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Autore: ShanaStoryteller    16/03/2020    1 recensioni
Una raccolta di storie brevi che dipingono una nuova versione dei miti antichi.
O:
Quello che accadde a Icaro dopo la sua caduta, come Ermes e Estia si immischiarono e salvarono l’umanità e di come Ade voleva solo schiacciare un pisolino.
Genere: Dark, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Afrodite/Venere, Ares/Marte, Era/Giunone, Poseidone/Nettuno
Note: Lime, Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Aracne



“I tuoi arazzi sono talmente belli,” disse il mercante, ammirato, “che devi essere stata benedetta dalla dea Atena.”

Aracne scosse la testa e le trecce le scivolarono lungo la spalla come una cascata di ossidiana. “Cosa c’entra Atena? Sono mie le mani che tessono, non le sue.”

Il mercante impallidì e guardò verso il cielo, come se si aspettasse che Zeus in persona li polverizzasse per quella blasfemia. In tutta sincerità, Aracne pensava che il re degli dèi preferisse impiegare il suo tempo in altri modi. “Ah,” disse sommessamente, “immagino che tu abbia ragione.”

Le pagò la mercanzia e la ragazza se ne andò, ma subito si scontrò con una vecchia ingobbita dagli occhi grigi. “Non dovresti ringraziare Atena per i tuoi talenti?” Gracchiò, le mani nodose ricurve sul suo bastone.

Aracne non era stupida, ma era incosciente. Sarebbero nate storie sulla sua incoscienza. Ricambiò lo sguardo di quegli occhi grigi e proferì: “Dovrebbe essere Atena a ringraziarmi, visto che i miei talenti le fanno ricevere così tanti complimenti.”

Scostò la vecchia dal suo cammino e riprese a camminare, ignorando la dea in forma umana e sparendo tra la folla.

Si racconteranno storie sulla sua superbia. E saranno tutte vere.
-

Il giorno successivo, incontrò di nuovo la vecchia al mercato. E da lì, tutto peggiorò.

“Impara a stare al tuo posto, mortale.” Disse Atena, assottigliando gli occhi grigi. Si era formata una folla intorno a loro, e Aracne avrebbe potuto salvarsi, andarsene indenne. Tutto quello che avrebbe dovuto fare era dire che la sua abilità nella tessitura era inferiore a quella di una dea.

Non mentirà.

“Certamente,” disse con freddezza, “e in questo caso, il mio posto è al di sopra di te.”

Non era onesta di virtù, ma di vizio.

Atena la sfidò a una gara di tessitura. La ragazza accettò.
-


Gli dèi non sono difficili da trovare se sai dove cercarli.

“È un vulcano.” Ripeté il panettiere, guardando le monete che gli venivano offerte, e si sentì in colpa per aver preso soldi da qualcuno privo di senno.

La ragazza prese la borsa di pane dolce e la aggiunse al suo bagaglio prima di issarselo sulle spalle. “Sì, lo so. Mezza giornata di cammino, avete detto?”

“Un vulcano.” Insistette l’uomo, come se la ragazza non l’avesse sentito bene la prima decina di volte.

“Grazie per il suo aiuto.” Disse. Il panettiere scosse la testa, ma lei sapeva quello che faceva.

Camminò. Le venne fame, ma decise di non toccare il pane che aveva comprato, e camminò ancora un po’. Il sole era già iniziato a tramontare quando raggiunse le pendici del vulcano. Era alto, incredibilmente imponente, e per un attimo la sensazione di una sicura sconfitta minacciò di sopraffarla.

Ma Aracne non credeva nella sconfitta, nel perdere. Si racconteranno storie sulla sua superbia. E saranno tutte vere.

Si avvolse le trecce in un velo e rimboccò la gonna, annodando il tessuto in modo che le arrivasse alle cosce. Sistemò le mani tra le zolle di magma solidificato e iniziò la sua lenta scalata.
-

I muscoli di gambe e braccia le tremavano, e le fitte di fame erano distraenti in egual modo. La sua veste, un tempo bianca, era sporca e stracciata. Il sudore le prudeva, le ricopriva il corpo e le gocciolava lungo la schiena.

