe bastata della semplice acqua, più fluida e più adattabile, per farla sciogliere e franare inevitabilmente. Ma Kanon era cambiato, era in cerca di redenzione, e quest’ultima passava anche per Isaac, per la loro storia… e quindi per lo stesso Camus.

“Era un ragazzo molto sveglio, immagino tu lo sappia, visto che lo hai fatto crescere. Da quando ci siamo conosciuti, ha sempre nutrito dubbi su di me, il suo ideale di giustizia era incrollabile, era degno di essere tuo allievo! - lo elogiò, franco – Poco prima che iniziasse la guerra contro i Cavalieri di Bronzo, scoprì il mio segreto. Mi disse che ‘odoravo’ di Cavaliere, non uno qualsiasi, ma un Dorato Custode, e che era facile per lui saper discernere un cosmo d’oro, avendo avuto come mentore l’uomo più puro e giusto che avesse mai conosciuto: tu! Avrei potuto ucciderlo, allora, ma non lo feci, quindi mi limitai ad usare la Galaxian Explosion con intensità limitata, alla quale lui mi rispose con il suo colpo, pareggiando. Rivelai la mia identità e, credo che, nella sua testa, a quel punto fu chiaro cosa avessi fatto, ma combatté comunque con tutte le sue forze!”

“Ha sempre dato il massimo, il mio Isaac, era nella sua natura farlo. Lo hai ingannato, Kanon, questo non può cambiare, sia che mi racconti tutta la storiella, sia se non lo fai… hai finito ora? O devo stare qua ancora ad ascoltarti?” gli domandò aspramente, torvo come non mai. Non c’era verso di fargli cambiare idea.

“Proprio non ti va giù che, il tuo Isaac, come lo chiami tu, abbia scelto consapevolmente la propria strada, secondo il suo ideale di giustizia. Eppure credo che ti abbia parlato del Kraken già prima di finire ad Atlantide, ma tu non vuoi capire, preferisci essere cieco, raccontandoti la favoletta che, a quanto pare, non era capace di intendere e volere ed è stato plagiato. Il tuo Isaac è cresciuto, ficcatelo bene in testa, crescendo è cambiato, tutto qui! Questo non è un tuo fallimento.”

“Cosa ne vuoi sapere tu, di fallimenti?!?” gli soffiò, sinistro, nuovamente sul punto di saltargli addosso, ormai non era rimasto più nulla della sua apparente compostezza.

“La mia vita è stata un fallimento, fino alla redenzione di Milo, direi che ne so abbastanza, Mago dell’Acqua e del Ghiaccio!” ribatté, pronto, occhieggiandolo.

Camus strinse ancora i pugni, sempre più iracondo, non riusciva a calmarsi, non riusciva a darsi pace, colpa di quel demone che continuava a sussurrargli all’orecchio. Atena, Milo, Saga, e gli altri Cavalieri d’Oro lo avevano perdonato, lui no, non avrebbe mai potuto.

“Kanon… - decise di rompere il silenzio, alla fine, faticando non poco a pronunciare quello che gli era venuto in mente – Dov’è il corpo di Isaac?”

“Non lo so.”

Gli tremò un sopracciglio. Stizzito. E, ancora una volta, lo guardò astioso.

“Ti sentiresti meglio se ti dicessi che è stato portato via dalla corrente oceanica dopo la caduta delle sette colonne?!”

“No.”

“Ecco, e allora accontentati di quello che ti ho detto prima!”

“E perché tu sei qui, invece?”

“Io non sono morto ad Atlantide.”

“Ma sei morto dopo… come molti Cavalieri d’Oro. – gli disse, poco prima di prendere un profondo respiro e continuare – Io sono morto prima di lui, perché io sono qui, e lui no?”

“Camus, non sappiamo chi ci ha riportato in vita e per quale scopo, i progetti divini, o delle forze sovrumane, non si possono controllare, questo l’ho imparato a mia spese. Goditi questa nuova possibilità senza porti domande senza risposta!”

