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Autore: DarkWinter    18/03/2020    7 recensioni
In un ospedale vicino a Central City, i gemelli Lapis e Lazuli nascono da una madre amorevole e devota.
Fratello e sorella vivono un'adolescenza turbolenta e scoprono il crimine e l'amore, prima di essere rapiti dal malvagio dr. Gero e ristrutturati in macchine mangiatrici di uomini.
Ma cosa accadrebbe se C17 e C18 non dimenticassero totalmente la loro vita da umani e coloro che avevano conosciuto?
Fra genitori e amici, lotte quotidiane e rimpianti, amori vecchi e nuovi e piccoli passi per reinserirsi nel mondo.
Un'avventura con un tocco di romanticismo, speranza e amore sopra ogni cosa.
PROTAGONISTI: 17 e 18
PERSONAGGI SECONDARI: Crilin, Bulma, vari OC, 16, Z Warriors, Shenron, Marron, Ottone
ANTAGONISTI: dr. Gero, Cell, androidi del Red Ribbon, Babidi
{IN HIATUS}
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 17, 18, Crilin, Nuovo personaggio | Coppie: 18/Crilin
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Diciassette e Diciotto passavano il loro tempo girando in macchina e cercando di tirarla più lunga possibile: dovevano cercare Son Goku, avversario chissa’ quanto antico del dottore, ma a loro cominciava a non importare pressoché nulla.

L’avrebbero fatto perche’ si, ma non era una questione personale.

Vagavano per far trascorrere le giornate, per cercarsi un obiettivo in quella nuova vita che appariva così vuota e insignificante.

Non avevano piu’ avuto scontri da quando avevano rubato il furgone. Una gang di bikers e quella squadra di poliziotti a cui Diciotto aveva distrutto l’auto non contavano.

Prima del furgone c’era stata una piccola battaglia con Vegeta, il namecciano e compagnia bella, quelli che li avevano accolti al loro risveglio; niente di rilevante, li avevano massacrati senza troppo sforzo.

Senza contare il fatto che Diciassette era intervenuto per una pura questione di accordi col gruppo, Diciotto aveva combattuto quasi da sola; ancora piuttosto arrabbiata con suo fratello per non averle dato il tempo di ammazzare Gero con le sue mani, in nome di una promessa dimenticata, aveva deciso che quella volta sarebbe stato il suo turno.

Non avevano ucciso nessuno, no; era più divertente che si ricordassero l'umiliazione.

Mentre aveva torturato il saiyan che poteva cambiare colore di capelli a comando colpendolo in viso e stancandolo facendosi inseguire, Diciotto gli aveva spezzato le braccia, godendo del rumore delle ossa che scrocchiavano sotto i suoi colpi, uno per lato. Ora riusciva quasi a intuire perche’ quei guerrieri amassero tanto combattere, sconfiggere un avversario degno dava un senso quasi di onnipotenza. E lei sapeva che era una delle due creature piu’ potenti che attualmente esistevano sulla Terra. L’altra era Diciassette; lei lo tollerava solo perche’ sapeva che lui era speciale per lei. Altrimenti nulla le avrebbe impedito di fargli chiudere quella boccaccia larga che si ritrovava, tanto larga quanto quella di Vegeta, che ora giaceva a terra, respirando a malapena.

Essere bella e intelligente era gia’ abbastanza per avere il mondo ai suoi piedi; essere cosi’ e per di piu’ in possesso di poteri con cui poteva soggiogare a suo piacimento quello stesso mondo, non aveva prezzo.

Alla fine, essere una cyborg non era cosi’ male.

Dopo il pestaggio, Diciotto si era lasciata incuriosire da un membro del gruppo in particolare. Era un ragazzo basso e pelato che, a differenza degli altri, non sembrava essere sempre in preda a quella foga patetica di combattere gente piu’ forte. Lui se ne stava in disparte, osservando gli altri e poi assistendoli.

