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Autore: Marydb13    08/03/2020    1 recensioni
Quattro ragazze trovano, per caso, un passaggio che collega il loro mondo a quello di certi pirati di nostra conoscenza e, ben presto, si renderanno conto che, forse, la Disney non ha raccontato proprio tutto... Metto il rating arancione per sicurezza, ma nella maggior parte della storia è da considerarsi verde.
*****
Tratto dalla storia:
"Allora è tutto a posto? Posso tornare nella mia epoca?"
"Certamente"
"Oh, grazie infinite! L'ho sempre detto che lei è una persona ragionevole!"
"Ma ad una condizione: Mr. Mercer verrà con te"
"Cosa?!"
"Ti seguirà ovunque, sarà la tua ombra e i miei occhi." quelle parole, unite alla velata minaccia nel suo sguardo, furono l'ultima cosa che udì, prima di essere trascinata via dall'uomo che l'aveva pestata nelle tre settimane precedenti.
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ian Mercer, Jack Sparrow, Lord Cutler Beckett, Nuovo Personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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I personaggi, all'infuori di quelli creati da me, non mi appartengono, ma sono proprietà della Disney e dei suoi collaboratori; questa storia è stata scritta senza scopo di lucro. Lo stesso discorso vale per le citazioni o riferimenti a canzoni, opere letterarie, cinematografiche, etc. che potreste incontrare all'interno del testo. Es. il titolo stesso non è altro che il titolo del primo libro della serie "Una serie di sfortunati eventi" di Lemony Snicket.
 
 Prologo: un infausto inizio.
Mai accettare l’invito di un Ligure.
 
Pov. Maria Vittoria
 
♪Isse no se de fumikomu goorain bokura wa
 
‹‹Hey, ma che è ‘sta roba?›› Francesca, la ragazza dai lunghi boccoli dorati che aveva posto la domanda, non ricevendo alcuna risposta, fu costretta a ripeterla una seconda volta, alzando sensibilmente il volume della propria voce.


♪Nanimo nanimo mada shiranu
Issen koete furikaeruto mō nai bokura wa♪

 
‹‹Non ne ho idea, ma qualunque cosa sia deve estinguersi, ed in fretta! Sta coprendo la mia musica!›› a rispondere, Marta, una ragazza dai lunghi capelli color rosso fuoco (ovviamente tinti, anche se la proprietaria sosteneva che tale azione rispondesse al bisogno naturale e necessario¹ di fare pendant con il colore della propria moto).
‹‹Sì, che stai ascoltando con le mie casse!›› sbuffò la bionda, alquanto seccata. Non solo aveva monopolizzato il suo impianto stereo, come suo solito, senza manifestare la minima gratitudine, come suo solito, ma aveva anche il coraggio di atteggiarsi a proprietaria minacciata? Roba da matti! ‹‹E comunque sono abbastanza certa che sia la suoneria di un cellulare: mi sembra di sentire la vibrazione›› si ritrovò a riflettere con cipiglio corrucciato.
‹‹Musica? Quello schifo? Non ha un minimo di ritmo… e poi in che lingua sarebbe? Non si capisce niente!››
‹‹Non sei tu che fai il linguistico? E allora renditi utile e traduci!››
Marta passava il 70% del tempo a lamentarsi del fatto che la sua scuola era la più dura, il suo indirizzo il più difficile, la sua classe la più preparata, ed il restante 30% a tessere lodi ed innalzare inni al suo percorso d’eccellenza Esabac. (E poi, il liceo scientifico è il migliore, lo sanno tutti! nd: Francesca)

♪Nanimo nanimo mada shiranu
Udatte udatte udatteku
Kirameku ase ga koboreru no sa …♪