“E Isaac non meritava una seconda possibilità?!” si lasciò sfuggire ancora Camus, in preda ad uno sconforto crescente.

“Come ti ho detto… i piani sovrumani non sono intelligibili, ma sapremo il motivo della nostra rinascita presto, vedrai...”

 

Sei un abile oratore Kanon, questo è sicuro, potresti raggirare persino un dio, non mi meraviglia che Poseidone sia caduto nella tua seduzione, ma io non riesco, davvero non riesco a vivere senza avere una risposta alle domande che mi ronzano in testa. Perché sono rinato? Perché io sì, ed altri no? Perché tu hai ancora diritto di percepire il calore sulla tua pelle, il vento tra i capelli, quando al mio Isaac, questa possibilità è stata preclusa?! Non meritava, lui, una seconda possibilità?! Non la meritava, forse?! Tu hai ingannato un dio e sei qui, lui è… perso… neanche il suo corpo mi è possibile ritrovare. Oh, Isaac…

 

A quel punto l’allegro confronto avrebbe anche potuto esaurirsi così, Kanon aveva da fare, Camus probabilmente pure, ma il Cavaliere di Gemini aveva da dire ancora una cosa.

“Sai che cosa spinse Isaac, infine, a schierarsi con Poseidone?” gli chiese, ancora più serio di prima.

“No, e le tue parole, per me, valgono zero, Kanon! Ho già le mie teorie a riguardo, mi...”

“E’ stata la battaglia intestina delle 12 Case e… - prese una breve pausa, chiudendo e riaprendo gli occhi – La tua morte, Camus!”

“Co-cosa?!”

“Credeva sinceramente negli ideali che professavi anche tu, nella tua idea di giustizia, Camus dell’Acquario… eri la persona che ammirava di più, il suo punto di riferimento, il suo esempio da seguire con tutte le sue forze. Tuttavia quando combatteste contro i Cavalieri di Bronzo, la sua natura cambiò, si disse che non era concepibile quello, non era concepibile che uno schieramento, che avrebbe dovuto essere unito e fare fronte comune per inseguire la giustizia, finisse per consumarsi in una lotta intestina capace solo di dimezzarne le schiere, e ciò accadeva perché Atena era debole.”

Camus taceva, il suo cuore aveva perso un battito, poi un altro, e un altro ancora. Gli sembrò di morire un’altra volta nell’udire del suo Isaac, mentre immagini diverse affollavano la sua mente, come una visione…

“Più ancora era inaudito che Hyoga avesse ucciso il proprio maestro, e che quest’ultimo si fosse fatto uccidere dall’amico, e fratello, di un tempo.”

Gli occhi di Camus erano ciechi a ciò che aveva davanti, non vedeva altri che Isaac, al suo posto, con Kanon, vestito da Dragone Marino, che gli parlava. Era tutto vero. Ne ebbe la certezza.

 

...Le schiere dei Cavalieri di Atena si sono assottigliate, dopo questa battaglia, il momento è propizio per attaccare. Hai preso la tua decisione, Isaac?”

Il ragazzo segnato dalla profonda cicatrice sulla parte sinistra del viso se ne stava seduto per terra, le mani tremanti in grembo, lo sguardo basso, perso. Si sentiva vuoto. Privo di radici. Tutto ciò che aveva pensato di essere era stato spazzato via. Da una delle persone per lui più importanti.

...Si è fatto uccidere, io non… non è possibile!” biascicava, ancora scioccato. Non c’era altra spiegazione, se non quello. Camus era più forte di chiunque, lui lo sapeva bene.

Come, prego?” chiese Dragone Marino, fingendo di non capire.

Il Maestro… no, anzi, Camus… Camus e basta, si è fatto uccidere da Hyoga, colui che avevo salvato, colui per il quale ho rinunciato alla mia vita e a diventare Cavaliere di Atena.”

A quanto pare… le cose non possono essere andate che così, vedi che succede a sacrificarsi per gli altri? Avresti potuto esserci tu, al suo posto, le qualifiche ce le avevi, la forza pure, ben più sviluppata dell’altro ragazzo, ma, quel giorno, scegliesti di salvarlo, e lui, per tutta risposta, ha ammazzato, oggi stesso, colui che consideravi sacro più di chiunque altro… devi sentirti proprio uno straccio!”

