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Autore: DarkWinter    13/03/2020    8 recensioni
In un ospedale vicino a Central City, i gemelli Lapis e Lazuli nascono da una madre amorevole e devota.
Fratello e sorella vivono un'adolescenza turbolenta e scoprono il crimine e l'amore, prima di essere rapiti dal malvagio dr. Gero e ristrutturati in macchine mangiatrici di uomini.
Ma cosa accadrebbe se C17 e C18 non dimenticassero totalmente la loro vita da umani e coloro che avevano conosciuto?
Fra genitori e amici, lotte quotidiane e rimpianti, amori vecchi e nuovi e piccoli passi per reinserirsi nel mondo.
Un'avventura con un tocco di romanticismo, speranza e amore sopra ogni cosa.
PROTAGONISTI: 17 e 18
PERSONAGGI SECONDARI: Crilin, Bulma, vari OC, 16, Z Warriors, Shenron, Marron, Ottone
ANTAGONISTI: dr. Gero, Cell, androidi del Red Ribbon, Babidi
{IN HIATUS}
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 17, 18, Crilin, Nuovo personaggio | Coppie: 18/Crilin
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Il dottor Gero non avrebbe voluto farlo: era rischioso, per lui in primis.

Ma guardando preoccupato ora la porta del suo laboratorio, ora il braccio da cui una mano gli era stata divelta lasciando spenzolare i cavi gocciolanti, si decise che quella era proprio la sua ultima possibilità.

Vegeta, Piccolo e gli altri amici di Son Goku erano diventati più forti di quello che aveva previsto; anche se non così forti da poter contrastare le sue due carte vincenti.

Non voleva che gli avversari prendessero il sopravvento e tuttavia era combattuto perché nonostante avesse apportato tutte le modifiche necessarie, attivare di nuovo i modelli 17 e 18 era un pericolo non indifferente.

Dal rapimento erano passati tre anni, le sue micro telecamere avevano costantemente tenuto d’occhio i movimenti delle forze dell’ordine e della madre dei gemelli; era una testa durissima quella donna, non si era ancora arresa? Poco importava, le sue volontà stavano per compiersi, nessuno avrebbe potuto trovarli e presto anche lei sarebbe finita all’altro mondo, come tutto il resto dell’umanità.

Non sarei mai voluto arrivare a questo punto, ma ormai sono con le spalle al muro…” il vecchio aveva in mano il controller d’emergenza e stava fermo tra le due capsule sigillate “spero solo di averli sistemati a dovere”.

Era finalmente convinto; no, era riluttante.

Il dottore scacciò via il timore e si accinse a spingere il primo bottone.

Per lui era un déjà-vu quando il primo dei due cyborg mise piedi fuori dalla capsula, squadrandolo con sguardo indolente.

“Ben svegliato, numero diciassette."

Il ragazzo non fece una piega, poi si voltò e gli rivolse l’abbozzo di un sorriso:

“Buongiorno, dottor Gero.”

“Che meraviglia, mi hai salutato!”

 “Ho rispetto per mio padre."

Il dottore stringeva il controller di emergenza e notava con sollievo che lo sguardo del ragazzo era sveglio, ma non troppo.

 “Sembra che ce l’abbia fatta…allora adesso il numero diciotto” il dottore premette il pulsante della seconda capsula e anche la ragazza fece un passo avanti.

“Buongiorno dottore!” la sua voce era limpida e squillante “vedo che è diventato un cyborg anche lei”.

Il vecchio gettò uno sguardo ai cavi elettrici che pendevano giù da uno dei polsi: certo, anche lui voleva una lunga vita e un corpo potenziato.

I gemelli sembravano star bene:

“In verità, quando vi ho attivati la prima volta per mettervi in prova, mi sono accorto che avevo investito troppo sui reattori di energia infinita, quindi era molto difficile tenervi a bada, non obbedivate mai…ma ora come ora potete iniziare subito a lavorare: i nostri nemici ci stanno cercando e tra poco arriveranno qui, mi raccomando, dovete ucciderli tutti, dal primo all’ultimo. Chiaro?”

“Agli ordini!” trillò Diciotto.

“Ricevuto” le fece eco Diciassette.

All’improvviso si udirono dei rimbombi sordi, mentre polvere e frammenti di intonaco cominciavano a cadere da muri e soffitto.

“Eccoli, sono loro! Fateli fuori!”

Il dottore era estatico: finalmente poteva realizzare il suo sogno, finalmente la sorte giocava al suo fianco, finalmente i cyborg erano pronti, perfetti, feroci, a sua completa disposizione.