 
‹‹Oh, ma insomma, fatelo smettere! Lucia, belin, alza il c***o da quel c***o di divano e dacci una mano!›› urlò Marta, fissando con occhi spiritati l’amica che, incurante di tutta quella baraonda, se ne stava comodamente stravaccata sdraiata su un divanetto beige, dall’aria molto comoda. La rossa stava chiaramente entrando in modalità “possessione da mugugno genovese”, e quella non era certamente una buona cosa, specie per chi/cosa si trovava nel raggio di 75 metri.
Lucia parve capire l’antifona, ragion per cui evitò di rispondere alle provocazioni della “geno-indemoniata” e si limitò ad alzare pigramente la testa dal morbido cuscino ed a gridare: ‹‹Maryyy! Ti suona il telefono››.
Il gatto, spaparanzato acciambellato sul suo ventre, drizzò orecchie e pelo, infastidito dalle voci stridule melodiose delle bestie fragili fanciulle che riecheggiavano nella piccola stanza (sommandosi, per altro, al campanello della magione, all’abbaiato dei tre cani da guardia, alla suoneria del telefonino e all’impianto stereo che sparava a mille la sigla della prima stagione delle Winx).
‹‹Solo un minuto, Lu›› rispose la diretta interessata, affaccendata ai fornelli nella stanza attigua.
‹‹Le ultime parole famose›› mormorò Lucia, ritenendo la scelta di alzare nuovamente la voce un inutile spreco di energia.
 
Dopo venti minuti, quindici chiamate perse e tredici sigle dei cartoni animati, si decise, finalmente, a degnare le altre della sua (ingombrante) presenza, comparendo da dietro la porta cigolante che separava il soggiorno dalla cucina. Maria Vittoria apparve in tutto il suo orrore splendore, oscurando la luce del caminetto con i suoi 164 centimetri di altezza, per 60 chili di larghezza. Il volto, arrossato dal calore delle fiamme (o dai foruncoli ricomparsi da sotto il fondo tinta, ormai sciolto, che la ragazza si ostinava ad applicare, nonostante fosse perfettamente consapevole che nemmeno cinque chili di stucco avrebbero potuto giovare alla sua causa), era incorniciato da una cascata di boccoli scuri resi, se possibile, ancora più ispidi dal vapore. Gli occhi verdi, l’unico punto di forza della ragazza, insieme alle labbra carnose, erano sormontati da sue sopracciglia che, se non potate regolarmente almeno una volta alla settimana, andavano a riassumere la loro conformazione naturale: il monociglio alla meridionale. “Suo padre con la parrucca”, la definivano gli abitanti del paesino, descrizione a cui Maria Vittoria si sentiva in dovere di aggiungere “e un paio di poppe così grosse, che sembrano due pentoloni”², citando il Boccaccio (seppur utilizzando una similitudine un po’ più “poetica” di quella utilizzata dallo scrittore). Per chi pensasse che avere una sesta di reggiseno potesse essere un buon compenso per l’assenza di bellezza, grazia e fortuna nella sua vita, bisogna sottolineare la scomodità ed i numerosi problemi “tecnici” che tale taglia causa nella pratica sportiva, specie per chi, come lei, aveva fatto delle arti marziali la sua unica di ragione di vita. Non passava mai lezione, senza che il suo istruttore non infierisse sulla sua già esigua autostima, lanciandole frecciatine del tipo: “Sai come mai le donne asiatiche sono state le prime a poter combattere? Perché hanno i capelli lisci e sono piatte”.
 
