“Il destino non esiste, Garp!” Aveva detto Roger, “magari diventerà un marine!” e per un folle attimo, un millesimo di secondo al massimo, ci aveva creduto anche lui.
Era stata quello a fregarlo ed era solo ed esclusivamente per quello che, a mesi di distanza da quella conversazione, si trovava con un poppante in braccio e una donna da seppellire.
Ovviamente, all’epoca, lui aveva cercato di negare quella scomoda verità –che nulla è già scritto e che sono le scelte a fare le persone- : “Un marine! Ma non farmi ridere, è di tuo figlio che stiamo parlando!”
Roger, però, aveva visto un’apertura e aveva colpito duro: era sempre stato maledettamente bravo a farlo.
“Tuo figlio, se non sbaglio, non sta seguendo le orme del padre”.
Garp…Garp non aveva saputo replicare. Suo figlio era un argomento contro cui non aveva difese.
“So benissimo che tu non giudichi le persone dalle proprie origini, ma dal proprio valore. È solo un bambino: dagli l’opportunità di dimostrartelo.”
Era serio, ancora sorridente, certo, ma mortalmente serio, regale anche in catene, un vero Re.
In quell’istante, Garp aveva provato una profonda ammirazione per il suo nemico: non quel sentimento vecchio, di cui accettava la presenza con fastidio e abitudine, ma qualcosa di nuovo. Qualcosa che non sapeva spiegarsi, ma che scaturiva dalla vista contraddittoria di uomo che era libero, anche in prigione.
Tenne il punto per il gusto di farlo un ultima volta, già sapendo quanto fosse inutile.
“Io e te, Roger, abbiamo fatto scelte diverse. Io non collaboro con i pirati” Disse il marine, dandogli le spalle.
“Non è quello che mi ricordo io, Eroe.”
Calò il silenzio denso dei ricordi spiacevoli: nessuno si mosse, nessuno parlò.
“Sull’isola di Batterilla, Garp,” Supplicò a testa bassa Roger “nel Mare Orientale, si chiama Rougue. Lei è… Neanche lei ha colpe.”
“Non diventerà mai un marine, Roger, lo sai.”
“Ma vivrà. Non voglio altro.”