“E’ il momento! Dovete uccidere!”

Nel trionfo della sua gloria, il dottore non si era accorto dell’ombra che, silenziosa e micidiale come un predatore, si era spostata dietro di lui in un battito di ciglia; e continuò a non accorgersene, quasi stentò a realizzare che quel cacciatore furtivo gli aveva sfilato il controller di mano:

“Numero diciassette! Che stai facendo?!”

“Cos’è questo?” il ragazzo se lo rigirò fra le mani, scambiandosi cenni d’intesa con la sorella “il telecomando per fermarci nelle situazioni critiche…cos’è, hai paura di noi?”

Il suo tono di voce si era fatto tagliente e sprezzante, anche i suoi occhi erano cambiati, erano acuti, freddi e calmi. 

Il dottore indietreggiò, forse rendendosi conto di quello che aveva fatto; e non fece in tempo a reagire, che il ragazzo strinse leggermente la presa sbriciolando il controller. I colpi alla porta aumentavano d’intensità.

“Ehi ehi ehi! Che stai facendo? Ti sono saltati i circuiti?” gli urlò “ devi fare quello che ti dico, i nemici sono là fuori!” 

“Ne abbiamo piene le scatole di dormire, stronzo.”

All’esterno del laboratorio, il gruppo di “nemici” attendeva, prendendo a botte la porta che non si spostava minimamente.

I gemelli e Gero sentirono una voce piena d’ira appena fuori dal laboratorio:

Io sono l’unico che può sistemare la faccenda! Voi andatevene via!”

Subito dopo la porta inizio’ a gemere sotto un potente ki blast, finche’ non si piegò, scardinata, cadendo al suolo con fragore d’inferno.

I nemici rimasero stupiti nel trovarsi di fronte, oltre al dottore, un paio di ragazzi che stentavano a superare i vent’anni.

“Non lasciatevi ingannare solo perché sembrano innocui" disse a denti stretti un ragazzo dai capelli chiari che portava uno spadone.

“Non dovete assolutamente sottovalutare i nostri nemici” il dottore si sforzò di controllarsi e di mantenere un tono di voce calmo “sono loro che mi hanno dato parecchio filo da torcere e che hanno sconfitto il numero diciannove.”

Diciassette si volto’, sgranando gli occhi freddi: “Ah, c’era Diciannove? E com’era? Tipo noi?”

No. Era un vero androide.

Diciotto si fece avanti, sorridendo malignamente:

“E come mai non l’hai fatto come noi se tanto ormai sei in grado? Avevi paura di non poterlo controllare? Va bene, peccato però che se vuoi vincere ti serviamo noi.”

I gemelli non degnarono di uno sguardo il gruppo di combattenti fuori dal laboratorio, i cui occhi -di tutti i presenti- fissavano con stupore e sgomento il dottor Gero che batteva il pugno e sbraitava contro di loro, che non smettevano di fare domande scomode, che stavano gia’ ricominciando a curiosare dappertutto, che non sembravano calcolare I suoi ordini.

Diciassette faticava a sopportare la voce del dottore.

E la sua faccia.

E la sua esistenza, direttamente.

“Che ne dici di stare zitto? Noi combattiamo quando abbiamo voglia”.

Che cos'aveva detto! Il dottore era sgomento:  se solo avesse ancora avuto il telecomando...

Diciotto ridacchiò e calpestò i resti contorti del telecomando, dirigendosi verso un’altra capsula ancora sigillata.

Quando il vecchio si fiondo’ su di lei e l’afferro’ per un braccio, intimandole di allontanarsi, la cyborg lo guardò con disprezzo e lo fece volare a terra con una gomitata. Come osava mettere le sue manacce addosso ad una ragazza?

Il dottore strinse i pugni, cercando di tenere a bada la frustrazione. Gi sembrava che non dovesse assolutamente far fiutare la sua ansia a quelle due cose che aveva appena risvegliato :

“Provateci solamente a disobbedirmi. Sara’ sonno eterno, questa volta. Sonno e possibilmente smaltimento.”

Diciassette osservava la scena divertito, senza fare una piega: “Dai sorellina, apri la capsula.”

“Numero diciotto, che stai facendo? Sei sorda?”

Nel momento in cui la ragazza premette il pulsante, Gero sbraitò e fece per dirigersi verso di lei, ma non finì di parlare che un rantolò gli tagliò il respiro, i capillari oculari gli scoppiarono e il dolore gli contorse la faccia in una smorfia animalesca.