La mano destra, tremante di Isaac si posò sulla fronte, nascondendone il viso in un impeto di prostrazione. No, no, no… era tutto sbagliato, Hyoga avrebbe dovuto combattere al fianco di Camus, fronte comune contro i nemici della dea, un tutt’uno, come padre e figlio… e invece… invece Atena era debole, non costituiva una garanzia per difendere la pace su quella bella Terra, altrimenti non avrebbe permesso uno scontro fratricida. No, Atena era una dea sbagliata, una dea debole, incurante dei suoi Cavalieri, inadatta al comando.

Isaac si alzò in piedi di scatto, centrando la colonna lì vicina con un pugno. Non contento di quell’unico assalto, gliene diede altri 5, sfondandola completamente. Non doveva finire così, NON DOVEVA!

Uhmpf, dite di mantenere il sangue freddo, voi guerrieri dei ghiacci, condensate tutto dentro di voi, non è forse così? Poi però esplodete e, quando succede, assumete connotati simili alle bestie feroci. Cosa ti aveva fatto quella povera colonna?! Fortuna che non è uno dei Pilastri Centrali del regno di Poseidone, altrimenti tu, da solo, con questa rabbia, potresti farli crollare tutti quanti, ragazzo, ed essere così un nemico per noi!” lo canzonò tiepidamente, ridendo a quella manifestazione di ira che non gli aveva mai visto. Il giovane Isaac era sempre stato soggetto alla rabbia, questo Kanon lo percepiva, probabilmente ciò affondava le sue radici nel passato del ragazzo, visto che la famiglia gli era stata trucidata, ma Camus, il Cavaliere dell’Acquario, aveva ricondotto tutto sotto il vessillo della temperanza. Ora Camus non c’era più, più nulla avrebbe fermato la sua foga. Ed era un bene per loro. Per lui. Tacque, aspettando che fosse il ragazzo a calmarsi, cosa che di fatto avvenne dopo pochi minuti.

Dragone Marino… se… se il piano del Sommo Poseidone dovesse avere successo, davvero lui ricostruirà un mondo privo di tutto questo?! Un mondo simile all’era dei miti, dove regneranno la pace la concordia fra tutte le creature?” gli chiese, recuperando parzialmente la calma, il suo respiro però era ancora accelerato, quasi strozzato.

Lo farà di certo, è un dio nobile e potente sopra ogni dire, è fratello di Zeus e Hades, del resto, le divinità maggiori!”

E… e questo passaggio deve passare per forza dalla distruzione del mondo come ora lo conosciamo?” chiese ancora Isaac, non ancora sicuro di tali misure eccessive. Camus gli aveva insegnato il controllo, la temperanza, la giustizia e, cosa non meno importante, l’equilibrio tra i due estremi, come lui, Sciamano dei Ghiacci, che poteva essere sia una benedizione che una maledizione, ma sempre con controllo e rigore, come la Natura medesima, che non era mai o una o l’altra, ma un insieme tra le due forme, miscelato sapientemente senza eccedere. Tuttavia, Isaac aveva da maestro anche il Kraken, che lo aveva scelto, e lui gli aveva insegnato che non c’era nulla di male nello sprofondare nelle tenebre, se era per una giusta causa, se era… per proteggere i propri cari, o le persone che lo meritavano!

Per forza! - gli rispose Dragone Marino, sorridendo appena – La rinascita completa è possibile solo ove si sia disintegrato tutto. Non si ottiene nulla, né si cambia, a rattoppare le pezze, è necessario morire totalmente per rivivere ancora.”