Eccone uno un po’ piu’ intelligente, senza istinti masochisti.”

Il respiro rantolante di Tien, che Diciassette aveva quasi strozzato e le ossa sbriciolate del presuntuoso Vegeta erano tornati come nuovi dopo che il ragazzo -Crilin, era quello il suo nome?- aveva dato loro una specie di pastiglia verde.

Penso’, sempre con quella curiosita’, che nella sua discrezione lui potesse essere il membro piu’ prezioso: senza cure, gli altri non avrebbero piu’ potuto alzarsi in piedi.

Quando lei, Sedici e Diciassette si erano congedati, un po’ delusi dalla scarsa resistenza del gruppo, lui stava letteralmente tremando; e allora la maliziosa Diciotto, stuzzicata da quella dimostrazione di debolezza, aveva voluto fare un po’ la cattiva e l’aveva baciato sulla guancia.

Era così anche prima, le piaceva giocare coi ragazzi.

Sedici li accompagnava, restando quasi sempre in silenzio; parlava solo se interpellato.

Per tutta la durata dello scontro aveva quasi ignorato i cyborg, standosene piantato li’ sulle strada a giocare con gli uccellini, con leggero disappunto di Diciassette.

Proseguendo nel loro viaggio in macchina, I gemelli e Sedici si allontanavano sempre di piu’ dal distretto di North City.

A un certo punto Diciassette fermo’ il furgone e scese a scrutare l’aria attorno a sé, subito raggiunto da Diciotto:

“C’è stato qualche cambiamento nella pressione dell’aria, magari l’eruzione di un vulcano; beh, molto lontano da qui, in ogni caso.”

“E’ alla periferia di una città lontano laggiu’, dietro quelle creste; due grandi potenze si stanno scontrando.” 

Sedici si unì ai ragazzi sul ciglio della strada e indico’ loro la direzione ovest con un cenno del capo.

“Ah! Hai un power radar e non ce l’hai manco detto?” fece Diciassette prepotente, guardandolo con aria seccata.

“Beh, non me l’avete chiesto.”

Sedici era troppo maturo per arrabbiarsi con i ragazzi.

E poi non ne valeva la pena, era questione di carattere, come lui era calmo loro erano gasati ma alla fine non erano così male : erano stati loro a toglierlo dal suo sonno artificiale.

Diciassette gli aveva domandato chi fossero i contendenti, ma Sedici non aveva saputo rispondere perché non erano inclusi nel suo database: “Posso solo dirvi che uno dei due ha una forza che eguaglia la vostra”.

Diciotto sbarrò gli occhi, in quelli del suo gemello comparve un’espressione innervosita e allo stesso tempo divertita.

“Vuoi startene zitto? Mi sa che lo schifoso ti ha messo un radar difettoso: non so cosa tu abbia capito, ma non me ne frega, perché non c’è nessuno più forte di me a questo mondo”.

Il cyborg getto’ in faccia all’androide quell’affermazione, gonfiando il petto; Diciotto si risenti’ per la risposta aggressiva e ingiusta che Sedici si era sentito dare; guardo’ Diciassette con occhi taglienti e riprese posto nell’abitacolo del furgone.

Lo schifoso doveva essere per forza il dottor Gero, concluse Sedici; non era la prima volta che Diciassette lo chiamava così, dovevano aver litigato prima che lui venisse riacceso.

E per l’ennesima volta concluse che stare in silenzio era sempre la cosa migliore.

“Stanno combattendo vicino alla città” chiese Diciotto “ma allora dov’è la gente?”

 

Kate non guardava quasi mai il telegiornale, non le interessava più.

Aveva ben altri problemi, irrisolti; non le fregava niente di quelli altrui, soprattutto quando non mancava cosi’ tanto a Novembre, al terzo anniversario della scomparsa dei suoi figli.

Ormai non riusciva più nemmeno a stare male, non aveva più lacrime. Era questo che la preoccupava, il niente.