“Cosa stai facendo?”

Aracne voltò la testa e soffocò un grido, fissando lo sguardo in un occhio gigante. Il ciclope si teneva con facilità al fianco del vulcano, anche se le mani di Aracne erano ferite e sanguinanti. Deglutì e disse: “Ho sentito dire che ti piace il pane al miele. È la verità?”

La creatura inclinò la testa di lato e scoprì le lunghe zanne. La ragazza pensò che forse stava sorridendo. “Hai scalato per ore. Che cosa vuoi?”

“È la verità?” Ripeté, rifiutandosi di sussultare.

“Sì,” disse, guardandola allo stesso modo del panettiere, “è la verità.”

“Ho del pane dolce nel mio zaino, sfornato questa mattina,” disse, “dovrebbe ancora essere morbido.”

Le sue mani erano grandi e forti abbastanza da riuscire con facilità a schiacciarle la testa come un acino d’uva. Ma disfece con gentilezza il suo bagaglio e vi infilò una mano. Le focacce al miele erano ridicolmente piccole in quelle sue mani enormi, e il ciclope ne ingoiò la metà in un sol boccone. Quando ebbe terminato, si leccò le dita e sorrise per la seconda volta, non meno terrificante della prima. “Mi chiamo Bronte. Perché stai scalando il vulcano del mio padrone?”

“Sono Aracne, la tessitrice,” prese un respiro profondo, “ho bisogno dell’aiuto del tuo padrone.”
-


Si raccontano storie sulla bruttezza di Efesto.

Non sono vere.

Aveva un volto largo e spigoloso, e corti capelli castani. I suoi occhi erano come ambra incastonata nel suo viso, aveva le braccia grosse ed era un fascio di muscoli dalla vita in su. Le sue gambe terminavano al ginocchio. Da lì in giù erano di bronzo e oro per sostituire le gambe che Era gli aveva spezzato quando l’aveva lanciato giù dal monte Olimpo.

“Hai guardato abbastanza, ragazzina?” Chiese, con una voce roca come se fosse costantemente sull’orlo di un attacco di tosse.

“Sì.” Disse, e non distolse lo sguardo. Lo tenne fisso.

Le labbra del dio si sollevarono ai lati, indice che aveva fatto la scelta giusta. Il calore all’interno del vulcano era ancora più opprimente, e i ciclopi si affaccendavano tutt’intorno, forgiando il metallo in forme bizzarre che la ragazza non poteva sperare di comprendere. “Ti sei data molto da fare per trovarmi, ragazzina. Che cosa vuoi?”

Lasciò scivolare il bagaglio dalle spalle e lo porse al dio: “Ho un dono per tua moglie. Le ho tessuto un manto.”

Efesto sollevò un sopracciglio e non prese la borsa. “Credi che qualcosa fatto da mani mortali possa essere degno della dea della bellezza?”

Si racconteranno storie sulla sua superbia.

“Sì.”

Saranno tutte vere.

Il calore opprimente del vulcano venne spazzato via da una folata di vento, rinfrescando la ragazza. Al suo posto, si ergeva una donna – più che una donna. Afrodite aveva la pelle del colore del bronzo delle macchine di suo marito e capelli scuri e folti e lunghi. I suoi occhi erano delle sfumature di marrone più intenso e profondo, penetranti e intelligenti. La gente non racconta storie sull’intelligenza di Afrodite. Questo perché la gente è stupida.

“Vediamolo, allora.” Disse la dea, infilando la mano nella borsa e sfilandone il manto.

Questo si srotolò con grazia. Era intessuto con le sete più pregiate e brillava nel bagliore delle forge. Il bordo era di spuma di mare, un richiamo alla nascita di Afrodite, e lungo il mantello si snodavano una serie di complicati ricami sulla sua vita, sul matrimonio e i suoi fedeli e le sue scappatelle, il tutto fatto con i dettagli del più esperto degli artisti e la reverenza del più fedele dei suoi devoti.

Le labbra della dea si schiusero per la sorpresa e se lo fece scivolare addosso, piroettando come una bambina. “Meraviglioso.” Disse Efesto, anche se Aracne sapeva che non stava parlando del mantello. Non ne rimase offesa.