Guardò la parte sinistra del suo torace e vide una mano che gli sbucava sul davanti attraversando corpo e abiti; non avrebbe avuto bisogno di voltarsi, ma lo fece e si ritrovò faccia a faccia con il numero diciassette e i suoi occhi.

I nemici del dottore guardavano, senza riuscire a proferir parola.

Fin dal principio, dal primo istante in cui li aveva convertiti aveva temuto questo momento. Lui stesso li aveva dotati di una forza sovrumana e terribile. E adesso? Lui si era tirato addosso la loro ira, adesso stavano giocando con la loro preda.

Erano furiosi e lui sapeva il perché, era convinto di essere riuscito a cancellare anche le parti più recondite della loro memoria; perché sapeva che prima che li disattivasse stavano parlando di lui, si stavano ricordando, stavano prendendo coscienza della mostruosità che avevano subito.

Ora aveva quello che voleva, due guerrieri disumani e assetati di sangue.

Del sangue sbagliato; il dottore si vide già morto.

 Diciassette estrasse il braccio con calma piatta e rimase dietro il dottore, mettendosi le mani in tasca.

“Tu sei mio; tu sei la mia creazione; obbediscimi!”

Quella fu l’ultima cosa che riuscì a dire, prima che il cyborg sferrasse un accenno di calcio e la testa gli venisse troncata di netto, finendo scaraventata sul pavimento con clangore metallico.

Il gruppo di nemici non riuscì a trattenere gemiti d’indignazione, mentre la testa di quello che avevano pensato fosse il nemico da abbattere rotolava verso di loro. Solo uno disse qualcosa, attirando su di se’ lo sguardo divertito di Diciotto.

E siccome la testa ancora parlottava, numero diciassette spiccò un balzo e ci saltò sopra con tutto il suo peso, mentre un lago di liquido scuro si allargava sul pavimento di acciaio.

 

 

Cos’avrebbe mai potuto sperare, il vecchio Gero, che sul serio sarebbe riuscito a cancellare completamente la memoria dei due giovani cyborg?

Si era altamente sbagliato: loro si ricordavano benissimo che la prima cosa che dovevano fare, non appena il dottore si fosse degnato di svegliarli, era toglierlo di mezzo.

Quando era uscito dalla capsula, Diciassette aveva dato un’occhiata fugace prima al telecomando, poi alla gemella ed era bastato, si erano già messi d’accordo.

Si erano ricordati tutto quello che si erano promessi, appena in tempo prima di venire disattivati e il loro cervello ulteriormente modificato; d’altronde, non avrebbero mai potuto dimenticarsi che lui era il mostro che li aveva catturati, trasformati in macchine e derubati di ricordi che ormai avevano perduto per sempre, lui doveva pagare e morire.

Era stato sufficiente fingersi buoni ed obbedienti quanto bastava per conquistarselo; ai gemelli aveva dato un po’ fastidio, all’inizio, interpretare il ruolo degli storditi con il cervello annacquato, ma era per una buona causa.

“E così è fatta; schifoso animale” Diciassette sputò sui resti del dottore, disgustato.

“Che finezza!” commentò acida Diciotto “ma…mi ricordo che avrei dovuto farlo io. Mi hai rubato la sola possibilita’ che avevo di ucciderlo.”

Suo fratello trasse un sospiro: “Che differenza c’e’? Tu, io, siamo dalla stessa parte.”

Diciotto increspo’ il labbro, infastidita dalla sua incapacita’ di ricordare come mai ci tenesse a farlo fuori con le sue mani, anche se suo fratello era dalla sua parte.

Mentre loro due confabulavano, il ragazzo con la spada non se ne stette con le mani in mano. Unico conoscitore reale della forza dei due cyborg, fu quello che fece la mossa piu’ sensata, dal loro punto di vista: eliminarli.

Mise tutto il suo potere in un’ondata incandescente di energia, che in un lampo colpi’ il laboratorio segreto del defunto dottor Gero, causando un’esplosione che sventro’ la montagna.

“...L’abbiamo ucciso, anzi io l’ho ucciso perché ci dava noia e perché ci ha trasformati in due cyborg: prima eravamo umani, Diciotto, non ricordi?”

I gemelli, per evitare l’esplosione, si erano stabiliti su un piccolo altopiano poco distante. Non erano certi che fosse sgomento quello che i loro occhi potenziati mostrarono loro, dipinto sulle facce del gruppo che li aveva attaccati; ma sarebbe stato molto divertente se fosse stato esattamente cosi’.

Diciotto getto’ a terra la capsula che non erano ancora riusciti ad aprire, fra una cosa e l’altra:

“Non c’è altro, no?”