Temeva che in un certo senso sarebbe morta, una volta che avesse smesso di provare emozioni, per quanto sgradevoli. L’assenza totale di sentimenti equivaleva a una specie di morte interiore.

I detective stavano ancora cercando e lei aveva creduto con tutto il cuore alla promessa dell’agente Weiss, ma ormai era inutile tentare e pretendere  l’impossibile; non c’era mica tanto da questionare.

Magari prima li avevano anche portati all’estero, quante volte aveva sentito dire di bambini e ragazzi che vengono rapiti e poi venduti in altri Paesi?

Venduti o ammazzati.

I detective sospettavano che, per Lazuli, c’entrasse qualcosa con la tratta delle bianche; per Lapis invece, qualcosa con le gang della città?

Ma secondo loro era comunque possibile che una sorte analoga fosse toccata anche a lui.

Kate dunque non aveva il minimo interesse per i problemi altrui, ma quando per caso aveva sentito la notizia di sfuggita, alla radio in macchina, era rimasta amareggiata e, in un certo senso, inquieta.

Aspettò il telegiornale fin quando la notizia le apparve chiara e dettagliata sullo schermo.

Era successo che in una città all’estremo nordovest tutti gli abitanti erano spariti; così, dall’oggi al domani, senza lasciare traccia. 

Sembrava che l’intera area fosse stata completamente evacuata.

Insomma, le tracce c’erano eccome: in quel momento il cameraman riprendeva in tempo reale le strade deserte della città, su cui erano stesi o ammucchiati tantissimi vestiti.

Esattamente come quando lei, o al tempo Lazuli, li metteva sul letto; pantaloni o gonna, maglietta, maglione, per abbinarli o semplicemente per riporli.

Erano lì, vuoti e leggermente mossi dal vento, a popolare le strade silenziose della città come un corteo di lapidi. I giornalisti trovarono alcune finestre aperte e ripresero stanze vuote, abbandonate, ferme per sempre nell’ultimo momento in cui erano state vissute.

A Kate venne un groppo in gola, i vestiti erano mollemente poggiati sulle sedie e sembrava che conservassero ancora l’impronta del corpo attorno a tavoli apparecchiati, adagiati su poltrone, letti, divani. Sembrava che gli ex abitanti avessero abbandonato tutto così com’era lanciandosi in una fuga disperata.

Non dovevano aver avuto successo; Kate ebbe un brivido, c’era qualcosa che non andava.

Qualcosa di funesto e di terribile nella calma morta di quel posto. Non avrebbe saputo spiegarlo a parole, ma quelle immagini non le piacevano.

Sembrava che fosse successo qualcosa di veramente brutto, non un suono, non un segno di vita, a parte la voce dei coraggiosi giornalisti che un solo canale, Z TV, aveva inviato a investigare:

“Qui non si vede niente…ci stiamo solo chiedendo come mai sia pieno di vestiti.”

Un maniaco sessuale? Sì come no, un maniaco sessuale che spoglia e sequestra un’intera città!

Kate scacciò quell’ipotesi, mentre raggomitolata sul divano si sorprese nervosa a mangiarsi le unghie.

E si sentì il gelo invaderle il cuore quando il giornalista cacciò un grido e la telecamera cadde per terra, interrompendo le riprese.

 

Se fosse lo stesso motivo? Se anche Lapis e Lazuli fossero scomparsi così?” si chiese Kate quella sera, cercando di prendere sonno. Anche quello, ormai, era pretendere l’impossibile.

Ormai non dormiva quasi più; l’unica occasione in cui era stata ridotta a uno stato di tenace insonnia era stato quando era incinta di Lapis e Lazuli.

I bambini si muovevano e io mi arrabbiavo come una stupida, fino a piangere di stizza…e adesso quanto li rivorrei qui con me.”