Quella che a tutti sarebbe apparsa come un’orrida visione fu, per Lucia, una vera e propria apparizione, dato che le avrebbe permesso di non alzarsi dal divano. Si limitò, tuttavia, a salutarla con un: “Alla buon’ora!”, evitando di manifestare alcuna emozione, per paura di consumare le sue pressoché inesistenti riserve di energia.
‹‹Sì, scusate, avevo una pentola sui fornelli e allora…›› provò a scusarsi la malcapitata, ancora intenta ad asciugare il tegame appena utilizzato.
‹‹Belin, se hai dei riflessi di m***a come questi come c***o fai a sopravvivere alle lezioni di Takashi-sensei?›› la incalzò Marta con la solita finezza. “Caratteristica peculiare della popolazione ligure, presumo” si ritrovò a pensare Maria Vittoria, all’ennesimo sfoggio di “virtuosismo” dell’amica.
‹‹E’ quello che si chiedono tutti i miei compagni di karate, in effetti…›› ammise lei, sospirando. La sua riflessione fu, però, interrotta da Marta, timorosa, come tutte le altre, che tale argomento le avesse offerto lo spunto per un monologo lunghissimo ed incomprensibile (solo per i comuni mortali fortunati che non hanno fatto il liceo classico muhahaha nd: Mary): ‹‹Comunque, si può sapere che razza di canzone hai impostato come suoneria? Non si capisce nemmeno una parola, e poi ha un volume altissimo… mi ha rovinato la sigla di Lady Oscar››.
‹‹Mi dispiace, ragazze… ero convinta di aver lasciato il telefono silenzioso hehehe›› disse portandosi una mano dietro il capo, con una mossa simile a quella dei personaggi degli Anime ‹‹Comunque è una sigla giapponese di Naruto Shippuden, se non erro dovrebbe chiamarsi “Silhouette”…››
‹‹HAHA!›› Maria Vittoria fu interrotta dall’urlo esultante di Francesca che stava cercando di capire di che lingua si trattasse da quasi mezz’ora. Era una ragazza incredibilmente curiosa e, per quanto si sforzasse, non poteva proprio fare nulla al riguardo. ‹‹Lo dicevo io che doveva essere una di quelle lingue asiatiche: Giapponese o Cinese o Coreano, o Induista, o come diavolo si chiamano!››
 
‹‹Hem, ma ceeerto›› le confermò lei, imbarazzata, anche se il suo cervello gridava: “Orrore! Induista invece di Indonesiano? Ma come capperoski è possibile confondere una religione con una lingua?”. Ad ogni modo, non le sembrava il caso di contraddire un’amica su una cosa del genere. Del resto poteva semplicemente trattarsi di una distrazione dovuta alla stanchezza.
‹‹Si dice Indi, deficiente!›› la bloccò Marta, sentendosi colpita nell’orgoglio di linguista dall’affermazione di Francesca. ‹‹Mary, sei troppo buona! Devi mostrare più grinta con questi ignoranti›› nel rivolgersi a quest’ultima, cambiò completamente tono di voce e si mise addirittura a darle delle piccole pacche sulla testa, manco fosse un cucciolo. Non riusciva proprio a maltrattarla: era troppo stupida innocente!
‹‹Hehehe, hai ragione…›› tentò di patteggiare Mary (Cervello di Mary: Ma con chi diavolo ho a che fare?) ‹‹Ma Francesca si è sicuramente sbagliata, sai, l’ora tarda››
‹‹Deficiente sarà la tua professoressa di Esabac che ti promuove anche se non sai nemmeno distinguere il Coreano dal Nipponese!›› continuò la discussione Francesca, ignorando completamente i tentativi di mediazione dell’improvvisata paciere di Toscana.
(Cervello di Mary: o lingua nipponica o Giapponese, la fusione delle due parole non esiste!)
‹‹Massì, dai, il freddo›› continuava intanto, Maria Vittoria, seppur consapevole che nessuno nella stanza la stesse ascoltando.
‹‹Stai, forse, insinuando che in casa mia c’è freddo?›› Francesca, da brava genovese, faceva, come si suole dire “orecchio da mercante”.
 
‹‹Mannnò, cosa vai a pensare, intendevo il cambiamento di stagione. Non vooolevo dire che in questo rudere, hem, graziosa villetta si sente la mancanza del riscaldamento. Anche se sì, in effetti, potrebbe anche dirsi vero, dato che qui non esiste alcun impianto di riscaldamento… né elettricità … né acqua corrente. Ma tranquilla, chi ha bisogno di tutte queste messe a norma, hem, volevo dire distrazioni mondane… chissà perché ho detto a norma? Hehehe… Comunque, veramente, chi ne ha bisogno con la splendida vista che si gode attraverso i buchi, hem, le finestre sulle pareti e sul soffitto? E poi, hai visto quello splendido fornello da campeggio? Non sarà comodo come quelli… hem, da cucina? Ma almeno in queste sette ore mi sono esercitata per la prossima nottata in tenda. Senza tenda. Come piace a voi Genovesi.›› (Cervello di Mary: Ti prego Signore aiutami, non so più cosa sto dicendo! E comunque si dice “ci sia”: ♪il congiuntivo è un modo distintivo e si usa per eventi che non sono reali…♪ Mary, smettila di cantare le canzoni di Lorenzo Baglioni e pensa alle cose serie, tipo come non prendere una broncopolmonite fulminate in un fienile il 23 di dicembre. Che con la scusa del clima mite questi Liguri ti fanno morire).
 