Cos’altro poteva esserci? Era una ragione sufficientemente motivante.

“Sicuro, Diciassette? Niente niente?”

“Niente niente."

Teoreticamente, a quel punto, sarebbe toccato loro iniziare l’opera di distruzione per cui erano stati attivati dal dottore, ma in realtà non ne avevano nessuna voglia: non era divertente e soprattutto avrebbe significato eseguire gli ordini.

“Manco morto!” sogghignò Diciassette “anche noi cyborg abbiamo bisogno di un obiettivo nella vita. Possiamo usare i nemici del dottore per giocare.”

Diciotto era molto curiosa di conoscere l’occupante della capsula:

“Cominciamo con aprire questa scatola: c’è scritto 16, vediamo chi è.”

Avrebbero ripescato quel gruppetto, in un modo o nell’altro. Ora erano troppo occupati.

Al tocco di Diciotto, la capsula ricomincio’ ad aprirsi; lei la scoperchio’ con una pedata.

Un androide enorme, dall’aspetto di un uomo dai brillanti capelli rossi e dai tratti aquilini, il numero sedici si alzò e si mise a scrutare l’ambiente intorno a lui; quando Diciassette lo salutò non rispose, limitandosi ad un timido sorriso.

Il ragazzo si lamentò con la sorella del fatto che il loro nuovo amico non spiccicasse parola: l’unica cosa di cui si degnò di informarli era che anche lui era stato creato con l’unico scopo di eliminare Son Goku.

La sinergia fra i loro interessi diverti’ Diciassette:

“E va bene, allora ci metteremo a cercarlo; però andiamo in macchina, così è più divertente!”

“E dove la prendiamo una macchina?”

“La rubiamo.”

Diciotto sbuffò; quanto era infantile suo fratello, volando l’avrebbero subito trovato e invece no, dovevano andare in macchina; lei le aveva sempre odiate, erano così stupide e inutili.

“Vedo che non sei cambiato, anche da umano eri fissato.”

Il ragazzo si lasciò sfuggire un gemito:

“Parla lei! Adesso sto ancora aspettando che tu mi chieda di andare a comprare dei vestiti; perché tanto lo so che me lo chiederai, è solo questione di tempo.”

Diciotto ingoiò il rospo stizzita; era vero, voleva proprio chiedergli di fare una sosta nella città più vicina: come poteva andare in giro con quegli stracci ignobili che le aveva messo il dottore?

Era un outfit decisamente carino, ma il dottore l’aveva scelto; era colpevole e disgustoso, aveva avuto la presunzione di prendere decisioni al posto suo.

 

I due cyborg gemelli, seguiti da Sedici, trovarono presto un’auto con cui girare e fare shopping.

Lei era entrata in una boutique e si era costretta a rubare dei vestiti che non le piacevano; tanto, a detta sua, non si poteva sperare di trovare di meglio lì dentro.

Presto erano arrivati gli sbirri, prontamente chiamati dai proprietari del fugone e dei vestiti che i due ragazzi si erano portati via.

“Volete smetterla di fare resistenza?” urlò lo sceriffo quando Sedici si era liberato dalle manette che gli avevano messo.

La loro stizza suscito’ una risata canzonatoria da parte di Diciotto che, sfilando con grazia davanti agli agenti, con i polsi ammanettati sollevo’ una delle loro auto per lanciarla lontano. L’auto si schianto’ contro una delle rupi innevate che costeggiavano la strada lasciando i poliziotti attoniti, mentre sia lei che Diciassette facevano a pezzi le manette e, risaliti sul furgone, riprendevano il viaggio come se niente fosse.

“Dimmi, Sedici, anche tu eri un ragazzo umano prima, non è vero?” chiese Diciassette al nuovo compagno d’avventure, non appena si lasciarono alle spalle gli agenti scioccati.

“No. Io sono stato costruito dal nulla” gli rispose, sempre con quel sorriso gentile.

A Sedici stavano simpatici i due ragazzi; erano esaltati e anche strafottenti, pensavano di saper fare tutto loro. Ma erano molto giovani, pensava, tanta esuberanza era passabile a quell’età.

 

 Da quanto tempo non vedevano più una notte!

E per di più era la prima notte  dopo la liberazione dal dottore: ormai era morto, non c’era più niente che potesse turbare la felicità dei due gemelli, erano liberi come due aquile.

Il posto dove si fermarono con il furgoncino era di una bellezza onirica, evidente persino ai loro occhi indifferenti. La strada era scoscesa ai lati e una ripida distesa d’erba argentea scendeva velocemente fino al nastro di acqua scintillante che scorreva in fondo al dolce pendio.