Giorno dopo giorno, i notiziari si facevano sempre piu’ lugubri; anche alla redazione di Z TV erano preoccupati perché i reporter non erano più tornati e in breve tempo erano stati scoperti anche i loro vestiti, esattamente sul luogo del delitto. Ormai era un caso unico.

Man mano che passavano i giorni, anche altre città delle zone limitrofe avevano subito la stessa sorte. Anche se sapeva che North City non era stata toccata, a Kate manco’ la presenza di spirito necessaria per prendere in mano il telefono e chiedere al signor Der Veer se sua figlia stesse bene. Forse quello che rimaneva della gente del nord si era spostata in massa verso posti piu’ sicuri, anche se non si poteva sapere se ci fosse effettivamente un posto sicuro, per quanto lo sarebbe stato.

Chissà quando tocca a noi? Chissà se verrà qui?”

E poi chi, si chiedeva Kate; ma tanto a lei cosa cambiava, poteva anche morire, non aveva più nulla da perdere. Le sarebbe solo piaciuto dire addio ai suoi bambini prima che questo fantasmagorico serial killer venisse a prenderla nella sua città.

 

 

In rotta verso i Monti Paoz, residenza di Son Goku, Diciassette aveva deciso di guidare fuori strada mentre Diciotto sbuffava, non lasciando alcun dubbio circa la sua disapprovazione.

Quella era una giornata storta per lei: dire che il suo umore era pessimo era un eufemismo.

Era da ore che un lieve dolore la tormentava, i muscoli addominali le tiravano in maniera fastidiosa.

Scopri’ in quella circostanza che poteva ancora provare dolore fisico.

E anche altre cose.

Certo, aveva combattuto di recente e Vegeta le aveva dato una testata pazzesca, ma la cyborg penso’ che lo sforzo e la botta che aveva subito non erano stati tali da lasciarle gli addominali indolenziti. Perche’ non erano gli addominali a farle male.

La consapevolezza di se’ era impressa a fuoco nel suo cervello, nonostante questo fosse stato modificato, e la ragazza ringrazio’ se stessa con un sospiro di sollievo quando si era ricordata di essersi rimessa nella tasca degli ultimi vestiti che aveva rubato la famosa bustina gialla.

Solo una cosa: ma che ho fatto di male, io?”

Cosi’, mentre armeggiava nel bagno della piccola stazione di servizio in cui i tre si erano fermati anche per rubare delle bottigliette d’acqua e qualche schifezza ricoperta di cioccolato, le torno’ anche in mente perche’ aveva chiesto a Diciassette di lasciarle ammazzare il viscido Gero.

Senti’ un brivido, pensando che avrebbe preferito continuare a non ricordarselo.

Quando era uscita dal bagno, aveva avvistato della gente -cassiere incluso- raccolta davanti alla televisione, affissa in alto su un muro. Borbottavano fra loro con sguardi sconcertati, mentre la tele mostrava una stanza piena di vestiti riposti qua e la’.

“Potrebbe essere camera mia.” aveva pensato Diciotto con un sorriso furbo mentre, approfittandosi della distrazione generale, si era presa con calma tutto quello che le serviva.

Attualmente stavano attraversando una bella foresta ombrosa e rigogliosa quando lei si spazienti’.

Senza proferire parola, usci’ dal finestrino abbassato fino alla vita e lancio’ un’onda di energia che fece terra bruciata davanti al furgone per almeno qualche km.

Si rimise a sedere, soddisfatta:

“Ne avevo abbastanza di questa strada accidentata.”

Venire sballottata sul sedile le aveva aumentato il fastidio.

Diciassette le aveva rivolto uno sguardo chiaramente infastidito: “Sei quella di sempre.”

“Una persona pratica e decisa?”

“Una bulla.”

 

I gemelli erano comodamente arrivati alla casa di colui che in teoria avrebbero dovuto trucidare. Ma era vuota, non c’era nessuno.

Sedici aspettava quieto nel furgone, come sempre.