‹‹Perché non chiami in causa anche il cambiamento ambientale, per cercare di scusare quelle due ritardate?›› (Cervello di Mary: Lucia alias deus ex macchina! Grazie Signore, lo sapevo che mi avresti aiutata!) Se Lucia aveva deciso di utilizzare la sua preziosa energia per pronunciare una frase così lunga, la situazione doveva essere veramente grave. Eppure le sembrava che fosse tutto perfettamente sotto controllo… Perché Marta stava cercando di affogare Francesca nella mangiatoia nel lavandino? Comunque era (quasi) tutto nella norma. A parte i Capelli di Francesca. In quel momento erano persino messi peggio dei suoi… Chissà quanto avrebbero impiegato ad asciugarsi senza phon… e con quel gelo, poi. Non potevano ghiacciare con 0 °C, vero? Aveva letto in “Ventimila leghe sotto i mari” che il ghiaccio si forma a partire da -1°C. Ma forse con l’acqua dolce era diverso… Tra parentesi, sicuri che quella fosse acqua dolce? Boh, Fra aveva detto di sì e si sa, la padrona di casa ha sempre ragione. 
‹‹La fame… La fame? Oh mamma, la fame!››
‹‹Sì, guarda, le piaghe d’Egitto›› Lucia non parve cogliere la sua espressione spaventata, né il cambiamento di atteggiamento, che si era fatto decisamente più teso.
‹‹Fame… fame… fame››
‹‹Mary, forse è scortese da parte mia ricordartelo, ma se continui a pensare al cibo anche in momenti come questo non riuscirai a perdere neanche un etto.››
 
Il riferimento implicito alla dieta la fece uscire dallo stato catalettico in cui era inevitabilmente piombata: ‹‹Lucia, tu non capisci: la fame!›› iniziò a scrollarla per le spalle, facendo tremare anche il divano, in parte per via della sua poca grazia, ed in parte per la pessima condizione in cui versava l’oggetto. Anche qui, tipico elemento del design genovese.
‹‹Mary, credimi, ti capisco, davvero. Avere fame e non poter mangiare deve essere davvero una cosa terribile. Io, se mi chiedessero di separarmi dal mio amato pacchetto di patatine,  non so se potrei sopportarlo. Ma tu devi resistere: devi farlo per la tua salute anzitutto›› cercò di farla ragionare, ponendole le mani sulle spalle.
‹‹Mannò, non capisci! Fame… voglia di pizza… ordina le pizze… consegna alle 19,30… 15 chiamate perse.... Sono già le otto e sai questo che cosa significa?››
‹‹Veramente no. Perché non ci illumini sul motivo di questa tua improvvisa follia?››
‹‹Oh, andiamo, vuol dire che il fattorino è arrivato 20 minuti fa e noi, tra la musica e l’abbaiato dei cani non lo abbiamo sentito arrivare!›› Maria Vittoria in quel momento era lo specchio della disperazione: continuava a correre avanti e indietro per la stanza senza una destinazione apparente. Le mani, rigorosamente nei capelli, e gli occhi con le pupille dilatate contribuivano a rafforzare quell’idea.
‹‹Poco male: vorrà dire che ordineremo delle altre pizze. L’importante è che non ci abbiano chiesto di pagare comunque.›› Marta si intromise nella discussione. Com’è che quella si preoccupava solo quando si parlava di denaro?
‹‹E secondo voi, se ne fosse andato, mi avrebbe chiamato 15 volte nell’arco di 20 minuti?››
 