La dea sorrise e il cuore di Aracne le sussultò nel petto. Fece del suo meglio per ignorarlo – Afrodite era la dea dell’amore, dopotutto. Avrebbe dovuto aspettarselo. “Molto bene,” disse la dea, “hai la mia attenzione.”

Aracne deglutì. L’attenzione di Afrodite era qualcosa di importante. “Ho offeso Atena.” Disse. “Mi ha sfidata a una gara di tessitura.”

I volti degli dèi si acquietarono. Efesto si strofinò il bordo di una manica tra le dita e disse: “Se il giudice saprà essere giusto, Atena perderà una sfida simile. Non è brava ad accettare la sconfitta.”

“Lo so,” disse, “tu sei amico di Ade, non è vero?”

Non si raccontano storie sulla loro amicizia. Ma la ragazza ci aveva scommesso la vita su quell’amicizia, perché mai non avrebbe dovuto esistere? Erano entrambi di carattere mite, ripudiati dall’Olimpo, felicemente sposati.

Gli dèi odiavano sentirsi inferiori. Era per questo che si diceva che Persefone era stata rapita, perché si diceva che Afrodite giaceva con Ares. Era per questo che Atena avrebbe distrutto Aracne quando la ragazza avrebbe vinto la gara di tessitura.

“Sei una ragazza sveglia.” Disse Efesto, sorridendo.

Afrodite ammirò il suo riflesso in una lastra di argento lavorato. Aracne immaginò che Efesto l’avesse lasciata appesa in quel luogo unicamente per quello scopo. “Molto bene!” Disse la dea, senza guardarla. “Quando Atena ti spedirà negli inferi, intercederemo per te presso nostro zio affinché ti lasci andare.” Si girò sui talloni e la indicò con un dito. Aracne arrossì senza riuscire a spiegarselo. “In cambio, mi tesserai una veste, una che sia degna della mia stessa bellezza.”

Una veste squisita quanto la stessa dea della bellezza. Un’impresa impossibile.

Si racconteranno storie sulla sua superbia.

“Accetto.”

Saranno tutte vere.

 
-

La gara terminò come previsto. L’arazzo di Atena era bello, ma quello di Aracne lo era ancora di più.

La dea divenne rossa in volto per la rabbia, e assottigliò gli occhi grigi. Aracne rimase immobile, pronta ad accettare il colpo mortale che stava per ricevere.

Il colpo arrivò.

Ma non la morte.

 
-


Era un insetto. Anche se fosse riuscita a tornare al vulcano di Efesto, anche se avesse potuto aiutarla, non l’avrebbe riconosciuta. Non aveva più alcuna speranza, nessuna possibilità di azione, avrebbe dovuto solo arrendersi. Ma-

Non credeva nella sconfitta, nel perdere.

La prima volta, il viaggio a piedi era stato terribilmente lungo. Quella volta lo fu ancora di più, nonostante avesse otto gambe invece di due. Riuscì a raggiungere il vulcano e si insinuò tra le fessure fino a quando non trovò una stanza vuota, rischiarata da una lama di luce e abbastanza piena di insetti da sfamarla.

Il crudele scherzo di Atena le aveva permesso di continuare a tessere, e quella sarebbe stata la sua rovina. La seta che produceva era di un giallo dorato – sarebbe stata benissimo sulla pelle bronzea di Afrodite.

 
-

Le ci vollero sette anni per completarla. Non aveva mai lasciato il suo posto nel vulcano, e non appena l’ebbe terminata si affannò verso il villaggio. Era diventata un insetto più grande, ma non così grande.

Arrivò alle prime luci dell’alba e se e andò ancora prima che i raggi avessero toccato la terra con il suo bottino assicurato alla schiena con la sua stessa seta.

Aracne non ritornò nel suo nascondiglio. Raggiunse la parte più frequentata del vulcano, si affrettò e schivò i piedi che cercarono di schiacciarla, terrorizzati, fino a quando non trovò la persona stava cercando. Si arrampicò lungo la sua gamba fino a raggiungere la spalla.

“Huh.” Bronte si guardò la spalla e sbatté le palpebre. “Cosa diavolo saresti tu?”