Diciassette stava approfittando del rasoio e del sapone che aveva trovato in bagno mentre Diciotto faceva man bassa in camera da letto; il loro uomo doveva avere una moglie, Diciotto stava ribaltando i suoi armadi e i suoi cassetti, alla ricerca di qualche capo di suo gusto.

“Possibile che si vestano tutte così male? Queste umane, non sanno vestirsi! Oh.Mio.Dio.”

Era andata a lamentarsi con Diciassette e l’aveva trovato davanti allo specchio con la faccia insaponata, mezzo nudo per non bagnare la maglia e coi capelli legati.

“Che c’e’?”

“Non so. Il tuo petto e’ grosso.”

Il ragazzo sbuffo’, lavando la lametta sotto l’acqua e poi passandosela sul collo:

“E allora? E’ sempre stato largo.”

“Largo si’, ma ora sembri quasi pompato. Per i tuoi standard, intendo.”

Diciotto si ricordo’ che suo fratello aveva sempre avuto il six pack e una struttura fisica flessuosa, con spalle larghe e fianchi stretti; poi penso’ istintivamente che il bassetto che andava in giro conciato come un monaco Shaolin fosse bello tarchiato e robusto, invece.

Per i suoi standard?

“Meno male che sei stata magnanima, a rompere le braccia a Vegeta. Sedersi su di lui e soffocarlo con quel culone da pachiderma sarebbe stato crudele. Persino per te.”

Schegge di quarzo rosa fluttuarono intorno a Diciassette, conficcandosi ovunque per la forza dell’impatto; il ragazzo non aveva quasi percepito lo schianto del grosso soprammobile, che sua sorella aveva afferrato da un comodino per lanciarlo contro la sua schiena. Scosse la testa e la mise sotto il rubinetto; aveva notato che era piu’ muscoloso di quanto fosse mai stato, anche se si era ricordato che quando era umano aveva una panca e un bilancere in camera. Penso’ che c’entrasse sempre lo zampino del dottore.

Di nuovo alla ricerca di vestiti che non le facessero storcere il naso, alla fine Diciotto si dovette accontentare di un look basic ma tutto sommato non malvagio: jeans blu e maglietta bianca non guastavano mai.

Di solito preferiva colori chiari, luminosi e delicati: trovava che si accordassero cosi’ bene alla sua palette naturale fatta di capelli, occhi e pelle luminosissimi e chiari. Di solito lasciava il nero a suo fratello, trovava che sapesse portarlo molto meglio di lei, ma non seppe resistere al gilet trendy che trovo’ in un cassetto. Ci abbino’ dei guantini e delle ballerine.

Quando i gemelli si furono con comodo cambiati, lavati e sbarbati tornarono dal numero Sedici, chiedendogli dove potessero trovare Son Goku.

L'androide disse che dovevano spostarsi più a sud, su un’isola, dove si trovava la casa di un caro amico del loro uomo: poteva essere lì, anzi, doveva essere lì.

Lui e sua sorella ci erano rimasti un po’ male per aver centrato così presto il loro teorico obiettivo.

“Uffa…ci tocca fare 2700 km in volo verso sud. La fine del gioco” sorrise tra sé Diciassette.

“E tu non ti sei cambiato?”

Diciotto resto’ basita a vedere che Diciassette si era rimesso gli stessi vestiti, dopo la doccia. Quanto potevano fare schifo i maschi?

 

“Secondo te…ti ricordi quel tipo che ho baciato per finta?”

“Mm, bleah. Sì che me lo ricordo.”

I gemelli volavano alla velocità della luce, diretti assieme a Sedici verso la costa.

“Perché me lo ricordi?” le chiese Diciassette con aria nauseata.

Diciotto si lasciò scappare un risolino beato: “Boh, così! Era tenero!”

“Ma che schifo.”

Diciassette se ne stette zitto per tutto il tempo; sua sorella era infastidita che lui non interagisse con lei.

Permaloso dei miei stivali.”