‹‹Oddio, Eacos, Minos e Radamantis! Ecco perché continuano ad abbaiare da mezz’ora!›› Francesca ebbe, infine l’illuminazione.
‹‹Speriamo che non sia troppo tardi!›› commentò Marta, accorata, mentre lei e Maria Vittoria trascinavano Lucia di peso; del resto, alzarsi dal divano avrebbe già richiesto un notevole sforzo, figurarsi camminare o, Dio glielo scampasse, correre. Francesca le precedeva, nella speranza di riuscire a fermare i cani in tempo.
‹‹Se così non fosse, dubito che li sentiremmo ancora abbaiare››
‹‹Lu, ma devi proprio essere sempre così inquietante?››
‹‹Sono solo obiettiva. La morte è senza dubbio un qualcosa di razionale, ragion per cui l’unico modo per rapportarsi ad essa è utilizzare il cervello››
‹‹Possiamo non parlare di morte quando c’è buio, per favore? Ci pensa già Mary a terrorizzarci con le sue storie delle vacanze in campeggio››
‹‹Non è colpa mia se i seminaristi si dilettavano a raccontarci i casi di esorcismo di Don Stefano! E poi vi ricordo che siete voi a farmi domande sull’occultismo quando siete brille›› si difese lei, non riuscendo a trattenere una risata.
‹‹Una vera amica non ci risponderebbe!››
‹‹Oh, andiamo, ma se siete tutte atee peggio di Cavalcante de’ Cavalcanti e Farinata degli Uberti³ messi insieme? Francesca ha persino preferito chiamare i suoi cani con i nomi dei tre giudici infernali, piuttosto che con quelli dei tre arcangeli!››
‹‹L’ho fatto solo perché quando me li hai detti la prima volta mi erano sembrati fighi. E poi, come potevo immaginare che ti saresti approfittata della mia ignoranza in materia classica per farmi scegliere i nomi che volevi dare ai tuoi tre gatti, ma che i tuoi genitori ti avevano bocciato?›› ribatté Francesca che, nel mentre, era riuscita a richiamare i cani. Con malincuore si ritrovò costretta a legarli alla catena. Detestava tenerli legati, seppur per pochi minuti come in questo caso.
‹‹Il mio era solo consiglio: potevi benissimo optare per qualcos’altro.›› rispose lei, ovvia.
‹‹Beh, sappi che questa è l’ultima volta che…››
 
‹‹Scusate se vi interrompo, ma non è che potreste aiutarmi a scendere di qui?››
Le quattro alzarono lo sguardo e, solo in quel momento, si accorsero del ragazzo abbracciato ai rami più alti del melo che si trovava al centro del giardino. In effetti ritrovarsi su un melo (che spesso si tende a ricollegare al “frutto” mangiato da Adamo ed Eva, sebbene nell’antico testamento non ne sia specificata la tipologia) con tre mastini chiamati: “Radamantis”, “Eacos” e “Minosse” (ebbene sì, il poveretto aveva fatto il classico e, com’è uso in Italia, si era ritrovato a fare un mestiere poco gratificante) e quattro deficienti che parlavano di divinità infernali, evocazioni ed esorcismi, non doveva essere una situazione propriamente ottimale.
Pagata, finalmente, la cena (impiegarono, infatti, una mezz’ora buona, vuoi per trovare una scala nel garage stracolmo delle cianfrusaglie più disparate, dato che in Liguria non si butta via niente, vuoi per convincere Marta che non poteva minacciarlo di liberare i cani se non gli avesse dato la pizza gratis), se ne tornarono nel fienile diroccato, che la componente ligure del gruppo aveva il coraggio di chiamare “appartamento”.
 