Isaac sospirò, Dragone Marino aveva ragione, le sue parole avevano confermato in pieno ciò che già saggiava da molto più tempo, ciò che già, da quel giorno in cui erano morti i suoi genitori, aveva accettato dentro di sé, come verità: non si poteva distruggere niente, non si potevano dissipare le tenebre, se non si aveva il coraggio di calarvisi completamente, quasi da affogarci. La creazione non poteva che passare per la distruzione, e lì solo, non c’erano scelte, se non farsi carico di quell’enorme peso. Qualcuno avrebbe dovuto, non per forza avrebbe dovuto essere un Cavaliere di Atena!

 

Camus, che mi siete stato maestro, guardatemi, da dovunque vi troviate... coniugherò ciò che mi avete insegnato con il fervore del Kraken, che condanna con motivazioni giuste senza provare pietà…

- Non ci sono motivazioni giuste con il Kraken, Isaac! Lui disintegra, non solo condanna, lui non si limita a sconfiggere, annichilisce! Qualunque colpa, se sproporzionata alla pena, non può che diventare un ciclo di devastazione che non avrà mai fine. Un Cavaliere di Atena deve elevarsi sopra tutto questo, non cedere all’ira e alla rabbia! Gli esseri umani hanno bisogno di essere protetti, non di essere vessati dalla paura di essere schiacciati! -

Ma io non sono più, anzi, non sono mai stato un Cavaliere di Atena, Maestro…

 

Ricacciò indietro la voce di Camus, rifiutandosi di accoglierla nuovamente nel suo cuore, già dolorante e straziato da troppi lutti, decise di rivolgersi al nuovo obiettivo, alla sua nuova rinascita.

 

A dire queste cose, Maestro Camus, poi si rimane soli… dite di proteggere gli altri, ma chi protegge voi? Nessuno! Siete morto per eccesso di protezione verso Hyoga?! Per il troppo amore che provavate per lui?! Avete parlato tanto, ma siete solo un ipocrita, come tutti gli altri esseri umani. Siete morto per nulla, non permetterò che si ripeta mai più una cosa del genere!

 

Si voltò determinato verso Dragone Marino, il quale, sussultando a quella emanazione cosmica, ne riconobbe l’aura pienamente sviluppata di un Generale dei Mari. Sorrise. Le schiere di Poseidone, anzi, le sue schiere, erano finalmente piene. Non li avrebbe fermati più nessuno, né i sei cavalieri d’Oro rimanenti né i Bronzini. La dea bendata continuava ad irradiare le sue sorti.

Va bene, Dragone Marino, credo alle tue parole e mi unisco alla causa, da oggi sono Isaac… - affermò, risoluto, una scintilla di distruzione negli occhi – Isaac di Kraken!”

 

Camus accolse tutte quelle immagini sempre più nitide più o meno come si accoglieva un pugno nello stomaco, a velocità inaudita, che non ci si aspettava. Stava per crollare a terra, ma si trattenne, ricordando che Kanon era ancora davanti a lui. Non si sarebbe mai piegato con lui lì, MAI! Neanche con nessun altro, a dire il vero, ma ancora meno con lui!

“Quello che dovevo dirti te l’ho detto, Camus, ora ti saluto, sta cominciando a piovere e ho da fare!” fece per accomiatarsi Kanon, facendogli un cenno e voltandosi.

“Quali… quali progetti hai, ora?” gli chiese l’Acquario, il viso pallido, le parole che si articolavano con difficoltà

“Nulla contro Atena, stanne certo! Tornerò di volta in volta, qui al Santuario, non temere, avete già un valido Cavaliere di Gemini, ma il mio percorso di redenzione non è che all’inizio – affermò, cominciando a scendere le scale con lentezza quasi esasperante – Partirò proprio da Atlantide, la proverò a rimettere apposto, visto che si è distrutta a causa mia. Poseidone, Atena… hanno perso tantissimo a causa mia, ora che sono di nuovo in vita, impiegherò questa esistenza per seguire la luce e rimettere i miei peccati. Ti saluto!”