Si era forse offeso per i commenti assolutamente non maliziosi che lei aveva fatto sul suo corpo?

“C’è una cosa di cui volevo parlarti…Diciassette, mi ascolti?”

Il ragazzo mugugnò senza guardarla.

“Non ho idea se per noi cyborg è lecito sognare, non so nemmeno se effettivamente il mio è stato un sogno.”

“Certo che noi possiamo. Lui no.” accenno’ al pacifico Sedici con aria di superiorita’.

“Beh, che fosse un sogno o una trance, ho avuto un ricordo” Diciotto volò più veloce in modo da essere vicinissima a suo fratello “c’era una donna, potevo sentire la sua voce e la vedevo abbastanza dettagliatamente; il suono della sua voce mi piaceva molto e lei era bella, aveva i capelli lunghi e scuri, gli occhi tipo i nostri. Assomigliava molto a te.”

“A me?” rise lui “ma che cavolo sogni, tu? Sei sicura?”

“Certo! Non sono ritardata” disse lei adirata “non mi ricordo cosa dicesse, non faceva niente a parte parlare. Non so a cosa collegarla.”

Diciassette sospirò: “E io nemmeno, se è questo che volevi sapere.”

C’erano molte cose che i gemelli desideravano sapere, ma a cui sembravano non avere accesso. La donna era probabilmente uno di quei ricordi.

Ormai Son Goku era vicino, presto si sarebbero annoiati di nuovo.

Diciotto rimase a pensarci e si senti’ rattristata nell’accorgersi che, giovane com’era, si sentiva gia’ vissuta, per di piu’ senza ricordarsi di tutte quelle esperienze che si sentiva sulle spalle. Aveva tutta una vita dietro di lei, ma nessun mezzo per imparare da quella vita.

Mentre suo fratello si divertiva a fare giri in macchina, a lei restava solo un oceano sconfinato di noia.

Quello che pero’ lei non sapeva era che presto la loro vita avrebbe perso la piattezza che l’aveva caratterizzata a partire dal risveglio.

Non avrebbero mai potuto immaginare che i loro guai non erano terminati con la morte del dottor Gero, anzi. Diciassette e Diciotto non avevano idea che la loro esistenza era solo una semplice parte di un progetto piu’ grande, a cui il dottore aveva lavorato tutta la vita.

Non sospettavano minimamente di essere braccati dalla Creatura.

 

 

A North City si respirava ansia mista a una generale svogliatezza, conseguenza di un sollievo collettivo.

Come i telegiornali avevano mostrato, stare chiusi in casa non proteggeva dal misterioso flagello che si portava via la gente, quindi tanto valeva non farsi prendere dalla psicosi e cercare di vivere normalmente. Quando le sparizioni avevano iniziato a spostarsi verso sud, tutti in citta’ avevano messo il naso fuori dalle proprie tane, annusando con circospezione l’aria fresca e constatando che non era toccato a loro, che erano incolumi e che non c’era piu’ motivo di dare di matto.

Questo aveva ripetuto Gage al telefono, cercando di tranquillizzare la sua famiglia che da East City lo chiamava per l’ennesima volta, ancora una volta lieta di sentire la sua voce.

Le lezione in universita’ erano tranquillamente continuate e presto la normalita’ sarebbe tornata con gioia nelle vite di tutti.

A chiamata terminata, il ragazzo lascio’ il campus insieme a un gruppo di conoscenti e si diresse al poligono di tiro locale. A quanto pareva, quello era un passatempo molto popolare li’ al nord, anche se Gage sapeva a malapena impugnare una semplice pistola.

Sotto gli occhi esperti del branco, scelse un modello sobrio e, prendendo la mira, strinse forte l’arma e vide il mondo esplodere davanti ai suoi occhi.

“Woo! Gage ha quasi fatto centro.”

Annui’ al resto del gruppo e, stanco per la concentrazione che aveva messo in quel solo colpo, si sedette a guardarli mentre si divertivano.