L’aria di montagna era secca, pungente e corroborante; entrava nei polmoni inebriandoli, lasciandosi dietro una sottile nota di natura vergine.

“Sa di pino…e poi di ghiaccio, di animali; e di torta ai lamponi”.

“Torta ai lamponi? Dove la senti?” Diciotto si era sporta dal finestrino a fianco di Diciassette, annusando l’aria notturna. Lei sentiva una scia piacevole di legni, fuoco e calore di esseri viventi.

“Di là” lui puntò il dito davanti a sé, verso l’infinità argentata e scura che si estendeva sotto i loro occhi “là! Ci saranno delle case, anzi ci sono se guardi bene. Arriva da lì.”

Diciassette inspirò profondamente, piacevolmente stupito dal fatto che potesse usare il senso dell'olfatto e che l'acquolina in bocca fosse la naturale risposta neurologica che ebbe a quello stimolo. Sembrava che avessero sempre i loro sensi umani, solo migliorati e aumentati.

La ragazza guardò un po’ meglio e scorse in lontananza un gruppo di poche case arroccate, probabilmente distavano almeno dieci km in linea d’aria.

“Non ti serve mangiare" tese l'orecchio verso di lui "cos'è questo fracasso, i tuoi circuiti?"

Diciassette, che si stava annoiatamente tormentando una lunga ciocca di capelli scuri, alzò lo sguardo di scatto: “No, il mio stomaco. Ora andiamo?”

Sorrideva furbo e divertito.

“Mangiare-guidare, guidare-mangiare, ecco tutto il contenuto dei tuoi chip. Sempre il solito. Sei un cyborg inutile.” gli disse Diciotto esasperata, ma suo fratello non la stette a sentire e la prese per mano, costringendola a librarsi in aria insieme a lui.

“E dai non ti costa niente, voliamo! Poi ritorniamo qui.”

“Numero Sedici, fa’ la guardia alla macchina!” fece in tempo a gridargli la ragazza.

L'androide sorrise e si distese comodamente sul tetto del furgoncino, assaporando felice la notte e il silenzio.

 

La finestra era leggermente aperta dietro la grata in ferro battuto. La casa era calma e addormentata, le tende sventolavano nel buio. Chiunque fosse sceso in cucina e si fosse avvicinato alla finestra avrebbe scorto due facce graziose che facevano capolino con occhi color del ghiaccio.

Ma nessuno era alzato a quell’ora, il rubinetto non gocciolava nemmeno, il tavolo era apparecchiato per la mattina dopo e in mezzo troneggiava un’alzatina con una splendida e profumatissima torta alla frutta.

“Eccola lì! Visto, te l’avevo detto.”

“Io non entro, ti aspetto qui” rispose Diciotto senza muovere un muscolo.

“Fa’ quello che ti pare” replicò lui senza guardarla “e levati di qui.”

Appena lei si fu allontanata, Diciassette appoggiò le mani sulla grata metallica, la divelse dal muro e la gettò a terra.

Con l’agilità di un gatto entrò dalla finestra, prese il bottino e uscì.

“Che bambino sei! Siamo venuti fin qui per prendere un dolce, ma ti rendi conto? Noi dovremmo distruggere tutto sghignazzando come due indemoniati.” Diciotto lo rimproverò, sorridendo divertita.

“Lo so, ma chi se ne importa! Quel pezzo di metallo schifoso è morto: noi due possiamo fare tutto quello che vogliamo, quando lo capisci dimmelo” le rispose lui di malavoglia, dandole un colpetto condiscendente sulla testa.

Quando tornarono, Sedici era ancora disteso a contemplare la bellezza della notte argentea: appena li vide sorrise stanco e si preparò a scendere, tanto ormai lo spasso era finito e la quiete anche.

I due ragazzi si sedettero sul ciglio della strada, lui a divorare la sua torta,  lei a riflettere osservando il ruscello.

Diciotto raccolse un po' di acqua nel palmo della mano e se la mise in bocca. Le piacque la sensazione di fresco che sentì propagarsi nel suo petto e continuò a bere finché non fu soddisfatta.

“Sai, mi ricordo una notte come questa” sospirò ad un certo punto, ravviandosi il caschetto "tempo fa, quando eravamo ancora umani.” 

La ragazza sospirò ancora, portando lo sguardo al cielo e sentendo un’improvvisa tristezza gelarle il cuore.

“Prendine un po’, non farla mangiare tutta a me” le sorrise Diciassette, offrendole quel che rimaneva del dolce ai lamponi “mi sembri moscia: un boccone di questa e ti senti meglio poi, fidati."