Nonostante le proteste di “mamma Mary”, che esortava quelle bestie di satana soavi fanciulle delle sue amiche ad andare a dormire ad un orario decente, la luce non fu spenta prima delle tre e un quarto. La poveretta non era più nemmeno in grado di capire se fosse il caso di dire “buona notte” o “buon giorno”, tale era stato lo sforzo (mentale e fisico) di sopravvivere ad una partita di monopoli con tre Liguri, di cui una posseduta dal mugugno genovese, come emerso in precedenza.
Come le quattro si furono infilate nei sacchi a pelo, tuttavia Maria Vittoria parve rianimarsi improvvisamente, come suo solito. Aveva raggiunto la temutissima modalità “racconta-aneddoti-a-raffica-se-inquietanti-tanto-meglio”. In particolare, prima che si spegnessero le candele le luci, non mancò di far notare come, tra le stampe appese alle pareti, una assomigliasse alla foto dell’albero di “IT” su cui era appesa la testa di un bambino. Inutile dire che le altre si spaventarono talmente tanto da ritenere impossibile prendere sonno all’interno di quel rudere abbandonato. Avrebbero potuto spostarsi nella vera casa di Francesca, ma sua madre, da brava massaia, aveva sprangato porte e finestre, affinché non gli balenasse la malsana idea di entrare e consumare acqua, energia elettrica o, Dio glielo scampasse, gas. Maria Vittoria, sentendosi incredibilmente in colpa per l’accaduto, si offrì di ospitarle a casa sua, che si trovava a soli 20 minuti d’auto da lì. Le ragazze scelsero due motorini (il pieno costa meno) e arrivarono in soli 13 minuti. Il risparmio di tempo non era dovuto affatto ad un eccesso di velocità (la benzina costa, eh), quanto, piuttosto alla decisione di percorrere l’irta discesa con i motori spenti. Mary aveva provato ad obiettare che poteva essere pericoloso, dati la pendenza, l’assenza di guardrails, il poco margine, il cattivo stato della strada, l’assenza di illuminazione e la stanchezza delle conducenti, ma nessuno le aveva dato retta.
 
Invero, le quattro giunsero a destinazione ancora tutte intere, probabilmente, per merito delle accorate preghiere che Maria Vittoria aveva innalzato all’Altissimo, per tutta la durata del viaggio. Senza perdere tempo, si diressero direttamente in camera da letto. Sì, “si diressero”: non “le accompagnò”. I Liguri tendono a prendere abbastanza alla lettera la frase di cortesia “fate come se foste a casa vostra”. Ma, del resto, Mary preferiva di gran lunga la schiettezza e spontaneità alla falsa cortesia. Avendo a che fare con gente sincera, capire cosa piacesse e cosa no alle sue ospiti era decisamente più semplice.
I posti letto erano quattro; sei se considerato anche il divano letto, ma le 3, terrorizzate, volevano assolutamente dormire con Mary. Ottima difesa, pensò ironicamente lei, mentre si apprestava a portare due materassi nella camera dei suoi genitori, che erano via per lavoro. Sì, li spostò da sola: era Fantozzi con un grembiule a fiori, ma ciò non voleva dire che non avesse almeno un po’ di forza. A qualcosa dovevano pur servire 8 anni di Karate.
Dopo neanche cinque minuti, Mary spense la luce. E anche quella giornata poteva dirsi conclusa!
CLANG! O forse no.
 
‹‹Porca di quella lurida m*******e s*****a e b******a, ma sbattesse ou belin sugli scogli!›› Marta aveva parlato.
‹‹Scusa, non ho colto il francesismo›› disse Maria Vittoria, sbadigliando.
‹‹Scusate, è che mi è caduto il cellulare sotto il letto››
‹‹E prendilo, no?›› Lucia l’avrebbe uccisa volentieri, se non fosse stata troppo stanca per farlo. Strano, non le capitava mai.
‹‹Lo farei, se il materasso di Fra non me lo impedisse, non credi?››
‹‹Fra, sentito, ALZATI SUBI…›› ma fu interrotta prontamente da Maria Vittoria, che le tappò la bocca. (Allora quando vuole i riflessi li ha! Nd: Marta).
‹‹Sta dormendo, deficiente!›› le sibilò Marta in un orecchio.
‹‹Parlò quella che ha terminato il proprio repertorio di parolacce per un cellulare.››
‹‹Temo che l’unica soluzione sia strisciare sotto il letto dall’altro lato, oppure aiutarsi con una scopa… vado a prenderla subito, aspettate un attimo.›› disse Mary, dopo aver sondato attentamente la stanza, seppur evitando di accendere la luce, per non svegliare Francesca.
 