“Guardate che carina.”

“Oh, ma quanto e’ adorabile.”

“Quell’AK-47 sembra cosi’ grosso e cattivo fra le sue manine!”

“Si, ma guarda come sta appoggiato bene alle sue tette...”

“Dio bono, va che tette!”

Gage udi’ i discorsi intellettuali e le risate del branco e li vide tutti girati a guardare una ragazza di statura piuttosto piccola, dai pomellini rossi, che stava provando a sparare.

Gage ignoro’ gli schiamazzi prodotti dal gruppo, mentre si spostava verso l’ignara preda.

Guardo’ la cascata di capelli dal colore appariscente e, al di sotto, le cuffie che le coprivano le orecchie; lei le rimosse e si giro’ quando senti’ il suo tocco sulla propria spalla.

“Hai bisogno?”

Gli rivolse un bel sorriso, svelando denti bianchi: “No, ti ringrazio. Il fucile si e’ inceppato, forse non e’ stato pulito bene, non so...”

Lui la segui’ fino a un tavolino dove, sotto lo sguardo del branco, la ragazza smonto’, puli’ e rimise insieme l’arma, con velocita’ impressionante.

“Ora e’ a posto.”

Gage e gli altri la guardarono con gli occhi fuori dalle orbite mentre lei, carina da morire, sollevava un sopracciglio pallido:

“Cosa c’e’? Non sai come si smonta un fucile?”

“Puoi rifarlo?”

La ragazza ripete’ la procedura: “Riesco anche senza guardare.”

Giro’ la testa di lato e assemblo’ l’AK-47 un’ultima volta. Si preparo’ a colpire il bersaglio, i ragazzi che guardavano da dietro il calcio del fucile appoggiato sulla scollatura, teneramente picchiettata da minuscole, fitte lentiggini dorate e color terracotta. Una raffica di pallottole scaturi’ dall’arma e colpi’ la testa del bersaglio.

Quando fini’, la ragazza sorrise a Gage e guardo’ storto gli altri:

“Puoi dire a quei trogloditi dei tuoi amici di smetterla di sessualizzare il fucile e la mia scollatura?”

I trogloditi udirono e sussurrarono fra loro, mentre Gage osservava la ragazza legarsi i capelli in una lunga treccia.

“Io, quelli? Non li conosco!”

Lei schiocco’ la lingua e guardo’ il nulla alla propria destra; si mise le mani sui fianchi, portando l’attenzione di Gage sulle cosce bianche, carnose.

“Comunque, cosa fai qui? Io sono al penultimo anno di ingegneria.”

“A me mancano tre anni in veterinaria.”

Gage si stupi’ e guardo’ la ragazza mentre lei sparava un’altra scarica: “Veterinaria? E spari cosi’?”

“Si, e allora?” lei alzo’ il mento e si mise le mani in tasca “non e’ che devo per forza sparare a esseri viventi. Vengo qui solo per sfogarmi.”

Mentre si avviavano fuori dal poligono, Gage ripensava alla dimestichezza con cui l’aveva appena vista maneggiare que kalashnikov: “Devi essere bella incazzata, allora.”

“A volte, moltissimo.”

“Ma delle pistole semplici? Ci hai lasciati di stucco.”

“Grazie! No, non fanno per me. Ho imparato a usare quelle alle superiori, ora mi diverto di piu’ con le semi automatiche.”

Da quando era arrivata a North City, aveva preso l’abitudine di sopprimere l’angoscia e la depressione al poligono di tiro, nei momenti in cui non era assorbita dallo studio matto e disperatissimo, seduta qua e la’ nel suo appartamento nel campus, bevendosi litri di caffe’.

Sapeva che era sensibile alle sostanze eccitanti, ma aiutavano a perdersi.

Non era piu’ andata a Wst City per inseguire il suo sogno, diventare una pediatra. Era un progetto che apparteneva a un’altra vita in cui tutto era facile; le ricordava troppo dei bambini che non avrebbe mai avuto.