Se solo tutti i problemi avessero potuto sparire con un po’ di zucchero…

La bionda scosse la testa, poi guardò la distesa scoscesa di erba argentata che ondeggiava al vento e d’impulso afferrò Diciassette per la maglietta, trascinandolo di sotto.

Risero come due bambini mentre rotolavano a briglia sciolta verso il ruscello, incuranti dell’erba umida che li sporcava tutti e dei sassi che non sentivano sotto la schiena.

Ridevano ancora a crepapelle quando la corsa si arrestò, lasciandoli vicini a pancia in su, coi capelli intrisi di rugiada e qualche traccia di terra sulle guance, sul naso o sulla fronte.

“Da quando hai due buchi alle orecchie tu?”

Diciotto era sicura che suo fratello non avesse mai portato orecchini ad anello, prima d’ora.

Questi trasalì, tastandosi i lobi; ne aveva avuto uno, ma non si ricordava anche dell’altro:

“Sarà stato lo stronzo.”

Si trascinò bocconi fino al torrente, poi ci immerse un dito e iniziò a tracciare cerchi immaginari; chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro, lasciandosi fluire nei polmoni il fresco che si alzava dall’acqua: “Hai ragione, me la ricordo anche io una notte tipo questa: avevamo dieci anni –più o meno- ed è stata la volta in cui abbiamo fatto il patto di sangue”.

“Il patto di sangue?” Diciotto si appoggiò ai palmi delle mani e avanzò con il sedere fino a raggiungere suo fratello “la roba tribale?”

Il ragazzo le rivolse un sorriso smagliante: “Sì!”

“Lo rifacciamo? So che la prima volta ero stata io a oppormi, ma ne sento il bisogno: è come se adesso vivessimo una nuova vita”.

Diciassette continuava a giocare con l’acqua: “Stiamo vivendo una nuova vita. Una vita sconclusionata e oziosa dove non siamo legati a nessuno, perché non abbiamo nessuno”.

Non è vero, c’è numero Sedici."

Diciotto non diede voce ai propri pensieri, perché si rendeva benissimo conto che il loro nuovo amico era appunto nuovo.

“Va bene, lo rifacciamo. Però non so cosa possiamo usare per tagliarci” disse lui.

“La tua pistola! Tanto va bene anche se ci facciamo un buco.” 

Diciassette si ricordava ancora di possedere un pistola e se la puntò alla mano premendo il grilletto, ma non successe nulla perché il proiettile rimbalzò contro la sua pelle.

I gemelli rimasero un istante a guardarsi e poi scoppiarono di nuovo a ridere, continuando a spararsi a vicenda solo per il gusto di vedere i proiettili che rimbalzavono, o talvolta si appiattivano sui loro corpi; quando la riserva di colpi finì avevano le lacrime e il mal di pancia.

“Perché abbiamo riso così tanto? In fondo non è così divertente…” disse lei, strusciandosi nell’erba.

Il gemello si limitò a guardarla cercando di riprendere fiato; non lo sapeva neanche lui, probabilmente erano contenti per tutto quello che era successo prima ma anche tanto stanchi per il resto. Era stata una risata liberatoria, come per dire dottor Gero, va’ a quel Paese, noi facciamo quello che vogliamo, siamo felici e usiamo i nostri poteri per rubare auto, vestiti e torte.

“Come facciamo a rifare il rito tribale se non c’è niente in grado di tagliarci?” Diciotto riprese il discorso, sconsolata.

Il fratello si guardò intorno alla ricerca di qualcosa, poi scosse la testa facendo ondeggiare i capelli: “Non lo so…spiaccicati contro qualcosa”.

Anche lei diede uno sguardo ai dintorni. Rocce? No. Pezzi di legno? Men che meno.

Se una pistola non aveva fatto loro niente, cos’avrebbero potuto tentare?

“Ho un’idea! Chiediamolo a Sedici.”

“E no, quel buono a nulla non c’entra; queste sono cose nostre, capito?”

Diciotto detestava suo fratello quando era così ottuso: a lei non fregava niente, bastava solo che qualcuno riuscisse a farle una piccola ferita.

“Allora hai un’idea migliore, capo?” gli disse sarcastica.

“Sì, i nostri denti."

Era una buona idea.

Diciassette guardò il proprio riflesso nell'acqua. Il ricordo della sua insicurezza riaffiorò con energia dalle profondità della sua memoria.

"Ah. Ho ancora questi" pensò con risentimento, strofinando col pollice uno dei due denti storti. Ora odiava Gero ancora di più, cosa gli sarebbe costato dargli una sistemata?