Zampettò cauta lungo il suo braccio e aspettò. Il ciclope si avvicinò e le toccò la schiena con delicatezza. “È forse- un pezzo di focaccia al miele?”

Aracne lo guardò e aspettò. Quella era la sua unica speranza. Se non si fosse ricordato di lei, se non avesse capito-

Il volto del ciclope mutò in un’espressione di cauta sorpresa. “Aracne?” Il ragno saltò sul posto, incapace di annuire, e Bronte la raccolse nelle sue mani giganti. “Dobbiamo trovare subito il padrone.”

Aracne saltò giù e atterrò ai suoi piedi, scattando in avanti. “Aspetta!” La chiamò, e Aracne si assicurò che la stesse seguendo prima di sgusciare dentro il suo rifugio. Era quasi troppo stretto perché riuscisse ad entrare, ma il ciclope riuscì a infilarcisi ed esalò: “Oh.” Rimase immobile per qualche momento, e Aracne tornò sulla sua tela e aspettò. Bronte si riscosse dal suo sogno e usò i possenti polmoni per urlare: “PADRONA AFRODITE!”

Ed ecco quella stessa brezza e la dea era lì con loro nella grotta. “Cosa c’è di così importante, Bronte, da farti urlare?”

Aracne vide il momento in cui la dea notò la veste, di un giallo dorato, scintillante, fatta interamente di seta di ragno. “Meravigliosa.” Disse, e allungò la mano per accarezzarne il corpetto. Poi alzò la testa di scatto: “Bronte, dov’è Aracne?”

A quelle parole, si sentì scaldare il cuore. Afrodite sapeva che l’aveva tessuta lei anche se era sparita per sette anni.

Hanno raccontato storie sulla sua superbia.

Sono tutte vere.

Bronte indicò la ragnatela e Afrodite si avvicinò, tendendo la mano. Aracne le zampettò sul palmo. “Atena è più potente di me, non posso disfare il suo operato,” disse, “ma conosco qualcuno che può farlo.”

Poi furono di fronte a un fiume. C’era un bel giovane che stava aspettando con una barca. “Dea Afrodite,” disse, “non la stavamo
aspettando.”

“Thanatos,” rispose lei, “devo vedere Persefone.”

Il volto del ragazzo rimase impassibile e, per un momento, Aracne temé che le avrebbe cacciate e che sarebbe rimasta intrappolata in quella forma per sempre. Poi sorrise e disse: “Certamente, la mia signora è sempre disponibile per la sua nipote preferita.” Le porse la mano per aiutarla a salire sulla barca. “Venga con me.”

 
-


Aracne intessé una veste per la moglie di Ade come ringraziamento, e tornò al suo vulcano.

“Posso portarti ovunque tu voglia,” disse Afrodite, “non è necessario che tu ti nasconda qui.”

Aracne interruppe il suo lavoro a telaio. Aveva vissuto in quel vulcano per sette anni. Era la sua casa. “Vorresti che me ne andassi?” Chiese, invece.

Afrodite sbuffò “Certo che no! Come farei a vestirmi se non ci fossi tu?” Indossava il vestito di seta di ragno che Aracne le aveva fatto, e ora la ragazza stava lavorando a un altro vestito per la dea. Afrodite accarezzò con un dito la guancia di Aracne, con gentilezza, e per un attimo la ragazza si dimenticò come respirare. “Sei la tessitrice più abile che sia mai esistita.”

Aracne alzò lo sguardo per incontrare quello della dea: “Dunque, in qualità di dio dell’artigianato e dea della bellezza, dove potrebbe essere il mio posto se non qui con te ed Efesto?”

Reputare la propria compagnia come eguale a quella degli dèi era l’apice dell’arroganza e della blasfemia.

Si raccontano storie sulla sua superbia.

“Ottima argomentazione,” mormorò Afrodite, e le sistemò una treccia dietro l’orecchio.

Sono tutte vere.



Note dell’autrice:
Spero che vi sia piaciuta!
Sentitevi liberi di disturbarmi/stalkerarmi su: shanastoryteller.tumblr.com, dove potete sempre trovare queste all’inizio del mio blog.
   
 
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