Ma suo padre aveva ragione: lei aveva un talento speciale, sapersi prendere cura di chi aveva bisogno. Lei lo sapeva e pensava che fosse stupido sprecarlo, percio’ all’ultimo momento aveva cambiato idea, mettendo una croce sulla facolta’ di medicina di West City e decidendo di dedicarsi ad altri tipi di creature.

“Ci servi in prima linea allora. Un cecchino come te forse sara’ capace di centrare in pieno chiunque abbia preso quei poveracci...”

Gage lo disse per scherzare, ma vide gli occhi della ragazza riempirsi di tristezza e il suo viso dolce contrarsi per la rabbia; sembrava un’altra persona.

“No, le sparizioni sono irreversibili. Quelli che scompaiono non tornano piu’.”

Stupito e mortificato dal sentire parole cosi’ lugubri uscire dalla bocca di quella persona dall’aspetto tanto radioso, Gage cerco’ di cambiare discorso:

“Come vanno le cose, per te? Hai paura? Io confesso che ne ho avuta...”

“A me non importa niente.”

Che aria da dura aveva, ora! Gage non poteva fare a meno di provare un senso di tenerezza per lei.

Anche se si rendeva conto che probabilmente avrebbe potuto castrarlo con un colpo di fucile.

Lei ripete’ che non gliene poteva fregare di meno se fosse scomparsa insieme a buona parte della gente, nonostante la sua futura carriera fosse abbastanza importante per lei.

“Scusami, comunque. Non intendevo essere scortese.”

Gage sospiro’ afflitto, convinto di essersi gia’ giocato le chances per poter continuare a parlare con la ragazza-cecchino.

“Dai, su. Via quel muso lungo da cane bastonato. Ce l’hai un nome?”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pensieri dell’autrice:

 

Mi sta capitando di sentirmi molto motivata nella scrittura di questa storia, e anche quasi in sintonia coi miei lettori e recensori (mi motivate tantissimo. Grazie di cuore). Mi sento abbastanza “meno timida” per condividere con voi dei pensieri che ho avuto durante la stesura di questo capitolo.

Mi ha sempre dato molto fastidio come Diciassette tratta Sedici: mi sembra che l’androide non si meriti delle risposte cosi’ brusche dal cyborg. Nell’anime ho sempre l’impressione che quest’ultimo lo tratti con sufficienza.

In questo capitolo ho voluto immaginarmi cosa potessero aver fatto i gemelli nel loro viaggio in macchina; ho voluto fare ancora trasparire l’amore di Diciotto per i vestiti e lo stile con il suo discorso sui colori. E’ una parentesi un po’ girly, ma penso che Diciotto abbia questo lato girly con la sua passione per i vestiti. E sono proprio dei vestiti a fare da apripista a una minaccia terribile che ora incombe sulla Terra e sui nostri cari cyborg. Diciotto che vede qualcosa alla tele, gli studenti di North City...ragazzi, non ne avete la piu’ pallida idea di quello di cui state parlando.

Ho voluto appunto includere il punto di vista di tre persone “normali”. Kate, che da casa guarda con ansia il telegiornale, e poi Gage e la ragazza-cecchino, la cui area e’ stata la prima ad essere vittimizzata dallo “scarafaggio ipertrofico” (come lo chiama Diciassette nel doppiaggio americano ^^).

Ho cercato di immaginarmi una situazione di paura e sconcerto come puo’ essere quella causata da Cell per chi assiste senza venire assorbito: Gage e’ un ragazzo normale di East City che si sente con la sua famiglia, che e’ lontana e preoccupata per lui.

La misteriosa ragazza-cecchino e’ un’altra studentessa che cosi’ misteriosa non e’; penso che la sua identita’ sia abbastanza “indovinabile” anche se ho scelto di tralasciare il suo nome in questo capitolo.

   
 
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