I gemelli riuscirono a procurarsi una minuscola ferita sulla mano.

“E così rifacciamo il patto di sangue: tu sei la cosa piu’ importante che ho, Diciotto, ti difenderò fino alla morte” disse solennemente lui, premendo la bocca sulla mano della sorella.

Lei sorrise fra se’ e se’ con tenerezza, per via di quelle parole semplici e allo stesso tempo profonde.

“Anche tu sei la cosa piu’ importante che ho, Diciassette. Avrò sempre cura di te”.

 

“Secondo me noi abbiamo il diritto di divertirci” asserì Diciotto lapidaria “siamo due macchine. O siamo persone?"

“Che te ne frega?”

La ragazza continuò a guardare la volta celeste: era un oggetto o una persona? Cosa le rimaneva?

“Io a volte mi sento come se fossi una cosa che non ha diritto a fare quello che fanno le persone” sospirò “non riesco a capire cosa siamo.”

“…cyborg,  che alla lettera vuol dire persone con degli impianti meccanici; numero Sedici invece è un androide dalla testa ai piedi” disse lui “se anche noi fossimo come lui, non avremmo tutti i nostri sensi aumentati, né i nostri ricordi sparsi. Ne avevamo già parlato, ti ricordi?”

“Sì. E mi ricordo che ad un certo punto ci era venuta in mente una cosa importantissima che non dovevamo assolutamente dimenticare. Qualcosa che ci riguardava in maniera molto intima…Diciassette” chiuse gli occhi e si girò verso di lui: “noi siamo gemelli?”

“Beh sì, è naturale. Perché mai me lo chiedi?”

Diciotto aggrottò le sopracciglia e lo fissò intensamente:

“Secondo te…cosa significa essere gemelli?”

Il ragazzo proruppe in una risata fragorosa: “Non lo so! Non sono mica un dizionario!”

Poi le spiegò che voleva dire che erano sempre stati insieme, fin dall’inizio.

“E qual è l’inizio?”

“Penso da quando lo schifoso ci ha creati…siamo gemelli perché ci ha creati insieme.”

Diciotto credeva che lo fossero anche da umani, altrimenti come avrebbe fatto a ricordarsi che suo fratello era sempre stato patito di motori?

“Me lo sento, è così. Da sempre.”

 

/

 

Nel distretto di Central City la notte era appena scesa quando Kate senti’ bussare alla porta.

Era appena tornata dal suo solito giro nell’isolato. Il quartiere residenziale della cittadina era piacevole a vedersi, ma anche piuttosto monotono. Kate si divertiva a trovare le differenze fra le varie case che, tutte quasi uguali, incombevano sui marciapiedi eleganti.

La sua non faceva eccezione, con la classica finestra absidale ed i mattoni rossi a vista.

Quella sera, quando il sole aveva iniziato a tramontare, Kate era uscita per il suo giretto e aveva trovato l’intero isolato ad aspettarla li’ fuori.

C’erano tutti: i Ward coi loro sei figli, uno dei quali aveva ventun anni, come in teoria Lapis e Lazuli. La signora Schroeder, della casa di fronte alla sua, che li aveva curati tante volte quando erano piccoli e Kate aveva dovuto correre al lavoro.

Il proprietario dell’edicola locale col suo bassotto al guinzaglio.

E altri, della strada parallela alla sua e di altri quartieri lontani come Sara, quella che era stata amica di sua figlia e George Der Veer, della concessionaria.

Sua figlia Carly le aveva inviato un biglietto, non aveva voluto lasciare il campus; il peso emotivo era troppo grande per lei.

Era successo che, tre giorni prima, la polizia aveva avvistato a Orange City una ragazza che avevano pensato potesse essere Lazuli.

Il cuore di Kate si era ulteriormente spezzato quando era stato appurato che non era lei.

Ma quel triste episodio aveva riacceso una fiamma nel cuore della gente, una fiamma che ora brillava da tante candele, fra le loro mani.

Se Kate si era sentita riscaldare il cuore da una dimostrazione di affetto cosi’ bella, aveva pianto quando si era gettata sul letto.

Non sapeva se per l’amarezza, o per il fatto che cosi’ tante persone avevano vegliato per loro.

Quante persone vi vogliono bene. Quanto siete amati.”

Quello le aveva fatto capire che se era riuscita a crescere i suoi bambini in modo che quelle persone ora fossero li’ per puro amore, forse non era stata una madre pessima.

Quando un’oretta piu’ tardi Kate senti’ bussare, stava per coricarsi.