‹‹Ma va, mamma Mary, lascia perdere… non riuscirai a fare le scale con questo buio!›› provò a convincerla Lucia, ma quella non voleva saperne: ‹‹Tranquilla, le avrò fatte almeno un milione di volte: ormai le conosco a memoria!››
‹‹Sì, ma il problema non è salire, ma scendere!››
‹‹Oh, ma figurati, Montale non ha scritto, forse, “ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale”? E sua moglie aveva problemi di vista!››
‹‹E, infatti, si faceva accompagnare da Montale che ci vedeva meglio!››
‹‹Ma non credo che le desse il braccio per quel motivo: non era così ciecaaa…›› il rumore che fece Mary rotolando per tre rampe di scale (colpì, nell’ordine una sedia, due comodini, un quadro, tre vasi, due quadri, una vetrinetta e il povero gatto che passava di lì) svegliò, inevitabilmente, Francesca. Forse avrebbe le avrebbe dato meno fastidio accendendo la luce. ‹‹Scusate, giuro che non l’ho fatto apposta… comunque sono riuscita a prendere la scopa, hehehe›› ridacchiò, imbarazzata ‹‹Comunque a questo punto mi sa che conviene accendere la luce.››
‹‹Sarà meglio!››
Solo in quel momento si resero conto che Marta mancava all’appello.
 
‹‹Sarà sotto il letto a cercare il telefono. Certo che poteva anche aspettare Mary.›› Lucia, per quanto si sforzasse, non riusciva a comprendere come una persona potesse decidere di sua sponte di compiere un’azione non necessaria.
‹‹Forse è solo il buio che mi ispira questi brutti pensieri, ma ho una pessima sensazione. Non vi sembra che Marta stia impiegando un po’ troppo? Il letto dei miei non è così grande, e poi c’è troppo silenzio.››
‹‹Mary, ti prego! Stasera ci hai già spaventate a sufficienza, non credi?›› Francesca pareva aver perso un po’ della sua vena razionale, forse a causa della stanchezza ‹‹Comunque, se per silenzio intendi il fatto che Marta non sta sparando parolacce da più di due minuti, sono d’accordo con te. Qualcosa non va.››
‹‹Se fossimo in una fanfiction oserei dire che sotto il letto c’è un buco che porta nel “Paese delle meraviglie”, ma dato che così non è (continua a crederci, cara), direi che potrebbe… essersi persa, essersi fatta male, aver perso i sensi, essere morta o attaccata da un sadico assassino che taglia i capelli rossi alle ragazze per farne un maglione, oppure…›› le fantasie di Lucia furono, però, interrotte da Mary, che aveva notato lo sguardo inquieto di Francesca: ‹‹Hem, oppure non ha ancora trovato il telefono, o ha semplicemente deciso di farci uno scherzo?››
‹‹Uhm, sì, poco scenico, ma probabile›› convenne, infine, Lucia. Ed, in effetti, era l’opzione più logica, o, almeno, lo sarebbe stata se non si fosse improvvisamente sentito un urlo femminile, seguito da altre decisamente più virili.
‹‹Vi prego, aiutatemi, mi sta trascinando dall’altra parte!›› Un urlo agghiacciante. La voce di Marta si udiva incredibilmente nitida dal lato sinistro del letto, ma quando Francesca andò a controllare, non riuscì ad esimersi dall’urlare a sua volta: ‹‹Oh, mio Dio, non c’è nessuno sotto al letto! O è uno scherzo perfettamente riuscito, oppure un’oscura presenza è calata su questa casa!››
 
L’avventura è soltanto cattiva pianificazione.
(Roald Amundsen, esploratore)
 
Note:
1- riferimento improprio ad Epicuro, filosofo greco che distingueva i bisogni umani in: naturali e necessari (es. bere, dormire), naturali e non necessari (es. bere del vino), non naturali e non necessari (es. desiderio di gloria). La necessità di Marta di tingersi i capelli in questo caso appartiene, in realtà, all’ultima categoria e non alla prima, a cui si riferisce ironicamente.
2- citazione (con parole non testuali: la vera frase sarebbe: “con un paio di poppe così grosse, che sembravano due recipienti per portare il letame”) della novella di Boccaccio “Frate Cipolla”.
3- Sono i nomi di due anime incontrate da Dante nel VI cerchio dell’Inferno, dove si trovavano gli eretici (in particolare, gli Epicurei che, secondo l’errata interpretazione medievale, erano atei e dediti al piacere della carne). Il primo era il padre di Giudo Cavalcanti, celebre poeta, nonché amico di Dante; mentre il secondo era stato il più importante capo ghibellino della Firenze del 1200.
  
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