Camus attese. Attese che Kanon sparisse e, dopo di ciò, attese per altri 10 minuti, volendo essere certo che non ci fosse nessuno nei dintorni e che nessuno lo potesse vedere. Poi le gambe cedettero, facendolo crollare a terra, le ginocchiere picchiarono violentemente contro le scale di marmo, un tintinnio nell’aria, prima di essere seguito dal suono di pugni che cozzavano violentemente contro il marmo, uno di seguito all’altro. Il braccio destro di Camus si sollevava più e più volte per sferrare colpi a quelle gradinate che, per lui, in quel momento erano solo una valvola di sfogo. Un pugno. Due pugni. Tre. Cinque. Nove.

Camus continuò, continuò per quella che pareva una serie illimitata di tempo, sempre con maggiore intensità, ne perse la concezione. Si fermò solo quando avvertì il braccio, pur protetto dall’armatura dell’Acquario, congestionato oltremisura, la netta sensazione di quando i muscoli si addormentano, lo stesso insanabile fastidio.

Rimase quindi lì, ginocchioni per terra, la testa incassata tra le spalle, i capelli più pesanti del solito, perché il temporale era infine arrivato ed era nel mezzo di un acquazzone, ma non gli diede peso, riaprendo invece gli occhi nel fissare i danni che aveva causato.

Singhiozzò, l’aria che a fatica entrava nei polmoni, trasmettendogli una nausea crescente. Probabilmente aveva trattenuto il respiro per tutto il processo, ecco perché ora era lì, al limite. Era crollato, ma rifiutava le lacrime, limitandosi a serbare tutto dentro di sé, in quel tumulto che avvertiva ancora teso nel cuore. Singhiozzò ancora un paio di volte, prima di serrare le palpebre, sofferente. Avvertiva solo lo scrosciare dell’acqua intorno a sé, quello lo fece sentire al sicuro, sebbene fragile.

“Perdonami… perdonami per non essere stato un degno maestro per te… Isaac!”

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Eccomi per una nuova (l’ennesima) nuova storia, ma questa sarà breve, tranquilli, 3 capitoli appena, che vedranno, come da introduzione, il focus su Camus, Hyoga e Isaac. Questa nuova fanfic può essere messa prima di “preludio: la fine dell’inverno” ma è accessibile a tutti, anche per chi non conosce la serie.

Sulle note di Parallel Hearts, l’opening di Pandora Hearts, verranno trattati diversi argomenti che concerneranno Camus e gli allievi e che si intersecheranno anche con la mia serie principale, pur rimanendo fruibile a tutti :)

Questo primo capitolo, che vede principalmente Camus e il suo rapporto con Hyoga e Isaac (anche se sarebbe più corretto chiamarle le pippe dell’Acquario e del Cigno XD), ricalca la prima parte dell’opening, anche se non è di immediata intuizione, ma, credetemi, ha senso, dannatamente senso, almeno per come ho reso io il pg di Camus. I “Cuori paralleli” sono quelli di maestro allievo, quello di Camus, quello di Hyoga che, come accennato dallo stesso Cigno in questo primo capitolo (sarò trattato ancora di più nel prossimo), vanno in una direzione univoca, ma paralleli, ciò gli impedisce di toccarsi e di intersecarsi. Sono due cuori che non si possono nemmeno sfiorare, almeno secondo la percezione di Hyoga, che si sente molto più indietro, rispetto ad Isaac e Milo, che invece hanno, a suo dire, un posto d’onore nel cuore del maestro (lo ha anche Hyoga, si vedrà, ma è lampante che il loro rapporto sia molto più problematico!). Ovviamente la traduzione in italiano della canzone l’ho trovata da diverse parti, diciamo che ognuna era un po’ diversa dall’altra, quindi l’ho resa il più funzionale possibile a questa storia.

Grazie come sempre, spero possiate apprezzare anche questo piccolo esperimento di song-fic :)

P.s: Ah, ancora una cosa, il dialogo tra Camus e Kanon ha preso spunto dal capitolo speciale di dicembre, disegnato da Kurumada medesimo, che certifica come Isaac abbia scoperto l’identità di Dragone Marino. Mi sono chiesta: cosa ne deve pensare Camus, di Kanon? E mi sono data una risposta!

 

 

  
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