Aprendo la porta, vide un poliziotto che non arrivava ai trent’anni, con un bouquet semplice fra le mani. Kate lo riconobbe solo quando lesse il suo cognome, Weiss, su una targhetta che lui portava sul petto.

“Kathryn, mi dispiace disturbarla a quest’ora. Volevo venire alla piccola veglia che i suoi vicini hanno organizzato, ma non ho fatto in tempo. Ecco.”

Le porse i fiori con infinito rispetto, guardandola negli occhi con tristezza verissima.

“Ho sentito di Lazuli, mi dispiace tanto. Non so nemmeno cosa dire...Arrivederci.”

Lei lo guardo’ voltarsi e scendere piano gli scalini che portavano alla sua porta.

“Aspetta, per favore! Entra pure, Bruno.”

 

Bruno sorseggiava una tazza di te’, seduto nella cucina di Kate. Lei osservava la sua uniforme pulita, le sue unghie curate e i suoi rasta corti, che quasi sembravano i riccioli stretti che ricordava.

“Ne hai fatta di strada, vero? Non sembravi molto interessato a questo tipo di carriera, quando uscivi con la mia Lazuli.”

Bruno aveva passato l’esame a pieni voti due anni prima. Confesso’ a Kate che era stata proprio Lazuli a ispirarlo a intraprendere quella strada.

“Avevo vent’anni, al tempo, nessun futuro in mente. Quando lei mi ha lasciato, sono stato molto triste; mi aspettavo che non saremmo durati a lungo, lei era piccola. Ma ero molto innamorato, Kate, davvero. Anche se era facile pensare che io mi stessi approfittando di lei.”

Kate l’aveva effettivamente pensato. Era sicura di aver involontariamente guardato storto quel ragazzo ogni volta che aveva bussato alla porta per venire a prendere Lazuli.

Chissa’ se Bruno ci era rimasto male, tutte le volte che aveva visto dallo specchietto retrovisore Kate in piedi sulla soglia di casa che lo osservava, dura, con le braccia incrociate.

La madre realizzo’ che quello doveva essere stato il primo amore di sua figlia, quello con cui lei aveva scoperto l’amore e il sesso.

“Quando Lazuli mi ha lasciato, mi sono chiesto se fosse perche’ non ero abbastanza per lei. Si comportava da teppistella, ma era ambiziosa e intelligente. Sicuramente io, che avevo abbandonato la scuola e passavo la giornata a fare niente, non ero abbastanza per lei.”

Bruno aveva rivelato a Kate che aveva preso il diploma e poi si era iscritto all’accademia di polizia. Vedere una brava ragazza come Lazuli diventare una delinquente l’aveva ispirato non solo a combattere il crimine, ma anche a cercare di stroncarlo sul nascere.

Lei l’aveva lasciato perche’ lui aveva messo il naso nei suoi affari.

“Non potevo fare piu’ niente per Lazuli, nemmeno per suo fratello Lapis. Ma potevo aiutare altri a non prendere quella strada. Salvare altre Lazuli da se stesse.”

Kate si senti’ piena di orgoglio per lui, l’agente Weiss aveva fatto un salto di qualita’ incredibile. Tutto per amore della sua figlia adorata.

“Non l’ho mai dimenticata, sa? Ho avuto altre ragazze, ma Lazuli sara’ sempre Lazuli.”

Kate gli verso’ un’altra tazza di te’:

“Dicono che una bella donna sia indimenticabile. Ma sono fiera di te, per aver visto che la mia Lazuli fosse molto di piu’. Ti ringrazio. Sono felice che sia stato tu a iniziarla all’amore.”

Bruno non aveva mai cancellato dal cellulare alcune foto di lui e della ragazzina dagli occhi gioiello. Foto di sette anni prima, delle loro mani intrecciate -latte e caffe’- di lei seduta sulle sue ginocchia con quel cappello da rapper in testa.

Non ebbe cuore di mostrarle a Kate. Ancora con quel rispetto immenso, sfioro’ la sua mano:

“Non perda la speranza, non la perda mai. Li riporteremo a casa. Ha la mia parola.”

Quando l’agente Weiss lascio’ la casa, era gia’ mezzanotte.

Ferma sulla soglia, con le braccia incrociate e una lacrima fra le ciglia scure, Kate lo guardo’ abbassarsi e accendere altre due candele e andarsene.

Getto’ uno sguardo alla strada ormai vuota, nella notte profonda, prima di chiudere la porta.

Non smettero’ mai di cercarvi. Ve lo prometto.”

   
 
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